Il debito di Atene pesa sull'euro

Post n°2076 pubblicato il 09 Dicembre 2009 da lucarossi82

Listini pesanti in Asia, in altalena in Europa. A Piazza Affari crolla la JuventusIl debito di Atene pesa sull'euroLa moneta unica paga l'allarme delle agenzie di rating sulla Grecia. E a Dubai timori di nuovi scossoni

MILANO - Borse d'Asia a picco, incerte in Europa. Mentre l'euro scivola a 1,47 contro dollaro sulla scia delle preoccupazioni innescate dalla decisione delle agenzie di rating che hanno declassato il debito pubblico della Grecia. Le Borse d'Asia hanno perso terreno anche per le notizie sul Pil giapponese, stimato sotto le attese e dai dubbi sulla tenuta di alcune società di Dubai, in difficoltà con il rientro dagli ingenti debiti accesi.

EURO E BORSE - Per l'euro si tratta di una nuova giornata difficile: in mattinata la moneta unica europea viene scambiata a quota 1,4697 sul dollaro, in calo rispetto alla rilevazione ufficiale della Bce fissata ieri a 1,4774. Andamento incerto da parte dell'indice Dj Stoxx 600 che fotografa l'andamento delle principali piazze del Vecchio Continente, cede lo 0,39 per cento. Piazza Affari, dopo un avvio difficile, è tornata in equilibrio attorno a mezzogiorno.

TITOLI JUVENTUS MENO 7,5% - Il crollo in Champions League con il Bayern di Monaco coincide anche con quello in Borsa: il titolo della Juventus ha toccato i minimi degli ultimi quattro mesi. L'eliminazione dalla Coppa dei Campioni significa la perdita di introiti per un minimo di 5 milioni di euro e la possibilità di mancare il pareggio del bilancio di quest'anno, dice un trader. «Potrebbero vendere giocatori a gennaio e realizzare plusvalenze affinché il risultato non sia negativo, ma non so se accadrà», ha aggiunto il trader. Intorno alle 10,10 Juventus F.C. cede circa il 7,5% in Borsa con volumi pari a quattro volte la media giornaliera dell'ultimo mese.

ATENE - La Borsa di Atene perde nelle prime contrattazioni circa il 3% dopo che mercoledì l'indice generale era sceso di oltre il 6% dopo la notizia che Fitch aveva tagliato il rating sovrano del paese. Oggi il gabinetto socialista greco si riunisce per discutere della situazione economica e finanziaria del paese.

DUBAI CHIUDE A -6,3% - La Borsa di Dubai ha chiuso ancora in calo del 6,39%, mentre cresce il timore che i debiti a rischio dell'emirato possano estendersi. Giù del 2,82% anche il listino di Abu Dhabi. Il presidente degli Emirati Arabi Uniti, Sheikh Khalifa bin Zayed al-Nahayan, ha sostenuto che « gli Eau sono in grado di sostenere l'impatto della crisi finanziaria» scaturita dalla recessione globale e dal crollo di Dubai World, la holding di proprietà statale, che di recente ha rivelato un indebitamento pari a 59 miliardi di dollari.

ALTRA SOCIETA' IN CRISI - Intanto, un’altra società statale dell’emirato di Dubai finisce sotto pressione a causa delle difficoltà del conglomerato Dubai World a onorare i suoi debiti. E stavolta si tratta di un gruppo coperto da garanzie pubbliche, a quanto riferisce il Financial Times nell’edizione online: la Dubai Electricity and Water Authority, l’unica società fornitrice di servizi multiutility nell’emirato.

09 dicembre 2009

http://www.corriere.it/economia/09_dicembre_09/borse-europa_10ea649c-e4a8-11de-b76e-00144f02aabc.shtml

http://blog.libero.it/bigblogworld/8112502.html

Non c'è ripresa senza consumi

La catena di negozi Kroger, un colosso americano del settore alimentare, dichiara una perdita nel terzo trimestre di oltre 1 miliardo di dollari e perde il 14% in Borsa. Precipitano anche le quotazioni delle altre industrie del settore, seppure con ribassi più contenuti. Sono gli effetti del calo dei consumi e dei prezzi, altro che rischi di inflazione e ripresa economica! Intanto arriva in contemporanea la notizia che l'indice della fiducia dei consumatori americani, un indicatore ai quali analisti ed economisti attribuiscono un importante significato, ha segnato un ulteriore calo a dicembre, estendendo la flessione del mese di novembre a seguito dei timori relativi all'economia e al mercato del lavoro e passando da 47,9 a 46,8 punti percentuali nei due mesi considerati. Ieri abbiamo visto come la situazione finanziaria dei consumatori sia totalmente in contrasto con la possibilità di una ripresa sostenibile.
I consumatori stanno riducendo il debito e aumentando il loro tasso di risparmio, un processo che è appena iniziato. Il debito delle famiglie / PIL è ancora circa il 100% rispetto ad una media di 57 anni del 57%. Mentre il tasso di risparmio delle famiglie è aumentato al 4,4% da un valore vicino allo zero, con una media generalmente tra l'8% e il 9% nei decenni precedenti al 1992. Ma mentre un maggiore tasso di risparmio ha benefici effetti sull'economia nel lungo termine, esso tende a frenare la spesa dei consumatori quando il processo è in corso. Inoltre il freno alla spesa dei consumatori è la causa per cui i salari sono diminuiti del 5% rispetto a un anno fa, la disoccupazione è ancora in aumento, le nuove assunzioni sono ancora in calo, il reddito netto è precipitato e il credito al consumo è molto ridotto. Il credito al consumo è sceso del 4,3% rispetto all'anno passato, il massimo in almeno 44 anni. Il reddito netto delle famiglie è diminuito del 12%, anno su anno, il massimo calo in 57 anni.
Oggi anche il Wall Street Journal si accorge che
Consumer lending shrank 1.7% in October, the ninth consecutive drop, extending the dramatic decline of financing available to help fuel the U.S. economy. The $3.5 billion decline, calculated by the Federal Reserve, caps a 4% drop in consumer lending from its July 2008 peak. Before then, borrowing by U.S. consumers -- including credit-card debt and auto loans, but excluding mortgages -- had been growing for more than a half-century. Consumer activity accounts for about two-thirds of U.S. economic growth. Curtailed lending to consumers could hurt the chances for a strong recovery.
Il credito al consumo segna ad Ottobre il nono consecutivo calo mensile (-1,7%), estendendo il drammatico declino dei finanziamenti disponibili per alimentare l'economia americana. La diminuzione di 3,5 miliardi di dollari calcolata dalla Federal Reserve, rappresenta un calo pari al 4% del credito al consumo dal suo picco del Luglio 2008. In precedenza il credito al consumo - compresi i finanziamenti attraverso carte di credito e prestiti auto ed esclusi i mutui - era sempre stato in crescita negli ultimi 50 anni. La spesa dei consumatori conta per due terzi nella crescita economica degli Stati Uniti. La riduzione dei prestiti ai consumatori, ammette, bontà sua, il WSJ, potrebbe nuocere alle possibilità di una forte ripresa. In realtà non c'è alcuna possibilità di vedere una crescita reale dell'economia e quindi una ripresa sostenibile finchè è in corso il processo di riduzione del debito da parte dei consumatori. L'unica teorica possibilità, di scuola, per invertire questo trend sarebbe la crescita nominale del Pil attraverso l'inflazione. Ma questa sarebbe una politica economica terribilmente ardua da perseguire con un fenomeno in atto di riduzione del debito. Ma questa è un'altra storia.

IL NUOVO DIS-ORDINE GLOBALE

09 dicembre 2009

di Germàn Gorraiz Lopez Il fenomeno della globalizzazione economica ha fatto si che tutti gli elementi razionali dell’economia siano interconnessi a causa della consolidazione degli oligopoli, la convergenza tecnologica e i taciti accordi corporativi, così l'emergere della crisi economica nel villaggio globale ha portato alla comparsa di nuove sfide per governi ed istituzioni impantanati nello sconcerto e nell’incredulità, schizzi di un caos che finirà di disegnarsi all’orizzonte nel 2020 con l’apparizione del Nuovo Ordine Mondiale. Gli Stati Uniti hanno iniziato il decennio sotto il segno dell' “Obamamania”, fenomeno sociologico che farà in modo che una persona senza esperienza nè ideali politici conosciuti diventi in un’icona delle masse, soffiando venti di cambiamento per restituire l’illusione e la speranza ad una società americana affondata nella recessione, con laceranti irregolarità sociali ed una significativa erosione della sua immagine nel mondo dopo i sanguinanti episodi di vulnerabilità dei Diritti Umani in Iraq e a Guantanamo. La sua principale sfida sarà l'aggravarsi della crisi economica, con una severa contrazione del consumo interno (uno dei principali motori dell’economia USA che rappresenta più della metà del PIL del paese) ed una brutale ristrutturazione dell’industria automobilistica (con tassi di disoccupazione a livelli sconosciuti dalla Seconda Guerra Mondiale), dovendo sperare al 2011 per ottenere una crescita del PIL positivo e dare per finita la crisi economica, non possono essre escluse riedizioni delle rivolte razziali dell’estate del 1963; il ritorno a scenari superati della Guerra Fredda con la Russia (si potrà rivivere la Crisi dei Missili di Cuba, 1962) e la gestazione di una trama endogena che potrebbe finire con la riedizione dell' omicidio di Kennedy (Obama, 1963). Se succedesse, Joe Biden si vedrà obbligato ad assumere la Presidenza del paese e far cristallizzare le iniziative inconcluse del suo predecessore in un mandato presidenziale posteriore, in particolare la Legge sull’ Immigrazione, Assicurazione sulla salute per anziani e poveri, Case sotto costo e Piano di Rinnovamento urbano (condannando dal modo in cui l’ostracismo politico di un Partito Repubblicano è immerso in lotte intestine e colpito dalla nefasta amministrazione dei suoi antecessori) e l’obiettivo del suo programma “Guerra contro la povertà” sarà quella di costruire una grande nazione dove l’uguaglianza di opportunità ed un’alta qualità della vita siano patrimonio di tutti, anche se il suo mandato resterà probabilmente segnato dalla Guerra in Afghanistan. Allora potremo assistere alla perdita progressiva della leadership mondiale da parte degli USA, all’unirsi dell’enorme consumo energetico con lo strangolamento della produzione mondiale di petrolio, la rottura del sistema paritario delle divise internazionali e la libera fluttuazione delle stesse con la logica devalutazione del dollaro, le conseguenti difficoltà per finanziare il suo esorbitante debito estero ed la grave stagnazione economica sarà accompagnata da un approfondimento della frattura sociale, provocando frequenti casi di violenza razziale che unito alle successive calamità naturali e catastrofi ambientali, concorreranno all’annunciata perdita del ruolo egemonico degli Stati Uniti dopo la sconfitta militare della guerra Iraq-Afghanistan, ritornando a scenari già dimenticati della politica estera isolazionista e di protezionismo economico all'orizzonte nel 2018. Instaurazione del culto della personalità e del dogmatismo ufficiali propri dell’ epoca stalinista in Russia: Mettendo a tacere le voci e mass media dissidenti attraverso la paura scenica, l’asfissia economica, l'apertura di espedienti arbitrari per reati fiscali con procedimenti rapidi, Putin avrebbe ottenuto la sparizione dell’opposizione propria dei paesi democratici e l’instaurazione di un nuovo governo: dottrina politica che unisce le idee espansionistiche del nazionalismo russo, le benedizioni della potente della Chiesa Ortodossa, gli impagabili servizi del FSB (successore del KGB), l’esuberante liquidità monetaria raggiunta dalle aziende energetiche (GAZPROM) e alcuni degli ideali simboleggianti kruschoviani in un potere personale autocratico mettendo insieme nella sua persona il Capo dello Stato e la presidenza del partito (obiettivo che dopo diverse epurazioni riuscì a raggiungere nel 1958 concentrando nella sua persona la guida dello Stato e del partito) dopo la defestrazione da parte di Putin della primitiva classe dominante proveniente dell’epoca di Yelstin (oligarca), corrotta camerata mafiosa equivalente ad un ministato dentro dello Stato Russo (il 36 % delle grandi fortune sono concentrate nelle sue mani, l’equivalente al 25 % del PIL) e la sua sostituzione da parte di individui di provata fedeltà alla sua persona, senza capricci politici e il miraggio di facili guadagni solo unitamente alla riduzione del potere dei Governatori Regionali. Ma, le riforme per alleggerire la Burocrazia ed i suoi fallimenti in materia economica (i cattivi risultati agricoli obbligheranno all’importazione in massa di cereali che causerebbe una sboccata inflazione che ruoterebbe intorno ai due digiti), potrebbero renderlo impopolare nel partito e nell’ Amministrazione e potrebbero debilitare l’allora potere assoluto di Putin e di permettere che si colasse una cospirazione anticipata da oligarchi defenestrati da Putin e costretti a esiliarsi all’estero per allontanarlo dal potere, essendo accusato degli stessi delitti con i quali aveva decapitato alla camerata oligarca: abuso di potere, corruzione e delitti fiscali, essendo sostituito da Mendeiev. Nel caso di una fine politica, assisteremo alla ripartizione della Troika per evitare l’accumulazione di un potere autocratico ed il ritorno della Dottrina Brézhnev (chiamata anche dottrina della sovranità limitata), dottrina che ha stabilito il diritto della Russa ad intervenire (anche militarmente) in questioni interne dei paesi sotto la sua area d’influenza e che coniugando abilmente l’aiuto di minoranze etniche russe oppresse, il ricatto energetico, la minaccia nucleare come deterrente, l’intervento militare chirurgico, il destbilizzare governi vicini “non grati” e l’affogamento dell’opposizione politica interna, cercherà di mettere sotto la sua orbita la maggioranza dei paesi separati dall’estinta URSS e concepire la Nuova Grande Russia per il 2020, frutto dell’atavismo della Grande Russia di Pietro il Grande. Sostituzione dell’ attuale Unione Europea con una costellazione di paesi satelliti nell’orbita dell’alleanza franco-tedesca (Eurozona) che sarebbero diretti da leader di forte carisma e personalità che deriverebbero in pratica da poteri presidenziali con chiari colori autocratici. Questo periodo sarà segnato dalla Ratifica della Politica del Buona Vicinato con l’ UE, mediante la firma di accordi preferenziali con la Francia e la Germania per assicurarsi il rifornimento di gas e petrolio russo e aumentare gli scambi commerciali, a causa della dipendenza energetica europea (il 21% delle importazioni del petrolio e il 40% del gas provengono dalla Russia) e dal fatto che il 40 % del commercio estero della Russia si realizza nella UE, di fronte ad uno scarso 5% con gli USA, per cui non sarebbe da scartare una tardiva riaffermazione della sovranità francese che si plasmerebbe nel ritiro dell’esercito francese dall' Afghanistan prima delle Presidenziali del 2012 e nel successivo ritiro delle strutture militari della NATO. Il resto dei paesi non integrati in suddetta orbita (Paesi dell’ Europa Emergente) si vedranno costretti a svalutare la loro moneta, a soffrire migrazioni interne e a ritornare ad economie autarchiche, dovendo procedere alla riapertura di miniere di carbone abbandonate e obsolete centrali nucleari per evitare di dipendere energeticamente da una Russia che unendo il ricatto energetico fagociterà la maggior parte dei paesi separati dall’antica URSS e in Turchia potrebbe ripetersi il colpo di Stato del 1960 che metterebbe fine al mandato democratico dell’ AKP (partito di tendenza islamica conservatrice ma alla maniera dei partiti democristiani europei) a causa dell’alta inflazione, la disoccupazione dilagante e un debito esagerato e di fronte a questa situazione e senza l’ombrello protettivo dell’ UE (respingendo la loro adesione come membro a pieno del diritto comunitario), è prevedibile che l’esercito sia protagonista dell’ennesimo colpo di Stato che metterebbe fine al mandato del Primo Ministro Erdogan, successivamente emergerà un sistema politico fratturato che produrrà una serie di coalizioni di governi instabili nel parlamento turco. Istituzione della “Pax obamaniana” nel travagliato Medio Oriente: Sia Israele che l' ANP chiederanno ad Obama di guidare il processo di negoziazione che entrambe le parti hanno iniziato nel 2007 con l’obiettivo di stabilire le basi per la creazione del futuro Stato Palestinese (previo riconoscimento dello Stato d’ Israele da parte dei palestinesi) e che potrebbe concludersi con un Trattato della Pace tra il nuovo Governo della Coalizione israeliana ed il nuovo Presidente dell’ Autorità Palestinese (che sarebbe il rappresentante del nuovo Governo della Coalizione che nascerebbe dopo l’inevitabile avvicinamento di Hamas ad Al Fatah) Questo accordo conterebbe sulle benedizioni politiche di Egitto, Russia, Siria e Iran e come collaboratori economici necessari nella ricostruzione di Gaza dell'UE, Stati Uniti, Giappone, Arabia Saudita e Emirati Arabi e sarebbe globale e vincolante per tutti i paesi dell’area geopolitica del Medio Oriente, riuscendo ad instaurare un nuovo “status quo” nella zona (Pax Obamaniana”) dopo aver risolto la disputa nucleare con l'Iran e il ripristino delle relazioni diplomatiche tra i due paesi, operazione che avrà l'opposizione iniziale dell'influente lobby ebraica e la sua successiva accettazione di Israele ricevendo come contropartita le benedizioni degli USA per il completamento del muro in Cisgiordania (che includerebbe all’incirca il 10% del territorio della Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est) e l’aumento degli aiuti economici (stabiliti durante l’amministrazione Bush in circa 3.000 milioni di dollari, importo che rappresenta quasi il 2% del PIL di Israele). La pace sarà instabile e la sua durata dipenderà dagli accordi d’ Israele con la Siria per la restituzione dell' Altopiano del Golan e del futuro atteggiamento di Hisbolad e Hamas, dato che se le due formazioni persistono nei loro attacchi al territorio israeliano violando la sacrosanta “sicurezza” che la popolazione ebrea esige, potrebbe incrementarsi la tensione nella zona e rieditarsi la “Guerra dei Sei giorni” e nel caso di un confronto bellico ed una nuova vittoria militare israeliana, assisteremo all’annessione della Striscia di Gaza, del Sud del Libano e del Sinai, Israele resterà barricato in uno scudo protettivo completato con la realizzazione del Muro della Cisgiordania (che includerebbe circa il 10 % del territorio della Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est) ed il controllo dell' Altopiano del Golan, contando sugli USA e la loro forza nucleare dissuadente come unici alleati. Il graduale ritiro dell’esercito in Iraq dovrà aspettare il 2011 per il completamento e l'avvio di un successivo e complesso processo di divisione delle aree d’influenza tra la Turchia, Siria, Arabia Saudita e Iran fino a condurre ad un Governo della Coalizione integrato da rappresentanti curdi, sunniti e sciiti che porterà finalmente alla nascita di un movimento pan-islamista radicale che userà l’arma del petrolio per strangolare le economie occidentali. La decisione di Obama di aumentare sostanzialmente il numero di soldati in Afghanistan prevede l'escalation delle azioni belliche a partire dal 2011, perchè secondo l’ultimo rapporto del Consiglio Internazionale della Sicurezza e dello Sviluppo (ICOS), l’insorgenza talebana avrebbe conseguito una presenza permanente nel 72 % del territorio dell’ Afghanistan (che rappresenta un aumento del 18 % rispetto a novembre del 2007) e si avvicinerebbe alla capitale Kabul, avendo stabilito una specie di governo “di facto” in alcune città e popoli afgani. La CIA avrebbe documenti che confermerebbero l’inizio dell’aiuto militare russo (consiglieri militari, logistica e informazione dai satelliti-spia) alle milizie talebane dell’ Afghanistan nella loro lotta contro le forze della NATO lì presenti, con l'obiettivo di prolungare il conflitto e alleata con la mancanza di liquidità monetaria degli alleati europei, riuscire ad ottenere il graduale ritiro dall’ Afghanistan entro il 2012 lasciando soli gli USA, che implicherebbe crescenti difficoltà per ottenere l’approvazione di bilancio nel Congresso, plasmate nella petizione dell’ Amministrazione Obama in 83.400 milioni di dollari addizionali per finanziare le operazioni militari in Iraq ed in Afghanistan nel 2009 (si calcola che il costo delle due guerre sarebbe di circa 8000 milioni di dollari al mese) Allo stesso modo, il presidente dell’ Afghanistan, Hamid Karzai sarà accusato dagli USA di essere troppo mite nella lotta contro i talebani, esistonoo i documenti della CIA che potrebbero includerlo nel progetto della creazione di un Governo della Coalizione afgano tra i Pashtun ed i Talebani e che esigerebbe il ritiro dell’esercito degli USA e la successiva caduta ed assassinio di Karzai, con il conseguente aumento dell' appoggio militare per evitare una pericolosa “vietnamizzazione” del conflitto, Obama potrebbe firmare nel 2011 il ritiro progressivo dell’esercito dall’ Afghanistan, decisione che non sarà condivisa dal suo vicepresidente Biden e sotto il cui mandato si potrebbe produrre l' intensificazione e incistamento di questo conflitto bellico. Aumento della tensione tra India e Pakistan: E’ prevedibile che l’aumento del conflitto militare in Afghanistan da parte degli USA abbia ripercussioni nella vicina Cachemira, motivo per il quale dopo crudeli attentati terroristici contro Bombay, la tensione tra l’ India e il Pakistan potrebbe aumentare e dare luogo ad un nuovo scontro armato a Cachemira (con il rischio aggiunto del possibile uso di missili con carica nucleare). Solitudine del regime di Pechino nei Fori Internazionali, a causa del raffreddamento delle relazioni con la Russia per l’appoggio di Pechino al fossilizzato regime di Kim-Jong–II e di controversie con gli Stati Uniti connessi con l'applicazione di misure protezionistiche e l'aumento della tensione con Taiwan, unito con la perdita di peso economico della Cina nel contesto internazionale, e con il restringimento dei consumi a livello mondiale e l'introduzione da parte delle grandi potenze occidentali sistemi economici protezionistici. Allo stesso modo, la Desertificazione di ampie zone industriali causerà esodi in massa della popolazione urbana alle zone rurali, obbligando gran parte della popolazione a vivere al di sotto della soglia della povertà e sono prevedibili anche episodi di epidemie e carestie, un notevole aumento della mancanza di stabilità sociale e una severa retrocessione delle classi medie e delle incipienti libertà democratiche. Recupero degli USA di un “doppia via” kennedyana nel loro rapporto con i paesi dell'America Latina: gli USA si vedranno obbligati a prestare particolare attenzione al tradizionale “cortile” per cercare di frenare l’espansione dell’influenza russa in America Latina dopo la firma di Mendeiev del Patto per l’ Amicizia e la Cooperazione con Cuba (e per estensione con i Governi populista-progressisti in America Latina), approfittando della miopia politica di una Amministrazione Bush ossessionata dall’ Asse del Male. Con l'impossibilità di raggiungere un rapido accordo su questioni come il boicottaggio commerciale nei confronti di Cuba, potremmo assistere alla firma di un Trattato di collaborazione militare di Cuba e del Venezuela con la Russia che includerebbe l’installazione di basi militari in territorio cubano (non essendo da scartare la presenza di aerei strategici con armi nucleari, i temibili TU-160 conosciuti in Occidenti come BlackJak), completato mediante l'installazione di una megabase navale e della logistica in Venezuela. Allo stesso modo, gli Stati Uniti procederebbero alla creazione di una Alleanza Panamericana (con leader il Messico, Brasile, Cile e Argentina) che unirebbe l’aiuto economico e la firma di accordi preferenziali con questi paesi amici con il boicottaggio commerciale e l’isolamento nei Fori Internazionali dei regimi progressisti- populisti (Cuba, Venezuela, Nicaragua, Ecuador, Bolivia) per riuscire a destabilizzare i loro regimi. Dall’altra parte, l’acutizzazione della crisi economica darà luogo a frequenti esplosioni di conflitti sociali e dell’espansione di ideologie di sinistra in tutta l' America Latina, essendo prevedibile una chiara regressione delle libertà democratiche ed un possibile ritorno a scenari già superati delle dittature militari e guerriglie rivoluzionarie (Peru, Bolivia, Nicaragua e Messico) e in Panama, non è da scartare una riaffermazione del sentimento di sovranità panamense sul canale e quindi potremmo assistere alla riedizione della Crisi di Panama del 1964 con l’invio dell' esercito statunitense che assicurerebbero il controllo del canale, recuperando la sovranità dello stesso trapassata a Panama nel 1979. In Africa, si assisterà all’ Apparizione di un movimento pan-islamista che comprenderà tutti i paesi arabi della facciata mediterranea e che userà l’arma del petrolio e del gas naturale per strangolare le economie occidentali e finanziare le molestie terroriste all’infedele, ottenendo l’annessione di obsolete piazze coloniali (Ceuta e Melilla) e la concatenazione di calamità e carestie nell’ Africa Sud-sahariana, dato che l’inevitabile contrazione della domanda di materie prime a causa della severa crisi economica globale porterà allo strozzamento delle sue esportazioni e il disprezzo generalizzato della sua moneta, che insieme con l'avanzare inesorabile di deserti e insolite calamità naturali causerà esodo massiccio della popolazione, in alternanza con ripetute carestie e virulente epidemie che investiranno gran parte dell'Africa nera. Nel frattempo, approfittando dei conflitti endemici tribali e degli abituali colpi di Stato, gli USA,UE, Russia e Cina, continueranno con la politica di annichilimento delle risorse naturali del subcontinente sahariano (specialmente uranio, platino, cobalto, magnesio, oro, diamanti oltre al coltan, specie di pietra filosofale per lo sviluppo delle tecnologie del futuro come la telefonia mobile, pc, videogiochi, armi intelligenti, impianti medici, industria aerospaziale, e lievitazione magnetica) non può essere escluso un restringimento delle relazioni russo- egizie che farebbero diventare l’ Egitto la portaaerei continentale della Russia che insieme all’estensione della sua area di influenza sul resto dei paesi arabi che circondano Israele (Siria, Libano, Palestina e Giordania) potrebbe finire per creare un nuovo movimento panislamico e rieditare nella prossima decennio, la Guerra dei Sette Giorni. Fonte: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=96391 Tradotto e segnalato per Voci Dalla Strada da VANESA http://www.vocidallastrada.com/2009/12/il-nuovo-dis-ordine-globale.html

Fatevi una ragione, stiamo messi peggio degli altri

Cito dall’Ansa di ieri ( http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/mondo/2009/12/08/visualizza_new.html_1644333803.html ) : La spesa pro-capite italiana per la sanità è pari a 2.686 dollari, al di sotto della media dei 30 Paesi Ocse, di 2.984 dollari. Lo segnala il rapporto 2009 sulla salute dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, pubblicato oggi. In generale, si rileva nel rapporto, nel decennio 1997-2007 la spesa pro-capite per la salute è aumentata nei Paesi Ocse al ritmo del 4,1% l’anno. In Italia, come in altri Paesi industrializzati, la spesa è cresciuta a un ritmo decisamente inferiore (2,4%). In testa alla classifica della spesa sanitaria ci sono gli Stati Uniti, che con 7.290 dollari, unico Paese nel quale la spesa privata supera quella pubblica. Con 4.763 dollari, la Norvegia è seconda nella classifica della spesa sanitaria pro-capite e la Svizzera è terza con 4.417 dollari e un’alta proporzione del privato. I livelli di spesa più alti (fra 3.000 e 4.000 dollari), rileva l’Ocse, si concentrano nei paesi dell’Europa settentrionale e occidentale. Dunque l’OCSE è composto da 30 paesi, e l’Italia è sotto la media della spesa sanitaria. Lo stesso dicasi per i tassi di incremento nel finanziare questa voce. Ora non voglio parlare del fatto che ogni volta che si deve dare qualche sforbiciata al nostro bilancio — ahimé oberato da un enorme e indiscutibile debito — si torni a parlare degli “sprechi della sanità”. E’ un discorso che merita un approfondimento a parte. Quello che ora mi interessa è sottolineare la realtà che si nasconde dietro un indicatore di civiltà e progresso come la spesa sanitaria dei paesi industrializzati. Se ai vertici del G8 vediamo Silvio Berlusconi che fa il mattacchione con Obama e la Merkel qualcuno potrebbe chiedersi cosa ci fa lì l’Italia, mentre paesi come la Svezia e a Finlandia rimangono a casa. E’ semplice: l’Italia è un paese con un ragionevole grado di sviluppo della propria economia che, pur non essendo esaltante, è spalmato su un popolo di 56-57 milioni di abitanti, mentre Svezia e Finlandia sono realtà sociali e demografiche molto più contenute. Tanto l’indicatore del Pil quanto l’impatto sul commercio internazionale del nostro paese è maggiore di altri — Svezia e Finlandia– ben più civili e progrediti di noi. La destra del nostro paese prova una rabbia livida per la stampa britannica, di destra e di sinistra, che osa raccontare ai propri lettori la verità su chi e cosa è Silvio Berlusconi. Per reazione, in queste settimane vediamo dimostrazioni di spasso da parte berlusconiana perché gli indicatori macroeconomici del Regno Unito sarebbero peggio dei nostri. Mi piacerebbe rivedere un po’ quei dati da vicino per capire come sono stati scelti, ma prendiamo pure per buona la cosa. L’Italia ha un’economia fortemente incentrata sulla manifattura, mentre la Gran Bretagna è altamente finanziarizzata — centralità del settore bancario e assicurativo. Ora, in una situazione di depressione globale che ha colpito soprattutto il settore finanziario, noi “facciamo meglio degli inglesi”, semplicemente perché siamo caduti a picco più lentamente di loro. Ma credete che la Gran Bretagn rimarrà a lungo alle nostre spalle quando la situazione si sarà stabilizzata e i veri fondamentali dell’economia emergeranno dalle distorsioni della congiuntura: qualità delle università, ricerca scientifica, innovazione tecnologica,infiltrazione mafiosa, squilibri regionali dello sviluppo economico, corruzione politica, nepotismo e clientelismo, logistica e infrastrutture…? Le istituzioni politiche ed economiche di un paese non assumono la propria struttura dalla sera alla mattina. Sono processi lenti, contraddittori, difficili da guidare. Come italiani dobbiamo imparare a guardarci senza autocompiacimenti e comprendere la realtà del declino al quale siamo avviati come nazione. Non sarà facile rimetterci sulla strada giusta. Al tempo stesso la storia ci insegna che abbiamo capacità creative notevoli, dispiegate in diverse occasioni: dall’unificazione d’Italia, alla ricostruzione del secondo dopoguerra, al boom economico. Tra il berlusconismo da una parte e una sinistra pavida e preoccupata solo della propria sopravvivenza dall’altra non siamo neanche in grado di guardare in faccia la realtà. Gianluca Bifolchi Fonte: http://subecumene.wordpress.com Link: http://subecumene.wordpress.com/2009/12/09/fatevi-una-ragione-stiamo-messi-peggio-degli-altri/ 9.12.2009

OBAMA ORDINA AD UN MILIONE DI SOLDATI USA “DI PREPARARSI ALLA GUERRA CIVILE”

Data: Martedì, 08 dicembre @ 23:50:00 CST Argomento: Usa FONTE: POLITICALTHEATRICS.NET Gli analisti militari russi riferiscono oggi al primo ministro Putin che il presidente USA Barack Obama ha diramato l’ordine al comandante del Comando Settentrionale (USNORTHCOM), il generale Gene Renuart dell’Air Force statunitense, di “cominciare immediatamente” ad aumentare il numero dei militari di un milione di unità, a partire dal 30 gennaio 2010. Questi rapporti mettono in guardia sullo scoppio previsto di una guerra civile negli Stati Uniti prima della fine dell’inverno. Stando a questi rapporti, Obama ha avuto nelle settimane precedenti “numerosi” meeting con il suo consiglio di guerra su come gestire al meglio l’attesa implosione del sistema bancario nazionale mentre, al contempo, tentava di mantenere l’egemonia militare statunitense sul mondo, in quella che gli analisti militari russi definiscono “l’ultima mossa strategica” il cui successo è “lontano dall’essere accertato”. E come “ultimo stratagemma” Obama, continuano i rapporti, annuncerà a tutta la nazione, la prossima settimana, che ha intenzione di ampliare l’entità delle forze militari USA in Afghanistan con diecimila soldati, usando allo stesso tempo il loro schieramento come “copertura” per far tornare in USA più di 200.000 altri soldati supplementari americani da più di 800 basi disposte in più di 39 Paesi nel mondo, portando il numero di queste forze in America a più di un milione. Numero che, a detta dell’esercito USA, sarà in grado di contenere “l’esplosione di violenza” che si prevede farà inquietare le persone quando scopriranno che la loro economia è alla bancarotta. Questi rapporti, inoltre, affermano che Obama cercherà, allo stesso tempo, di preservare il suo Paese dalla disgregazione violenta. Le diecimila truppe aggiuntive che invierà in Afghanistan devono essere inviate a Kandahar, dove gli americani e i loro alleati NATO daranno vita all’ultimo tentativo di mettere al sicuro il loro gasdotto TAPI (TAPI (Turkmenistan, Afghanistan, Pakistan e India). Questo, senza i Paesi occidentali e a causa della grave mancanza di risorse alternative di energia, poiché sono stati estromessi dai grandi fornitori dell’Asia centrale (che sia la Russia sia la Cina stanno tentando di assicurarsi), sono preoccupati crollerà del tutto. A rendere la situazione USA (e, di conseguenza, anche quella dell’Occidente) ancora peggiore, ci sono nuovi rapporti provenienti dall’International Energy Agency. Questi affermano che, “dietro pressioni” del governo USA, (l’agenzia) ha “deliberatamente sottovalutato” il profilarsi di una carenza mondiale di petrolio, per paura di scatenare il panico comprandolo, e facendo crescere i timori americani sulla fine della supremazia del petrolio, poiché ciò minaccerebbe il loro potere all’accesso alle ultime risorse di petrolio rimaste nel mondo. Tra le manovre più spaventose del “gioco alla fine” fatte da Obama nel tentativo di proteggere l’egemonia statunitense sul mondo, c’è quella della mossa incommensurabilmente distruttiva di far affondare nel debito altri 3.5 trilioni di dollari, il che fa crescere l’ammontare totale del debito USA verso i cittadini e il mondo alla cifra mai toccata prima di più di 106 trilioni di dollari. Le azioni di Obama sono diventate così allarmanti (specialmente da quando sono state imitate da tutte le autorità Occidentali) che il direttore del Fondo Monetario Internazionale (FMI), Dominique Strauss-Kahn, la scorsa settimana ha avvertito che le “azioni di stimolo” dell’Occidente (che essenzialmente consistono nello stampare moneta senza che ci sia nulla a sostenerla), sono diventate ora una “minaccia alla democrazia”, poiché si prevede che milioni di persone reagiranno con violenza nei confronti dei loro governi e contro coloro che hanno rubato i loro soldi e il loro futuro. Tuttavia, purtroppo per i cittadini statunitensi, l’avviso del FMI è caduto nel vuoto in USA, dove il presidente della Federal Reserve Bank di St. Louis, James Bullard, continua a dire questa settimana che gli USA continueranno le loro “azioni di stimolo”, perché queste darebbero maggiore flessibilità a chi attua i piani politici ed economici USA”. Una dichiarazione tanto più assurda quanto più la si vede nell’ottica dei debiti precedenti ancora non pagati e pendenti sull’economia americana, che attualmente non è in grado di pagare in alcun modo. Sulla capacità dei giganti bancari occidentali di poter salvare le economie dei loro Paesi si sono scagliate novità ancora peggiori questa settimana, quando il gigante del rating Standard & Poors lancia l’allarme secondo cui “ogni singola banca in Giappone, USA, Germania, Spagna, Italia, comprese le 45 sparse nel mondo della S&P, rimangono in pericolo”. Un avviso che ha indotto una delle banche più grandi d’Europa, la Société Générale, a mettere in guardia i suoi clienti affinché si preparino al “collasso economico globale”. Ai timori di Obama per il fatto che gli USA possano entrare in una guerra civile dopo che l’entità delle devastazioni e dei saccheggi subiti da queste persone ad opera delle loro banche sarà nota, si aggiungono ora tristi prove che mostrano la probabilità che ciò accada presto, specialmente nei nuovi sondaggi. I grafici mostrano infatti che la percentuale di gradimento di Obama tra i bianchi americani è scesa attualmente al 39%. Un numero reso più significativo se si pensa che i bianchi in america costituiscono il 74% dei 398 milioni di cittadini stimati. Oppure più inquietante, quando si legge nei rapporti che “più di 220 milioni di americani sono armati fino ai denti e pronti a esplodere”. La popolazione bianca degli USA è diventata talmente spaventata che al momento dell’insediamento di Obama alla presidenza è stato nominato “il venditore di pistole dell’anno” dall’Outdoor Wire, il servizio di informazione elettronica quotidiana dell’industria dell’outdoor, che riferisce di “acquisti da panico” di armi e munizioni da parte di coloro che sono spaventati dalla distruzione del loro Paese per mano di un uomo che non è neanche cittadino statunitense, ed è stato loro imposto dalle elite che cercano di renderli schiavi. Sebbene la prossima guerra civile in USA sia stata virtualmente ignorata dai loro mezzi di propaganda, lo stesso non può dirsi della Russia, dove un analista politico di spicco, il Prof. Igor Panarin ha a lungo messo in guardia per il fatto che il tumulto economico negli USA ha confermato la sua convinzione di vecchia data secondo la quale gli USA si dirigono verso il crollo, e si divideranno in parti distinte. Il Professor Igor Panarin ha aggiunto nel suo monito che “il dollaro USA non è garantito da nulla. Il debito estero del Paese è cresciuto come una valanga, sebbene nei primi anni Ottanta non ci fosse debito. Nel 1998, quando per la prima volta ho fatto questa previsione, aveva superato i 2 trilioni di dollari. Ora è di più di 11 trilioni. Questa è una piramide che può solo crollare.” Ciò che rimane da vedere, e tali rapporti non lo prevedono, è se i cittadini-soldati degli USA spareranno e uccideranno i loro conterranei nel conflitto che si profila. Ma se dobbiamo basarci sulla storia, questa ci mostra chiaramente che sarà così, poiché la nazione americana, una volta grande, continua ad affondare a capofitto nell’abisso della storia. Possa Dio avere pietà di tutti loro. Fonte: www.politicaltheatrics.net Link: http://www.politicaltheatrics.net/?p=1001 1.12.2009 Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Bridget Von Hammersmark
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BERNASCONI

Un greggie di pecore pascola tranquillamente. Gli spostamenti sono minimi ma non bisogna lasciarsi ingannare. Al primo segnale d'allarme sono pronte a schizzare tutte nella medesima direzione. Ieri le borse si sono improvvisamente ed incomprensibilmente indebolite. Niente di grave ma il nervosismo tra gli investitori aumenta. Il rischio di un movimento a valanga é concreto.

Ieri gli indici azionari europei hanno iniziato male ma in tarda mattinata avevano recuperato le perdite. Sembrava una giornata tranquilla senza grandi movimenti. Poi sono arrivate le vendite che hanno messo le borse sotto pressione - gli analisti hanno provato a dare spiegazioni senza convincere (debiti di Grecia e Dubai, calo del prezzo del petrolio, cattivi risultati di 3M e McDonald's). Tecnicamente vediamo che i mercati si sviluppano nella direzione da noi prevista ma per ora restano all'interno di un trading range che ormai blocca qualsisi movimento da almeno tre settimane.

Ieri l'S&P500 é calato a 1091.93 punti (-1.03%) dopo un minimo giornaliero a 1088. Evidentemente l'indice sta scendendo a testare il supporto e limite inferiore del trading range a 1085 punti. Fino a quando però questo livello resiste non fà senso parlare di correzione o ribasso. Notiamo una marcata espansione dei nuovi minimi a 20 giorni (719) ed il fatto che alcuni oscillatori cominciano a mandare segnali di vendita. Per ora però la pressione verso il basso é limitata. Ieri il rapporto advances /declines é stato di 1 a 2 e l'importante settore tecnologico (con i semiconduttori) si é indebolito meno del resto del mercato. Una settimana fà dicevano di non vedere abbastanza forza per una continuazione del rialzo. Oggi non vediamo (ancora) abbastanza pressione di vendita per credere in un marcato e sostenibile ribasso. Naturalmente bisogna considerare l'incognita dollaro. Venerdì scorso avevamo scritto: "Nelle ultime due settimane l'S&P500 é rimasto in una stretta fascia di circa il 3% con un supporto sui 1085 punti ed una resistenza a 1115 punti. È ora che si muova e tecnicamente vediamo la molla compressa. Manteniamo la nostra opinione e prevediamo una rottura al ribasso per una necessaria ma (a questo punto) sorprendente correzione. Gli investitori si preparano al rally natalizio ed una cambiamento di trend sarebbe la classica sorpresa. Tenete d'occhio il dollaro americano ed in particolare l'USD Dollar Index...! Se volete sapere cosa potrebbe succedere al dollaro guardate il Nikkei negli ultimi dieci giorni." Le borse si muovono secondo le nostre aspettative. Ora dovrebbe arrivare il decisivo test del supporto a 1085 punti. Tecnicamente non sappiamo quale sarà il risultato di questo test ma naturalmente puntiamo su un'accelerazione al ribasso.

Nel caso che la correzione indotta dalla forza del dollaro si concretizzasse vi ricordiamo gli obiettivi definiti due settimane fà: "...dobbiamo ora avere un calo del -3 fino ad un -5% a seconda dell'indice. Per l'S&P500 abbiamo un'obiettivo a 1050 punti mentre l'Eurostoxx50 dovrebbe ridiscendere sui 2700-2750 punti."

Il trend rialzista sugli indici azionari é strettamente correlato alla debolezza del dollaro americano. Questo a sua volta influenza i prezzi delle materie prime e dell'oro. Noi siamo convinti che il dollaro stia terminando questa fase di debolezza e stia iniziando, contro le indicazioni fornite dall'analisi fondamentale, un perido di rivalutazione. Se questa nostra teoria é corretta e l'USD Index sta formando un bottom, é probabile che gli indici azionari stiano formando un largo top a medio termine. Sembra però che questa fase prenda più tempo e sia più complessa del previsto. Ieri l'USD Index é salito a 76.31 (+0.72%). Il cambio EUR/USD é sceso a 1.4715. Il rally in atto potrebbe essere stato l'inizio di quel rialzo che attendiamo da tempo. Il comportamento del dollaro americano é cruciale e decide la differenza tra continuazione del rialzo e correzione sui mercati azionari. Per scatenere un ribasso sostenibile e di ampie proporzioni sui mercati azionari l'USD Index deve superare la forte ed importante resistenza a 76.50-77 punti. L'oro settimana scorsa ha toccato un massimo storico a 1226 USD/l'oncia. Tra venerdì e stamattina é crollato a 1132 USD in quello che é stato un cambiamento di tendenza e l'inizio di una sostanziale correzione. Avevamo ragione dicendo "Crediamo che l'oro stia compiendo un'accelerazione finale di tipo esaustivo per formare un top ma come per il dollaro abbiamo bisogno di conferme." e fissando un possibile ed indicativo obiettivo del rialzo a 1200 USD.

Passiamo ora ad esaminare la situazione (charts a sei mesi) sui singoli mercati.

L'S&P500 (-1.03% a 1091 punti) sta scedendo a testare l'importante e decisivo supporto a 1085 punti. Questo sviluppo corrisponde alle nostre aspettative: "L'indice é bloccato da due settimane nel trading range 1085 - 1115. È ora che ne esca. Noi, basandoci sull'improvvisa forza del dollaro americano, speculiamo su una rottura del supporto..." Manteniamo il nostro conosciuto scenario correttivo: "Prevediamo ora una fase di debolezza ed un calo dell'S&P500 fino ai 1050 punti. Questo ritracciamento dovrebbe seguire l'esempio dei tre precedenti e lasciare intatta la linea di trend ascendente dal minimo di agosto."

Il Nasdaq100 (-0.61% a 1772 punti) si é indebolito meno del resto del mercato e l'importante settore dei semiconduttori é rimasto invariato. Non vediamo pressione di vendita ma é evidente che se a New York si sviluppa una correzione al ribasso anche la tecnologia parteciperà. A questo punto la variante negativa delle nostre previsioni diventa quella più probabile: "Nei prossimi giorni si decide l'andamento dell'indice fino a fine anno. Un superamento dell'ovvia resistenza a 1815 punti aprirebbe la strada ad una continuazione moderata del rialzo. Un ritorno sotto i 1740 punti unito ad un'ulteriore rafforzamento dell'USD potrebbe far ridiscendere l'indice sui 1650 punti."

L'Eurostoxx50 (-1.62% a 2849 punti) ha avuto una strana seduta. Dopo un logico inizio in calo l'indice ha recuperato e sembrava volersi bloccare sul livello dei giorni precedenti. Poi improvvisamente l'euro é calato e le borse si sono insaccate. Questo sviluppo é tecnicamente interessante ed apre la strada verso il basso. Per ora però é solo stata una giornata negativa senza rottura di supporti. Non parliamo quindi di ribasso ma manteniamo il nostro conosciuto scenario moderatamente negativo: "Si sta formando una testa e spalla ribassista che verrebbe confermata dalla rottura del minimo di novembre sui 2700 punti. Strutturalmente non vediamo molta debolezza e quindi ci aspettiamo ora una lenta ed irregolare discesa fino a questo supporto che dovrebbe reggere."

Il DAX (-1.66% a 5688 punti) si é comportato come l'Eurostoxx50. L'indice é riuscito a risalire brevemente sopra i 5800 punti ma poi ha preso decisamente la via del ribasso. Per ora la pressione di vendita é limitata. Prevediamo una discesa almeno a testare il supporto a 5580-5600 punti. Una continuazione della correzione sotto questo livello dipende dal cambio EUR/USD.

L'SMI (-1.10% a 6399 punti) é rapidamente tornato sotto il precedente massimo a 6470 punti e sotto la barriera psicologica dei 6400 punti. Il nuovo massimo raggiunto settimana scorsa a 6506 punti risulta a questo punto essere la temuta falsa rottura al rialzo. Lunedì a questo proposito avevamo osservato: "L'SMI ci ha sorpreso in bene chiudendo su un nuovo massimo annuale. L'indice ha chiuso prima del resto dell'Europa ed ha bisogno di scontare ancora un ritracciamento. Di conseguenza siamo un pò scettici sulla validità della rottura al rialzo di venerdì e preferiamo attendere le prime sedute di questa settimana prima di parlare di rally natalizio." Manteniamo invariato il nostro scenario: "Cominciamo a sentirci ridicoli a dover parlare di ribasso o rialzo guardando il grafico di un'indice che praticamente non si muove da due mesi. Fino a quando l'SMI non esce con decisione dal range 6200 - 6470 preferiamo stare zitti e lasciare l'indice oscillare lateralmente senza tendenza."

Scenario fine 2009 - 2010 Per i prossimi mesi prevediamo una sostanziale correzione. Il minimo a 666 punti di S&P500 raggiunti il 6 di marzo deve essere confermato. Un nuovo minimo sotto questo livello é ormai da escludere. Probabilmento l'S&P500 toccherà nel corso dell'anno prossimo un minimo ascendente tra i 740 ed i 820 punti. Gli analisti fondamentali stanno continuamente rivedendo le stime degli utili delle società. Ad un certo momento erano scesi fin sotto i 30 USD. Ora che la recessione sembra alle nostre spalle, le stime ufficiali per il 2009 (al 3 novembre 2009) sono risalite a 56.22 USD. Quelle per il 2010 sono addirittura al'incredibile livello di 74.99 USD. Capitalizzando gli utili 2009 con un P/E normale di 15/16 si arriva ad un valore teorico dell'S&P500 di 900 punti. In questi dati é però scontato un recupero marcato dell'economia ed un forte aumento degli utili delle imprese. Ricordiamoci che gli utili operativi 2008 delle società dell'S&P500 sono stati di 15.09 USD. Debitiamo inoltre che i dati relativi al 2010 siano realistici. Di conseguenze stimare ora correttamente gli utili delle società e determinare un giusto rapporto P/E per capitalizzare questo valore é un'impresa ardua. Troppe sono le variabili e le incognite. Se gli utili risalissero solo a 50 USD e la ripresa fosse anemica (come ritiene una buona parte degli economisti), un P/E di 12 sarebbe più adeguato portando il valore teorico dell'S&P500 a 600 USD. Riassumendo, tecnicamente e fondamentalmente i 1100 punti di S&P500 raggiunti a novembre corrispondono secondo noi ad una sopravalutazione del mercato. La prossima dovuta sostanziale correzione ci dirà a quale punto si trova la congiuntura mondiale.

Richiedete informazioni a analisi_tecnica@longshortinvest.com Non rispondiamo a mails anonime.

Bernasconi Consult, gestione patrimoniale e consulenza finanziaria Zollikerstrasse 1, CH-8702 Zollikon Tel. +41 43 499 63 84 EMail: bernasconi@longshorti http://www.longshortinvest.com/4603.html

J’ACCUSE/ C'è una manovra contro consumatori e mercato

mercoledì 9 dicembre 2009

Un emendamento alla legge finanziaria in corso di approvazione alla Camera rischia di compromettere seriamente l’indipendenza (finanziaria, e quindi complessiva) delle cosiddette Autorità indipendenti (Consob, Antitrust, Agcom, Autorità per l’Energia, Covip, Garante della Privacy, Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, Isvap e Commissione di garanzia per gli scioperi).

Si tratta di una proposta presentata da alcuni deputati del Pdl che, se accolta, priverebbe le differenti Autorità delle proprie fonti autonome di finanziamento, convogliate a un “fondo unico perequativo” istituito presso il Tesoro e da qui “redistribuite” per il loro funzionamento secondo criteri evidentemente nelle mani del Tesoro stesso.

L’emendamento ha suscitato reazioni negative delle Autorità interessate, in particolare di quelle maggiormente in grado di autofinanziare le loro attività istituzionali attraverso i contributi obbligatori posti a carico dei soggetti regolati.

L’Autorità per l’energia elettrica e il gas, ad esempio, ha inviato una segnalazione a governo e parlamento per richiamare l’attenzione sulle sue criticità. Per l’Autorità “la norma proposta finanzierebbe - con onere a carico delle sole imprese che operano nei settori regolati (settore elettrico, del gas, delle telecomunicazioni, assicurativo e degli scambi finanziari) - anche amministrazioni del tutto estranee a tali settori nonché autorità che operano a livello trasversale su tutti i mercati svolgendo attività di vigilanza su tutte le imprese soggette alla concorrenza (introducendo una sostanziale forma di tassazione occulta sui suddetti settori regolati)”.

L'Istituto Bruno Leoni ha giudicato gravissima l’eventualità dell’approvazione dell'emendamento. Come osservato in maniera condivisibile da Carlo Stagnaro, direttore ricerche e studi dell'istituto, "l'indipendenza dei regolatori è una condizione necessaria per il buon funzionamento dei mercati. Al di là dei problemi tecnici di implementazione dell'emendamento, mettere in mano al Tesoro la possibilità di stabilire discrezionalmente chi e quanto deve essere finanziato significa potenzialmente minare l'autonomia delle autorità e, dunque, turbare i meccanismi di mercato.

Le autorità, specie quelle attualmente indipendenti dal punto di vista finanziario, sarebbero ricattabili e il loro operato potrebbe essere indirizzato secondo criteri politici. A farne le spese sarebbero la credibilità del nostro paese e, in ultima analisi, i consumatori. […] Screditare i mercati mettendo in discussione l'indipendenza dei regolatori non è nell'interesse di nessuno".

L’emendamento appena ricordato non è che l’ultimo di numerosi tentativi realizzati in passato, per fortuna senza conseguenza di rilievo, per cercare di riportare sotto un maggiore controllo dell’esecutivo l’operato di queste Autorità, le quali sono istituzionalmente indipendenti dai governi, dato che svolgono attività amministrative connotate solo da aspetti tecnici e non politici, e rispondono direttamente al Parlamento.

Poiché la loro attività è ovviamente regolata dalla legge, i tentativi precedenti hanno cercato di comprometterne l’indipendenza modificando le norme che le riguardano, ad esempio in relazione alla composizione e modalità di nomina dei loro vertici, mentre ora si sta provando a farlo intercettandone le autonome risorse finanziarie.

Se i tentativi di ridurre l’indipendenza delle Autorità esistenti non hanno avuto sinora successo non bisogna tuttavia dimenticare che nell’ultimo decennio non si è provveduto a istituire diverse Autorità che erano esplicitamente richieste da norme di legge, tuttora in vigore. I servizi postali, ad esempio, non sono regolati da Autorità indipendente mentre questo si verifica in 25 dei 26 altri paesi appartenenti all’Unione Europea; le infrastrutture di trasporto (autostrade, rete ferroviaria, porti, aeroporti) neppure; idem i servizi di trasporto non esercitati in regime di concorrenza quali quelli ferroviari, il trasporto pubblico locale e le rotte aeree domestiche divenute in regime di monopolio dopo la fusione Alitalia-AirOne.

Nelle scorse settimane è stata approvata un’importante riforma dei servizi pubblici locali che modifica soprattutto il settore dei servizi idrici ma anche in questo caso non è previsto il suo assoggettamento a un’Autorità indipendente di regolazione; anzi, il ministro competente, quello dell’ambiente Prestigiacomo, ha dichiarato trattando del tema delle tariffe: “In relazione a questa esigenza di garanzia per i cittadini […] si è discusso in questi giorni della opportunità di istituire una Authority: io non credo serva una nuova Autorità per l’acqua. La regolamentazione della qualità e del prezzo del servizio è svolta dal ministero dell’Ambiente attraverso la Conviri, la Commissione nazionale di vigilanza sulle risorse idriche da poco rinnovata”.

Questa affermazione non solo non è condivisibile, dato che la regolazione dei servizi effettuata in ambito ministeriale non è in grado di garantire né i clienti dei servizi né coloro che comprano azioni delle aziende ed era considerata inefficace già 15 anni fa da governi e Parlamento, ma la posizione del ministro è anche in contrasto con precise norme di legge, approvate nel lontano 1994, le quale richiedono l’istituzione di Autorità indipendenti di regolazione delle utilities prima di avviare processi di privatizzazione, che dopo l’ultima riforma potranno in effetti essere realizzati anche per i servizi idrici.

L’art. 1 bis della legge 474 del 1994 contenente “Norme per l’accelerazione delle procedure di dismissione di partecipazioni dello Stato e degli Enti pubblici in società per azioni” stabilisce infatti che le dismissioni di partecipazioni azionarie “sono subordinate alla creazione di organismi indipendenti per la regolazione delle tariffe e il controllo della qualità dei servizi di rilevante interesse pubblico”.

È in applicazione di tale norma che la legge n. 481 del 1995 ha riformato la regolazione attribuendone i compiti ad Autorità indipendenti appositamente costituite. Nel suo disegno originale prevedeva l’istituzione di quattro differenti autorità di settore: per l’energia elettrica e il gas, per le comunicazioni, per i trasporti, per i servizi idrici.

Nelle diverse fasi di discussione del provvedimento, tuttavia, succedeva che, come nel racconto di Agata Christie “Dieci piccoli indiani”, tutte le autorità previste finivano col cadere e ne rimaneva solo una, quella dell’energia elettrica e il gas. L’Autorità per le comunicazioni veniva infatti costituita solo un paio d’anni dopo, ma deviando dal modello originario e stralciando dalle sue competenze il mercato postale; quella dei trasporti non vedeva mai la luce, nonostante diversi progetti nelle successive legislature, e quella dei servizi idrici neppure.

Quindici anni dopo l’unico tentativo di istituirla il ministro dice che non serve e che il suo ministero può bastare; peccato che tutti gli studiosi di regolazione sostengano il contrario e altrettanto facciano i pessimi risultati delle regolazioni ministeriali in tutti i comparti i in cui sono state attuate.

Nell’ultimo decennio sono state effettuate privatizzazioni di utilities in settori privi di Autorità, violando la legge del 1994. Un esempio è la privatizzazione della società Autostrade per l’Italia, uno più recente è quella di Alitalia; in calendario vi è la privatizzazione di Tirrenia e in un futuro prossimo potranno essere effettuate privatizzazioni nei servizi idrici e cedute sul mercato quote di Poste Italiane. Di Autorità indipendenti di regolazione non parla tuttavia più nessuno se non per dire che se ne può fare a meno. Eppure non è necessario, tranne che nei trasporti, istituirne di nuove dato che il mercato postale potrebbe essere affidato all’Autorità per le comunicazioni e i servizi idrici all’Autorità per l’energia elettrica e il gas.

La regolazione economica delle utilities serve a tutelare i consumatori, dal punto di vista sia delle tariffe che della qualità, in settori produttivi in cui non è possibile, a causa di rilevanti economie di scala, la presenza di numerosi operatori in concorrenza tra di loro. In questi casi i processi di privatizzazione rischiano di trasformare monopoli pubblici in monopoli privati e le inefficienze produttive tipiche dei primi in profitti monopolistici.

La regolazione economica è un’attività solo tecnica e non ha implicazioni politiche dato che non deve scegliere tra obiettivi collettivi reciprocamente incompatibili. Tuttavia i politici vogliono generalmente mantenerla sotto il loro controllo per poterla usare per finalità che nulla hanno a vedere con la tutela dei consumatori di fronte al potere di mercato di imprese in mercati poco concorrenziali.

http://www.ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2009/12/9/J-ACCUSE-C-una-manovra-contro-consumatori-e-mercato/54172/

Cina, nel 2010 tetto ai nuovi prestiti a 8 mila miliardi di yuan

Cina, nel 2010 tetto ai nuovi prestiti a 8 mila miliardi di yuan  I regolatori bancari cinesi stanno pianificando l’imposizione di una contrazione del flusso del credito...

I regolatori bancari cinesi stanno pianificando l’imposizione di una contrazione del flusso del credito. In particolare i nuovi prestiti, nel corso del prossimo anno, dovranno essere contenuti tra i 7 mila e gli 8 mila miliardi di yuan (intorno ai mille miliardi di dollari). A rivelarlo è l’agenzia Bloomberg, che cita una fonte anonima vicina alla Commissione cinese che regola il sistema bancario del Paese.

L’obiettivo è quello di far scendere, nel 2010, l’attuale dato relativo ai capitali prestati a cittadini e imprese dalle banche, che nei primi 10 mesi del 2009 è stato pari a 8.900 miliardi di yuan. Il governo di Pechino è infatti convinto del fatto che un flusso di denaro meno imponente sia comunque sufficiente a fornire all’economia il supporto necessario per proseguire sulla strada della ripresa. Ed è altrettanto convinto della necessità di evitare una crescita troppo veloce, che potrebbe provocare nuove bolle speculative, soprattutto nel mercato immobiliare.

«Si tratta di una scelta corretta - ha commentato She Minhua, analista di Haitong Secutiries Co. a Shanghai - che consentirà alla Cina di mantenersi in linea con il mercato e di avvalersi di un supporto sufficiente a garantire il recupero economico».

http://www.valori.it/italian/index.php

Le Banche, ma non Quelle Italiane

La UE è un ente con le stesse finalità del NAFTA: precarizzare i giovani

di Uriel - 08/12/2009 Fonte: wolfstep

Quando ho scritto della fine delle competenze ho ottenuto una certa risonanza, ma credo che sia avvenuto tutto perche’ non ho detto proprio tutto quel che penso del fenomeno della precarizzazione del lavoro. Del resto, anche la lettera di Celli al figlio e’ ipocrita, ma ancora piu’ ipocrita e’ la risposta di Napolitano, che SA benissimo da dove venga questa “necessita”‘ di precarizzare il lavoro in Italia.

Come potrete intuire dal titolo, personalmente accuso di questo la UE. La accuso di voler imitare coscientemente il NAFTA, e di voler individuare alcune zone dallo schiavismo facile , nel caso europeo Italia e altri, le quali zone sono state destinate alla produzione di una gioventu’ disperata che lavori a basso costo.

Innanzitutto, ci sono alcune superstizioni da sfatare. Un agenda politica risponde di cio’ che contiene e di cio’ che non contiene. La scelta di inserire O MENO qualcosa in un calendario politico e’ una scelta politica a tutti gli effetti, e il semplice fatto che la UE non si occupi di qualcosa e dica “sono questioni dei governi nazionali” e’ una scelta POLITICA.

Nell’aprire i confini alle merci, ci si e’ preoccupati prima di dare stabilita’ alle monete con lo SME prima e con l’ Euro dopo. Senza lo SME non c’erano, per scelta politica, “le condizioni per dare via libera alla circolazione libera delle merci”. Il che e’ interessante, perche’ evidentemente si e’ messo in agenda il problema della circolazione delle merci.

Sia chiaro, che non era obbligatorio: il WTO, per esempio, non si cura minimamente di armonizzare una cippa: le merci devono circolare, punto. In UE, e questa e’ una SCELTA politica, si e’ deciso di preoccuparsi. Si e’ messa nell’agenda la stabilita’ dei sistemi produttivi e si e’ DECISO di armonizzare il valore delle singole valute e di alcuni balzelli come l’ IVA prima di procedere.

Stranamente, non ci si e’ posto lo stesso problema quando si e’ deciso di liberalizzare la circolazione di “risorse umane”. Si e’ deciso di permettere ad un italiano di lavorare in Germania ben sapendo che gli stipendi tedeschi siano piu’ alti di quelli italiani. Non e’ stata una scelta obbligatoria: si e’ DECISO di fare questo. In alcuni casi si e’ deciso di armonizzare, in altri no.

Non ci sono scuse valide per questo. Si e’ detto che se non avessimo ridotto le tutele ai lavoratori l’industria cinese avrebbe prevalso, ma contemporaneamente si sono vietati aiuti di stato alle industrie europee. Se davvero si temeva l’industria cinese , perche’ non iniziare un massiccio programma di aiuti pubblici, con i quali si sarebbe contrastata l’industria cinese? La risposta e’ : perche’ in sede POLITICA si e’ scelto che combattere i cinesi sulla pelle dei lavoratori va bene, mentre dare aiuti di stato all’industria no.

Anche questa scelta non e’ obbligatoria; si sarebbe potuto scegliere diversamente. Non si e’ voluto, perche’ si e’ scelto in sede politica. Solo che non si vogliono chiamare i politici che hanno deciso a rispondere della loro decisione, perche’ si dice che fossero “scelte obbligate” o che fosse “necessario”. No, si potevano combattere i cinesi con altri strumenti, gli stessi che peraltro i cinesi usano, cioe’ la svalutazione pesantissima della moneta e una politica di massicci aiuti statali alle aziende cinesi.

Allo stesso modo, l’unione europea entra nel merito di moltissimi settori della produzione: dall’abolizione di tecniche e di sostanze che non si vogliono piu’ usare, alla nomenclatura dei prodotti, alle dispute commerciali. La UE non si fa problemi a legiferare in materia di sicurezza dei lavoratori, non si fa problemi a pontificare sulla percentuale di donne sui posti di lavoro, eccetera.

Non si occupa, pero’, di salari e di retribuzioni, ne ha una definita idea sociale. Ma solo in questo campo, perche’ in moltissimi campi invece l’idea ce l’ha eccome. Se da un lato non si fa NULLA per armonizzare i redditi (magari al rialzo) , dall’altro il referendum svizzero (che , sia chiaro, e’ un atto politico extra-UE) ha avuto tutta una serie di reazioni fortissime . Perche’ ci si occupa di minareti e non di stipendi?

La verita’ e’ che la UE e’ un ente con le stesse finalita’ del NAFTA: intende garantire dei “serbatoi” di risorse materiali e dei “serbatoi” di risorse umane a disposizione dei paesi forti, e come il NAFTA ha come obiettivo esplicito il profitto di una precisa classe di industriali. Come il NAFTA , ha scelto alcune aree analoghe al Messico , e ha scelto che quelle forniranno gli schiavi ai paesi ricchi.

Oh, certo, la retribuzione che gli italiani trovano in UE sembra una favola. Per ora. Finche’ ne emigrano 90.000 l’anno, va tutto bene. Aspettate che la moda di emigrare all’estero, come desidera Celli, cresca di dimensioni verso una UE che ha la disoccupazione all’ 8% medio, e vedrete che i lavoratori italiani saranno un’arma di ricatto in quei paesi, come Francia e Germania, che offrono stipendi piu’ alti e hanno mercati saturi.

Si dira’ che una misura simile sarebbe impopolare e andrebbe contro molti interessi. Ma questo non e’ stato un problema della UE quando si facevano le quote. Non lo e’ stato quando si e’ demolita l’industria locale degli acciai in Italia. Non lo e’ stato quando si e’ fatto l’Euro. Eppure, si e’ trattato di azioni estremamente invasive, che nessuno mi racconti di un euro “poco invasivo”, di “quote poco invasive” o di “direttive poco invasive”. Moltissime direttive UE sono tremendamente invasive, e nessuno se ne preoccupa. Cosi’ come moltissime direttive sono tremendamente impopolari, e nessuno se n’e’ preoccupato.

La verita’ e’ che non c’entra ne’ la concorrenza dei cinesi ne’ la popolarita’, ne’ l’invasivita’: se la UE non si occupa di armonizzare i mercati del lavoro proibendo leggi infami come quella sul precariato e’ perche’ si e’ scelto in sede politica di operare in questo modo. La scelta e’ POLITICA, e non e’ obbligatoria.

L’europa Unita ha le idee molto chiare su molte cose, e probabilmente ha le idee molto chiare anche sui lavoratori italiani: gli vanno bene schiavi.

Del resto, c’e’ una evidente contraddizione tra queste politiche del lavoro e la proibizione di dare aiuti statali alle industrie locali: da un lato lo stato non puo’ direttamente erogare soldi ad un’industria, dall’altro puo’ semplicemente peggiorare le condizioni di lavoro e di retribuzione, fino a sgravare le imprese di costi.

Qual’e’ la differenza tra le due cose? Non si tratta sempre di una politica che attinge a risorse locali per produrre una competitivita’ artificiale? Perche’ non posso relagare all’industria dieci miliardi di euro in un assegno e glieli posso regalare creando una serie di lavoratori che consumeranno servizi sociali (ospedali, trasporti, polizia, tribunali, formazione scolastica etc) ma non pagheranno le stesse tasse?

Allo stato una categoria di lavoratori sottopagati COSTA. Costa perche’ la persona consuma gli stessi servizi pubblici ma non ritorna pressione fiscale. Questo costo puo’ essere, diciamo , di dieci miliardi di euro l’anno. Adesso supponiamo che anziche’ precarizzare si fossero presi questi dieci miliardi di euro l’anno e si fosse fatto un programma di aiuti all’industria. Che differenza ci sarebbe stata? Nessuna.

Ma la prima delle due cose si puo’ fare, la seconda NO. Questa non e’ una scelta obbligata e NON ci sono ragioni “tecniche” per non farlo: e’ una scelta politica, ovvero la scelta di permettere qualcosa e non l’altra.

Nel precarizzare i giovani e nella politica discendente dei redditi, lo stato italiano sostiene dei costi, cioe’ delle mancate entrate. E queste mancate entrate sono, di fatto corrispondenti a maggiori entrate nelle aziende sotto forma di mancato prelievo fiscale alla fonte. Morale: nel precariato STIAMO dando aiuti pubblici alle industrie. Solo che li stiamo dando sotto una forma che la UE tollera. Per decisione, e per decisione politica.

Da questo punto di vista, quindi, la politica europea c’e', ed e’ chiarissima: se si definisse con chiarezza che qualsiasi politica del lavoro che produca una riduzione della tassazione in volume (e non in percentuale) sia un aiuto di stato all’industria , verrebbe punito il social dumping pianificato. Ma non si fa; e non si fa per scelta politica.

Quindi mi spiace, ma quando “emigrate nel resto dell’europa” in realta’ non state fuggendo alla politica italiana, come credete, ma state seguendo gli interessi e la volonta’ di una precisa politica europea. Non e’ il destino cinico e baro ad aver voluto questo, non e’ la politica italiana; e’ semplicemente una precisa scelta in sede UE; di vietare la tal cosa ma non la talaltra, di vietare gli aiuti all’industria ma NON se consistono nella distruzione del reddito dei lavoratori, che pure e’ un costo per l’erario: formare quei laureati e’ costato dei soldi dello stato, e se poi non tornano tasse sono problemi di bilancio.

Finora l’universita’ pubblica si era giustificata nei costi perche’ i laureati avevano un reddito piu’ alto e quindi l’investimento ritornava sotto forma di tasse. Ma oggi non e’ piu’ cosi’, e i nuovi laureati sono carne da macello , roba da 500 euro al mese lorde in alcune zone del paese. Come giustifichiamo questa spesa? Non sono aiuti alle imprese?

E qualora a fronte di questi costi ne benefici l’erario di un altro paese, ove il nostro laureato emigra, non e’ ancora un costo per lo stato? Che differenza c’e', allora, nel dare aiuti di stato all’impresa?

Allora, lo ripeto: in sede europea si sono fatte scelte precise. Una volta VIETATO che lo stato aiuti le imprese ed una volta VIETATA la svalutazione della moneta , l’unica alternativa per sostenere la concorrenza rimaneva quella di schiavizzare un’intera generazione. Cosa che, guarda caso, NON e’ vietata da nessuna norma UE.

Non si tratta di un caso ne’ del destino cinico e’ baro: la politica NON poteva certo dire “schiavizzateli”, cosi’ ha fatto una cosa diversa. Ha proibito tutte le altre alternative. Proibita la svalutazione, proibita l’inflazione (e cosi’ ogni forma di scala mobile) proibiti gli aiuti di stato, rimangono solo le ultime generazioni da schiavizzare.

Si e’ trattata una scelta politica: se io chiudo qualcuno in una stanza con quattro porte e ne chiudo a chiave tre, non posso dire che non c’entro nulla se la persona passa per l’unica aperta. Certo, “io non mi sono mai occupato di quella porta aperta, non l’ho certo aperta io”. Con questa scusa “noi non abbiamo mai costretto nessuno a togliere diritti ai lavoratori” si giustificano in UE. Ma guarda caso, tutte le altre porte sono state chiuse. Cosi’ come ogni altra politica di rilancio dell’industria e’ stata proibita.

Se alcuni paesi di Europa ancora si sta meglio e’ perche’ si partiva da una situazione piu’ favorevole ancora, e se a noi le cose sembrano migliori, gli abitanti hanno vissuto un peggioramento netto. Certo, c’e’ chi scrive sui blog di quanto si stia bene in confronto in GErmania. Oh, certo. Peccato che non sappiano quanto si stesse bene PRIMA, in Germania, quando l’azienda ti pagava anche dentista e oculista, e contribuiva gli studi dei figli fino all’universita’ se tu eri laureato. Fantascienza? No, e’ stato cosi’ fino a Schroeder.

Quindi, in definitiva il peggioramento e’ avvenuto ovunque: chi aveva di piu’ prima ha, nel confronto, di piu’ oggi, ma TUTTI CI HANNO RIMESSO. E non ci hanno rimesso perche’ lo voleva il destino cinico e baro o perche’ c’erano delle scelte obbligate; ci si e’ rimesso perche’ si e’ SCELTO in sede politica.

Quindi, e’ inutile continuare ad assolvere la UE ed a accusare i governi locali: anche se in alcuni posti si sta ancora meglio, si sta comunque peggio di prima e questo peggioramento e’ dovuto esplicitamente al fatto che si sono VIETATE tutte le operazioni diverse dal peggioramento dei redditi dei lavoratori. A TUTTI i paesi dell’area e’ stato VIETATO di svalutare la moneta, e a TUTTI i paesi e’ stato vietato sostenere la propria industria, ovviamente non rimane che cercare competitivita’ agendo sulle condizioni del lavoro, cosa che si e’ scelto di NON vietare. Risultato: TUTTI i paesi europei hanno i lavoratori in caduta libera : chi cadeva da piu’ in alto ci sembra piu’ fortunato perche’ e’ ancora ad una quota maggiore, ma PRIMA STAVANO MEGLIO TUTTI.

Quindi, signori, invece di credere alla storiella che “sono i governi locali”, sarebbe meglio iniziare a dare ai responsabili di questo le colpe e le punizioni che meritano: se ti occupi di industria non puoi dire che tu vieti gli aiuti di stato ma te ne fotti del mondo del lavoro perche’ e’ questione dei governi locali; o te ne occupi o non te ne occupi, e se te ne occupi sono tutti cavoli tuoi produrre una politica armoniosa. Stranamente, pero’, non si sono vietati gli aiuti di stato alla finanza: se dieci industrie europee rischiano di fallire le si lascia fallire, se dieci banche europee rischiano di fallire le si aiuta: questa non e’ un’incoerenza, in politica non ci sono incoerenze, e’ una SCELTA precisa.

LA SCELTA CHE VI HA RESI PRECARI.

Cosi’, signori, il vostro precariato e’ questo: il risultato di un’europa che ha ingessato l’azione dei governi, ha ingessato l’azione valutaria (1) , con la scusa di combattere una Cina che queste politiche LE FA ECCOME, e adesso l’unica strada aperta sono i costi del lavoro. Si sono chiuse tutte le porte tranne una, e quando gli industriali imboccano l’unica aperta si dice “ma non e’ colpa nostra, noi quella porta non l’abbiamo toccata”. Certo, avete chiuso tutte le altre, tutto qui.

Cosi’, e’ necessario che qualcuno si presenti in UE con precise proposte:

  1. Se si possono aiutare le banche, si possono autare le industrie. Oppure, neanche le banche..
  2. Anche il crollo delle retribuzioni e’ un aiuto di stato perche’ e’ un costo dello stato. Se non si possono dare aiuti di stato, non si puo’ peggiorare lo stato dei lavoratori.
  3. Se un paese come la Cina puo’ svalutare per vendere, la maniera di vincere e’ di farlo a nostra volta. Salire sul ring con le mani legate non ha senso.

E questa, signori, e’ POLITICA: sono proposte politiche che vanno contro le idee politiche della UE, quelle che vogliono una seconda NAFTA, fatte a spese dei soliti sfigati latinos, quelli che nella gerarchia culturale delle razze , molto diffusa negli ambienti nordici, sono catalogate come “cheap slaves”. Italiani compresi.

E quando il “Partito del times” vi suggerisce di lasciare l’italia, vi sta solo dicendo di realizzare, infine, il disegno politico che si e’ scelto.

note

(1) I cinesi di investimenti governativi ne fanno ECCOME, e la moneta la svalutano ECCOME. Perche’ noi non possiamo usare le stesse armi, giustificandoci proprio con la LORO concorrenza?

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