COPENAGHEN E LE 3 APOCALISSI DEL SISTEMA

Scegliere la più conveniente...
Di Manuel Freytas In tutti i summit sul “cambiamento climatico” come quello di Rio, Johannesburg, o l’attuale di Copenaghen, si parla solo di “impatto ambientale”, di “emissioni inquinanti” che distruggono il pianeta, senza scavare nelle radici e la causalità del sistema capitalista che li produce. Questa omissione (complice e cosciente) permette di parlare della “vittima” (il pianeta e la maggior parte dell’umanità) senza identificare il “criminale” (i gruppi e le aziende capitaliste che concentrano attività e fortune personali depredando e distruggendo irrazionalmente il pianeta). Nell’attuale disegno dell’economia mondiale transnazionale” non sono (come prassi) nè i governi nè i paesi che decidono quanto si produce e per chi si produce su scala mondiale, ma le corporazioni e le banche transnazionali che hanno il controllo sulle tre strutture economiche basiche del sistema capitalista: La struttura della produzione, la struttura della commercializzazione e la struttura finanziaria. Nel sistema capitalista (livellato come “civiltà unica”) la produzione e la commercializzazione di beni e di servizi (essenziali per la sopravvivenza umana), si trovano nelle mani di corporazioni private che controllano dalle risorse naturali (tutela ambientale) fino ai sistemi economici produttivi (ambiente sociale) al di sopra della volontà dei governi e dei paesi. Questo implica, in primo luogo, che non sono gli Stati ma le aziende capitaliste (i padroni privati degli Stati) che decidono quando, come e dove( e senza nessuna considerazione strategica di impatto ambientale globale) installare una fabbrica o un conglomerato industriale inquinante orientato (prima di tutto) a produrre ricchezza privata al costo della distruzione del pianeta. Nei “summit” come quello di Rio, Johannesburgo- per citarne alcune dei 14 che già sono stati realizzati- o l’attuale di Copenaghen (COP15), si parla solo di “impatto ambientale”, di “emissioni inquinanti” che distruggono il pianeta, senza approfondire sulle radici e le causalità del sistema che le produce. Questa omissione (complice e cosciente) permette di parlare della “vittima”(il pianeta e la maggior parte dell’umanità) senza identificare il criminale (gruppi ed aziende capitaliste che concentrano attivi e fortune personali depredando e distruggendo irrazionalmente il pianeta) I suoi relatori, gli scienziati e funzionari che “allertano” sulla catastrofe ambientale, non lo rapportano alla proprietà privata capitalista, con la ricerca di reddito e di concentrazione di ricchezza in poche mani, con la società del consumo e con le multinazionali e le banche che controllano le risorse naturali ed i sistemi economici produttivi senza pianificazione ed orientati solo al guadagno privato in tutto il pianeta. Il sistema capitalista, come azione e come risultato è irrazionale, non pianificato e (salvo la ricerca di guadagno e di concentrare della ricchezza in poche mani) privo di logica strategica per preservare e proteggere razionalmente al pianeta dalla sua stessa azione depredatrice e distruttiva. Quando un’azienda (sia locale o transnazionale) inizia un' opera industriale non comincia da uno studio sull’impatto ambientale che produce, ma da uno studio sul costo-beneficio commerciale e una proiezione assicurata di guadagno per i suoi azionisti. Questo agire irrazionale(individualista e non pianificato) del sistema dominante è matematico ed ha un’azione-reazione emergente sull’economia, sull’umano e sull'ambiente che lo circonda. L’irrazionalità (la non considerazione di effetti collaterali nocivi e/o distruttivi che possono emergere) trasforma le aziende capitaliste in predatrici dell' ambiente (fiumi, fauna compresi gli animali) per il semplice fatto che non agiscono seguendo interessi sociali generali (preservare il pianeta e le specie), ma la ricerca di interessi particolari (preservare il reddito e la concentrazione della ricchezza privata). E la giustificazione sociale (creare “fonti di lavoro”) che usano risulta anche irrazionale, dato che per “dare lavoro” non solo creano povertà in massa per lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, ma distruggono anche l’ambiente e le risorse naturali del pianeta per provvedere alla loro ricchezza e benessere economico per i pochi che integrano l’esclusiva piramide degli utili aziendali in alta scala. Per quanto riguarda la portata distruttiva, per effetto dell’irrazionalità, basti citare l’esempio dell’azienda di carta Botnia, in Uruguay: la transnazionale, dando come motivazione il “creare fonti di lavoro” a 300 persone, ha inquinando in 24 ore il Rio Uruguay, che divide l' Uruguay dall’Argentina e il cui corso d’acqua ha un impatto su tutto il sistema acquifero ed ambientale della regione. Riassumendo, i capitalisti di Botnia avvelenano tutta una regione per aumentare le fortune e le entrate degli azionisti privati delle aziende. Questo spiega chiaramente perché a Copenaghen si parla degli effetti (la vittima) ma non delle cause (il criminale). Di conseguenza, e a partire da questa distorsione iniziale, quelli che promettono “lotte e obiettivi” per salvare il mondo dalla catastrofe globale, sono gli stessi Stati ed aziende capitaliste che stanno causando (con il loro agire depredatore irrazionale) quello che già si proietta come un’Apocalisse naturale a tasso fisso. Le tre Apocalissi. Può il sistema capitalista (criminale) salvare la sua stessa vittima (il pianeta inclusi noi) da una catastrofe annunciata? Potrebbe, ma prima dovrebbe rinunciare alla sua stessa natura: La produzione orientata solo all’accumulao di ricchezza in poche mani. Cioè, passare dall’economia irrazionale (con scopi privati) all’economia pianificata (con scopi sociali) che permetta una prevenzione ed un controllo planetario dell' ambiente. Non sognare: Se il sistema capitalista ferma la sua dinamica di reddito assicurato (più del 70% della produzione è orientata solo al consumo superfluo di chi può pagare), il pianeta scoppierebbe socialmente per la disoccupazione in massa e per il caos alimentare che causerebbe. E se questo sistema non ferma la sua dinamica, il pianeta (in base alle proiezioni scientifiche) esploderà naturalmente per l' azione del cambiamento climatico. Il sistema capitalista è fondato sulla matematica (somma e sottrazione) ed un assioma originale per costruire il plusvalore: Comprare a basso prezzo e vendere caro. Anche se per questo deve condannare alla fame e alla povertà una massa maggioritaria (e crescente) di esseri umani e distruggere il pianeta che li contiene. E le Tre Apocalissi che stabiliscono i paesi emergenti e in declino (ma controllato) del sistema dominante arrivano anche per accumulazione matematica. L’Apocalisse sociale arriva per l’accumulo matematico di affamati, disoccupati e poveri su scala mondiale. L’Apocalisse naturale arriva per l’accumulo matematico della distruzione dell' ambiente su scala planetaria. L’Apocalisse nucleare arriva per accumulazione matematica dei conflitti militari (intercapitalisti) per la sopravvivenza delle potenze all'interno del sistema. In questo scenario, l’Apocalisse non deve interpretarsi come una profezia o una teoria cospiratrice, ma come uno svolgimento logico di un processo di contraddizioni, di accumulazione e di un salto qualitativo determinato dalle stesse leggi che reggono l’azione storica del sistema capitalista. Gli scienziati e funzionari che sono presenti al summit di Copenaghen, sono lì solo per l’accumulazione matematica dei discorsi (vuoti di concreto) che la stampa del sistema diffonde come se fossero parte di un campionato mondiale sportivo. E il pianeta (con noi dentro ed in mano alla demenza del sistema capitalista) accumula solo Apocalissi matematiche implicite nella loro natura depredatrice e criminale. Si tratta di riconvertire i piani biblici della Profezia: Dove dice “Dio” bisogna dire “Sistema” e dove dice “Diavolo” bisogna dire “Capitalismo”. Da ogni strada si arriva all’Apocalisse. Lo prenda, se vuole, come uno scetticismo razionale, ma il risultato (come il sistema capitalista) è matematico: Resta solo da scegliere il viaggio che più le conviene. Fonte: http://www.iarnoticias.com/2009/secciones/contrainformacion/0090_apocalipsis_capitalista_08dic09.html Tradotto e segnalato per Voci Dalla Strada da VANESA

Treno, addio.

Dic 0914

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Pubblicato da Debora Billi alle 10:32 in Italia

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Forse qualcuno ricorderà il mio post dell'agosto scorso, in cui raccontavo disavventure e costi stellari della TAV.

E' appena uscito il nuovo orario ferroviario, con relativi prezzi. I biglietti sono aumentati in modo spaventoso, riferiscono alcuni, e molte tratte soppresse. Così, mi sono "divertita" a fare un preventivo per lo stesso viaggio che ho compiuto ad Agosto, ovvero andare in Trentino a trovare la mamma insieme a mio figlio. Appena 4 mesi fa, mi ero sentita letteralmente spennata per 500 km. in 2a classe a 180 euro: adesso, dovrei spenderne addirittura 203. E naturalmente, il Frecciarossa non ferma più nella cittadina dove sono diretta (fino all'anno scorso Eurocity e altri treni veloci facevano 4 fermate al giorno). Così, inclusi negli oltre 200 euro, ho anche una coincidenza da prendere e una bella tratta di Regionale ciuf ciuf.

Alternative? Nessuna. Nessun treno più lento, o meno costoso. Nulla di nulla. Per andare nel Nord Italia, a meno di voler farla tutta coi Regionali cambiando convoglio in ogni provincia, e impiegandoci sedici ore, esiste solo l'Alta Velocità e a questi prezzi. Prendere o lasciare.

Dice Marco Cedolin: un aumento generalizzato del prezzo dei biglietti, unitamente ad un altrettanto generalizzato taglio di convogli, finalizzato a “costringere” i passeggeri ad usufruire obbligatoriamente dell’alta velocità che altrimenti, anche a causa dei costi, resterebbe cosa per pochi intimi.

Io ho il sospetto che resterà comunque cosa per pochi intimi. Parliamoci chiaro: l'automobile ce l'abbiamo tutti. E se saremmo disposti a scegliere un treno più lento pur di risparmiare, figuriamoci se non ci convertiamo all'istante all'auto. Via autostrada il medesimo tragitto mi costerebbe la metà, e se fossimo in tre o quattro persone non ci sarebbe neppure paragone. Anziché costringere l'intera popolazione ad accendere mutui per prendere il treno, insomma, questa strategia suicida semplicemente la porterà a rinunciarvi del tutto.

Certo, dovremmo essere i primi, qui, a ricordare che il treno è la nostra migliore opzione per quando la benzina comincerà ad aumentare di prezzo e il petrolio a scarseggiare. Purtroppo la direzione presa non è certo quella di un trasporto collettivo su rotaia di massa, bensì il consueto festino sugli appalti e spennamento conseguente del cittadino. Quando la benzina costerà troppo, le Freccerosse resteranno comunque ad arrugginire e noi andremo a piedi.

Potrei a questo punto ricordarvi la tiritera, sempre sacrosanta, sui settori strategici e le assurde privatizzazioni che rendono di fatto impraticabili dei diritti fondamentali e dei servizi costruiti coi soldi di tutti. Ma lascio alla vostra fantasia.

http://petrolio.blogosfere.it/2009/12/treno-addio.html

FINANZA/ Pelanda: caro Tremonti, ecco come non farsi “fregare” dalle banche i soldi dello scudo

lunedì 14 dicembre 2009

I capitali rientrati dall’estero attraverso l’operazione “scudo fiscale”, con termine domani, 15 dicembre, vanno visti come un finanziamento salvifico dell’economia italiana in difficoltà. L’ammontare sarà attorno ai 100 miliardi di euro. Se confermato, la tassa del 5 per cento in cambio dell’amnistia fiscale porterà nelle stremate casse dello Stato 5 miliardi di extragettito. Più altri 500/700 milioni di tassazione aggiuntiva collegata. Il tutto equivarrà a circa lo 0,4 per cento del Pil, cifra notevole che permetterà sia di contenere il deficit pubblico sia di finanziare spesa prioritaria (ricostruzioni, missioni, sostegni all’istruzione, ecc.). Ma la parte più importante dell’operazione riguarda il flusso di capitale liquido che entrerà in circolazione nel sistema italiano. Finora i commenti si sono concentrati sul beneficio per le entrate statali, adesso è utile analizzare quello per il mercato privato.

Diversamente da altre operazioni simili del passato stanno rientrando “soldi veri” che vengono depositati su conti speciali cifrati, “scudati”. La quantità è molto elevata. Perché? Buona parte degli aderenti sono imprenditori che devono ricapitalizzare le loro aziende colpite dalle recessione e dalle restrizioni del credito. Un altro gruppo è fatto da persone con reddito da lavoro autonomo che si è ridotto negli ultimi due anni, erodendo il capitale di risparmio e, per esempio, la capacità di ripagare mutui. Un terzo gruppo è fatto da persone che non hanno bisogno di denari per ricapitalizzazione, ma hanno scelto comunque di farli rientrare per l’effetto amnistia che riduce il rischio di contenzioso con il fisco per illeciti commessi negli ultimi anni. Un quarto è fatto da gente che teme la futura pressione degli Stati Ocse ed europei contro i paradisi fiscali. La vera motivazione del massiccio rientro di liquidità non è tanto il timore delle capacità di polizia del fisco, pur aumentate, ma è proprio il bisogno di capitali.

Da questa sensazione si deduce che il più dei soldi scudati verranno impiegati e non lasciati in cassetto. La possibilità che su 100 miliardi almeno 50 entrino di colpo nell’economia reale, in varie forme attive, promette un effetto catapulta sulla crescita complessiva che a sua volta si tradurrà in minore disoccupazione nella coda recessiva in atto. Le banche, inoltre, godranno di una raccolta straordinaria di liquidità che permetterà loro di sanare i buchi patrimoniali – tuttora nascosti in bilanci perfetti sul piano formale, ma non del tutto credibili su quello sostanziale – ed avere più riserve e finanza per alimentare il credito. Il secondo fenomeno avverrà certamente e sarà un grande aiuto per il 2010 e dopo. Ma per ottenere l’amplificazione della crescita sarà importante che i soldi tenuti sui conti scudati fluiscano senza ostacoli verso gli impieghi. Questa parte della normativa è rimasta un po’ ambigua e di conseguenza c’è il rischio che il fenomeno atteso su questo lato non sia pieno.

Raccomandazioni: (a) “scudare” in modi più precisi il transito dai conti bancari cifrati a quelli in chiaro per incentivare la circolazione della nuova liquidità; (b) disincentivare le banche a trattenere troppa liquidità per impieghi solo di rendita finanziaria, produttivi per loro, ma non per il mercato. Tremonti bene, meglio se seguirà queste raccomandazioni. Il profilo disetico dello scudo? Ne parleremo dopo che avrà sviluppato il suo massimo beneficio pratico, questa la priorità.

www.carlopelanda.com

http://www.ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2009/12/14/FINANZA-Pelanda-caro-Tremonti-ecco-come-non-farsi-fregare-dalle-banche-i-soldi-dello-scudo/55414/

Il consumatore americano, nella corretta prospettiva

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Venerdì 11 dicembre è stato pubblicato il dato di dicembre della survey sulla fiducia dei consumatori (consumer sentiment), elaborato dalla University of Michigan. La prima stima riporta un valore dell’indice di 73,4, a fronte di stime poste a 68,8 e di un dato di novembre pari a 67,4. Il miglior risultato da gennaio 2008, guidato dalla componente delle condizioni correnti, passata da 68,8 a 79,1, mentre l’indicatore delle condizioni future è cresciuto meno, da 66,5 a 69,7.

I mercati si sono sentiti rinfrancati dal dato, soprattutto rispetto alle prospettive dello shopping natalizio, ma qualche cautela è d’obbligo. In primo luogo, non esiste una traslazione automatica della fiducia dei consumatori in effettivi acquisti. Secondariamente, il balzo delle condizioni correnti sembra, analogamente allo scorso anno, in qualche modo legato agli sconti aggressivi praticati dei negozianti a partire dal Black Friday, che ha consentito anche di ridurre le aspettative di inflazione tendenziale tra un anno, da 2,7 a 2,1 per cento.

Non si deve inoltre dimenticare che il crash del mercato immobiliare ha prodotto un “effetto-ricchezza” negativo sul consumatore, sia perché non è più possibile estrarre liquidità dal valore della proprietà immobiliare per mezzo dell’indebitamento, sia per l’innegabile percezione di impoverimento legata al crollo dei prezzi delle abitazioni. Da ultimo, ma forse è la motivazione più importante, con una condizione così difficile dell’occupazione (che non cresce, ma sta semplicemente riducendo di contrarsi, e viaggia verso la stazionarietà), è molto difficile immaginare il consumatore americano come abituale protagonista della ripresa.

Può essere quindi utile, per mostrare le cose nella corretta prospettiva, mostrare dove si trova oggi il consumer sentiment rispetto alla condizione attesa delle finanze personali, confrontandolo ad un orizzonte temporale decennale e cinquantennale. C’è inequivocabilmente ancora molta strada da percorrere.

Usa, Summers: «Ecco cosa dirà oggi Obama ai banchieri»

14 dicembre 2009
Usa, Summers: «Ecco cosa dirà oggi Obama ai banchieri» Barack Obama, dovrà discutere «molto seriamente» con i dirigenti delle 12 principali banche del Paese, al fine di ottenere garanzie circa un’espansione del credito che è fondamentale per sostenere il recupero...

Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, dovrà discutere «molto seriamente» con i dirigenti delle 12 principali banche del Paese, al fine di ottenere garanzie circa un’espansione del credito che è fondamentale per sostenere il recupero.

A dichiararlo è stato, ieri, il consigliere economico della Casa Bianca Larry Summers. Il riferimento è all’incontro che Obama terrà oggi con i massimi rappresentanti degli istituti di credito americani: «Noi abbiamo aiutato le banche nel momento del bisogno - ha sottolineato Summers in un’intervista rilasciata alla trasmissione “This Week” della televisione ABC -, e per questo ora, a loro volta, le banche dovranno fare tutto ciò che è nelle loro possibilità per fornire ai consumatori il supporto di cui necessitano».

L’amministrazione di Washington conta infatti molto sul superamento del credit crunch, anche come stimolo alle imprese e volano per il mercato del lavoro. Summers ha spiegato che Obama si riferirà senza mezzi termini alla linea di prestiti d’emergenza da 700 miliardi di dollari approvata dal Congresso per evitare il crollo del sistema finanziario americano: un’attenzione che ora merita di essere “ripagata”. «Senza un supporto eccezionale come questo nessuna banca oggi potrebbe permettersi di pagare bonus ai propri dirigenti - ha aggiunto il consigliere -. E per questo i banchieri hanno il dovere di rendersi conto che ora hanno un obbligo nei confronti del Paese».

All’incontro tra il presidente e i top manager bancari parteciperanno, tra gli altri, i rappresentanti di Citigroup, Goldman Sachs, JPMorgan, Bank of America, Wells Fargo, Capital One Financial Corp. e American Express Co.. http://www.valori.it/italian/index.php

AURORE BOREALI...STRANI EFFETTI OTTICI!

Spesso in questo blog si è evidenziata in passato l'incongruenza di dati macroeconomici soggetti a revisioni sensibili in grado di travolgere la realtà, di modificarne nel tempo le dinamiche principali, che si tratti di occupazione o di vendite al dettaglio, di inflazione piuttosto che di prodotto interno lordo, spesso le revisioni mettono a nudo la debolezza strutturale di questi sistemi di rilevazione. Che lo dica Icebergfinanza è un conto, ma che lo sostenga pure, Jan Hatzius, Chief US Economist di Goldman Sachs è tutto un programma.

Come scrive John Mauldin nel suo ultimo report,THOUGHTS FROM THE FRONTLINE, dagli anni 50 agli anni 80, l'eccesso di magazzino ha portato a una dinamica di licenziamenti che si è prontamenta riequilibrata con la ripresa dell'economia, la quale ha ripreso a crescere a ritmi sostenuti. Poi nelle due ultime recessioni, quelle degli anni 90 e del 2001 la conversione dell'economia americana dal settore manifatturiero a quello terziario, dei servizi ha sostenuto una ripresa che come abbiamo visto ben si evidenzia nella dinamica del 1999 dove l'occupazione sali ad un ritmo di circa 264.000 posti di lavoro mensili aggiungo io.

Da quell'anno in poi, l'economia americana, non fu più in grado di riprodurre una simile dinamica e il saldo è zero posti creati in dieci anni, un nuovo decennio perduto dell'occupazione.

Alcuni di Voi certamente ricorderanno in uno dei miei ultimi post "dedicati" quale fu la dinamica che segui la doppia recessione degli anni '90, l'impressionant rimbalzo a cui assistette l'economia americana con punte di crescita tra il 6 e il 7 %.

Oggi discutiamo di una crescita tra il 2 e il 3 % supportata in maniera totalizzante dagli stimoli governativi, discutiamo dell'uscita da una sostanziale depressione anche se ci piace giocare con i numeri, perchè in fondo non sono quelli della Grande depressione e chiamarla Grande Recessione. Dimentichiamo forse che le dinamiche di quella depressione, non si crearono nei primi anni, ma si svilupparono in seguito ad una serie di errori di politica economica e oggi anche se abbiamo evitato alcuni di quegli errori ne stiamo creando di nuovi, legati ad enormi conflitti di interesse.

Sarà interessante osservare l'economia americana, muoversi senza stimoli governativi!

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Come ricorda Mauldin, nella sostanza negli ultimi anni in America è esplosa la produttività, ma produttività significa necessarimente maggiore produzione con anche il minor numero di occupazione, necessaria a sostenere la stessa. Secondo alcune stime sembra che ben due milioni degli ultimi 8 persi nella Grande Recessione, si posano ormai considerare permanenti. Inoltre è abbastanza chiaro che questa strategia di riduzione sistematica dei costi riducendo il personale e tagliando gli investimenti in ricerca e sviluppo non è affatto sostenibile nel medio e lungo periodo e contribuisce a frenare la crescita.

La sempre puntuale Caroline Baum in Job Lost in Great Recession May Be Gone Forever evidenzia come il vero problema è se la perdita attuale di posti di lavoro è temporanea, se le aziende stanno tagliando gli organici in maniera permanente.

A novembre, una parte record di circa il 55 % dei tagli è stata classificata come permanente secondo il BLS. La stessa durata media della disoccupazione ha raggiunto l'ennesimo record a 28,5 settimane il massimo dalla seconda guerra mondiale. Inoltre il 38,3 % dei disoccupati è rimasto senza lavoro per almeno 27 settimane.

Anche la Baum ricorda come nelle crisi degli anni '70 e '80, un ritmo rapido nei licenziamenti temporanei fu seguito da una ripresa altrettanto rapida di assunzioni già nelle prime fasi della ripresa economica.

Io invece ci tengo a precisare che, la proiezione strutturale di una eventuale ripresa del mercato del lavoro, non sembra affatto ripercorrere alcuna delle riprese degli ultimi quaranta anni e che la fusione del sistema finanziario e il deleveraging in atto, oltre all'eccesso di produzione di questi anni sistematica rappresentano un possibile ostacolo ad una ripresa sostanziale del mercato del lavoro.

Inoltre secondo Carmen Reinhart, la triste e verà eredità di questa crisi, delle crisi in generale è un eccesso di debito, un debito elevato si associa ad una crescita più lenta e quindi se ci preoccupiamo per la crescita, dobbiamo preoccuparci anche per il deficit. Parallelamente, se i posti di lavoro in teoria aumentano con l'aumento del PIL, di conseguenza sono soggetti al rischio di un debito crescente, debito che a sua volta verrebbe alimentato dall'aumento della spesa a sostegno dell'occupazione.

Se il cavallo privato "non beve" aggiungo io, quello pubblico, rischia di "scoppiare" anche se potrebbe essere in realtà un cammello!

Secondo John Mauldin, ci vorranno 15 milioni di nuovi posti di lavoro nei prossimi 5 anni, per riuscire a cancellare la Grande Recessione, ovvero almeno 250.000 posti di lavoro al mese nei prossimi cinque anni a aprtire da ora come abbiamo già visto recentemente.

Quello che facciamo qui su Icebergfinanza è di cercare di ragionare in maniera empirica attraverso i numeri del presente e del futuro cercando di aiutarci con le dinamiche del passato, ma avendo ben presente che si tratta della Madre di tutte le crisi finanziarie della Storia.

Paul Krugman, addirittura rincara la dose, esagerandone le prospettive sul NYT sostenendo che non sono poi molte le persone che hanno la reale percezione di quanti posti di lavoro occorra creare per uscire da questa sorta di buco nero dell'economia. Recentemente ho scritto nell'ultiomo post dedicato e in altri post che per ammortizzare la crescita demografica e la pressione migratoria, l' America ha bisogno di almeno altri 120.000 posti di lavoro al mese e Krugman parla di "soli" 100.000, aggiungendone ben 200.000 per poter ritrovare la piena occupazione nei prossimi anni, ovvero 300.000 posti in più al mese, mai registrati nell'ultimo decennio e probabilmente negli ultimi cinqie lustri.

Una recente stima del BLS ci dice che l'economia americana creerà nella migliore delle ipotesi secondo il sottoscritto, 15,3 milioni di nuovi posti di lavoro nei prossimi dieci anni, una media di 125.000 posti al mese.

Comprendo la necessità dell'ottimismo, ma credo che siamo di fronte ad un cambiamento strutturale e che potrebbe essere un errore confidare sempre e solo nelle capacità dei cicli economici di salire all'infinito. Abbiamo bisogno di una pausa di riflessione, per riproporre nuova fondamenta all'economia, quelle attuali in larga parte sono state terremotate.

Proseguendo è riagganciandoci all'inizio del post, troppo spesso, noi siamo portati a pensare che la matematica dei dati è semplice e disegnata sulle fonti degli stessi dati sottostanti quando spesso la reltà è un'altra come evidenziato da Dennis Gartman nella sua news letter. Il problema chiave è la raccolta dei dati!

Un problema che sembra essere stato discusso recentemente a Washington, un problema che sembra modificare in maniera sensibile la realtà dell'economia americana.

Date un'occhiata qui sotto ad una di quelle che sembrano essere alcune delle dinamiche nascoste di un processo di rilevazione dei dati perlomeno superficiale.

Ad esempio se si importa un componente dalla Cina per la realizzazione di un'auto americana, qualcosa che accade sempre più spesso magari in maniera strutturale, il valore di quel componente viene calcolato nella misura di crescita del PIL, in quanto la progettazione dell'auto avviene in America, senza calcolare invece che questo stesso componente importato significa minor lavoro per l'economia americana e di coseguenza aumento della disoccupazione.

Ciò significa che una minore manodopera per un prodotto che in realtà è costruito in un'altro paese fa apparire la produttività in un'altra dimensione che in realtà non è la sua, ovvero migliore.

Secondo un economista presente ai lavori, oggi, non abbiamo la possibilità di calcolare in realtà la vera produttività, continuando ad escludere le dinamiche dell' Outsorcing, "esternalizzazione del lavoro".

Nel 1975, la percentuale delle importazioni americane era del 5 %, mentre oggi siamo al 12 % e questo modifica in maniera sostanziale la favola della produttività.

Qulcuno sarebbe portato a minimizzare la portata di tale dinamica in quanto ormai l'industria manifatturiera conta un po come il due di picche nell'economia americana, ma il discorso vale anche per l'economia dei servizi.

Ad esempio se uno studio di commercialisti affida per un problema di costi la gestione di una parte dell'attività ad una società in India, il lavoro viene fatto all'estero da personale estero, ma fatturato in America, ai clienti americani, aggiungendosi quindi al PIL americano. E' ovvio che il lavoro scompare in America e quindi la produttività aumenta.

Un'altra realtà è quella che circonda i sussidi di disoccupazione, in maniera particolare nelle richieste continuative che sembrano essere calate ma in realtà beneficiano solo di una rotazione verso programmi di sussidio che si estendono, non certo perchè si è creato lavoro. In alcuni stati, e questa è una novità, è possibile usuffruire di un massimo di 99 mesi di assicurazione contro la disoccupazione sussidiata dal governo federale.

Come abbiamo già visto prima con la Baum, oggi siamo ben oltre le 26 settimane di sussidi, la media si avvicina ormai alle 33 settimane.

Inoltre come abbiamo spesso osservato in passato se non si cerca lavoro nelle ultime quattro settimane si è considerati lavoratori scoraggiati, ma non si è considerati nelle statistiche ufficiali ma in quelle alternative e se questo lavoro non lo si è cercato per almeno 12 mesi si scompare nel buco nero dell'economia americana.

Non appena queste anime si rimetteranno in cerca di lavoro attratti da una possibile ripresa, inevitabilmente aumenteranno la percentuale della disoccupazione. Sembra che abbiamo bisogno di almeno 100.000 posti di lavoro al mese il prossimo anno per tenere il tasso di disoccupazione al 10 %, impresa titanica.

Un'altra realtà è quella che riguarda le piccole e medie imprese che danno lavoro ad oltre 85 % della popolazione americana e che non sono rappresentate dai vari indici ISM, che secondo un'indagine della loro associazione di settore, pur notando un miglioramento, il 72 % testimonia come i loro profitti siano scesi nelgi ultimi tre mesi e cosi per tutto l'anno. Oltre la metà pensa che la situazione migliorerà, ma pur migliorando oltre il 50 % non ha intenzione di assumere il prossimo anno.

Nessuna pressione salariale e prezzi reali di beni e servizi e dei materiali acquistati in caduta media ( DEFLAZIONE nell'economia reale! ) con inventari scesi precipitosamente che testimoniano una speranza per le assunzioni future, una speranza che è racchiusa nelle statistiche che vi invito a leggere QUI

Come a detto recentemente Paul Volcker, confermando le mie visioni, abbiamo assistito ad una fusione finanziaria in cima ad uno squilibrio economico; troppi consumi e pochi investimenti, troppo debito, non abbiamo percorso un ciclo sostenibile e questa dinamica deve essere cambiata. Se ricorreremo di nuovo alla favola del consumatore americano la prossima crisi è domani, ma questi adeguamenti non avvengono in trimestri o anni, sono processi che richiedono lustri o decenni, ma sono in molti con zero memoria storica a voler dimenticare e tornare al "business as usual" alle vecchie illusioni di breve respiro.

Alcuni lettori quando scrivono privatamente ad Icebergfinanza, parlano come se si rivolgessero ad un team, ma Icebergfinanza è unico, una sola persona sta al timone di questo veliero, Andrea. Non vi è alcun team dietro questo lavoro, se non il sostegno di un oceano di stima. Ecco perchè dovete avere pazienza! Questo non è il mio lavoro, ho un lavoro normale come ognuno di Voi. Non è semplice, aggiornarsi, studiare, tradurre, scrivere, commentare e rispondere alle mail tutto spesso nello spazio di un istante. Grazie comunque della Vostra stima e della Vostra pazienza!

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Icebergfinanza come un cantastorie che si esibisce nelle strade e nelle piazze delle città!

La "filosofia" di Icebergfinanza resta e resterà sempre gratuitamente a disposizione di tutti nella sua "forma artigianale", un momento di condivisione nella tempesta di questi tempi, lascio alla Vostra libertà, il compito di valutare se Icebergfinanza va sostenuto nella sua navigazione attraverso le onde di questo cambiamento epocale!

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Postato da: icebergfinanza a dicembre 13, 2009 17:29 | link | commenti (2)

dati macroeconomici, deficit di bilancio, mercato del lavoro occupazione, outsorcing

http://icebergfinanza.splinder.com/post/21870372/AURORE+BOREALI...STRANI+EFFETT

Oro Grafico dei Tre Rallies

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Oro - Confronto tra gli ultimi tre rialzi
Il grafico delle quotazioni dell'oro con colori diversi segnala graficamente tutte le possibili analogie tra le ultime tre ondate al rialzo che hanno raggiunto picchi notevoli: 2005-2006 (blu), 2007-2008 (verde) e poi 2009 (arancio). Nel grafico in basso si possono contare i giorni di durata del movimento rialzista dell'oro che parte da zero nelle date contrassegnate dal cerchietto nero. Al grafico dell'oro segue nello stesso periodo il grafico del Dollar Index che ovviamente condiziona l'andamento dell'oro e delle commodity. Carry trade oro/dollaro in fase di storno?
Gold.Tre rallies dell'oro a confronto.
Si può vedere che l'attuale rally ha un angolo di salita molto accentuato che ha bisogno di uno storno per ritornare su livelli più sostenibili. Come è già successo per il grafico dell'oro in verde del 2007-2008 il quale ha poi continuato nella sua corsa. Le analogie sono interessanti ma non bisogna dimenticare che non è detto che il passato si ripeta anche nel futuro. L'indice sul dollaro invece è in fase calante e si trova in un canale ribassista che ha ancora un po di strada da percorrere prima di arrivare su un minimo che potrebbe essere il supporto finale che verrà toccato nei prossimi mesi. Oro e dollaro corrono la stessa gara con andamenti opposti. La situazione attuale nel caso dell’oro sembra suggerire un temporaneo disimpegno da alcune posizioni di carry trade, nelle quali cioè ci si indebita in dollari per acquistare oro.
dollar index
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Abu Dhabi copre i debiti di Dubai per 10 miliardi di dollari

Meno della metà della somma (4,1 miliardi) sarà usata per la Nakheel, il resto per la Dubai World. Alla notizia, le borse asiatiche sono tutte risalite. In preparazione a Dubai una nuova legge sulla bancarotta.

Dubai (AsiaNews/Agenzie) – Il governo di Dubai ha annunciato stamane che l’emirato di Abu Dhabi gli ha concesso 10 miliardi di dollari per coprire parte dei suoi debiti. Circa 4,1 miliardi della somma verranno usati per ripagare dei bond islamici che maturano oggi per l’immobiliare Nakheel, parte della holding Dubai World. In una dichiarazione diffusa oggi per e-mail, Dubai afferma che il resto del prestito verrà usato “per creditori e appaltatori”.

Il 25 novembre scorso il governo di Dubai ha scosso per settimane tutti i mercati finanziari chiedendo ai creditori della Dubai World – di proprietà dell’emirato – di attuare una moratori di 6 mesi per ripagare i debiti, che si aggirano sui 59 miliardi di dollari Usa, quasi il 75% di tutto il debito del Dubai.

Nell’annuncio di oggi, sheikh Ahmed bin Saaed al-Maktoum, del Comitato fiscale supremo, ha dichiarato di voler assicurare “investitori, creditori finanziari e commerciali, impiegati e nostri cittadini che il nostro governo agirà sempre in accordo con i principi del mercato e con la pratica commerciale accettata internazionalmente”. Egli ha pure annunciato che per l’emirato è in preparazione una nuova legge per la bancarotta. “Questa legge – ha detto – sarà usata nel caso in cui la Dubai World e le sue sussidiarie fossero impossibilitate a giungere a una ristrutturazione accettabile delle sue rimanenti obbligazioni”.

Non appena la notizia si è diffusa, i mercati asiatici hanno cominciato a crescere.

Fra gli esperti si tira un respiro di sollievo perché Abu Dhabi “si “offre in pratica a pagare il conto”. La mossa dell’emirato di Abu Dhabi era stata preannunciata da AsiaNews (Cfr. AsiaNews.it, 27/11/2009 L’emiro di Abu Dhabi comprerà tutta Dubai per 80 miliardi di dollari Usa), anche se nei giorni seguenti, Abu Dhabi aveva precisato che avrebbe “scelto” come assistere Dubai e che ciò non significava che “Abu Dhabi sottoscriverà tutti i suoi debiti”.

Abu Dhabi è il maggiore degli emirati e un grande esportatore di petrolio.

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