Usa, Ue: la fuga in Asia degli hedge funds

18 gennaio 2010
Usa, Ue: la fuga in Asia degli hedge funds Bank of America Merrill Lynch sta aiutando più di una dozzina di hedge fund multimiliardari a trasferirsi (o, in alcuni casi, a tornare) ad Hong Kong e Singapore...

Bank of America Merrill Lynch sta aiutando più di una dozzina di hedge fund multimiliardari a trasferirsi (o, in alcuni casi, a tornare) ad Hong Kong e Singapore. Una vera e propria fuga, dettata dalle nuove regole che sono state imposte in Europa e negli Stati Uniti all’industria finanziaria.

Anziché adeguarsi alle norme più stringenti, e garantire quindi condizioni di maggiore sicurezza ai mercati, i fondi speculativi preferiscono cambiare aria. Tra di essi anche una serie di fondi di fondi, che stanno pianificando - ha spiegato il dirigente di Merrill Lynch Dan McNicholas a Bloomberg Television - l’apertura di uffici in Asia. Secondo il sindaco di Londra Boris Johnson, potrebbe raggiungere le 9 mila unità il numero di dipendenti di banche attualmente nel Regno Unito che lasceranno il Paese dopo l’introduzione della tassa del 50% sui bonus introdotta lo scorso mese. E proprio l’Asia potrebbe assorbire una larga parte di tale emorragia. Per quanto riguarda in particolare gli hedge funds ciò potrebbe tradursi nel trasferimento di oltre 15% dei ricavi lontano da Usa e Ue.

Anche il Soros Fund Management LLC e GLG Partners Inc. sono tra quelli che potrebbero pianificare una lunga “vacanza” ad Hong Kong. «E a differenza del 2006, quando in Asia arrivavano i giovani manager, oggi assistiamo ad una migrazione di dirigenti “senior”», aggiunge McNicholas.

http://www.valori.it/italian/finanza-globale.php?idnews=1945

La corsa all'Iran, e l'eterna vicenda di Nassiriya.

Gen 1018

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Pubblicato da Debora Billi alle 12:22 in Geopolitica

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Anche se spariscono dalle prime pagine, Iran e Iraq non scompaiono dalla carta geografica, e soprattutto il loro petrolio non svanisce dal sottosuolo.

Quei cattivacci degli iraniani, ad esempio, vengono puniti per il loro ardire ma soltanto a parole. Il ministro del petrolio Massoud Mirkazemi ha infatti appena annunciato di stare esaminando ben 20 miliardi di dollari di proposte straniere per investimenti nei giacimenti iraniani. Non ha precisato il nome delle compagnie coinvolte, ma si sospetta che non siano compagnie occidentali. Si tratta, con molta probabilità, ancora una volta dei cinesi che non si lasciano sfuggire mai un'occasione quando si tratta di energia.

Cosa significhi un Iran che stringe tali legami con la Cina è facilmente immaginabile: ovvero, che la famigerata guerra diventerà ancora più improbabile di quanto non sia già stata finora.

In Iraq, invece, continua l'eterna e alterna vicenda del giacimento di Nassiriya, che l'ENI ha perso qualche mese fa (dopo quel che ci è costato...) a favore della giapponese Nippon Oil. Ebbene: ora anche la Nippon Oil ha ricevuto un bell'ultimatum dal governo iracheno, stufo dei tentennamenti dei giapponesi sullo sviluppo del giacimento. Il ministro iracheno Hussain Shahristani ha dichiarato che o il consorzio guidato dalla Nippon si decide a prendere una decisione, oppure cominceremo il lavoro sullo sviluppo di Nassiriya da soli, e siamo perfettamente capaci di farlo. In pratica, si nazionalizza e buonanotte.

La sensazione da queste notiziole, magari sbagliata, è insomma che gli unici che hanno soldi da investire nel petrolio siano i cinesi...

http://petrolio.blogosfere.it/2010/01/la-corsa-alliran-e-leterna-vicenda-di-nassiriya.html

FORUM

Cosa aspettate ad iscrivervi al forum di MERCATOLIBERO del bravissimo PAOLO REBUFFO???

SCENARIO/ Passera: l’Italia a crescita zero è a rischio tenuta sociale

lunedì 18 gennaio 2010

«Non possiamo permetterci un 2010 a crescita zero o poco sopra. Non basterebbe a farci recuperare la crescita perduta nell’economia ma, soprattutto, potrebbe allargare la fascia del disagio nella società. Con effetti negativi di ogni genere». A dirlo è Corrado Passera, Ceo di Intesa Sanpaolo, che in questa lunga intervista affronta i temi della crisi, dell’impresa, delle riforme, della coesione sociale e del bene comune. Sullo sfondo, la lezione di Julián Carrón La tua opera è un bene per tutti.

Ci siamo lasciati alle spalle un anno cruciale. Quali sono le sue aspettative per il 2010?

Credo che nel 2009 tutti - autorità monetarie governi, istituti di credito - abbiano fatto la loro parte, e che il sistema abbia reagito con successo nell’affrontare una crisi finanziaria senza precedenti. Ora si tratta di far di tutto per rafforzare la ripresa economica, che nel dopo-emergenza tende ad essere molto, troppo fiacca. Non possiamo permetterci un 2010 a crescita “zero-virgola”.

Segnali di crescita però ci sono.

Ma con lo zero-virgola non recuperiamo né l’occupazione né la crescita persa. La crescita dell’Asia non è ancora in grado di compensare la crescita non sufficiente di Usa ed Europa. D’accordo, abbiamo affrontato piuttosto bene l’emergenza, ma non possiamo permetterci in alcun modo di rimanere fermi. La sindrome dello zero virgola non basterebbe a farci recuperare il nostro ritardo di crescita nell’economia, ma soprattutto allargherebbe la fascia del disagio, nella società. Con effetti negativi di ogni genere.

Teme per la tenuta sociale del paese?

Vedo un rischio di grande disagio sociale, che dobbiamo fare di tutto per evitare. L’idea cioè che in Europa ci siano 25 milioni di disoccupati , e quindi forse 50 milioni di persone a rischio se includiamo anche i sotto-occupati, deve essere la nostra ossessione. Il nostro paese per ora con i meccanismi opportunamente messi in atto ha attutito o rimandato in certi casi il problema. Ma se non riusciamo ad aumentare in modo serio la crescita, una disoccupazione ben più grave di quella attuale potrebbe essere dietro l’angolo.

Facciamo un passo indietro e torniamo alla causa dell’attuale situazione. Che cosa ci insegna la crisi più grave degli ultimi settant’anni?

Certamente in alcuni paesi la mancanza di regole e di buon senso nel campo della finanza è stata esiziale. Se gli Usa avessero avuto, per fare un esempio, le regole italiane, sull’indebitamento o sulla speculazione tra attivi e passivi o sulle passività fuori bilancio, la crisi non ci sarebbe stata. Anche il nostro sistema di supervisione e controllo si è dimostrato molto più solido di quello di altri paesi che di solito ci fanno la lezione su tutto. E questo solo per quanto attiene la sfera delle regole, che non esaurisce un problema vasto e complesso.

A che cosa si riferisce?

Taluni assunti ideologici su cui erano basate le politiche e i comportamenti - la convinzione, ad esempio, che i mercati tendano automaticamente all’equilibrio, o che il prezzo di mercato sia sempre significativo - si sono dimostrati fallaci. Le debolezze del sistema di governance delle public companies anglosassoni con il collegato problema dei bonus assurdi, l’insostenibilità geopolitica dei grandi disequilibri nel commercio internazionale e degli sbilanci risparmio-consumo nelle varie parti del mondo, sono tutte lezioni mai poste prima con tanta chiarezza. Sapremo comportarci di conseguenza?

Il 14 settembre scorso, in un’intervista su La Stampa lei fece un primo bilancio della crisi a un anno di distanza dal crac di Lehman. In quel periodo le banche erano al centro delle polemiche per la stretta del credito. «Il credito - le disse - non può però sostituire la crescita».

Il credito serve per finanziare progetti, fatturati e investimenti, può aiutare ma non può sostituire la crescita dell’economia. Per questo dico che se il mercato non ha la forza, da solo, di rimettere in moto l’economia, bisogna supplire con iniziative di sistema, utilizzando le poche risorse disponibili per stimolare l’economia nel breve e costruendo competitività nel medio periodo. E siccome il nostro paese ha ad esempio un grande ritardo nelle infrastrutture, investire in strade, porti, reti di telecomunicazioni, termovalorizzatori, acquedotti, ecc. immetterebbe ricchezza nel sistema e lo rafforzerebbe strutturalmente.

E i conti pubblici?

I conti pubblici sono un’assoluta priorità ma si possono mettere in campo grandi opere anche senza mettere a rischio i conti pubblici: mobilitando soldi privati, soldi europei, soldi già stanziati e non spesi. Le soluzioni in molti casi ci sono. Ci sono, per esempio, molte opere in grandi città che possono essere finanziate da dismissioni di patrimonio pubblico. Spingere in questa direzione può compensare la mancanza grave di altri tipi di domanda e dare ossigeno all’economia. Se non ci inventiamo qualcosa potremmo trovarci con un 2010 molto complicato, perché ci sono tante imprese che stanno finendo le riserve.

In una recente lezione ad una platea di imprenditori di tutte le parti del mondo Julián Carrón, presidente di Cl, ha criticato l’individualismo teorico e pratico come presupposto culturale del momento che stiamo vivendo. Ma è un errore, dice, pensare che il nostro bene possa essere conseguito in antitesi a quello degli altri, perché la nostra natura di uomini è carità. Qual è la sua opinione?

Veniamo da un periodo basato sulla convinzione ideologica che il bene comune sia originato dalla contrapposizione di interessi personali. Ma è stato - almeno in parte - un errore, perché le società si tengono insieme anche e, soprattutto, se c’è condivisione di responsabilità e non soltanto attraverso contrasto “produttivo” di interesse. Allo stesso modo ipotizzare che il comportamento dell’imprenditore sia mosso esclusivamente dalla massimizzazione del proprio profitto è fortemente riduttivo. Molti imprenditori che hanno fatto la fortuna propria e delle loro comunità sono imprenditori mossi dalla creatività, dal coraggio, dalla volontà di costruire qualcosa di importante nel lungo periodo insieme a un gruppo di collaboratori sempre più grande. Certo l’incentivo del guadagno è fondamentale, ma in molti casi per molti grandi imprenditori un incentivo ancora più forte è stata la forza del loro progetto.

Anche in una fase di grave crisi, che obbliga tutti a fare economia di forze e a fare i conti con le risorse disponibili?

Le economie e le società più solide sono non solo quelle dove c’è più competitività, ma quelle che hanno saputo sviluppare anche coesione solidarietà e tenuta sociale. Nei momenti di crisi la tenuta sociale è messa sotto grave stress, anche perché meno crescita vuol dire meno risorse e ciascuno tende ad arroccarsi e a difendere le rendite che come gruppo, categoria o corporazione ha consolidato nel tempo. Il compito della buona politica è quello di riuscire a evitare quest’involuzione, che alimenta la contrapposizione sociale, indebolisce la fiducia e rallenta ulteriormente la crescita.

«Come può fare l’uomo - dice Carrón - a sostenersi in una positività e in un ultimo ottimismo - perché senza ottimismo non si può agire-? La risposta è: non da solo, ma coinvolgendo con sé altri». È d’accordo?

Se pensiamo ai progetti di successo nella vita di ciascuno di noi, quasi sempre - se non sempre - li abbiamo realizzati insieme ad altri, non da soli. L’impresa ha una sua necessaria dimensione individuale di concorrenza “contro” le altre imprese, ma sempre più vediamo che tante cose si riescono a fare soltanto a livello di settore e di distretto, o addirittura a livello di paese. La produttività e la competitività delle imprese dipendono per una grande parte da fattori di sistema: dalla logistica all’energia, dalla formazione alla giustizia.

Ma il nostro è anche il paese cui si rimprovera sempre di non riuscire a pensare in grande, quello per cui non si riesce a capire se il piccolo sia un vizio o una virtù.

L’imprenditorialità diffusa è una fonte di energia pervasiva che altri paesi non hanno e che noi dobbiamo saper valorizzare al meglio rendendo più facile fare impresa in Italia. La dimensione delle aziende non è di per sé una garanzia di successo - e infatti ci sono ottime aziende in tutte le categorie dimensionali - ma è altrettanto certo che sotto una certa dimensione non si riescono ad attivare fattori chiave di successo quali l’innovazione o l’internazionalizzazione. La rete può in parte supplire.

Cosa bisogna fare?

Il fisco dovrebbe premiare di più chi patrimonializza, dovrebbe favorire gli imprenditori che mettono insieme le loro aziende, chi investe in innovazione. Attualmente troppe leggi dal punto di vista giuslavoristico, contabile, amministrativo, fiscale di fatto “premiano” solo chi rimane piccolo. Occorre cioè anche rimuovere gli incentivi negativi alla crescita dimensionale e favorire in tutti i modi la creazione di aziende che abbiano le dimensioni sufficienti per svilupparsi sul mercato che sarà sempre più globale.

L’economia del dopo crisi ha bisogno di più o meno regole?

Le regole non basteranno mai, se il presupposto è quello dell’homo homini lupus, come dice Carrón nel suo intervento, cioè se siamo solo individui in guerra l’uno contro l’altro. Vale per la società e vale per il mondo economico e finanziario. Ma è anche vero che buone regole fanno la differenza e lo abbiamo toccato con mano anche nella recente crisi: alcuni sistemi che avevano regole non buone sono crollati, altri hanno tenuto molto meglio. Le buone regole hanno però sempre bisogno di controlli efficaci.

Quello che però vale per la convivenza sociale vale anche per l’economia, o no?

Regole e controlli possono fare la differenza nei meccanismi dell’economia, ma non possono sostituire la responsabilità personale, se è questo che intende. I rapporti tra persone, quelli economici, e ancor di più quelli sociali sono fatti di corresponsabilità e non possono certo essere ridotti a regole e controlli. Tutti dobbiamo sentirci corresponsabili di tutto. È una lezione che va dal famoso melete to pan (curatevi del tutto, ndr) di Periandro fino alle encicliche sociali di Giovanni Paolo II, ma che tendiamo a dimenticare. È bene che Carrón lo abbia ricordato.

Corresponsabili di tutto: è possibile?

Mettiamola così: non possiamo essere indifferenti a nulla di ciò che succede intorno a noi. Dobbiamo sentirci parte del tutto. E non basta far bene il nostro mestiere e occuparci delle persone più vicine – che è già un merito – per considerarci del tutto soddisfatti.

«Più è reale la sensazione di essere perno di tutto quello che mi sta intorno - ha detto su queste pagine un imprenditore italiano, alla guida di un gruppo leader di mercato - più mi sento alla mercé di avvenimenti e cose verso le quali non posso nulla». Che ne pensa?

Tutte le cose umane, e certamente quelle dell’economia e dell’impresa, hanno una componente di imprevedibilità che non si può eliminare. È un errore pensare che con il calcolo si possa eliminare l’imprevisto. Una delle grandi lezioni della crisi, per chi si era fatto prendere da quest’illusione, è stata proprio questa: che il rischio non è mai completamente eliminabile. Rischio non è però solo qualcosa da temere. Rischio è anche apertura, novità, andare oltre. Ma per fare del rischio una opportunità - come molti imprenditori di tutti i settori, sia profit che non profit, dimostrano - ci vuole creatività e coraggio.

Oggi secondo lei serve più etica o più educazione?

Il funzionamento di sistemi complessi come quelli nei quali viviamo hanno bisogno di competenze sempre più sofisticate. E questo ci porterebbe a parlare di scuola e di meritocrazia. Ma sistemi e competenze sono strumenti che devono servire fini e valori che appartengono alla sfera dell’etica.

(Federico Ferraù)

http://www.ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2010/1/18/SCENARIO-Passera-l-Italia-a-crescita-zero-e-a-rischio-tenuta-sociale/61527/

MANI PULITE: COME EBBE FINE L'ITALIA

postato da Gianluca Freda (14/01/2010)

Per chi non lo avesse ancora visto, metto qui sopra questo illuminante intervento di Benito Livigni, che fu assistente personale di Enrico Mattei. Può servire a chiarire a cosa sia veramente servita “Mani Pulite”, l’operazione giudiziaria che all’inizio degli anni ’90 cancellò la vecchia classe politica italiana allo scopo di sostituirla con un apparato fedele ai poteri bancari e finanziari americani. Livigni chiarisce alcune finalità e implicazioni di questa operazione, che, con la complicità dei media e dei congiurati del vecchio PCI, svendette alla Goldman Sachs e alle compagnie petrolifere internazionali l’intero patrimonio pubblico italiano. Oltre, naturalmente, alla nostra dignità di nazione e al nostro futuro.

- Rai: il replicante di Emilio Fede -

di Paolo De Gregorio,16 gennaio 2010 Ho goduto intensamente, al limite orgasmico, nel leggere una preziosa intervista, frutto del lavoro certosino ed intelligente di Travaglio, pubblicata sul “Fatto quotidiano” di oggi 16 gennaio, risalente al 19 novembre 1993, dove l’attuale direttore del TG1, Minzolini (allora giornalista per “La Stampa”), oggi apologeta di Craxi per conto terzi, intervistava Fabrizio Cicchitto (oggi portavoce del governo), sui fatti riguardanti il partito socialista e il suo segretario. Stupite e godete! “””Ho capito (diceva Cicchitto a Minzolini) che Craxi e Martelli c’entrano dentro fino al collo con Gelli e Ortolani (n. 2 della P2), ad esempio la storia dei 30 milioni di dollari del “Conto Protezione” non è mica uno scherzo. C’è da credere davvero che in quegli anni con tutti quei soldi si siano comprati il PSI” Io -rievocava Cicchitto- ho sempre in testa quel comitato centrale del ’79, che avremmo potuto vincere per tre voti. Signorile, invece, non volle provarci e non se ne fece niente. In questi anni gli ho chiesto spesso il perché, gli ho chiesto se era ricattato, ma lui mi ha sempre detto che fu solo uno sbaglio…C’è da credergli perché se Craxi avesse avuto in mano qualche dossier contro di lui lo avrebbe usato. Dentro il Psi ci furono lotte davvero pesanti. Fecero scoppiare il caso Eni- Petromin (craxiani contro Signorile ndr). Lo stesso Nenni che si era accorto che Craxi voleva strafare, gli scrisse una lettera per chiedergli di dimettersi. Eh, altrochè se contano i soldi in politica. Ad esempio, se io, Signorile e De Michelis fossimo rimasti insieme,saremmo riusciti a contrastare Craxi. Insieme funzionavamo. Purtroppo alla rottura contribuì anche un problema finanziario. De Michelis era fortemente indebitato per via dell’avventura finita male dei Diari con Parretti. Si parlava di 500 milioni di lire che allora non erano uno scherzo. Signorile, tirchio, non si mosse ad aiutarlo. E De Michelis ci rimase male, anche perché in quei mesi giravano le storie dei finanziamenti a Signorile per l’Eni Petromin. Così quando Craxi e Martelli bussarono alla sua porta ci misero poco a convincerlo a passare con loro.””” Ecco, conclude Travaglio, 16 anni fa, Cicchitto confessava a Minzolini che il PSI era una associazione a delinquere dove tutti intascavano, si indebitavano, si ricattavano. E’ veramente inquietante che la revisione storica su Bottino Craxi sia stata fatta da un soggetto, Minzolini, che aveva raccolto tali testimonianze. Il Psi non è più presente in Parlamento, ma i soggetti piduisti, che costituivano la sua classe dirigente, si sono riciclati nel partito di Berlusconi, il maggior beneficiario della politica craxiana che consegnò ad un piduista il monopolio delle Tv private. In questo senso il PDL, spacciato ai gonzi per una novità, e da un calcio alla vecchia politica, è solo il contenitore che ha raccattato gli storici ladroni democristiani e socialisti, trovatisi orfani dei loro partiti, li ha sommati a quelli della destra e della Lega,ed è da 15 anni al potere. E’ evidente che questa operazione, espressione dell’intreccio tra affari e politica, è la cosa più vecchia e conservatrice che si poteva fare, ed è riuscita solo per lo strapotere mediatico che la destra possiede. L’uscita di Minzolini sul maggior telegiornale italiano, nella fascia di massimo ascolto, assolutoria dell’operato di Craxi, dà la misura dell’enorme potere di manipolare “l’opinione pubblica”, spinta da due valutazioni fondamentali: la gente ha dimenticato, e Berlusconi ha bisogno di un clima assolutorio per poter ottenere una qualsiasi legge che gli consenta l’impunità per i suoi processi. Se si arriva ad una santificazione dello “statista Craxi”, trasformato da latitante in esule, perseguitato dal malvagio giustizialista Di Pietro, ecco creato un clima favorevole a Berlusconi, che da 15 anni recita la parte del perseguitato ingiustamente. Gli attori e gli strateghi di questa operazione mediatica sono gli stessi piduisti di sempre, con un alleato in più, il TG1, che rende pubblico servizio assolvendo i condannati da regolari tribunali della Repubblica. Questa sarebbe democrazia! Cinque reti nazionali che orchestrano questa operazione, nessuna opposizione della “sinistra sparita”, anzi omertà di D’Alema, e solo i 100.000 lettori del “Fatto” di Travaglio a fronteggiare la sistematica disinformazione e falsificazione. Mai come in questa occasione è emersa con chiarezza la necessità di avere un vero “servizio pubblico”, invece di un covo di vipere in mano ai partiti, con giornalisti che servono solo il potente di turno. Finchè non si metterà in piedi un movimento in grado di pretendere che la RAI diventi una “public company” al servizio dei cittadini e di cui essi eleggono il direttore generale, queste squallide operazioni di revisionismo storico avranno successo, con milioni di cittadini raggirati dal sistema televisivo contro i 100.000 controinformati dal soldato Travaglio. Se non si tocca il santuario del potere mediatico non ci sarà mai democrazia. Paolo De Gregorio

Crisi di Google, è iniziata la guerra tra Usa e Cina?

Mi sono sempre chiesto come faranno gli americani a non pagare il debito immenso che hanno contratto con la Cina e che li vedrebbe nella miseria più cupa per almeno una decina d’anni.
Sappiamo che hanno creato e alimentato tutta una campagna mediatica di disinfornmazione ed un abile sostegno alle sacrosante ma di fficile attuazione, mire indipendentiste del Tibet attraverso agenti segreti che hanno organizzato e coordinato le proteste di piazza già al tempo delle olimpiadi.
Ragionevolmente possiamo valutare solo 3 ipotesi. La prima l’immissione della nuova moneta nordamericana l’Amero, già pronto, che andrebbe a diluire con una svalutazione di circa il 90% il valore della massa monetaria in dollari che detiene Pechino. La seconda il rovesciamento del tavolo di gioco in nome dei diritti umani e la necessità di esportare la famosa democrazia con una conseguente guerra economica prima e militare subito dopo. In questo caso sarebbe l’Europa a sostenerla secondo quanto sta emergendo dai piani americani Nato. Terza ipotesi: la pandemia globale, con blocco delle frontiere , dei traffici commerciali ed imposizioni di ogni tipo. Questa di Google sembra essere proprio un elemento che depone a favore di un attacco alla Cina suio famosi diritti umani, che tradotto significa diritti del mercato, che tradotto significa dirtti del WTO- OMS- ONU- Nato, che tradotto significa diritti delle multinazionali della guerra e della finanza non che di Big Pharma.
Staremo a vedere.
LB
Crisi di Google, è iniziata la guerra tra Usa e Cina?
di Marcello Foa – 17/01/2010

Più volte su questo blog ho scritto come gli Usa fossero ormai succubi della Cina, come la recente visita di Obama a Pechino aveva dimostrato. Cina e Stati Uniti sembravano aver consolidato l’equilibrio che caratterizza da un decennio i loro rapporti.

Gli americani chiudevano un occhio sulla violazione dei diritti umani e le loro multinazionali continuavano a fabbricare oltre Pacifico, contribuendo allo sviluppo dell’economia locale. I cinesi si sdebitavano comprando a mani basse i Buoni del Tesoro che consentivano a Washington di finanziare il suo ingente debito pubblico. Intanto Pechino ampliava, con molta discrezione, la propria influenza in Africa, in Asia, persino nell’America latina, siglando accordi di cooperazione con Paesi ricchi di materie prime. Una politica che la Casa Bianca non ha mai gradito, ma che era costretta ad accettare proprio perché sotto ricatto finanziario. In questo contesto la continuità tra Bush e Obama appariva assoluta. Con il nuovo anno, però, l’atteggiamento americano è cambiato. Washington ha venduto armi a Taiwan, infischiandosene delle rimostranze di Hu Jintao. E poi è scoppiata la crisi per google.

Perché il motore di ricerca dopo aver accettato per anni le condizioni imposte dai cinesi, improvvisamente si ribella alla censura? Semplice esasperazione per gli attacchi degli hacker alle caselle di Gmail di dissidenti cinesi? Irrefrenabile amore per la libertà? C’è da dubitarne, anche perché rischia di dover rinunciare al più grande mercato al mondo, perlomeno momentaneamente. Un’osservatrice attenta delle vicende asiatiche come Enrica Garzilli ritiene che alla fine Google uscirà ancora più forte.

Per capire la vera posta in gioco, bisogna considerare un’altra notizia, già trapelata sulla stampa statunitense e che verrà ufficializzata la prossima settimana, quando Hillary Clinton annuncerà una nuova «politica tecnologica» per aiutare i cittadini di altri Paesi ad avere accesso a Internet senza censure. E quali sono quelli che oggi limitano la Rete? Innanzitutto la Cina, l’Iran, la Corea del Nord; ovvero tre nemici degli americani. Il riferimento, implicito, a Teheran e a Pyongyang non sorprende, quello a Pechino sì. È rivoluzionario.

Inoltre bisogna considerare che il fondatore di Google, Eric Schmidt, è grande amico di Barack Obama; durante la campagna elettorale lo ha finanziato generosamente ed è diventato suo consigliere, seppur informalmente.

I legami, insomma, sono strettissimi. È inverosimile che Google abbia deciso di sfidare Pechino senza aver concordato la mossa con la Casa Bianca. Infatti il portavoce di Obama, Robert Gibbs, ha annunciato che «il presidente appoggia una Rete libera in Cina», confermando che la società californiana si è consultata preventivamente con Washington. E ieri si è alzato quello che gli esperti di comunicazione chiamano «rumore mediatico». Lo speaker della Camera Nancy Pelosi ha dichiarato di appoggiare incondizionatamente Google, il ministro al Commercio Gary Locke ha affermato che l’intrusione del governo cinese «è inquietante sia per il governo che per le società americane» e lo ha invitato «a collaborare per garantire operazioni commerciali sicure in Cina». Un alto funzionario del governo Usa, protetto dall’anonimato, ha osservato: «Quel che è importante per la Cina è che praticamente chiunque abbia sentito la notizia lo ha commentato con un Wow!». Da notare che tra poco Obama riceverà il Dalai Lama, altra svolta che farà infuriare Pechino. Troppi segnali, troppi indizi in un’unica direzione.

Forse è iniziata la vera guerra tra Usa e Cina. Una guerra che non sarà militare ma psicolgica, economica e civile. Con conseguenze imprevedibili.

Domanda: lo scenario di un cambiamento strategico della politica estera americana è plausibile o l’episodio di Google rappresenta solo un sussulto, destinato a rientrare rapidamente?

Io propendo per la prima ipotesi, ma mi chiedo se Washington sia in grado di reggere il colpo. Non dimentichiamo il deficit….

http://www.stampalibera.com/?p=8614

L'FMI ANNUNCIA COME "AIUTO" UN NUOVO PRESTITO PER HAITI

Il direttore generale del Fondo Monetario Internazionale, Dominique Strauss Kahn, ha appena annunciato la sua ferma decisione di “muovere aiuti” per Haiti “molto velocemente”, con il rilascio di 100 milioni di dollari. Strauss Kahn ha detto che l’obiettivo è di “accompagnare Haiti nel difficile compito” ed ha espresso la sua “profonda simpatia verso le vittime”. Quello che il direttore generale ha dimenticato di dire è che i 100 milioni di euro non sono un aiuto. "In piccolo" c’è anche scritto che la somma sarà sbloccata sotto forma di “facilitazione estesa di credito”. Cioè che gli haitiani dovranno restituirla, anche se sono sotto le macerie. E con gli interessi Da due secoli, è un’abitudine di quellA che si chiama comunità finanziaria internazionale. Autentico aiuto e autentica annullazione del debito estero di Haiti sono irrimediabilmente i compiti in sospeso del Nord con questo paese dalla sua nascita, nel 1804 Approfittando di uno degli episodi di restaurazione monarchica che la Francia ha sofferto nella prima metà del XIX secolo, gli ex coloni bianchi hanno imposto la loro vendetta. Il Re Carlo X ha inviato un emissario alla non riconosciuta repubblica nera nel 1825 con un chiaro messaggio: o Haiti accettava il debito per “indennizzare i coloni lesi” o la Francia avrebbe imposto un blocco navale, seguito da un’invasione. Gli haitiani hanno dovuto capitolare, e così hanno caricato con un debito di 150 milioni di franchi d'oro dell’epoca dovuti alla Francia. Un importo che, proiettato in cifre attuali, corrisponderebbe a circa 23.000 milioni di dollari di debito di colpo ad un paese come la Bosnia- Herzegovina appena usciti dalla guerra. Milizia fascista Una volta che gli ex schiavi haitiani ruppero il primo sogno di libertà, la Francia, stanca, passò il timone agli USA. L’occupazione di Haiti da parte dei marines (1915-1934) non solo è servita a Washington per trasferirsi, nel cammino verso la repubblica nera, di soldati che venivano da famiglie del Sud, capaci di sopprime la ribellione contadina dei Los Cacos. E’ anche servito per formare una milizia ausiliare haitiana fascista. Gli USA si ritirarono da Haiti nel 1934, ma lasciarono le milizie, battezzate Esercito regolare, e continuò ad amministrare l’economia e le dogane fino al 1945, per farsi pagare. Questo pagamento ha avuto la forma di tassa sul caffè d’esportazione che si ripercuoteva sui contadini. Quell’esercito haitiano è servito per sostenere decennio dopo decennio dittature come quelle dei Duvalier, che hanno sviato circa 900 milioni di dollari su conti correnti cifraati svizzeri e monegaschi, denaro che nessuno ha ridato agli haitiani. Attualmente, le rimesse degli emigranti haitiani, sono, di gran lunga, la fonte principale di entrate del paese, seguito dal tessile e dal caffè. Ma non riescono ad equilibrare la bilancia dei pagamenti che il paese ha. Conseguenza: 1.885 milioni di euro lordi di debito estero nel 2008. Nonostante gli annunci della “comunità finanziaria internazionale” lo scorso luglio, solo una piccola parte del debito è stata annullata. Una buona parte è stata “qualificata cancellabile”, ma non annullata. Gli haitiani devono solo di interessi circa 430 milioni di euro. Cosciente di questo, Christine Lagarde, la ministra francese d’Economia ha detto ieri che ha contattato il resto dei membri del Club Parigi per annullare il debito di Haiti. Fonte: http://www.cubadebate.cu/noticias/2010/01/16/el-fmi-anuncia-como-ayuda-nuevo-prestamo/ Tradotto per Voci Dalla Strada da Vanesa

SEI MESI DI VITA ?

Data: Domenica, 17 gennaio @ 17:10:00 CST Argomento: Usa DI JAMES HOWARD KUNSTLER kunstler.com/blog Per l’economia, intendo. Specialmente la parte che consiste nello scambiarsi certificati di carta. Sono queste le voci che ho percepito nelle prime due settimane del 2010, e perdonatemi se non ho un fascio di tabelle e grafici per dimostrarlo. Tutti gli altri, o quasi, che blaterano di queste cose sul web forniscono abbondanti analisi statistiche: Mish, The Automatic Earth, Chris Martenson , Zero Hedge, The Baseline Scenario . Vale la pena visitarli tutti. Le cifre sui bonus bancari stanno per essere diffuse da un momento all’altro. La rivolta che mi aspettavo in merito alla pubblicazione di queste cifre potrebbe arrivare da un luogo diverso rispetto a quanto avevo immaginato – non da ciò che rimane dei “normali” lavoratori ma dai leader di pensiero e dai comuni addetti dell’amministrazione (compresi i pubblici ministeri) che, per una ragione o per l’altra, negli ultimi due anni hanno distolto la loro attenzione, o rimanendo alla finestra o adducendo scuse. Se Frank Rich del New York Times inizia il suo articolo chiedendo la testa di Robert Rubin, allora forse la grande e cigolante nave da carico dei media sta virando e sta tracciando una nuova rotta verso il porto della realtà. Ad ogni modo, la grottesca baldoria di inganni e di menzogne che è diventata l’economia americana – tenuta insieme con il nastro adesivo fatto di pacchetti di incentivi, contabilità manipolata, sussidi per i mutui, carry trade, salvataggi alle banche “troppo grandi per fallire”, TARPS, TALFS, i rapporti truffa del BLS e l’infervoramento della MSNBC per i “primi segnali di ripresa” – mostra tutti i segnali di un crollo imminente. Ci sono troppe cose ovvie che possono andare in rovina, e ciò significa che ne esistono molte meno ovvie, cose nascoste che possono andare in rovina. Non è tragicamente sciocco sfidare la legge di Murphy , visto che funziona così bene anche senza aiuti da parte nostra? Ultimamente c’è stato addirittura l’appello per l’incriminazione dell’attuale Segretario al Tesoro, Geithner, per aver architettato la liquidazione a Goldman Sachs di 14 miliardi di credit default swaps da parte di AIG nel corso del salvataggio della stessa AIG. Va bene, e allora perché non Paulson, Bernanke, Blankfein…? Ma le altre gradinate del circo sono stipate anche di pagliacci e di orsi danzanti. Anche con la bozza delle prospettive del mercato azionario per il 2010, è difficile spiegare perché il mondo debba investire in Buoni del Tesoro americano, specialmente tra pochi mesi, dopo l’iniziale corsa al bene sicuro – voglio dire, quando si potrebbe altrettanto facilmente acquistare titoli di stato a breve termine espressi in dollari canadesi o franchi svizzeri. E allora cosa succederà quando la Federal Reserve dovrà mangiarsi tutti i Buoni del Tesoro avanzati, mentre sta già soffocando con le obbligazioni di debito collateralizzate e i relativi titoli tossici spazzatura privi di alcun valore? Dopotutto, i biglietti verdi che ci scambiamo sono chiamati Banconote della Federal Reserve. Perché qualcuno dovrebbe pensare che il mercato immobiliare continuerà a lievitare? Un grasso “maiale” fatto di mutui ARM (cioè mutui che non saranno mai ripagati in modo regolare) sta per spostarsi nel “serpentone” del mondo immobiliare, spingendo altri milioni di famiglie verso la morosità e i pignoramenti. Nel frattempo, le banche locali e regionali sono strangolate da un settore immobiliare già inadempiente sul quale avevano paura ad effetturare i pignoramenti e sono rimaste lontano dai mercati nel corso del 2009 per non far diminuire ulteriormente i prezzi delle abitazioni e non mettere “con l’acqua alla gola” altre famiglie per case che valgono molto meno del valore nominale del loro mutuo. Dubito che le banche stiano facendo questo per bontà di cuore ma, qualunque sia la ragione, questa truffa di assorbire i prestiti difficili non può andare avanti per sempre. Ad un certo punto, un sistema bancario deve basarsi sulla credibilità, su prestiti che possono effettivamente essere restituiti, oppure si spezzerà, e siamo vicini al punto di rottura. La patetica verità che sta al centro del fallimento dell’immobiliare è che i prezzi devono scendere ancora se un normale lavoratore a busta paga potrà mai permettersi di comprarsi una casa in America a condizioni normali. Ad ogni modo, presto o tardi il sistema bancario dovrà espellere l’”inventario fantasma” di abitazioni tolte dai pignoramenti, e rivenderle al miglior prezzo che riusciranno a spuntare, altrimenti moltissime banche falliranno. Potrebbero scendere comunque, perché la catastrofe del mercato immobiliare commerciale sta seguendo esattamente il fallimento del mercato immobiliare residenziale. L’offerta eccessiva di piccoli e grandi centri commerciali, centri direzionali e altri accessori dell’economia del “consumatore” ormai al tramonto sta per diventare la più grande passività che l’economia abbia mai visto nella storia dell’umanità. Chi vorrà mai comprare a buon mercato queste assurde proprietà, quando non riusciranno mai a trovare nessun affittuario per strutture costruite così malamente, né staranno al passo con la manutenzione (pensate ai tetti piatti che perdono), né per nessuna ragione verranno risistemate? In un mondo veramente giusto, molti di questi edifici andrebbero demoliti – se non per il fatto che tutto questo costa, e chi esattamente oggi vorrebbe avere un mercato di blocchi frantumati di calcestruzzo e finestre a ghigliottina in alluminio? Mi aspetto che quei posti vengano occupati abusivamente da dei senza tetto disperati. Poi ci sono gli stati in fallimento, guidati dai più grandi, naturalmente – California e New York – ma con tanti altri dietro, che stanno scendendo vorticosamente dallo stesso tubo di scarico (probabilmente quarantanove con l’eccezione del Nirvana fiscale, il Nord Dakota!). Anche se riusciranno ad ottenere un salvataggio truffa da un governo federale ormai stanco di elargire salvataggi, gli stati dovranno comunque ridurre le schiere dei loro dipendenti pubblici (gettando nell’indigenza altre famiglie del ceto medio) mentre verranno ridotti enormemente i servizi pubblici, soprattutto per i poveri, gli ammalati e gli invalidi. Questo si riverserà su aspetti molto evidenti della vita di tutti i giorni, dalla sicurezza (aumento dei reati) al deterioramento di strade e ponti. Forse la notizia più preoccupante che circola in questo primo mese dell’anno sono le voci delle imminenti carestie a causa di numerosi raccolti andati a male in tutto il mondo nella stagione dei raccolti del 2009 (Emergency Food Supply , Food Crisis For Dummies,Le previsioni di Wall Street per il 2010). Se il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti non ci ha mentito spudoratamente sui numeri nel 2009, c’è qualche segnale che i loro rapporti siano perlomeno incoerenti con le cifre reali delle scorte di granaglie e con i prezzi delle materie prime. E perché mai il Dipartimento dell’Agricoltura dovrebbe dire la verità se tutte le altre agenzie federali stanno riportando dei numeri fasulli? Considerata la crisi nei capitali e nei prestiti, bisogna anche chiedersi come faranno quest’anno gli agricoltori a chiedere prestiti per i loro raccolti. Infine, c’è il mondo dell’energia globale. Il prezzo del petrolio parte questa settimana sopra gli 83 dollari al barile, collocandolo a circa 1,50 dollari dalla “zona pericolosa” nella quale inizia ad annientare l’attività economica negli Stati Uniti. Le cose e le procedure stanno cominciando a costare troppo. Benzina. Diesel (e, a proposito, questo significa un altro problema per la produzione di cibo che sta entrando nella stagione di interramento del 2010). Una situazione particolarmente inquietante nelle ultime settimane è stato il disaccoppiamento tra i rialzi del prezzo del petrolio e i rialzi del valore del dollaro. Ultimamente, il petrolio è aumentato sia che il dollaro fosse aumentato o meno. Due settimane fa il dollaro è sceso sotto quota 1,42 nei confronti dell’euro e oggi è sopra quota 1,45 e il petrolio, in tutto questo tempo, è aumentato costantemente dal valore che era di poco superiore ai 70 dollari. Il 2010 potrebbe essere l’anno in cui ci renderemo conto definitivamente che la domanda mondiale di petrolio supera l’offerta mondiale di petrolio – e che la produzione globale non può sostenere più di 85 milioni di barili al giorno, e non ci si può fare nulla. Questi sono i pensieri che si agitano nella mia mente alle tre del mattino quando si alza il vento e risuonano rumori sinistri. Prepariamoci ad una o due stagioni molto dure. James Howard Kunstler Fonte: http://kunstler.com/blog Link: http://kunstler.com/blog/2010/01/six-months-to-live.html#more 11.01.2010 Traduzione a cura di JJULES per www.comedonchisciotte.org
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BORSA/ Indicazioni e analisi tecnica dei mercati al 18 gennaio 2010

lunedì 18 gennaio 2010

La settimana appena trascorsa ha visto una chiusura negativa sui principali listini azionari, trascinati al ribasso dai titoli bancari, che hanno risentito della pubblicazione dei risultati trimestrali di Jp Morgan. I listini hanno inoltre ampliato le perdite dopo la comunicazione del dato sul sentiment dei consumatori Usa, sotto le attese. Passiamo subito ad analizzare il quadro tecnico dei listini americani.

S&P500

Nel lungo periodo il listino è ancora inquadrato in un ottica rialzista anche se abbiamo già evidenziato da diverse settimane i nostri dubbi sulla tenuta del trend, dovuta a divergenze bearish MACD-PREZZI, alla debolezza del ROC a 20 settimane, al fatto che ormai è stato raggiunto l’obiettivo del testa-spalle rialzista in area 1.150-1.200. Nel breve periodo notiamo come i prezzi stiano testando la trendline rialzista in area 1.130 e che una sua eventuale violazione avrebbe come primo obiettivo area 1.115-1.120. Il MACD nelle ultime due sedute si è invertito confermandoci l’inizio di un trend ribassista, lo Stocastico è rientrato dalla zona di ipercomprato(80) e il quadro dunque non è di buon auspicio per la riapertura di settimana prossima dopo la festività americana.

NASDAQ

Anche per il listino tecnologico il quadro non è certamente dei migliori, dopo mesi di cavalcata verso nuovi massimi iniziata a marzo 2009. Nel lungo periodo, dopo la formazione del doppio minimo nov08 -mar09 che ha dato inizio alla rapida inversione dei prezzi, ci troviamo sicuramente in una fase di presa di beneficio. Nel breve periodo, dopo aver raggiunto l’obiettivo 1.900 punti individuato dopo la formazione del triangolo ascendente delle scorse settimane, gli indicatori MACD (girato in negativo da almeno una settimana), Stocastico che si dirige verso area 20(ipervenduto), le Medie Mobili (3,5,9) si sono incrociate dandoci segnale operativo per aperture di posizioni SHORT con obiettivo area 1.820.

Visto i dati negativi di venerdì di JPMORGAN, andiamo ad analizzare il titolo di un altro titolo che nell’ultimo anno è stato nell’occhio del ciclone:

UBS

La chiusura di venerdì a 16.13 CHF con un calo del 2,60%, ci ha mostrato Il breakout di prezzi della trendline rialzista nov09-dic09 che abbinato a MACD, Stocastico e incrocio delle medie mobili, ci dà un chiaro segnale negativo di inversione del trend che avrebbe come primo obiettivo area 15 CHF. Solo il superamento di 17.50 ci farebbe tornare sui nostri passi rivedendo il quadro generale. Rimaniamo dunque prudenti sul titolo prima di aprire nuove posizioni long.

http://www.ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2010/1/18/BORSA-Indicazioni-e-analisi-tecnica-dei-mercati-al-18-gennaio-2010/61910/

BERNASCONI

La festa di matrimonio é finita e gli sposi si stanno congedando. Non é un'addio ma il momento di lasciare gli ospiti da soli a divertirsi. La borse danno ormai chiari segnali di debolezza ed una ripresa del trend rialzista é momentaneamente fuori discussione. Con l'alternativa tra un ribasso ed un movimento laterale é meglio abbandonare per ora i mercati azionari ed assumere un'atteggiamento difensivo.

Venerdì le borse europee hanno subito pesanti perdite rompendo i primi significativi supporti. La performance settimanale ha così raggiunto circa un -2.5%. Meglio ha fatto l'America. L'S&P500 ha ripetuto la seduta di martedì scendendo fino ai 1131 punti per poi recuperare e chiudere a 1136 punti, in ribasso del -1.24%. Su base settimanale le perdite sono state del -0.78%. La tecnologia ha fatto peggio - il Nasdaq100 ha perso venerdì il -1.17% portando la perdita settimanale ad un -1.48%. Il calo dai massimi a 52 settimane raggiunto giovedì (!) é però contenuto - perché allora questo nostro improvviso pessimismo? Strutturalmente il mercato si sta indebolendo e sgretolando. Venerdì i nuovi minimi a 20 giorni sono saliti a 569 contro i 393 di martedì: improvvisamente appare pressione di vendita. Abbiamo settori che sembrano entrati in ribasso come i semiconduttori (venerdì -3.44% malgrado i buoni risultati di Intel). Anche finanziari, banche (BKX - 2.16%) e petroliferi (calo del prezzo del petrolio su base settimanale del -5.20%) hanno perso di smalto e sembrano preferire la strada verso il basso. Il quadro generale si degrada e tra rottura dei supporti in Europa e peggioramento tecnico in America vediamo abbastanza nuvole all'orizzonte per indurci alla prudenza. Se tutto va bene i mercati azionari si bloccano in un movimento laterale con l'S&P500 tra i 1150 ed i 1120 punti. Ma l'alternativa é un'accelerazione al ribasso. In fondo introduciamo solo una nota negativa nel nostro scenario di una settimana fà: "Pensiamo che il potenziale di rialzo sia limitato ed i massimi del 2010 difficilmente superabili (massimi marginali possibili). Il prossimo movimento significativo dovrebbe essere verso il basso ma é ancora troppo presto - i ribassisti devono aver pazienza ed attendere il loro turno. Il trend di base resta rialzista." Oggi é il Martin Luther King Day ed i mercati finanziari americani restano chiusi. Le borse europee recupereranno stamattina parte delle perdite di venerdì (+0.5% fino a +1%) e consigliamo di utilizzare questi livelli per ridurre posizioni azionarie. Sconsigliamo speculazioni al ribasso.

Venerdì il dollaro americano ha fatto un balzo verso l'alto. L'USD Index é salito a 77.32 punti tornando sopra il supporto a 77 punti. Il cambio EUR/USD stamattina é a 1.4385. Il rialzo del dollaro sembra riprendere e potrebbe sostenere un'eventuale ribasso delle borse. L'oro stamattina é a 1136 USD/l'oncia - pensavamo che il prezzo del metallo giallo dovesse scendere fino ai 1000 USD prima che il rialzo riprendesse ma forse ci siamo sbagliati. Precedentemente avevamo previsto che: "la correzione in atto ha il potenziale di far ridiscendere il valore del metallo giallo sotto i 1000 USD. Il trend a lungo termine é però rialzista ed i 1000 USD potrebbero costituire un'interessante livello d'acquisto."

Passiamo ora ad esaminare la situazione (charts a sei mesi) sui singoli mercati.

L'S&P500 (-1.08% a 1136 punti) non é riuscito a superare i 1150 punti toccati giovedì ed é stato respinto verso il basso. Notiamo un degrado strutturale e riteniamo che ora l'indice dovrebbe andare a testare il limite inferiore della banda d'oscillazione prevista: "L'S&P500 dovrebbe quindi bloccarsi in un movimento laterale tra i 1120 ed i 1150 punti." Oggi Wall Street é chiusa per ferie.

Il Nasdaq100 (-1.17% a 1864 punti) ha perso terreno malgrado i buoni risultati di Intel. Ora dovrebbe scendere a testare il supporto: "Supporto é a 1820 punti. Non abbiamo l'impressione che l'indice sia già pronto ad accelerare al ribasso e per i prossimi dieci giorni favoriamo un movimento laterale tra i 1820 ed i 1900 punti." La struttura tecnica sta peggiorando ed i rischi verso il basso aumentano.

L'Eurostoxx50 (-1.65% a 2940 punti) é caduto pesantemente rompendo il primo signficativo supporto a 2960 punti. Il supporto seguente a 2940 punti, costituito dal massimo di novembre, ha bloccato il ribasso. Stamattina l'indice dovrebbe risalire sui 2960 punti. A medio termine vediamo un degrado della situazione. È possibile che l'indice si blocchi ora in un movimento laterale tra i 2940 ed i 3044 punti ma un'accelrazione al ribasso in direzione 2800 punti diventa possibile.

Il DAX (-1.89% a 5876 punti) é caduto come l'Eurostoxx50. Lo scenario di lunedì scorso ha trovato una prima conferma: "Prossima forte resistenza é solo a 6150 punti, supporto é sui 5850 punti. Il trend é rialzista e per ora non esistono segnali per un cambiamento di tendenza. Noi però favoriamo a breve l'inizio di un periodo negativo ed attendiamo sviluppi in questo senso." Stamattina il DAX dovrebbe recuperare ed aprire sui 5900 punti. Durante la settimana ci aspettiamo però un ritorno della debolezza ed un'attacco in direzione 5850-5800 punti.

L'SMI (-0.78% a 6576 punti) si é indebolito come il resto dell'Europa. Vi ricordiamo la previsione di lunedì scorso: "Il trend é positivo e l'indice potrebbe salire verso la prossima resistenza a 6850-6890 punti. Come per gli altri indici e malgrado la mancanza di conferme tecniche, noi favoriamo però l'inizio di una fase negativa. Supporto é a 6500 punti." In teoria l'indice dovrebbe bloccarsi in un movimento laterale tra i 6500 ed i 6666 punti (massimo annuale). Vediamo però maggiori rischi verso il basso.

Scenario 2010 Per i prossimi mesi prevediamo una sostanziale correzione delle borse dopo il rally di marzo - dicembre 2009. Probabilmento l'S&P500 toccherà nel corso di quest'anno un minimo tra i 740 ed i 820 punti. La performance annuale dovrebbe essere negativa e l'S&P500 dovrebbe terminare il 2010 intorno ai 900 punti. Gli analisti fondamentali stanno continuamente rivedendo le stime degli utili delle società. Ad un certo momento erano scesi fin sotto i 30 USD. Ora che la recessione sembra alle nostre spalle, le stime ufficiali per il 2009 (al 3 novembre 2009) sono risalite a 56.22 USD. Quelle per il 2010 sono addirittura al'incredibile livello di 74.99 USD. Capitalizzando gli utili 2009 con un P/E normale di 15/16 si arriva ad un valore teorico dell'S&P500 di 900 punti. In questi dati é però scontato un recupero marcato dell'economia ed un forte aumento degli utili delle imprese. Ricordiamoci che gli utili operativi 2008 delle società dell'S&P500 sono stati di 15.09 USD. Debitiamo inoltre che i dati relativi al 2010 siano realistici. Di conseguenze stimare ora correttamente gli utili delle società e determinare un giusto rapporto P/E per capitalizzare questo valore é un'impresa ardua. Troppe sono le variabili e le incognite. Se gli utili risalissero solo a 50 USD e la ripresa fosse anemica (come ritiene una buona parte degli economisti), un P/E di 12 sarebbe più adeguato portando il valore teorico dell'S&P500 a 600 USD. Riassumendo, tecnicamente e fondamentalmente i 1115 punti di S&P500 raggiunti a fine 2009 corrispondono secondo noi ad una sopravalutazione del mercato. La prossima dovuta sostanziale correzione ci dirà a quale punto si trova la congiuntura mondiale.

Richiedete informazioni a analisi_tecnica@longshortinvest.com Non rispondiamo a mails anonime.

Bernasconi Consult, gestione patrimoniale e consulenza finanziaria Zollikerstrasse 1, CH-8702 Zollikon Tel. +41 43 499 63 84 EMail: bernasconi@longshortinvest.com http://www.longshortinvest.com/4603.html

TRIMESTRALI: NUOVO PASSAGGIO DIMENSIONALE!

Piano, piano, lentamente l'economia sta avvicinandosi ad un nuovo passaggio dimensionale, quello che separa la fantasia dalla realtà l'economia e la finanza virtuali da quelle reali.

La trimestrale di JPMorgan, dopo quella di Alcoa con l'inizio della fine della favola della riduzione dei costi, attraverso la parentesi tecnologica di Intel, testimonia il passaggio dimensionale in atto, quello di una finanza che sottoscrive in pieno la legge di Lavosier, nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma,...tutto si trasferisce.

Ecco alcuni passi tratti da " Un mondo di bolle " di Edward Chancellor, studioso di storia a Cambridge ed Oxford, editorialista del Financial Times e dell'Economist.

" Il giorno dopo il crollo di ottobre i rappresentanti delle più importanti società di brokeraggio del Giappone - Nomura, Daiwa, Yamaichi e Nikko, chiamate le "quattro grandi" - furono convocati al ministero delle Finanze. Ricevettero l'ordine di mantenere il mercato delle azioni NTT e di impedire all'indice Nikkei di scendere sotto quota 21.000. Ubbidendo a questa richiesta i broker offrirono ai loro clienti più importanti garanzie contro le perdite per incoraggiarli a rientrare nel mercato. Nel giro di pochi mesi l'indice Nikkei aveva recuperato le perdite e stava puntando verso nuovi picchi. In forma ufficiosa i funzionari del ministero delle Finanze si vantarono che la manipolazione del mercato azionario era più facile del controllo del mercato valutario."

Credo che non vi sia bisogno di aggiungere nulla, ma proseguiamo:

" Nel complesso i "quattro grandi" pesavano per più di metà degli scambi del mercato azionario di Tokyo.(...) In un rapporto intitolato "Theme Chasing: The Engine of the Tokyo Stock Market" una banca d'investimento americana avvisava i suoi clienti:

"L'istinto del gregge è un solido istinto di sopravvivenza in un ambiente di eccessiva liquidità".

Grazie alle loro ampie partecipazioni azionarie nella stampa i "quattro grandi" broker riuscirono a manipolare l'informazione che raggiungeva i loro clienti. (...)

Affascinante davvero la storia, aiuta a comprendere alcuni meccanismi, come quello che, come ha ribadito Greenspan, aiuta a nascondere i problemi e risollevare il morale e la patrimonializzazione dei fantasmi finanziari.

" Nonostante l'inesorabile crescita del mercato il cliente medio privato non guadagnava molto. Rimase un estraneo, foraggio per i broker e i loro clienti preferiti(...)"

Undici virgola sette miliardi di dollari creati dal nulla, in tutto l'anno, miliardi di dollari provenienti esclusivamente da operazioni di trading ed advisory. Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si ....trasferisce.

" I risultati mostrano miglioramenti, ma anche se intravvediamo una maggiore stabilità, nella dinamica dei rimborsi, i costi del credito al consumo rimangono alti, mentre continuano le debolezze del mercato del lavoro e del mercato immobiliare. Per questo rimaniamo cauti. " ha sussurrato Jamie Dimon, ceo di JPMorgan, dopo aver comunicato al mondo, nella deposizione davanti alla commissione di inchiesta sulle cause e responsabilità della crisi, che una crisi finanziaria, avviene solitamente ogni 5/7 anni e che quindi non vi è nulla da stupirsi.

Abbiamo ascoltato il ceo di JPMorgan disquisire sul livello del ROE, il dio per eccellenza, idolatrato, raccontarci la strabiliante performance finanziaria, una delle migliori della storia attraversp una depressione; di cosa abbiamo bisogno, di una nuova Grande Depressione, per comprendere che la finanza derivata e creativa hanno bisogno di nuove regole.

Ve la mai raccontato nessuno che JPMorgan Chase è un'immensa polveriera nei depositi della quale, sono accatastate le più alte percentuali di armi di distruzioni di massa ( CDS & Company ) dell'intero sistema finanziario mondiale? Date un'occhiata a questo POST dal titolo Credit Default Swaps: Atomi impazzati e capirete per quale motivo questa crisi non è affatto finita.

In fondo nessuna sorpresa, abbituati come sono a trascorrere il loro tempo al di la del passaggio dimensionale che separa la loro fantasia dalla realtà, che separa il giardino del Diavolo di oggi, dal Paradiso perduto.

Utili una tantum, sospinti da condizioni eccezionali, come garanzie federali e politiche monetarie demenziali, figli di un azzardo morale spinto all'eccesso, irriverente. Lo scorso trimestre, ben il 90 % della performance degli utili, provenne dal settore finanziario.

In settimana, depurando le trimestrali dalla finanza predatoria, speculativa, demenzialmente creativa, avrete la triste realtà di un'economia reale e una finanza tradizionale che comincia a sentire il peso della prossima ondata di insolvenze e fallimenti. La trimestrale di General Electric, ci dirà molte più cose di quello che il mercato è in grado di comprendere.

Il sostegno governativo al sistema finanziario, nella sua illusione, puntava alla redistribuzione attraverso il sostegno all'economia reale, allo scongelamento del credito. Non si tratta solo di un sistema finanziario che è terrorizzato dalla scarsa patrimonializzazione, ma di un sistema che respira l'aria di insolvenza che avvolge l'economia americana, si tratta di un'economia che ha appena iniziato un processo di rientro generalizzato dal debito.

Se a qualcuno fosse sfuggito, i salari netti dei dipendenti al netto dell'inflazione sono calati di 1,6 punti percentuali. Le vendite al dettaglio invece, la loro dinamica è stata dimenticata, anche se contribuirà ad ammortizzare il rimbalzo dell'ultimo trimestre del 2009.

Come riferisce CalculatedRisk, Goldman Sachs, ha appena alzato le sue stime per il PIL dell'ultimo trimestre, dal 4 al 5,8 %, rimbalzo decisamente statistico, già negli annali della storia di questa crisi, con più dei 2/3 del rialzo imputabile alla dinamica della ricostituzione delle scorte.

Per il 2010, una media del 2 % è nei numeri, con il tasso di disoccupazione previsto al picco nel 2011. Medie da leggenda metropolitana, medie da nuovo decennio perduto.

La produzione industriale è cresciuta del 0,6 %, peccato che depurata della componente energetica ( 5,8 % )( produzione amplificata da esigenze climatiche straordinarie ) sarebbe addirittura scesa.

Per coloro che non hanno mai sentito parlare del programma di sostegno ai mutuatari americani " HAMP, Home Affordable Modification Programm Homeaffordable ricordo che tale programma è stato istituito per permettere di abbassare in media di 500 dollari al mese la rata del mutuo da sostenere. Secondo il Congressional Oversight Panel, dalle 8 ai 13 milioni di abitazioni potrebbero subire un pignoramento nei prossimi anni. Al momento poco più di un milione di americani ha aderito al progetto, dei 900.000 circa che stanno partecipando al programma, solo 66.000 di loro hanno ottenuto una modifica permanenete. Una goccia nell'oceano di potenziali pignoramenti. Noi sappiamo quello che potrà accadere con l'arrivo delle reimpostazioni ARMs e ALt-a!

Il sostanziale fallimento di questo programma che ben poco può fare in maniera particolare in presenza di disoccupazione e " negative equity" ovvero di mutuatari con il residuo mutuo superiore allo stesso valore della casa, dopo essere stato prorogato sino alla fine di gennaio, secondo le dichiarazioni dell'assistente al segretario del Tesoro, Barr, l'amministrazione Obama non ha intenzione di prorogare tale termine.

Dichiarazioni come questa associate a quelle della Federal Reserve sulla conclusione del piano di sostegno ai titoli con sottostante mutui ipotecarii MBS, lasciano il tempo che trovano, sarà la "double dip housing recession" a dettare i tempi e le dinamiche, ma se ciò fosse vero, nel mese di febbraio assisteremo ad una nuova ondata di pignoramenti.

Non dimentichiamoci che durante il 2010 assisteremo ad una nuova ondata di vendite di abitazioni, in maniera particolare di quelle in possesso del sistema bancario, visti i bassi livelli di invenatario raggiunti dall'inizio della crisi, i cosidetti "Inventari Ombra" ovvero abitazioni pignorate e mai immesse sul mercato per non accelerare la caduta dei prezzi o in seguito alla mancanza reale di domanda.

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Postato da: icebergfinanza a gennaio 18, 2010 07:32 | link | commenti (2)

rischi derivati

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Oggi, 19 gennaio 2020…

futuro sereno

Sono ormai quasi undici anni che scrivo su questo blog, e vorrei tornare insieme a voi con la memoria a 10 anni fa, nel gennaio 2010. Ricordate com’era diverso il mondo? Quanto rapidamente sono cambiate le cose? Pensate che nel 2010 chiamavamo il Brasile e l’India “Paesi emergenti” e parlavamo di Gran Bretagna, Spagna, Grecia, Italia, e altre nei termini di “economie sviluppate”.

Come passa il tempo e come cambiano in fretta le cose.

Dieci anni fa guardavamo al futuro con la stessa incertezza di sempre, la stessa di oggi. Però sappiamo quanto il mondo sia cambiato nell’ultimo decennio, raramente nella Storia le cose sono cambiate così rapidamente: tutto cominciò quando, in seguito alla prima fase della Grande Crisi (quella che oggi tutti chiamano “il giro di boa”) le finanze di alcuni Stati entrarono in profonda crisi; avevano la necessità di tassare dei cittadini impoveriti ai quali avevano dovuto ridurre pesantemente i servizi come pensioni, sanità, istruzione… il tutto condito con quelle famose “privatizzazioni” con cui gli Stati tentarono di far cassa, lasciando i cittadini in balia di investitori privati anche per servizi essenziali. La “carta dei diritti del cittadino” che oggi conosciamo bene, allora non esisteva, non dimenticatelo.

La prima ad avere problemi non superabili fu la Grecia, stipendi tagliati del 30%, pensioni ridotte e posticipate, e aliquote di tassazione elevatissime avevano portato la gente in piazza, il Paese era in costante allarme sommossa. L’uscita della Grecia dall’Euro era imminente. La necessità nazionale era di poter tornare a batter moneta, svalutandola, per poter far fronte al debito; infatti, dopo l’ennesimo taglio di rating, i titoli di stato greci non potevano più essere consegnati alla BCE per avere liquidità e vennero perciò scaricati dai portafogli delle banche, portando i loro prezzi molto in basso e dunque i rendimenti molto più in alto di qualunque altro paese in europa, generando un costo del debito insostenibile.

Una Grecia con una Nuova Dracma faceva però paura agli altri paesi del mediterraneo, perché l’unico businness di valore rimasto loro era il turismo, e la Grecia con una valuta autonoma e svalutata avrebbe rappresentato un concorrente troppo scomodo, li avrebbe strangolati. Dunque il primo ministro italiano si fece portavoce del gruppo dei PIIGS (per similitudine con un’altra sigla molto di moda in quegli anni, cioé BRIC) ovvero Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna, e ottenne dal consiglio europeo il diritto per questi paesi di staccarsi dall’euro insieme, adottando una nuova moneta comune il “mediteuro” la moneta del Mediterraneo. In questo modo speravano, i PIIGS, di risollevare la loro situazione: il mediteuro venne svalutato contro l’euro poche ore dopo la sua nascita, al cambio fisso di 1,55 mediteuro per ogni euro.

I cittadini dei PIIGS non capirono subito cosa stava succedendo, alcuni erano ancora confusi dall’ultimo changeover dalla moneta locale all’euro, un nuovo cambiamento dall’euro al mediteuro fu per alcuni un problema innanzitutto di comprendere cosa stesse succedendo. La realtà era semplicemente che la loro ricchezza era stata falcidiata, attraverso la svalutazione ed un’imposta patrimoniale che colpì duramente i loro risparmi. Si salvò qualcuno che aveva operato in modo alternativo, ad esempio chi si era tenuto vecchi euro in contanti, chi aveva depositato soldi in paesi non PIIGS ecc..

Succedeva che i PIIGS riuscivano ad attrarre turisti, certo, ma avendo ormai quasi svuotato il loro apparato indistriale-produttivo (persino la Fiat -per fare un esempio- ormai produceva per il 90% fuori dall’Italia), si trovavano nella condizione di importare buona parte dei beni di cui necessitavano, con due risultati: sui cittadini piovve un’inflazione crescente, che raggiunse il suo picco nel 2016, mentre gli Stati si trovarono con una bilancia commerciale pesantemente negativa e generarono nuovo debito. Nel 2015 il cambio mediteuro/euro era ormai 2,20 e per chi ancora aveva i vecchi mutui in euro pagare la rata alla banca era diventato impossibile.

Il fatto che il Regno Unito avesse nel frattempo fatto default, aveva ingenerato in tutti la consapevolezza che il fallimento può arrivare davvero. E non molti Paesi hanno un re appena insediato come re Carlo, che accetta la confisca totale del patrimonio da parte dei creditori esteri e se ne va a vivere nell’isola di Man con la consorte come niente fosse. In passato per molto meno si son fatte delle guerre…

Intanto gli USA, guardando cos’era successo in UK, cercavano in ogni modo di allontanare lo spettro del fallimento. Avevano dovuto usare le portaerei per difendere il ruolo del dollaro come moneta di scambio internazionale, fu una mezza sconfitta: il dollaro non fu rimpiazzato, ma affiancato ad altre valute nella formazione di un paniere. Una volta ceduto quel ruolo chiave il dollaro perse una parte importante del suo valore, generando problemi simili a quelli dei PIIGS. La guerra delle valute aveva consumato ulteriormente le risorse pubbliche e clamorosamente gli USA furono costretti a richiamare le truppe dai Paesi mediorentali per restringere le spese.

L’esatta catena di eventi andrebbe ora ricostruita, ma la sostanza fu che questa manovra “di bilancio” americana, offrì lo spazio per lo scellerato attacco iraniano ad Israele con le conseguenze che conosciamo tutti troppo bene ormai. Oggi, che è tutto finito, sappiamo quanto è stata dura questa guerra. E siamo pronti a ricominciare, guardando al futuro con fiducia.

Oggi esistono la “carta dei diritti del cittadino” e i CREL, i crediti da lavoro, che ci permettono di non ‘monetizzare’ ogni concetto ed ogni bene, ma valutare anche quanto ‘lavoro’ vale.

Un signore anziano, nel 2018, ricordo che mi disse: “nel 1950 tutta la produzione agricola era sostanzialmente biologica, l’introduzione della chimica e dei fertilizzanti ha consentito a tutti di continuare a consumare cibo a prezzi stabili. Ma quando nella seconda metà degli anni ‘00 iniziarono a tornare in auge i prodotti biologici, a prezzi molto più alti del prodotto abituale, nessuno sembrò capire che quello era il prezzo ‘vero’. Gli stipendi dei lavoratori avrebbero dovuto mantenere il potere d’acquisto per pari prodotti biologici dagli anni ‘50 agli anni ‘00 invece l’inganno dell’inflazione permise di tenere a prezzi più bassi i cibi e gli stipendi impoverendone la qualità degli uni e il valore reale del lavoro degli altri.”

Chissà chi saremo tra dieci anni, nel 2030, di certo sappiamo chi eravamo dieci anni fa, nel 2010, e chi siamo oggi nel 2020: speriamo in un decennio all’insegna della serenità, quello appena chiuso è stato turbolento a sufficienza.

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