Morta una emergenza (o uno scandaletto), se ne fa subito un’altra. E così - dopo il dramma sicurezza; i papi e e le pupe; i trans e i marrazzi - giornali e tiggì hanno spedito in soffitta anche un altro cult del 2009: l’influenza suina. Ora è tempo di riscaldamento globale e di giustizia giusta (soprattutto per chi ha casa, anzi villone, ad Arcore). Domani, si vedrà.
Relegare così presto in soffitta il cosiddetto “virus dei porci”, però, è un vero peccato. Anche perchè, fin qui, la nuova supposta “spagnola” che avrebbe dovuto decimare il mondo aveva regalato paginate, articolesse e trasmissioni tivù davvero memorabili. Si erano scaldati i motori durante l’estate con robine sobrie, tipo “Allarme Oms: Influenza suina inarrestabile” (Il Giornale, 14 luglio 2009). O con tocchi esotici, stile “Influenza suina, i rimedi dei Dalai Lama” (Repubblica, 4 agosto 2009). Per poi scatenare un vero e proprio crescendo, con l’arrivo dei primi freddi: “Virus, Italia record in Europa: già ducentomila contagiati” (La Repubblica, 30 ottobre 2009); “Tra le mamme ora è psicosi” (La Repubblica, 3 novembre 2009); “Colpo di tosse, tutti fuggono” (Corriere della Sera, 4 novembre 2009); “Il virus fa 24 vittime, 6 in poche ore” (Repubblica, 5 novembre 2009); “Aule dimezzate, è fuga dalle scuole” (Repubblica, 5 novembre 2009). Fino al piccolo capolavoro di humor nero: “Allarme influenza, funerali senza baci” (La Repubblica, 29 novembre 2009).
Per la serie: più che l’affetto, potè la fifa.
E poi? E poi: il contagio ha raggiunto il picco e lo ha superato; la ressa di pazienti terrorizzati che affollava gli ospedali è calata; e la strage annunciata non c’è stata. Nè in Italia, nè altrove. E così giornali e tiggì hanno cambiato argomento. Per la gioia di lettori e telespettatori. Che hanno smesso di sorbirsi la loro dose quotidiana di memento mori a base di virus e bacilli di stagione.
Peccato, si diceva. Anche perchè - dopo le parole e la paura - sarebbe il momento dei bilanci e dei numeri. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità - quella degli allarmi estivi - ogni anno muoiono di influenza circa mezzo milione di persone. E sempre secondo l’Oms - che ha messo tutto nero su bianco in un report pubblicato da Bloomberg - l’influenza suina, al 22 novembre 2009, avrebbe ucciso solo 7.820 persone. Una mortalità più bassa di circa 70 volte. Risultato: secondo un rapporto pubblicato dalla rivista scientifica PlosMedicine, questa potrebbe essere la “più leggera pandemia della Storia”.
Ma dai? Massì.
E ci sarebbe quasi da gioire per lo scampato pericolo. Quasi, però. Perchè nel frattempo le grandi case farmaceutiche - secondo le stime della banca d’affari, JpMorgan - avrebbero guadagnato - dalla pandemia “più leggera della Storia - circa 10 miliardi di dolllari (ovvero 7 miliardi di euro). E solo l’Italia - grazie ad allarmi e panico - avrebbe sganciato senza fiatare, secondo alcuni indiscrezioni pubblicate dal Corriere della Sera, circa 200 milioni di euro per un fiume di vaccini.
Soldi - per altro - arrivati come una manna dal cielo e proprio al momento giusto. Il momento giusto chiaramente non per cittadini e contribuenti. Ma per le case farmaceutiche.
Perchè? Per via della crisi economica. Che - non fosse stato per l’influenza provvidenziale - avrebbe scavato buchi anche nei bilanci dei produttori di pastiglie e affini. O per lo meno così parrebbe, a giudicare da un’intervista rilasciata - a settembre, al “Sole 24 ore” - da David Brennan, amministratore delegato del gruppo farmaceutico anglo-svedese, AstraZeneca (31,6 miliardi di dollari di fatturato nel 2008); e presidente di turno di PhRma, l’associazione che raccoglie le 30 principali case farmaceutiche al mondo. Un’intervista così sfacciata che - se non c’era - nessuno sarebbe mai stato in grado di inventarla:
Domanda (del giornalista del “Sole”): Lo scoppio dell’influenza “A” sembra arrivato al momento giusto: le società farmaceutiche sono alle prese con la riduzione della spesa sanitaria da parte dei governi… Risposta (dell’ad di AstraZeneca): “Non c’è dubbio. (…) I governi aumentano gli stoccaggi di medicine e l’impatto positivo sui conti è rilevante. Con il governo americano abbiamo un contratto di fornitura da 12 milioni di dosi (di vaccino, NdA) dal valore complessivo di 120-140milioni di dollari. Obama acquisterà tutta la fornitura che oggi abbiamo a disposizione, e posto che i produttori di forniscano dispositivi inalatori (la AstraZeneca sta lavorando su un vaccino spray, NdA), potremo raggiungere un giro di affari globale da 500 milioni“.
Milioni, anzi miliardi che - col senno di poi - si poteva anche evitare di spendere. Come forse si potevano evitare gli allarmi lanciati dall’Organizzazione mondiale della Sanità, che - curiosamente - ha sede a Ginevra, in Svizzera. Dove hanno sede anche due delle principali case farmacuetiche al mondo: Roche e Novartis (nata dalla fusione di Ciba-Geigy e Sandoz). Proprio quella Novartis che - sempre per una coincidenza divina - è l’azienda che ha preso i milioni per riempire di vaccini proprio noi italiani.
E ancora. Si potevano evitare le paginate e le articolesse in stile fine del mondo dei giornali italiani. Che - sempre per un caso del destino cinico e baro - hanno le case farmaceutiche nostrane e non tra i loro inserzionisti. E che hanno deciso di non andare ascolto ai medici italiani che hanno sempre detto che si trattava di una normale influenza. E si potevano - per finire - evitare anche certe campagne terroristiche sui “vaccini-che-uccidono” lanciate da certi cospirazionisti alle vongole. Che invece di fare controinformazione, cercano di fare concorrenza ai grandi media con le stesse armi dei grandi media: sensazionalismo e falsi allarmi.
Si poteva, ma non ci si è riusciti. E prima di metter via cuffie, sciarpe e termometri - e passare al prossimo allarme, emergenza o scandalo - sarebbe bene riflettere sul perchè quando certi pifferai suonano, i topi li seguono. Sempre. Perchè a riempire i pronto soccorso e a intasare gli ospedali per un mal di gola sospetto, non erano certo i giornalisti allarmisti, i cospirazionisti alle vongole o i super esperti dell’Oms. Vero cari concittadini carciofoni?