LA TRAPPOLA: AFGHANISTAN 1979-2009
LA TRAPPOLA: AFGHANISTAN 1979-2009
16 dicembre 2009
In Cina si festeggia una nuove festa esotica il Natale
mercoledì 16 dicembre 2009
In Cina si festeggia una nuove festa esotica il Natale
mercoledì 16 dicembre 2009
Dove finiscono i nostri vecchi computer? Nei bambini.
Diciamo sempre che i nostri rifiuti dovrebbero diventare una risorsa, ricchi come sono di materie prime perfettamente riciclabili. In Africa ci hanno preso in parola, e infatti recuperano religiosamente ogni materiale nascosto nei vecchi computer.
Purtroppo, questo lodevole lavoro non viene effettuato con tutti i crismi. Riporta lo Spiegel che in Ghana esiste un'enorme discarica a cielo aperto che sta avvelenando tutto il Paese. Nessuno si avvicina, perché i fumi pestilenziali di plastiche, fili e schede madri sono pesantemente tossichi. Si tratta infatti del luogo dove vanno a finire tutti i computer europei che vengono gettati via (pensavamo francamente che sparissero nel nulla), e solo i bambini si azzardano ad avvicinarsi per cercare di guadagnare qualcosa.
Bambini che non hanno mai visto un computer sano in vita loro -né tantomeno hanno avuto la possibilità di usarlo- ma che ogni giorno smontano, rompono e bruciano i nostri rifiuti alla ricerca di preziosi fili di rame, pezzetti di alluminio, viti in acciaio.
Questi bambini vivono tra i rifiuti dell'era Internet, e molti di loro ci muoiono. Fanno a pezzi i computer, infrangono gli schermi con le pietre, e gettano l'elettronica tra le fiamme. I computer contengono grandi quantità di metalli pesanti, e quando bruciano i bambini inalano fumi altamente cancerogeni. I computer dei ricchi avvelenano i poveri del mondo.
C'è qualcosa di molto significativo in questo scontro finale tra le pietre e i computer.
http://petrolio.blogosfere.it/2009/12/dove-finiscono-i-nostri-vecchi-computer-nei-bambini.html
Dove finiscono i nostri vecchi computer? Nei bambini.
Diciamo sempre che i nostri rifiuti dovrebbero diventare una risorsa, ricchi come sono di materie prime perfettamente riciclabili. In Africa ci hanno preso in parola, e infatti recuperano religiosamente ogni materiale nascosto nei vecchi computer.
Purtroppo, questo lodevole lavoro non viene effettuato con tutti i crismi. Riporta lo Spiegel che in Ghana esiste un'enorme discarica a cielo aperto che sta avvelenando tutto il Paese. Nessuno si avvicina, perché i fumi pestilenziali di plastiche, fili e schede madri sono pesantemente tossichi. Si tratta infatti del luogo dove vanno a finire tutti i computer europei che vengono gettati via (pensavamo francamente che sparissero nel nulla), e solo i bambini si azzardano ad avvicinarsi per cercare di guadagnare qualcosa.
Bambini che non hanno mai visto un computer sano in vita loro -né tantomeno hanno avuto la possibilità di usarlo- ma che ogni giorno smontano, rompono e bruciano i nostri rifiuti alla ricerca di preziosi fili di rame, pezzetti di alluminio, viti in acciaio.
Questi bambini vivono tra i rifiuti dell'era Internet, e molti di loro ci muoiono. Fanno a pezzi i computer, infrangono gli schermi con le pietre, e gettano l'elettronica tra le fiamme. I computer contengono grandi quantità di metalli pesanti, e quando bruciano i bambini inalano fumi altamente cancerogeni. I computer dei ricchi avvelenano i poveri del mondo.
C'è qualcosa di molto significativo in questo scontro finale tra le pietre e i computer.
http://petrolio.blogosfere.it/2009/12/dove-finiscono-i-nostri-vecchi-computer-nei-bambini.html
La vergogna dell’auto in Italia: 38 bn di acquisti, 65 bn di tasse
Oggi farò un’eccezione allo status deontologico del giornalista, che deve mantenersi indipendente dalle diverse lobbies in campo in ogni segmento della produzione, al fine di salvaguardare la propria indipendenza di giudizio verso qualunque punto di vista “costituito” secondo interessi dichiaratamente di parte. Interverrò alla conferenza stampa di fine anno dell’Unrae, l’associazione dei produttori esteri di autoveicoli che operano sul mercato italiano. Non sposerò la loro richiesta di incentivi pubblici all’acquisto di veicoli a minori emissioni anche per il 2010. Ma testimonierò contro quello che considero un vero scandalo antieconomico: che senso ha dare incentivi al settore a spese dei contribuenti, quando su 38 miliardi di euro spesi in acquisti di auto dalle famiglie italiane nel 2009, lo Stato ricava la bellezza di 65 miliardi di euro in tasse? Quel che serve è ribaltare il punto di vista. Non aiuti discrezionali pubblici alla vendita, ma meno rapina di Stato sull’acquisto e la proprietà. Avrebbe effetti sicuramente maggiori e migliori, meno distorsivi.
La stima del mercato è di 2,1 mio di unità vendute a fine 2009, grazie agli incentivi assunti da fine febbraio in avanti che hanno potentemente – come in tre quarti della UE – sostenuto il mercato, con 795 mila nuovi veicoli incentivati entro fine ottobre, e saranno un milione o più entro fine anno. Per i produttori – quelli esteri sul mercato italiano pesano per il 69% del venduto, e hanno diminuito la quota di meno dell’1% nel 2009 malgrado i più che poporzionali incentivi riservati dal governo alla sola propulsione a metano, che è esclusivamente FIAT - occorre naturalmente estendere e ampliare l’incentivo anche nel 2010, comprendendovi tutta la classe Euro2 se vogliamo che anche nel 2010 si vendano in Italia almeno 2,1 milioni di unità, stante la perdurante crisi dei veicoli commerciali e industriali che non sono stati compresi nella Tremonti ter.
Per noi liberisti, secondo me, vale invece la pena sottolineare tre fatti, assai difficilmente giustificabili. La quota detraibile per le aziende delle auto acquistate resta al 40% del valore totale e del 40% per l’IVA relativa, mentre in tutti gli altri grandi Paesi europei è oggi del 100%, e oltretutto da noi entro un tetto massimo di 18mila euro che è ormai fermo da 12 anni. Il che significa incentivare le famiglie all’acquisto, ma scoraggiare invece le aziende, e deprimere la componente delle flotte societarie: guarda caso, nel segmento relativo, soprattutto quello D non a caso sceso dal 16,5% del mercato italiano nel 2000 a poco più del 12% nel 2009, la FIAt non ha oggi modelli.
Secondo aspetto. Sull’acquisto e la proprietà di auto, in Italia continuano a gravare oggi ben 30 – trenta! – diversi adempimenti amministrativi cartacei - tra fase del preacquisto, acquisto, immatricolazione, iscrizione al PRA, e documenti connessi a proprietà e circolazione – e ben 18 – diciotto! – forme diverse di prelievo tra tasse, imposte e contributi – tra IVA all’acquisto, IPT diversificata per maggiorazione da Provincia a Provincia, imposta sull’assicurazione RCA, contributo al SSN sul premio assicurativo, tassa di proprietà, imposte di bollo su certificato di conformità, richiesta immatricolazione, iscrizione al PRA, accise sulla benzina per la crisi di Suez del 1956, per il disastro del Vajont, per l’inondazione dell’Arno, il terremoto del Belice e via continuando, imposta sugli olii lubrificanti nei veicoli e nei ricambi, tassa sugli olii usati, contributo obbligatorio per la raccolta delle batterie e pneumatici usati, imposte e tasse sui trasferimenti di proprietà, quelle sulle radiazioni dal PRA, sul trasferimento di residenza e su Diosachecosancora…
Terzo aspetto, conseguente: sui 38 miliardi di euro in acquisti di auto stimati nel 2009, il totale del gettito pubblico in imposte e tasse gravanti sul trasporto su strada sfiorerà o supererà i 65 miliardi di euro. E’ un controsenso assoluto, di fronte a queste cifre, incentivare l’acquisto di auto coi soldi del contribuente. Basta che lo Stato abbatta le sue richieste e i suoi incassi, lasciando liberi i consumatori di scegliere che cosa vogliono e se vogliono, invece di decidere dall’alto e discrezionalmente quali motorizzazioni premiare, di chi e perché.
http://www.chicago-blog.it/DIBATTITO/ Pelanda: così le regole dell’Ue ci stanno impoverendo tutti
mercoledì 16 dicembre 2009
Il fantasma di un default della Grecia, dopo le rassicurazioni di Angela Merkel, sembra definitivamente allontanato. Prova ne è che di Atene, del suo rating declassato, della sua difficoltà ad onorare il debito e del suo bisogno di elaborare subito un programma credibile di sviluppo non si parla quasi più. E il caso-Grecia è pian piano scivolato fuori dalle cronache. Dunque capitolo chiuso? Niente affatto: perché ora è la politica monetaria europea che apre una serie di interrogativi ai quali bisognerebbe dare una risposta. Ne va della tenuta dell’euro e delle istituzioni dell’Europa unita. Da quasi 15 anni Carlo Pelanda è una delle voci che in Italia si sforzano di gettar luce sui problemi di solidità dell’architettura euromonetaria.
Lei è favorevole alla stabilità finanziaria globale ottenuta attraverso la creazione di aree monetarie integrate, alla fine convergenti in un’unica moneta mondiale, ma pochi come lei hanno “sparato” contro l’euro, che è uno di questi passi integrativi da lei auspicati. Perché?
Ho sparato contro le modalità con cui l’euro è stato fatto e non certo contro l’idea di moneta unica europea. Le mie prime perplessità nacquero nel 1993 quando, nel luogo di osservazione privilegiato di consigliere del ministro degli Esteri Andreatta (durante il governo Ciampi, ndr) osservavo che la Francia stava cercando disperatamente di bloccare il riemergere della Germania come potere unico europeo ed aveva scelto la soluzione di toglierle il marco come strumento di potenza. L’agenda di realizzazione era ancora sfumata, ma subito espressi dei dubbi. Due in particolare.
Quali?
Il primo, il tentativo di europeizzare la Germania per ingabbiarla avrebbe comportato la germanizzazione dell’Europa; il secondo, l’unione monetaria implicava, prima, un cambio di modello economico per gli Stati europei, per dare loro più capacità di crescita - oltre che di disciplina -, altrimenti avrebbero subito un impoverimento. In altri termini: la Germania avrebbe rinunciato al marco solo se l’euro sarebbe stato come il marco stesso, inapplicabile agli altri. Quando nel 1996 vidi che Francia e Germania decisero di realizzare l’unione monetaria mi venne un colpo. Questi sono matti, dissi e scrissi.
Proprio lei scrisse che «un’unione monetaria fatta costruendo prima il tetto e poi i muri non avrebbe funzionato o avrebbe costretto ad impoverimenti delle nazioni per reggerla». Esattamente cosa è stato fatto male?
Nel modello dell’euro - che chiamo l’“automa di Amsterdam” perché lì fu concepito nel 1997 - le nazioni cedono sovranità economica (bilancio e cambio) ad un agente europeo senza riceverne indietro abbastanza per gestire con la giusta flessibilità i propri problemi, strutturali e contingenti specifici. Questa è la causa esterna dell’impoverimento per molte euronazioni.
Un esempio?
La regola europea corrente impedisce ad una nazione di andare in deficit oltre una data soglia per ogni anno. Ciò impedisce detassazioni stimolative che richiedono deficit temporanei anche rilevanti per tre o cinque anni prima del riequilibrio di bilancio, cioè prima che la maggior crescita dia più gettito pur a tasse diminuite. La stabilità della moneta è ottenuta a scapito della crescita. Matti, appunto. Qualche anno fa sul Foglio lei riferì di una conversazione con Karl Otto Pohl, ex banchiere centrale tedesco, che temeva proprio in questi anni l’uscita di Italia, Spagna, Grecia, Portogallo ed altri paesi dall’euro, per la combinazione di indisciplina nazionale e regime troppo rigido degli europarametri… Era un timore che grazie al cielo non si realizzerà a breve, ma che senza cambiamenti diventerà un rischio crescente. Soluzioni? Non solo bilanciamento per dare più flessibilità alle nazioni, ma anche vera europeizzazione. Un esempio. L’Italia ha mantenuto la sovranità sul debito, ma l’ha ceduta sui mezzi per ripagarlo. Così moriremo noi e l’euro. Se, invece, il debito delle nazioni fosse impacchettato in un unico contenitore garantito dalla Ue, il suo costo di servizio - cioè gli interessi - e di rifinanziamento sarebbe unico e più basso per le nazioni inguaiate, così aiutandole. Invece adesso? Debiti nella stessa moneta, ma con rating diverso. Non ha senso, anche perché se un solo debito nazionale va in insolvenza si dissolve l’euro. Per evitarlo, poi, le nazioni interverranno a sostegno di quella nei guai. Tanto vale consolidare il debito complessivo europeo trasferendolo tutto in un solo contenitore, consolidandolo. Ci sono soluzioni, dunque? Certo, bisogna andare avanti. Ci riusciremo applicando all’eurosistema un nuovo modello, in generale, per l’architettura, quello del bilanciamento delle sovranità economiche elaborato da Paolo Savona e da me. Quando nel 2001 uscì il libro che lo invocava (Sovranità & ricchezza, ndr) ci guardarono come marziani. Ora molti lo stanno recuperando dagli archivi. Ma chieda a Savona che lo sta aggiornando. http://www.ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2009/12/16/DIBATTITO-Pelanda-cos-le-regole-dell-Ue-ci-stanno-impoverendo-tutti/55951/