Sindrome irlandese

La crisi economica probabilmente non è finita. Ma forse si comincia a capire come andrà a finire.

L’Irlanda, per esempio.

Ve la ricordate la “tigre celtica”? Il Paese della swinging Dublino degli U2, del quadrifoglio e della birra Guinness che veniva portato ad esempio per noi poveri italioti da giornali e tiggì? Quello che ai giovani sì che dava opportunità? Quella che perfino le tasse sono leggere leggere? Quello che cresceva a ritmi impossibili, sbriciolando record su record e che aveva il Pil - per dirla alla Carcarlo Pravettoni - che continuava ad impennarsi (+6% all’anno dal 1995 al 2007)?

Ce l’avete presente quell’Irlanda lì? Ecco, non esiste più. Svanita, sparita, disintegrata.

La disoccupazione - dati Eurostat alla mano - in un solo anno è quasi raddoppiata: dal 7,2% al 13% (3 punti percentuali in più della media dell’Unione europea). Il Pil nel 2009 scenderà del 7,5%. I conti pubblici stanno esplodendo. E il governo - negli ultimi 18 mesi - ha dovuto tagliare la spesa pubblica di 12 miliardi di euro. Cioè una cifra pari al 7-8% dell’intero prodotto interno lordo (che nel 2008 è stato pari a circa 189 miliardi di euro). Cioè 3.000 euro per ognuno dei cittadini della defunta tigre celtica. Che - per la cronaca - fa solo 4 milioni e rotti di abitanti (meno della metà, per capirci, dei quasi 10 milioni di persone che abitano nella sola Lombardia).

Praticamente, un salasso.

Inevitabile chiedersi cosa sia successo. Ed inevitabile dire che anche in Irlanda - come negli Stati Uniti, in Spagna o nelle sabbie del Dubai - si è seguito un copione consolidato. Come ricordava anche il “Financial Times” giusto mercoledì scorso: l’Irlanda, per dieci anni, ha vissuto un grande boom immobiliare e dei consumi. Tutti, insomma, compravano case, auto e quant’altro. E lo facevano a debito. Poi la bolla - con la crisi - è esplosa. E sono esplose anche le banche (la Anglo Irish Bank, in particolare, è stata completamente nazionalizzata, prima di collassare definitivamente). Di qui il boom della disoccupazione, e il crollo del Pil e dei conti pubblici che ha costretto il governo del primo ministro Brian Cowen a varare una vera e propria cura da cavallo. Prima una sforbiciata da 8 miliardi di euro. Poi un’altra - presentata questa settimana - da 4 miliardi di euro.

Che significherà tutto questo per gli ex tigrotti celitici? Beh, prendiamo in considerazione solo gli ultimi tagli, quelli presentati mercoledì scorso. E cominciamo col dire che a farne le spese saranno innanzitutto i dipendenti pubblici che si vedranno tagliare lo stipendio da un minimo del 5% a un massimo del 20%. Dipendenti pubblici che andranno anche in pensione più tardi (66 anni) e con meno soldi (la pensione non verrà più calcolata sull’ultima retribuzione, ma sulla media degli stipendi percepiti durante la carriera lavorativa). Finita lì? Magari. La voce “Sanità e infanzia” dimagrirà di 400 milioni di euro. Istruzione e ricerca scientifica - last but not least - subiranno un barba e capelli da 134 milioni di euro.

Ma come? E il mantra europeo - qualcuno se la ricorda più la “strategia di Lisbona” e il sogno di Europa 2020? - si diceva: e il mantra europeo che voleva l’innovazione come motore di sviluppo e bla-bla-bla? Ecco quello era buono prima. Ora non più. Ora il mantra si chiama “exit strategy” dalla nuova bolla dei debiti pubblici. Che poi significa tagliare tutto il tagliabile. O - al limite - vendere tutto il vendibile.

E’ il caso della Grecia. Che - altra notizia di questa settimana - ora naviga in acque argentine. Tipo default sul debito pubblico, diciamo. E che potrebbe essere costretta - stando a una ricostruzione firmata da Lucio Caracciolo su Repubblica - a vendere alla Cina il porto del Pireo, il più importante porto per cargo del mediterraneo orientale. Anche perchè da Bruxelles è arrivato un messaggio forte e chiaro: ognun per sè e dio per tutti. Ovvero: la Ue non ha nessuna intenzione, per ora, di mettere mano al portafoglio per aiutare Atene. Di più. Per lunedì, il premier greco dovrebbe presentare un piano di tagli di spesa draconiano. Ed è prevedibile che anche nel Paese del sirtaki verrà adottata la ricetta irlandese. Con buona pace dei sogni sull’inclusione, la piena occupazione e l’innovazione coltivati dalla strategia di Lisbona, appunto.

Dirà qualcuno di voi: vabbè, ma che c’entrano l’Irlanda e la Grecia con la fine della crisi? C’entrano, c’entrano. Perchè la crisi è nata da un eccesso di debito privato - bolle, banche e consumi di cui sopra - che è stato trasformato in debito pubblico. Debito pubblico che sta letteralmente esplodendo in tutti le grande economie occidentali. Europa e Belpaese compresi. Che presto o tardi potrebbero fare i conti pure loro con la ricetta irlandese: tagli e svendita di gioielli di famiglia. Amen.

Un annetto fa, dalle pagine di giornali e tiggì, si ripeteva: “La crisi è anche un’occasione”. Era vero. E ora si comincia anche a capire per chi. E per fare cosa.

http://bamboccioni-alla-riscossa.org/?p=4964

Peronismo all'italiana

Il Giornale di Feltri annuncia la prossima campagna propagandistica del lider maximo. Con quella che chiama una "provocazione", facendo di tutta l'erba un fascio, mettendo insieme indistintamente banche, banchieri falliti, autorità monetarie e organismi finanziari internazionali esorta la maggioranza di governo a mettersi alla guida di una improbabile guerra santa al grido di "il popolo (e quindi l'unto dal popolo) si riappropri della sua sovranità monetaria". A queste pulsioni demagogiche e populiste aveva già risposto egregiamente (giocando d'anticipo) Mario Seminerio. Che dire? Che se non siamo ancora una repubblica delle banane poco ci manca.

MoviSol alle Imprese che Resistono: Serve un nuovo sistema creditizio

12 dicembre 2009 (MoviSOl) - Il segretario generale del MoviSol Andrew Spannaus ha parlato all'incontro del gruppo di PMI che si sono autorganizzate per resistere alla crisi economica, chiedendo azioni concrete dalle istituzioni. Imprese che Resistono cresce velocemente, con imprenditori e artigiani che in gran parte non si sono mai mobilitati in passato, ma oggi vedono sfumare il futuro per le loro aziende e dipendenti.

Alla fine della prima giornata tenutasi al Hotel Leonardo di Milano (link al programma: http://blog.libero.it/pmicheresistono/), Spannaus ha esortato gli imprenditori ad andare oltre le richieste di misure temporanee che servono ad ottenere una boccata di ossigeno nella speranza che la situazione economica migliori entro qualche mese. Serve una riorganizzazione del sistema economico e finanziario come quella proposta da Lyndon LaRouche, se non si vuole continuare sulla stessa strada suicida degli ultimi decenni.

L'intervento di Spannaus è stato interrotto dagli applausi più volte, per esempio quando ha detto che non si può più accettare chi tra politici e accademici ci si rifiuti di abbandonare gli assiomi falliti del vecchio sistema. Si è visto un esempio nella sessione di apertura dell'incontro, quando gli ospiti politici e il moderatore, il giornalista de Il Corriere della Sera Dario Di Vico, si sono trovati di fronte ad una platea di imprenditori arrabbiati e poco interessati ad ascoltare i soliti discorsi politici. Dopo una serie di interventi degli imprenditori arrivati dalla Lombardia, il Piemonte, l'Emilia-Romagna, la Toscana, la Puglia e la Sicilia, i relatori si sono accorti che la situazione stava sfuggendo di mano, e così hanno ripetuto più volte che piuttosto che arrabbiarsi occorre fare "proposte concrete". Ma come ha fatto notare Spannaus nel suo intervento più tardi, le "proposte concrete" servono sì, ma devono essere davvero concrete e incisive; se invece si tratta soltanto di un tentativo di riportare il discorso entro i limiti accettati dai grandi giornali e dall'establishment politico, allora non rappresentano affatto una risposta alla crisi.

Grande interesse è stato espresso per la proposta del MoviSol di una Legge sul Credito Produttivo, per garantire un flusso di credito diretto all'economia produttiva da parte dello Stato. Infatti Imprese che Resistono hanno già chiesto che i fondi inutilizzati dei Tremonti Bond vengano messi a disposizione delle PMI. Spannaus ha suggerito di estendere il principio a livello sistemico: una nuova politica creditizia che favorisca espressamente le attività produttive, con investimenti massicci per l'industria e per i grandi progetti infrastrutturali, insieme al ripristino della separazione tra banche ordinarie (commerciali) e speculative (banche di investimento), all'insegna della legge Glass-Steagall. La discussione continua oggi per mettere a punto una strategia di azione.

Il blog "Mercato Libero" di Paolo Barrai, che è intervenuto nella sessione pomeridiana, ha annunciato l'intervento nel pomeriggio (vedi il blog).

http://www.movisol.org/09news240.htm

La crisi c’è ma non si deve vedere

Economiadi Pietro Salvato
pubblicato il 12 dicembre 2009 alle 11:00 dallo stesso autore - torna alla home

“L’Italia va meglio degli altri”. E’ la risposta automatica di ministri ed esponenti della maggioranza a chi chiede lumi sulla nostra situazione economica. Le cose stanno davvero così? Purtroppo no e vi spieghiamo perché.

Diciamoci la verità, quante volte ci è capitato di ascoltare, magari da un esponente del governo o della maggioranza, la seguente affermazione relativamente allo stato della nostra economia: “L’Italia va meglio degli altri”. In sostanza, questo refrain amplificato dai telegiornali e dalla stampa compiacente (al governo, s’intende) continua a sostenere, che l’Italia si trova in una condizione economica migliore degli altri paesi e che il nostro paese ha affrontato la crisi e ha reagito ad essa meglio di altri. Allo stesso tempo, si sostiene che la recessione italiana dipende essenzialmente dal crollo della componente estera della domanda: l’Italia, insieme alla Germania – si dice – è un paese con forte presenza di industria manifatturiera con produzione destinata alla esportazione; il crollo del commercio mondiale, di conseguenza, ha creato ripercussioni negative sui livelli di attività. In conclusione, secondo questo teorema, assurto però per bocca del governo quasi ad assioma, l’Italia è in condizioni di affrontare la ripresa meglio degli altri paesi.

LA SOLITUDINE DEI NUMERI… - Le cose, in realtà, stanno piuttosto diversamente e i motivi di preoccupazione per l’economia italiana sono molto forti. In proposito, basta considerare pochi dati. Consideriamo, per esempio, i tassi di crescita realizzati e previsti per il periodo 2008-2010 in alcuni paesi. Da essi si possono ricavare alcuni interessanti elementi di valutazione. Per prima cosa emerge che nel triennio considerato l’Italia è il paese che subisce maggiormente la crisi, a causa di una riduzione del Pil già nel 2008 (-1%), un calo del –4,8% nel 2009 e nonostante una ripresa “supposta” dell’1,1% nel 2010. Inoltre, sempre dai dati ricavati dagli ultimi outlook dell’Ocse e dal bollettino del Fondo monetario internazionale (Fmi), l’Italia fa peggio del Giappone, della Spagna, del Regno Unito, paesi notoriamente molto colpiti dalla crisi. Tra i grandi paesi europei è quello che ha il risultato peggiore: Regno Unito: -2,9; Francia: -0,6; Germania: -2,5; Spagna: -3,0. Nell’area euro solo l’Irlanda ha un risultato peggiore: –12,8. L’Italia crolla più dei paesi dell’euro: -2,6%, e dei paesi Ocse: -2,2%; nel suo complesso l’Europa fa peggio, molto peggio, degli Stati uniti, che pure sono stati l’epicentro della crisi: +0,4 rispetto a -2,6; indice del fatto che le politiche espansive e di contrasto della crisi poste in atto in America sono state molto più consistenti ed efficaci di quelle europee, non coordinate, insufficienti, o come nel caso italiano del tutto assenti.

UN’ANALISI COME NESSUNO VE LA PRESENTA - Inoltre, contrariamente alla vulgata mediatica fatta circolare artatamente dai dicasteri economici del governo Berlusconi, la caduta del Pil dell’Italia non è per niente dominata dalla caduta della domanda estera, al contrario. Infatti, i dati relativi ai primi 6 mesi del 2009 mostrano che nell’area dell’euro la recessione è dipesa per i due terzi 2/3 (67%) dalla caduta della domanda interna e per un terzo 1/3 dalla riduzione della esportazioni. In Italia, le proporzioni risultano rispettivamente tre quarti 3/4 (75%) dalla caduta della domanda interna e per un solo quarto 1/4 dal calo delle esportazioni. In sostanza, in Italia gli investimenti e soprattutto i consumi sono crollati ben più delle esportazioni. Questo sì che è un motivo di seria preoccupazione, accentuata, se possibile, dal fatto che già nel 2008 l’Italia ha mostrato una diminuzione del Pil di un punto percentuale dovuto per più del 100% (124%, per la precisione) al crollo della domanda interna, dal momento che invece il contributo netto alla crescita della bilancia commerciale è stato positivo. In poche parole, anche in questo periodo di crisi si conferma che i problemi dell’economia italiana sono seri e strutturali, e che ben difficilmente potremo fare affidamento su una ripresa rapida e sostenuta. Al contrario, il tasso potenziale di crescita dell’Italia è ormai prossimo allo zero. Con questa realtà dovremmo fare i conti nei prossimi mesi e forse anche nei prossimi anni. Ma proprio questa realtà imporrebbe scelte serie e, in ogni modo, diverse rispetto a quelle, per esempio, introdotte nella manovra Finanziaria lite 2010, ormai prossima ad essere licenziata (quasi sicuramente con l’ennesimo voto di fiducia) dalla Camera dei deputati.

IL LAVORO CHE NON C’È – Secondo una minuziosa analisi dell’economista Antonio Misiani dell’istituto Nens la crisi economica del 2008-2009 sta provocando in tutta Europa un forte deterioramento di tutti gli indicatori occupazionali. L’occupazione è in netto calo, e l’Italia non si discosta da questa tendenza. Per quanto riguarda la posizione nella professione, particolarmente marcata (in Italia più che in Europa) è la riduzione degli occupati indipendenti e dei dipendenti a tempo determinato. Reggono meglio l’impatto della recessione i dipendenti “standard” a tempo indeterminato. La crisi ha investito innanzitutto i settori produttivi maturi, e ciò si è puntualmente riflesso sugli andamenti del mercato del lavoro: il calo degli occupati si è concentrato nell’industria in senso stretto, nelle costruzioni e nel commercio, lasciando (relativamente) indenne il resto dell’economia. Il tasso di disoccupazione ha subito un aumento generalizzato: più accentuato per i maschi, gli stranieri, i giovani ed i lavoratori con istruzione medio-bassa; inferiore alla media per le donne e i lavoratori nazionali. L’Italia ha generalmente registrato dinamiche simili a quelle europee, con alcune significative eccezioni: Innanzitutto le forze di lavoro sono diminuite (occupati più persone in cerca di occupazione). Questa dinamica, territorialmente concentrata nel Mezzogiorno, è evidentemente legata ad un forte effetto di scoraggiamento dell’offerta di lavoro: nei territori (il Sud) e nelle fasce sociali più deboli (le donne, i giovani, i lavoratori meno istruiti) la crisi economica ha indotto molti più all’inattività che alla disoccupazione. Va ricordato come l’Istat considera “in cerca di occupazione” (ovvero disoccupato) chi ha compiuto almeno un’azione attiva di ricerca di lavoro nei trenta giorni precedenti l’intervista. E’ invece classificato come “inattivo” chi non fa parte delle forze di lavoro, ovvero chi non è occupato o in cerca di occupazione. La crescita della disoccupazione è stata (apparentemente) più limitata rispetto all’Europa. Un primo fattore che può spiegare questa dinamica è la diminuzione dell’offerta di lavoro, che non ha riscontro in Europa. Nel nostro Paese, con la crisi, una quota rilevante di lavoratori ha abbandonato la ricerca attiva di occupazione, gonfiando lo stock degli inattivi e non quello dei disoccupati. Senza l’effetto “scoraggiamento” la disoccupazione sarebbe aumentata molto di più. Se, per esempio, nel Sud le forze di lavoro non fossero diminuite, il tasso di disoccupazione sarebbe stato di oltre 4 punti più alto nel Mezzogiorno e di oltre 1 punto nella media nazionale. Il secondo fattore rilevante è l’impennata del ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni (CIG), un istituto pressoché assente negli altri Paesi europei. In base ai dati Inps (corretti per tener conto dell’effettivo utilizzo delle ore autorizzate) nel secondo trimestre 2009 la CIG ha interessato 320 mila occupati equivalenti (1,3% delle forze di lavoro), a fronte delle 85 mila dello stesso periodo del 2008 (0,3% delle forze di lavoro). Davanti a queste gelide cifre, dietro cui si nascondono però le storie, le vicende e purtroppo anche i drammi di centinaia di migliaia di persone, è davvero difficile giocare. Noi, almeno, non ce la sentiamo.

http://www.giornalettismo.com/archives/44090/la-crisi-c%e2%80%99e-ma-non-si-%e2%80%9cdeve%e2%80%9d-vedere/

L'ONU, IL FMI, LA BANCA MONDIALE E LA UE SONO DESTINATE AL FALLIMENTO

Data: Venerdì, 11 dicembre @ 21:25:00 CST Argomento: Geopolitica DI BENJAMIN FULFORD benjaminfulford.typepad.com Lo spostamento verso l'Asia del centro di gravità della finanza globale, implica che l'ONU, il Fondo Monetario Internazionale (FMI), la Banca Mondiale e l'Un. Europea (UE) siano tutte istituzioni col destino segnato. Ciò inizia già ad apparire sotto la forma di telefonate di alto livello, sempre più disperate, provenienti da queste istituzioni con la richiesta di denaro asiatico. Viene loro risposto di no perché tutte queste istituzioni sono corrotte e hanno inflitto dolore e sofferenza a molti popoli in tutto il mondo. Avremo bisogno di sostituire queste istituzioni con altre completamente nuove, costruite da zero. I cinesi vorrebbero avere una nuova ONU che sia ospitata in Laos. E' anche probabile che molti confini coloniali arbitrari verranno ridisegnati a seguito di questa mossa. Hong Kong sostituirà la City di Londra come maggior centro finanziario mondiale. I cinesi hanno anche già sostituito la Banca Mondiale come maggior prestatore di aiuto ai paesi in via di sviluppo. Una istituzione completamente nuova sta per essere costruita in Giappone per sostituire il FMI. I Paesi occidentali saranno sempre più messi da parte e tagliati fuori dal flusso globale del commercio, sino a che non fermeranno la loro bellicosità insensata e senza fine. Però, appena l'occidente avrà espulso dal suo corpo politico la cerchia malvagia che lo infetta, potrà usare la sua superiore potenza scientifica e tecnologica per il superiore bene dell'umanità e del pianeta. La liberazione di tutto il sapere scientifico soppresso darà inizio ad una nuova era di scoperte e meraviglie. Inoltre, dato che non sappiamo ancora cosa c'è là fuori nell'universo, la superiore capacità militare occidentale verrà usata per proteggere il pianeta da qualunque emergenza. Presto vivremo tutti su di un pianeta molto più bello! Titolo originale: "The UN, the IMF, the World Bank and the European Un. are all doomed" Fonte: http://benjaminfulford.typepad.com Link 02.12.2009 Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ALCENERO
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Lo Schema della Rapina

  • 19:25 12/12/09
  • Una delle buone notizie che hanno tenuto su i mercati è che il governo USA ha annunciato che (grazie al rialzo delle borse) la perdita stimata sul salvataggio delle banche è scesa da 340 miliardi a 140 miliardi di dollari "The administration is now projecting the losses to the government from the bailout program will be around $141 billion - $200 billion less than it estimated two months ago..." Prego fermarsi un attimo. Qualche mese la perdita era 360 miliardi, facendo salire la borsa e tenenendo i tassi a zero ora le banche sono salite di valore e guadagnano la differenza tra 0% e i tassi sui mutui e altro dal 5% in su. E quindi il valore delle partecipazioni del governo risale e le banche ripagano parte dei soldi. Era quindi essenziale fare risalire le borse diciamo Sempre ieri il Tesoro USA ha riconosciuto ufficialmente di aver perso 61 miliardi di dollari SOLO per AIG Chrysler and General Motors finora. Giovedì Paul Volcker ha detto che l'innovazione finanziaria degli ultimi 15 anni è stata di valore zero per l'economia, solo il bancomat è un innovazione finanziaria che ha dato benefici. Ha detto che i profitti del settore finanziario sono saliti dal 2% al 6% del PIL, ma questo non riflette un valore aggiunto, ma solo "il fatto che i banchieri erano pagati molto di più", cioè il fatto che le banche pesassero per il 40% circa come profitti in borsa nel 2007 a solo un 10% nel 1970 non riflette un maggiore valore aggiunto fornito ma solo l'arricchimento dell'elite finanziaria A distanza di un anno, passato il caos iniziale del crac finanziario, piano piano parecchi americani si stanno rendendo conto che è avvenuta la maggiore rapina della storia. Sia nei media che al Congresso ogni giorno hai nuovi attacchi alla FED e Tesoro, specialmente sul caso più clamoroso il salvataggio di AIG con soldi pubblici, per salvare indirettamente Goldman Sachs e altre banche dedite alla speculazione. Qualcuno sta insistendo ora di avere un audit della FED e hai sempre più gente come Volcker o Elizabeth Warren che dicono, in poche parole, che i banchieri e top manager di Wall Street (quelli che diversi commentatori chiamano "Banksters" per la rima con "Gangsters" hanno rubato miliardi nel senso che sono dei parassiti, che fanno le stesse cose del 1970 ma guadagnando 10 volte tanto personalmente e poi creando un buco colossale che lo stato ripaga ora Questo è uno schemino che riassume come ha fatto la maggiore assicurazione del mondo, AIG, ad andare in bancarotta e a richiedere 80 o 100 miliardi di denaro pubblico. In pratica speculava sul debito cartolarizzato immobiliare e con lei speculavano le maggiori banche internazionali, ma tutti questi passaggi che vedi SONO TOTALMENTE INUTILI, PER FARE UN MUTUO BASTA UNA BANCA E UN MUTUATARIO !. Qui invece avevi che 1) il mutuo lo creava un "broker" freelance 2) lo passava a Countrywide (grafico), che non è una banca, 3) Countrywide lo passava a Goldman Sachs (grafico) o Merril Lynch queste lo mischiavano e reimpastavano e 4) Goldman Sachs o Merril Lynch rivendevano il mutuo trasformando in derivato su un pool di mutui sul mercato a Unicredit, Soceiete Generale, BNP. Royal Bank of Scotland Group (grafico) o ABN Amro. 5) AIG che è un assicurazione offriva assicurazione su questo debito cartolarizzato 6) per piazzare i suoi prodotti passava per Goldman Sachs (grafico) che si assumeva il rischio da SocGen o Abn Amc e comprava assicurazione con AIG Se qualcuno di voi ha capito esattamente perchè di tutti questi passaggi e come funzionano alza la mano. Ma non occorre capirli perchè sono complicatissimi nei dettagli. Basta vedere i risultati finali dopo 10 anni che mostrano che era sostanzialmente lo schema di una truffa, uno schema di ponzi a) AIG, Lehman, Bear Sterns, Merril Lynch, RBS e altre banche inglesi, olandesi, belghe e tedesche sono fallite e altre banche hanno accumlato perdite pari al PIL della Germania b) lo stato ha tappato il buco in vari modi c) i top managers e gli investitori nel debito di queste banche hanno intascato miliardi
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