USCIRE DALLA GABBIA

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Quando siamo nella fine di un ciclo economico grande come questo, è veramente difficile rimanere saldi e centrati. Ogni parametro salta, ogni certezza svanisce e tutto sembra crollare intorno a noi.

La politica si sta disintegrando e non parliamo solo di quella italiana, l’economia si sgretola mentre la religione che avrebbe dovuto darci solidità, conforto e speranza, vacilla sotto i colpi imponenti delle debolezze umane.

Ogni cosa è diventata la caricatura di se stessa e tutto viene a galla senza filtri mostrandosi per quello che forse è sempre stato, ma che era nascosto da un velo che oggi è scomparso repentinamente e in modo traumatico. Possiamo dire che alla fine di un ciclo come questo, tutto viene portato alla superficie per essere analizzato, trasformato e lasciato andare per essere ricostruito.

Un ciclo che è partito alla fine dell’ottocento e che oggi sta esalando gli ultimi respiri per lasciare spazio al nuovo che verrà, ma solo dopo che il vecchio si sarà esaurito.

Questa, lo abbiamo detto moltissime volte, non è una crisi come le tante altre che periodicamente hanno accompagnato la nostra esistenza, è una crisi sistemica[1]che cambierà completamente il mondo così come noi oggi lo conosciamo. Lo sappiamo, sono parole forti, ma questa è la realtà dei fatti e non possiamo che prenderne atto e cercare insieme di affrontare nel migliore dei modi questo momento di metamorfosi collettiva. Tra l’altro, ma la cosa certamente non consola, questo è uno dei tanti stravolgimenti avvenuti nel tempo[2], la differenza è che oggi coinvolge tutto il mondo e non una città o una nazione come accadeva in passato!

Il disorientamento che deriva dalla perdita di ogni riferimento conosciuto è normale, ogni cosa diventa difficile da interpretare e le azioni che funzionavano nel passato oggi danno più gli stessi risultati perché non sono più in armonia con il momento. Allora è facile che prenda un senso di panico e di sbandamento, ci si può abbandonare a pensieri neri sul futuro o addirittura non farcela ad affrontare la durezza di questo periodo[3].

La cosa non facile da capire è che siamo immersi in una grande illusione dove regnano scarsità, sofferenza e sopraffazione. Il matrix creato ad arte per mantenere le persone in un continuo stato di prostrazione e schiavitù di cui la pubblicità dell’Ikea offre una attenta rappresentazione

Le sbarre di questa prigione sono immateriali costruite sull’inganno legato al debito legato alla creazione di moneta che condiziona nel lungo periodo qualsiasi nostra azione e che porta sempre ed inesorabilmente al crollo del sistema per essere ricostruito diverso, ma con le stesse regole dell’altro. Un piccolo elemento, il debito, che ci porta nell’inferno della scarsità artificiale e ci inchioda a comportamenti innaturali, l’homo homini lupus di Hobbes.

Tra un crollo ed una ricostruzione abbiamo però una opportunità unica data dalla finestra temporale che si sta aprendo e che va dal crollo del vecchio carcere alla costruzione del nuovo penitenziario. In questa finestra noi, consapevoli di cosa sta accadendo, possiamo spiegare a chi è disorientato cosa sta accadendo e insieme procedere alla costruzione di un modello completamente nuovo che possa aiutare in questo difficile passaggio collettivo e ci eviti di tornare in rinchiusi in una nuova cella.

Ovviamente non potendo gestire le leve del potere, dobbiamo riversare le nostre energie creative nella ricostruzione delle nostre economie locali, sostenendo le imprese strategiche per il territorio e creando circuiti virtuosi che creino ricchezza e cultura nuova. Sembrerà strano, ma questo ha una potenza di trasformazione incredibile e permette alle persone di collaborare e aiutarsi reciprocamente infondendo una visione totalmente diversa e positiva.

Una delle risorse maggiori del sistema che impedisce di uscire dalla nostra cella è proprio il senso di solitudine che aumenta nei periodi in cui tutto intorno inizia a crollare. Il collaborare insieme e ricostruire le comunità locali, porta a indirizzare tutte le energie nel costruire invece che alimentare la distruzione, che come vediamo va da sola e non ha bisogno certo del nostro aiuto. Si costruisce in questo modo una rete di salvataggio e si creano le basi per un nuovo sistema più equo e basato sulla solidarietà reciproca. Se poi si mettono in rete queste esperienze il risultato viene amplificato esponenzialmente. L’unione e l’aiuto reciproco sconfigge la solitudine e fa uscire dalla cella.

Naturalmente c’è un modo per fare tutto questo per cui servono professionalità che si mettano al servizio del nuovo incondizionatamente e senza aspettative di ritorno immediato. Questo per fortuna sta accadendo con il mondo di Arcipelago SCEC che sta lavorando da anni alla ricostruzione delle comunità locali, economiche e sociali, ormai in 11 regioni. In molti territori può contare anche dell’aiuto prezioso di quella politica ancora sana in alcuni comuni e province e del sostegno di enti, scuole. A Crotone ad esempio, una delle province più disastrate e considerate “profondo sud” dai rapporti economici, stiamo attuando un progetto che vede in prima fila le scuole professionali dove abbiamo svolto un programma di formazione per la costruzione di un sistema di produzione, trasformazione e distribuzione delle produzioni locali, a partire proprio dall’agricoltura, che permetterà di dar vita, speriamo prestissimo, ad un Emporio gestito da alunni appena diplomati sotto il nostro coordinamento, dove si trasformeranno e si venderanno solo prodotti locali in un ambito di creazione di cultura, collaborazione e nuovo modo di fare impresa dando così nuovo vigore alle produzioni locali che trovano il primo sbocco proprio nella comunità locale.

Se Crotone è in prima fila, segue a ruota la zona di Cerveteri (Roma) dove il comune ha deliberato il supporto al progetto di Arcipelago SCEC e ci sono i corso ottimi contatti con gli altri comuni limitrofi per dare vita ad un piano di sviluppo territoriale intercomunale. La stessa cosa sta avvenendo in Toscana dove la collaborazione con il comune di Capannori, all’avanguardia per la raccolta differenziata e le energie rinnovabili, sta dando ottimi frutti e salendo più su in Emilia dove ci sono già contatti con vari comuni, uno di questi è il comune di Monteveglio (Bo) il primo comune in Transizione[4]e in Abruzzo con il comune di Pescara, che anche lui ha deliberato il supporto ai progetti di Arcipelago.

Senza contare che la Solidarietà ChE Cammina, lo SCEC, sta mobilitando centinaia di attivisti che quotidianamente lavorano alla costruzione di un modello nuovo di vita in comune. Il concetto è che se risani la piccola cellula, in questo caso l’economia locale, si risana anche il grande organismo di cui questa cellula fa parte. Non si può sapere dove questa strada ci porterà, ma sappiamo che dove le persone iniziano a lavorare insieme si crea quella giusta dose di ottimismo e solidarietà che permette di superare i momenti bui che sono appena iniziati.

Il ruolo del governo nella crisi finanziaria

“È colpa del mercato, dagli allo speculatore, è la deregulation,” questa la litania di scuse recitata dai veri responsabili della crisi ormai quotidianamente. Purtroppo, a causa del noto principio “ripeti abbastanza a lungo una bugia e si trasformerà in verità,” il concetto è piuttosto diffuso ad ogni livello, come se l'intervento di governi e enti sovranazionali non permeasse profondamente ogni anfratto dell'economia condizionando ogni piccola azione umana. È incredibile se ci pensate: basta aprire un giornale a caso o accendere la tv per trovarsi investiti da un turbine di banchieri centrali che stampano moneta, finanziarie, piani di salvataggio, ministri del tesoro e dell'economia, politiche economiche e sociali, grandi opere, sussidi, sovvenzioni, incentivi, strabilioni di euro e di dollari che si spostano ad un gesto del legislatore come le acque del Mar Rosso di fronte a Mosè, e tutto quello che ci sanno dire – che non hanno vergogna di dire – è che la colpa è del mercato sregolato! Ecco allora un significativo contributo di Kevin Carson per cercare di riportare un po' di verità e buonsenso nel dibattito e fare così luce sulle responsabilità primarie di una delle più gravi recessioni della storia. ___________________________ Di Kevin Carson George Soros sta progettando di aprire un istituto di economia all'Università di Oxford – con lo scopo, apparentemente, “di allontanare la disciplina dai campioni del mercato libero e della deregulation che, così crede il finanziere miliardario, hanno la colpa della crisi economica globale.” È frustrato “dal modo in cui i mercati finanziari globali lavorano sulla premessa che i mercati possono essere lasciati ai loro meccanismi.” Ian Goldin, direttore della James Martin 21st Century School, ha applaudito questa mossa considerando che “avrebbe allargato il dibattito.” Dobbiamo allargare il dibattito, benissimo. In particolare, dobbiamo allargarlo oltre i due lati – i neoliberali e i “progressisti” – secondo i quali il capitalismo finanziario globale che abbiamo avuto negli ultimi decenni era “un mercato libero.” Tanto per cominciare, il mercato delle assicurazioni sui mutui è quasi interamente una creazione del governo federale. Prima che i federali creassero Freddie Mac per garantire i MBS (Mortgage-Backed Securities), questi erano evitati come troppo rischiosi dalla vasta maggioranza degli investitori. Sino a quel momento, i derivati erano pricipalmente obsoleti investimenti in futures di materie prime usati dagli agricoltori come forma di assicurazione contro un crollo catastrofico dei prezzi. Ai sensi dell'accordo di Basilea II, che è entrato in effetto nel 2004, un mutuo ipotecario diretto di una banca locale per un cliente con una soddisfacente stima del credito comporta una valutazione di rischio del 35%. Un'assicurazione su un mutuo, dall'altro lato, comporta una valutazione di rischio di soltanto il 20%. Così i requisiti di riserva erano fissati più in alto per i mutui in mano all'originaria banca di emissione (che ha “richiedeva conoscenza locale,” come precisa Sheldon Richman) rispetto ai MBS comprate da altre banche. Il minore requisito di riserva per i MBS significava che una maggiore quantità di denaro era disponibile per essere prestata contro una riserva data, il che ha fornito alle banche un forte incentivo a vendere i propri mutui il più rapidamente possibile ed investire sui MBS. Per dirla con Les Antman, “Basilea II ha virtualmente imposto alle banche di vendere i loro prestiti se volevano rimanere competitive.” Ma il ruolo del governo è molto più a monte. Comprende l'intervento del governo per imporre il diritti di proprietà artificiali che hanno reso la terra e il capitale artificialmente limitati e costosi relativamente alla forza lavoro e quindi l'indebolimento del potere contrattuale del lavoro. Comprende politiche di governo per incoraggiare la produzione di massa centralizzata e onerosa per mezzo di costosi macchinari specifici piuttosto che una produzione decentralizzata che integrasse versatili macchinari elettrici con i metodi dell'artigianato. Comprende politiche che promuovono l'iper-accumulazione di capitale e la cartellizzazione dei mercati, al punto che l'industria della produzione di massa non riesce a smaltire i propri prodotti in un mercato libero. È stato a causa di questi precedenti interventi che abbiamo una classe plutocratica con enormi quantità di denaro investito, ed una scarsità di opportunità d'investimento vantaggiose. In un'economia con una più larga distribuzione della ricchezza ed una capacità produttiva decentralizzata, dove la capacità della produzione è stata determinata dalla richiesta locale e da un più alto livello di potere d'acquisto per i lavoratori, la maggior parte delle precondizioni per la nostra FIRE (Finance, Insurance, and Real Estate: Finanza, Assicurazioni, Beni Immobili, ndt) economy gonfiata non sarebbero neppure esistite.
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La prossima Grecia si chiama... New York.

Mag 1014

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Pubblicato da Debora Billi alle 12:56 in Finanza

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Dite la verità: tutti a pensare che il prossimo a cadere, dopo la Grecia, sarebbe stato il già traballante BelPaese. E invece pare di no, almeno secondo il Business Insider. La prossima Grecia potrebbe benissimo essere New York, ed ecco i motivi:

- Da quasi 2 mesi, l'amministrazione comunale opera su piani di spesa settimanali.

- Il governatore lascerà a casa tutti gli impiegati pubblici per un giorno a settimana, fino a quando i sindacati non cederanno sui tagli ai salari.

- I sindacati intanto ricorrono al tribunale, che sospende il provvedimento.

- New York ha un deficit di 9.2 miliardi di dollari per l'anno fiscale in corso.

- Il governatore ha rimandato l'erogazione dei fondi ai distretti scolastici da Marzo a Giugno, per un totale di 2 miliardi di dollari.

- Ben 899 funzionari pubblici prendono uno stipendio superiore a quello del governatore.

- New York non può licenziare nessun dipendente statale fino al 2011, grazie ad un accordo raggiunto in cambio di riduzioni sulle pensioni.

- Il debito a lungo termine è molto pesante: 120 miliardi di dollari in pensioni e assistenza che non hanno fondi.

-Più di 1000 insegnanti in pensione ricevono pensioni che superano i centomila dollari l'anno.

- I dirigenti ammettono: New York ha fatto sparire miliardi di dollari in trucchi di bilancio e fiscali, e ora ha perso le tracce della vera entità del debito.

- Tagli di budget draconiani ricadranno sulla chiusura di 55 tra parchi pubblici e siti storici.

- Il sindaco dovrà tagliare 11.000 posti di lavoro comunali.

- Lo scorso lunedì migliaia di cittadini hanno manifestato contro i licenziamenti (nella foto).

- A differenza della nazione, New York non può stampare moneta per tamponare il debito.

- I newyorkesi danno la colpa al resto del Paese: pagano 1,23 dollari di tasse per ogni dollaro ricevuto indietro in termini di servizi.

Beh, a questo punto continuare a sostenere che "certe cose succedono solo in Italia" potrebbe persino configurarsi come pensiero positivo...

http://crisis.blogosfere.it/2010/05/la-prossima-grecia-si-chiama-new-york.html

IL PEGGIO ALLE SPALLE.....

Infermiera senza stipendio si svenava per protesta Morta dopo tre giorni di coma

Napoli, si conclude in tragedia l'eclatante protesta di Mariarca Terracciano, 45 anni, che per giorni si è prelevata 150 mg di sangue. Lunedì si era sentita male: non si è mai ripresa

Mariarca Terracciano, l'infermiera morta a Napoli (Ansa)
Mariarca Terracciano, l'infermiera morta a Napoli (Ansa)

Roma, 14 maggio 2010 - Si conclude in tragedia la protesta-choc di un’infermiera dell’ospedale San Paolo di Napoli. Mariarca Terracciano, 45 anni, per giorni si è prelevata 150 mg di sangue al giorno per protestare contro il mancato pagamento dello stipendio nella Asl 1 di Napoli, e lunedì scorso, come riferisce il quotidiano ‘Il Mattino', ha avuto un malore, è finita in coma e dopo tre giorni si è spenta.

La protesta della donna era iniziata il 30 aprile ed era comparsa anche su YouTube, dove l’infermiera per rendere più eclatante il suo gesto si era ripresa con la siringa al braccio nell’atto del prelievo del sangue. "Lo stipendio è un diritto - dice la donna nel video su Youtube - io ho lavorato e pretendo i miei soldi. Può sembrare un gesto folle, ma voglio dimostrare che stanno giocando sulla pelle e sul sangue di tutti".

Il 3 maggio, finalmente, le erano stati pagati gli arretrati, ma il suo fisico minuto non ha retto, e pochi giorni dopo si è sentita male mentre era al lavoro in ospedale, finendo in rianimazione e morendo tre giorni dopo. La Asl 1 di Napoli aveva pagato in ritardo gli stipendi di aprile per mancanza di fondi, e la vertenza si è sbloccata grazie all’intervento diretto del presidente della Regione Campania Stefano Caldoro. Matriarca lascia due bambini, di 10 e 4 anni.

http://quotidianonet.ilsole24ore.com/cronaca/2010/05/14/331805-infermiera_senza_stipendio.shtml

La crisi è devastante

di Jacques Attali - 14/05/2010 Fonte: L'Unità [scheda fonte]
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Finché c’è vita c’è speranza, per dirla alla Alberto Sordi. Ciononostante anche se non tutto è perduto siamo messi male e non ce ne rendiamo conto come dovremmo. A partire da noi europei, cittadini, governanti, élites, almeno a leggere Sopravvivere alla crisi dell’intellettuale francese Jacques Attali. Il quale, se deve indicare un film che rispecchi il suo pensiero sul nostro oggi fosco e turbolento, indica Blade Runner , capolavoro di Ridley Scott tratto da un romanzo di Philip K. Dick che immagina un futuro cupo, devastato nell’ambiente e nelle relazioni umane, e che solo nella prima versione tagliata e piegata al mercato prefigura una possibile speranza. Di Attali l’editore Fazi ha appena dato alle stampe il suo saggio-pamphlet Sopravvivere alla crisi . Conferenziere, giornalista, considerato una delle menti più brillanti d’Europa, già primo presidente della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, già alla guida della Commissione per la liberazione della crescita nel governo Sarkozy e al contempo direttore della Ong per il microcredito nei paesi in via di sviluppo Planet Finance, questo intellettuale sempre di corsa nel libro uscito in Francia nel 2009 scrive, sulla scorta del quasi crack finanziario mondiale, che la crisi non è finita, che nessuno può ritenersi in salvo. I fatti della Grecia sembrano avergli dato ragione. Ne parla dal suo studio parigino con la scure dei minuti a scandire il tempo della conversazione telefonica. Professore, a suo parere come si stanno comportando i paesi europei di fronte a quanto accade ad esempio in Grecia? «Il fatto è che in Europa la gente e gli Stati non vogliono valutare cosa accade, i governi non vogliono sembrare pessimisti, ma non ci rendiamo conto del pericolo e della sua gravità, non lo si vuole vedere». In un passaggio del libro lei muove un’accusa dura all’Unione Europea: non dispone di creatività sufficiente per fronteggiare le sfide attuali. «Sì, perché non facciamo abbastanza innovazione, non ce ne occupiamo e non ci investiamo a sufficienza, non c’è innovazione ad esempio nel rapporto tra università e aziende e non vengono prese decisioni per sviluppare la crescita. C’è un difetto di creatività, col che intendo che manca un modo nuovo di porsi di fronte a situazioni nuove». A suo giudizio l’Unione europea attraverso l’Euro sta proteggendo in misura adeguata i paesi membri da un collasso? «Sono convinto che fin quando non avremo un ministro delle finanze europeo che possa controllare le tasse, fino a quando la banca centrale non avrà un ministro che possa esercitare il controllo adeguato, l’euro sarà una moneta fragile». In un passo del suo saggio lei scrive che in situazioni estreme e di pericolo per la sopravvivenza è legittimo opporsi anche con mezzi illegali. Ad Atene ci sono stati scontri. Prefigura moti violenti? «È bene chiarire che sono contrario a qualsiasi violenza, che non penso sia giusto reagire violentemente. Ma il fatto è che tutti, il governo, i cittadini greci, sono stati in qualche modo truffati, anche il governo greco dovrebbe essere infuriato». Sempre dal suo saggio: lei sostiene che ognuno di noi dovrà affrontare i problemi da solo. Però, per restare alla Grecia, se Atene si salverà sarà grazie al soccorso europeo. Questo non la contraddice? «No. La Grecia doveva risolvere il problema da sola, non fare troppi debiti, se avesse agito così in modo corretto non saremmo ora qui a discuterne. E nel futuro non può sperare in una seconda chance perché non l’avrà. Non ci si può aspettare aiuti da altri, un supporto dall’esterno, perché la crisi c’è, è innegabile. Neppure l’Italia è lontana da una “lista” di crisi». Perché l’Italia? «Perché il vostro paese, come la Spagna, ha molti, troppi debiti, e dovrebbe impegnarsi per diventare credibile». Possiamo farcela? «Avete tutti i mezzi e le risorse per uscire dalla crisi, serve che abbia un governo sufficientemente forte e che si renda conto che non stiamo affatto uscendo dalla crisi. A mio parere il governo italiano, ma anche l’opposizione e l’opinione pubblica, sono troppo ottimisti, nel senso che non c’è piena consapevolezza della situazione». Però ad Atene, come accade quasi sempre, chi paga lo scotto più caro e sulla propria pelle sono i ceti più popolari e chi ha meno garanzie. Non è ingiusto? «Quando una nazione ha un deficit eccessivo perché spende troppo tutti dovrebbero pagare ma in modo equo. E tutti dovrebbero pagare sempre le tasse. Il dramma autentico è che questa generazione ha speso troppo, ha speso i soldi della prossima generazione». A suo parere le innovazioni e le ricchezze saranno gestite sempre più spesso in modo autoritario. Considera le democrazie a rischio? «No, tutt’altro, non penso che le nostre democrazie siano in pericolo. Anzi, non solo le giudico sufficientemente forti ma credo che questa crisi le renderà più forti e che il Parlamento europeo alla fine ne uscirà o potrà uscirne rafforzato». Trasformare le minacce in opportunità: è quanto lei auspica nel libro. Scusi, ma come, in che modo? «È importante e anzi essenziale vedere una minaccia quando non la si può evitare. Solo ora iniziamo a capire, nel nostro mondo, che siamo minacciati. Faccio un paragone calcistico: è come una partita, se non sai la forza dei tuoi avversari perdi perché non puoi prendere le contromisure, se invece sai quanto sono forti puoi studiarli e prepararti e allora potrai vincere il match». Se dovesse indicare un libro che rispecchia il suo pensiero, che titolo darebbe? «Il mio». E un film? «Blade Runner, il film di Ridley Scott». Fonte: www.unita.it
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S'avvicina il flamenco

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Scritto da Davide Giacalone
venerdì 14 maggio 2010
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Libero - Non balliamo il sirtaki, ma già si sentono vicine le nacchere del flamenco. Gli spagnoli tagliano del 5% gli stipendi dei dipendenti pubblici, bloccando gli altri e le pensioni. Hanno un debito pubblico che, in rapporto al prodotto interno, è di poco superiore alla metà del nostro, ma scontando un deficit doppio, che risente dei soldi spesi per fronteggiare la crisi, mentre noi mostravamo al mondo il braccino corto. Anche in Italia, oramai, si ragiona esplicitamente di blocco degli aumenti per i dipendenti pubblici e tagli alla spesa. In quanto alla diminuzione della pressione fiscale, ce la possiamo scordare.

Ho fatto osservare che il nostro è l’unico governo europeo che non ha perso le elezioni, ma ciò non significa che possa non fare i conti con la realtà. Anzi, alla prova dei fatti, sembra quello che, per varie ragioni, subisce con maggiore passività il commissariamento indotto dalla crisi. Manca l’iniziativa politica, manca lucidità di visione e manca la capacità di parlare agli italiani con chiarezza, delle difficoltà come delle opportunità. L’Italia ha un corpo forte, ma è il suo sistema nervoso, il suo sistema politico, a mostrarsi debole.

Del resto, che volete? Nella maggioranza ci sono sempre più evidenti divisioni, con una frattura che passa sul nulla assoluto della libertà di dissenso. Gente che sta assieme da tre lustri scopre che si deve poter dire quel che si pensa. Già, ma cosa pensa, e non pensava, prima? L’opposizione non è da meno, dividendosi con non minore lussuria e con non maggiore consapevolezza della realtà. Non sapendo come altro occupare il tempo hanno scoperto che anche il nucleare può essere un tema su cui darsi reciprocamente dello scemo. Tanto, da noi, il nucleare non è una fonte d’energia, ma di dibattito. Anziché denunciare i ritardi del governo, si scucuzzano fra di loro. Nel frattempo il loro imprenditore di riferimento, Carlo De Benedetti, li bolla tutti come incapaci, non solo di far politica, ma direttamente di fare qualsiasi cosa. A fronte di ciò, con tutto il rispetto per gli ex democristiani che si agitano, è difficile credere che la soluzione sia in un’intesa generale, in nome dell’emergenza economica e della salvezza nazionale. Zero più zero fa sempre zero. E anche zero al cubo non dà un risultato diverso.

Sullo sfondo c’è una classe politica che compra case a sconto e le fa ristrutturare dalla stessa ditta che usano i servizi segreti e il capo della polizia. Claudio Scajola ci ha rimesso il posto, e se si decidesse a tacere (quello di cui ora s’accorge lo avevamo scritto il primo giorno) renderebbe meno complicato il lavoro dei suoi avvocati. Lo scenario non è quello di Tangentopoli, perché non è in discussione il finanziamento della politica ma, semmai, quello dei politici. Quindi stiano attenti, perché non tutti gli italiani conoscevano realtà e bisogni dei vecchi partiti, ma tutti sanno che il valore catastale di un appartamento è diverso da quello commerciale, in molti hanno versato la differenza in nero, ma nessuno ha mai sostenuto che quei soldi gli fossero giunti dal cielo e a sua insaputa. Tutti gli italiani sanno che certi lavori di ristrutturazione necessitano di permessi, sicché devono esserci delle fatture “regolarmente pagate”, ma sanno anche che quelle fatture non fotografano il valore reale dei lavori. Sanno, però, che una cosa è evadere l’iva, altra ricevere regali, che non sono mai disinteressati. Mai.

Stiano attenti, perché se lasciano la faccenda nelle mani della magistratura, se non mostrano una capacità autonoma di reazione, e se a questo sommano richieste d’impunità, si troveranno non (come un tempo) con la rivolta contro il sistema, ma direttamente contro i sistemati. E sarà un passo ulteriore verso l’inciviltà.

Si tratta, allora, di riprendere l’iniziativa politica, e in fretta. Lasciamo perdere quel che accade in Grecia, e che il cielo ce ne salvi. Ma della Spagna abbiamo detto, in Francia si apprestano a tagliare le spese del welfare state (10% in tre anni), in Germania hanno archiviato il taglio delle tasse, che pure è la piattaforma elettorale dei liberaldemocratici, in Gran Bretagna si accingono a governare il rigore. Il punto decisivo, in ciascun Paese, è il medesimo: se ti lasci guidare la mano dalla crisi pratichi tagli lineari, che mirano esclusivamente a comprimere la spesa e ridurre il deficit, se, invece, hai qualche cosa in testa, approfitti della crisi per tagliare quel che non ti serve e favorire l’avvicinamento ad un nuovo modello di welfare. Esempio concreto: noi non abbiamo solo bisogno di tagliare la spesa sanitaria, abbiamo l’urgenza di metterla sotto controllo e cancellare gli immani sprechi indotti dalla spartizione della gestione. Ci servono i tagli, ma ci servono anche, e ancor prima, le riforme.

Quando pestavamo i piedi e le reclamavamo, invocando la crisi come strumento per propiziarle, ci dicevano di star zitti, perché non era quello il momento. S’è perso tempo, non perdiamone ancora. Puntare alle riforme strutturali è l’unico modo sensato di guardare con ottimismo al futuro.

www.davidegiacalone.it

Marea nera. Non 5 mila, ma 70 mila barili al giorno?

Mag 1014

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Pubblicato da Debora Billi alle 10:15 in

Dicevamo, ieri, che non si ha in realtà idea della quantità di petrolio riversata in mare dal pozzo Macondo.

Ora un report esclusivo della NPR, l'unica radio pubblica degli Stati Uniti, sta facendo rapidamente il giro del mondo: pare che gli esperti che hanno analizzato i video della BP hanno stabilito che la fuoriuscita quotidiana di greggio si attesti tra i 56 mila e gli 84 mila barili al giorno, con una media di 70 mila.

Su TOD ne stanno già discutendo, e ciò significa che il report (anche considerando l'autorevole fonte) è ritenuto assai credibile. Le osservazioni più interessanti, al di là degli incessanti calcoli e grafici che possono coinvolgere i più tecnici tra noi, sono sul movimento di questo flusso di petrolio: come mai un tale quantitativo non si mostra in superficie? Potrebbe essere colpa delle correnti profonde, che lo stanno trasportando anche altrove, oppure dei detergenti che si continuano a gettare in mare e che servono un po a "mimetizzare" l'entità del disastro?

E come valutazione politica, è anche molto significativo che tale rivelazione provenga proprio dalla radio pubblica. Al momento, i rapporti sono tesissimi tra l'amministrazione USA e la BP che se ne è bellamente infischiata delle norme di sicurezza. Far trapelare al grande pubblico l'entità del disastro potrebbe, al momento, rendere più agevole la strada alle nuove norme che Obama propone sia per quanto riguarda le restrizioni alle perforazioni, che per nuove tasse sul greggio.

(Ecco un video della BP, dove si mostra il fallito tentativo della prima "cupola" e si vede molto bene il greggio fuoriuscire.)

http://petrolio.blogosfere.it/2010/05/marea-nera-non-5-mila-ma-70-mila-barili-al-giorno.html

CRISI SISTEMICA, VERSO UN ALTRO DEBITO EUROPEO !

Data: Giovedì, 13 maggio @ 21:15:00 CDT Argomento: Economia DI GILLES BONAFI gillesbonafi.skyrock.com Qua e là si sentono voci che sostengono che l’Europa imploderà e che la Grecia, nonostante l’adozione del piano di austerità, sarà la prima a cadere, seguita da Spagna, Portogallo e Italia. Ciò non accadrà perché tutti i paesi europei sono legati fra loro in un immenso domino finanziario di debiti. Difatti, il fallimento di uno innescherebbe una caduta a catena degli altri. Per dimostrare ciò, niente di più utile del grafico qui sotto, che illustra la connessione europea della rete di debito. Inoltre, le grandi banche europee si trovano direttamente esposte in Grecia, come ad esempio il Crédit Agricole, che, secondo il Wall Street Job Report, è la banca più colpita dalla crisi. Nell’agosto 2006, infatti, il Crédit Agricole aveva assunto il controllo del 72% della banca Emporiki (terza per numero di sportelli e quinta per gli attivi in Grecia) per due miliardi di euro. Emporiki aveva poi generato, secondo Reuters, una perdita netta di 582,6 milioni di euro nel 2009, dunque: guai all’orizzonte! Nella foto: Dominique Strauss-Kahn direttore generale del FMI
Debiti dei paesi europei in difficoltà. Fonte: Bank for International Settlements
Secondo le statistiche della Banca dei regolamenti internazionali, se si aggiungono Spagna e Portogallo, l’esposizione delle banche francesi salirebbe ad un ammontare di 306 miliardi di dollari, un vero e proprio suicidio se si abbandonassero questi paesi alla loro sorte. L’unica soluzione si trova nella creazione di una struttura che metta in atto delle condizioni risolutive e che consenta di sanare i crediti a rischio, un’Agenzia Europea del Tesoro che presti in nome dell’ Europa, come ho annunciato nel mio articolo Crisi Sistemica: le soluzioni ( n° 1 : l’Euro) Un Cers, comitato europeo del rischio sistemico, verrà presto messo in opera, così come un Fondo Monetario Europeo (FME), associato ad un sistema europeo di sorveglianza finanziaria. (SESF). (1) Per convincersene, basta leggere le recenti dichiarazioni dei maggiori protagonisti di questa crisi sistemica. Eccone qui una lista: - Dominique Strauss-Kahn direttore generale del FMI nel marzo 2010: «Necessitiamo di un’autorità europea per la risoluzione delle crisi, dotata di potere e di strumenti per gestire nel miglior modo il caso di cedimenti di banche transfrontaliere». - Jacques Attali nel suo articolo « Dirigeants de l’Europe, agissez ! » il 4 maggio 2010: « Deve essere decisa, già da domani, la creazione di un’Agenzia europea del Tesoro, immediatamente autorizzata al prestito in nome dell’Unione, e di un fondo budgetario che abbia mandato di controllo sulle spese dei paesi il cui debito supera l’ 80% del PIL» (L'Express) - Philippe Chalmin professore di economia a Paris Dauphine, membro del Consiglio di analisi economica per il Primo Ministro il giorno 8 Maggio 2010 : « Ai fautori della sovranità che tentano di ammannire la loro zuppa antieuropea in occasione della crisi finanziaria, bisogna rispondere che oggi occorre più Europa e non meno Europa. Fin dall’inizio sono mancati all’Europa un’effettiva governance politica e gli strumenti che ne derivano per fare di essa un’ entità efficace. L’Europa deve avere il proprio budget, la propria imposta, per intervenire direttamente sui problemi europei. Jean Claude Trichet, il presidente della Banca centrale europea, fa quello che può, ma per esempio ancora non disponiamo di un segretario al Tesoro europeo. » (2) Il ministro dell’economia tedesco Rainer Brüderle in un articolo del 10 marzo 2010 su Reuters: « Qualsiasi fondo europeo che fosse creato per salvare economie in difficoltà dell’area euro, non dovrebbe intervenire che nel caso in cui fosse l’intera regione ad essere minacciata dal rischio insolvibilità di uno Stato membro» In una lettera datata 8 Marzo indirizzata al ministro delle finanze Wolfgang Schäuble, Rainer Brüderl spiega che « un eventuale Fondo Monetario Europeo ( FME) dovrebbe venire in aiuto di quei paesi dell’area euro che abbiano problemi di deficit pubblico e solamente in caso di rischio insolvenza». Tuttavia, è necessario rammentarlo, il problema economico attuale supera il quadro del debito degli stati. In uno dei miei articoli scrivevo: Siamo infatti di fronte ad una crisi del debito, come illustrato dalle diverse fasi dell’attuale crac : - Debiti dei singoli e dei “ poveri” che non possono più rimborsare i loro crediti: caso suprime. Più di 12000 case vengono confiscate ogni giorno negli Stati Uniti. - Debito degli stati che iniettano migliaia di miliardi nelle banche e nell’ economia per mantenere a galla il sistema Secondo il Fmi la Grecia sarà indebitata per il 123 % del suo PIL nel 2010, la Spagna per il 68%, il Portogallo per il 91 %, e l’ Italia per il 130%. Vista l’evoluzione dei tassi queste cifre sono destinate ad esplodere.Occorrerà andare a cercare il denaro altrove, in una struttura sovranazionale, il FMI con i suoi piccoli futuri satelliti ( FME). Avete dunque compreso che per risolvere il problema del debito verrà creata una montagna di altri debiti. Una gigantesca fuga in avanti, visto che l’ attuale sistema economico funziona sulla base di un trittico privo di senso: debito= consumo= lavoro. Bisognerebbe precisare inoltre che il consumo distrugge la nostra biosfera….( leggere « I presupposti della crisi greca ») Peggio di ogni altra cosa, ad essere spezzato è il patto sociale, perché è il popolo che sta per passare alla cassa, per una crisi causata dal gotha della finanza. Ammortizzatori ed aiuti sociali si riducono al minimo, le pensioni non saranno più che un ricordo, mentre aumenta in modo esponenziale il numero di persone che perde il proprio impiego. La creazione di un Fondo Monetario Europeo, FME, un CERS, o qualsiasi altro organismo, non potrà che ritardare una scadenza che si rivelerà fatale, e la disoccupazione, in qualsiasi modo venga affrontata, seguirà il modello della Spagna, che ha superato attualmente il 20 % (dato ufficiale) di disoccupati. (3) Lo scrittore Frédéric Rotolo, in una delle sue mail, parlandomi della crisi greca, scriveva : " Lei ha certamente visto i Greci ieri mentre tentavano di entrare in parlamento….come ci verrà da loro l’ idea di Repubblica, di rivoluzione? Anche se riuscissero ad entrare nella loro assemblea, o al ministero delle finanze, dovranno accorgersi allora che non è nemmeno da quei luoghi che si controlla l’economia mondiale….che i loro governanti, nel migliore dei casi, sono degli esecutori della grande finanza, dei burattini, dei fusibili. Le macchine del trading quantico sono più potenti di loro. Cosí la volontà umana tende sempre a sfuggire allo stato di natura, a negarlo poiché mette in discussione la sua potenzialità, e si ritrova a stagnare in un mondo, ovvero in un’economia, tutto affatto illusoria”. Quale sarà la reazione dei popoli quando comprenderanno che il potere è smaterializzato, virtuale, forse intoccabile? Il patto sociale, il legame che unisce il padrone allo schiavo, è in effetti spezzato, perché le nostre élites sono ormai incapaci di garantire il minimo, vale a dire dare lavoro. Le leggi si stanno inasprendo ovunque, e la democrazia è oggi in pericolo. Le sommosse in Grecia sono solo il segnale d´inizio degli sconvolgimenti a venire. Albert Camus affermava : « Cosa preferisci, chi ti vuole privare del pane in nome della libertà o quello che vuole la tua libertà per garantirti il pane ? » Oggi possiamo rispondere né l´uno né l´altro, perché la libertà non è un regalo che si riceve ma un tesoro che bisogna prendersi. Gilles Bonafi Fonte: http://gillesbonafi.skyrock.com Link: http://gillesbonafi.skyrock.com/2856856466-Crise-systemique-vers-une-dette-europeenne.html 8.05.2010 Traduzione a cura di SASCHA CORSINI per www.comedonchisciotte.org (1) Per quelli che vogliono dettagli, http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=print&sid=6996 (2http://www.ladepeche.fr/article/2010/05/08/831580-Faut-il-revenir-au-franc.html (3) http://www.google.com/hostednews/afp/article/ALeqM5gj3FHr2Vv6Z9ES3WQIigwbDTcqvQ
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CRAC GRECIA/ 2. L’operatore finanziario: borse senza futuro, andremo tutti a casa

venerdì 14 maggio 2010

Per avere un’idea di come ci si senta sui mercati in queste settimane, è necessario un tuffo nel passato. Non occorre avventurarsi troppo lontano: tutto è accaduto in una notte. Mi riferisco alla notte, o magari alla serata, in cui chiunque lavori ancora nella finanza londinese è divenuto familiare con il termine “redundant”.

Ridondante è l’eufemismo barocco con cui gli uffici del personale definiscono chi è stato licenziato. Negli ultimi tempi è successo un po’ ovunque. I primi round cominciarono a fine 2007 e da allora la scure delle risorse umane si è abbattuta sulle sale di mercato con frequenza trimestrale fino a buona parte del 2009.

Difficile rientrare in gioco una volta finiti nella rete. Per questo chi è ancora in giro tra i viottoli della city ha quell’entusiasmo, per certi versi inappropriato, del sopravvissuto. Chi è ancora qui, insomma, della redundancy ha conosciuto solo la procedura iniziale, quell’annuncio dato al centro della sala con il capo in piedi su una scrivania, mentre sul piano cala un silenzio irreale.

Poi la corsa al computer per aggiornare le mail, con il fiato sospeso fino a quando il vicino si mette le mani nei capelli e tu capisci che l’hai scampata ancora una volta. Di cosa succede al redundant, da quando è invitato a uscire dalla sala, noi sopravvissuti ne sappiamo poco. A un certo punto, però, tutto diventa terribilmente reale. Succede quella sera in cui un superstite si reca al pub per un boccone in compagnia e l’amico a bruciapelo annuncia: “Mi hanno fatto redundant”. È inutile girarci troppo intorno: sarà una serata di addio.

Nelle ultime settimane la crisi ha raggiunto le dimensioni planetarie che molti temevano essere dietro l’angolo. Storie come quelle dei miei amici passano in sordina, come in fondo è inevitabile. Si tratta di ragazzi arrivati dalle Americhe, dall’emisfero australe, dai quattro angoli dell’Europa e dal levante mediterraneo, tutti approdati a Londra con una sana dose di ambizione e una gran voglia di bruciare le tappe.

Mentre la stragrande maggioranza di noi fa le valigie, sotto i riflettori finiscono i debiti pubblici, i crolli in borsa e i salvataggi di colossi finanziari considerati a prova di iceberg fino alla sera prima. A margine di questi numeri, fiorisce la letteratura di esperti, emergono improbabili teorie del complotto e in qualche caso il banchiere fa capolino nella cronaca: brevi comparsate nel ruolo di furbone pentito o, più spesso, vestendo i panni del capro espiatorio.

Personalmente non credo che il giro sulle montagne russe sia già finito, ma ho l’impressione che tra un’euforia per un salvataggio e il panico di un nuovo cedimento si rischi, prima ancora dei soldi, di perdere se stessi. È questa la confusione che regna, magari sottotraccia, nella city. Quello stato confusionale in cui non si sa più dove andare né, peggio ancora, che cosa si è venuti a fare. E, nell’incertezza, una strada rischia di valere quanto l’altra.

Questa è la prima sfida che la crisi impone: per cosa, per dove si può ancora prendere un azzardo? Proprio oggi, alla macchinetta del caffè, un senior trader raccontava di aver ricevuto un’offerta da una prestigiosa università per tenere un corso post-laurea. Mentre il mio bicchierino si riempiva, ho udito il suo collega esclamare un “perché no?”.

Altri partono per rischiose avventure imprenditoriali che spaziano dall’importazione nel Regno Unito di prodotti regionali allo sviluppo di complicati software. Qualcuno si spinge fino a oriente (soprattutto, Hong Kong o Singapore), dove - sono sicuri - tutto riprenderà come e più di prima. La stragrande maggioranza resta in trincea e, quando azzarda un’incursione sui mercati, lo fa con saggia stanchezza, come maturando la consapevolezza che dopo tanti annunci l’incantesimo della finanza anni ’90 sembra essersi spezzato per davvero. È inutile cercare una direzione nella bussola impazzita dei mercati: quella che appariva come una sfera di cristallo si è rivelata una bolla speculativa, puntualmente esplosa.

Cos’altro resta per analizzare le prossime mosse? In queste settimane gli addetti ai controlli sono alacremente all’opera, pronti a puntellare le operazioni finanziarie con strumenti sempre più efficienti e sofisticati. I regolatori si dicono pronti a nuove regole, i legislatori a nuove leggi e quasi si è invogliati a pensare che in fondo sì, può darsi che tutto tornerà davvero come prima.

La tentazione di liquidare questi ultimi mesi stropicciando gli occhi, quasi ci trovassimo in un incubo irreale dal quale presto o tardi ci sveglieremo, è forte. E la soluzione sembra essere alla portata di mano (c’è il complotto da sventare, il banchiere da processare, la ricetta economica a prova di debito...), salvo poi sfuggirci un attimo prima di afferrarla.

Tuttavia, tra le molte misure che saranno adottate in tempi brevi, c’è un fenomeno su cui vale la pena soffermarsi. La finanza, specie quella londinese, sta cambiando pelle. Sepolta da quintali di procedure, la banca d’investimento difficilmente sarà ancora in grado di attirare talenti da tutto il mondo allo stesso ritmo degli ultimi vent’anni.

Ora è troppo presto per dichiarare quale sarà la nuova frontiera: se il commercio di prodotti locali, l’informatica o l’emigrazione in massa verso oriente. Di sicuro, per imboccare una via d’uscita, sarà necessario investire in quelle intuizioni capaci, magari contro ogni attesa, di riportare il talento di ciascuno al servizio di tutti.

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CRAC GRECIA/ 1. Europa e Stati Uniti danno una mano agli speculatori

venerdì 14 maggio 2010

La speranza è che a Bruxelles e Francoforte abbiano davvero fatto bene i loro calcoli. Ovvero, accettare l’azzardo di un piano monstre dal punto di vista della stabilità per ottenere ciò che non si può ammettere di volere: la svalutazione di un euro che, fino a pochi mesi fa, viaggiava a un 20% in più del suo valore reale.

Se così non fosse, la scelta di comprare bond governativi dai vari paesi in crisi di debito per ottenere un abbassamento dei rendimenti volati alle stelle a causa dell’aggravarsi della crisi greca, potrebbe costare cara alla divisa comune: ovvero, una caduta del 10%. La Bce, nonostante lo neghi, sta infatti stampando moneta, nulla di più e nulla di meno: certo, la manovra della Banca centrale europea è differente da quella messa in campo da Fed e Bank of England visto che, nei fatti, dovrebbe servire solo a spaventare gli speculatori.

Ma gli effetti potrebbero non essere quelli voluti se alla fine verranno a galla le vere cifre messe in campo per comprare i bond sovrani: troppo potrebbe far balenare solo spettro dell’inflazione negli investitori, troppo poco potrebbe ringalluzzire gli speculatori e farli tornare all’attacco (anche in base ai ragionamenti sui trend euro/dollaro fatti nell’articolo di ieri). Insomma, è un periodo di scelte delicate e alcune sparate populistiche non aiutano.

Peccato che alla Bce abbiano le idee poco chiare al riguardo. Da un lato ci si lancia in salvataggi a pioggia, dall’altro si esortano i governi di Eurolandia a «intraprendere un’azione incisiva per conseguire il risanamento durevole e credibile delle finanze pubbliche». Nel suo bollettino di maggio, infatti, la Banca centrale afferma che «più si aspetterà a correggere gli squilibri, maggiore risulterà l’aggiustamento necessario e più elevato sarà il rischio di subire un danno in termini di reputazione e fiducia. Il risanamento dei conti pubblici dovrà superare in misura considerevole l’aggiustamento strutturale dello 0,5% del Pil su base annua stabilito come requisito minimo nel Patto di stabilità e crescita», si legge ancora nel report.

E ancora: «La crisi finanziaria potrebbe frenare la crescita» poiché sulla ripresa tuttora in corso sia pure a un ritmo «moderato», peseranno «il processo di risanamento dei bilanci» in vari settori, la bassa utilizzazione della capacità produttiva e il mercato del lavoro debole. La Bce teme inoltre nuove tensioni sui mercati finanziari. «In termini di rischi al ribasso - sottolinea l’Eurotower - persistono timori concernenti rinnovate tensioni in alcuni segmenti dei mercati finanziari».

Inoltre, secondo l’istituto di Francoforte, «potrebbero influire verso il basso anche interazioni negative più intense o prolungate del previsto fra l’economia reale e il settore finanziario, nuovi rincari del petrolio e di altre materie prime, maggiori spinte protezionistiche e la possibilità di una correzione disordinata degli squilibri internazionali». Insomma, per una volta si guarda in faccia la realtà.

Il problema è che si è operato in modo completamente opposto a quello che era necessario: giova ripetere fino alla morte, infatti, che questo piano di ammortizzazione - ovvero il ricomprare tutta l’immondizia in circolo, compresa quella delle banche - non si concilia affatto con politiche di rigore reale. A fronte di una crisi sociale che vede la disoccupazione nell’Europa dei Sedici salita al 10% e, parola di Eurotower, destinata a salire ancora, molti governi - quello greco in testa - potrebbero avere la tentazione, tra qualche mese, di rivedere i piani draconiani di tagli presentati per ottenere gli aiuti: a quel punto, l’effetto domino della spesa sarebbe dietro l’angolo, pronto a ripartire e gravare su bilanci già da mani nei capelli.

Se a questo aggiungiamo che la volatilità sui mercati proseguirà per buona parte dell’anno in corso, capirete che la fragilità del sistema sta diventando veramente estrema: se prima ci voleva un pugno per incrinare, oggi basta un buffetto. Non a caso, gli analisti del settore avvertono che nonostante il prezzo record che ha raggiunto, c’è ancora margine per entrare nel business dell’oro: segno che, dopo un breve ritracciamento previsto a breve, ci sarà una nuova impennata verso nuovi massimi. E se cresce in questo modo la domanda del bene rifugio per eccellenza, significa che la stabilizzazione non è certo dietro l’angolo.

E qui, torniamo all’accenno iniziale riguardo il calcolo dei rischi fatto dalla Bce: ieri l’Ufficio statistico del Regno Unito ha reso noto che, oltre alle condizioni estreme portate dallo scorso inverno, è stata proprio l’incapacità di una pur debole sterlina di facilitare l’export a bloccare maggiormente l’economia britannica. Insomma, non è poi detto che un euro debole sia utile per la ripresa grazie all’aumento automatico delle esportazioni: se il quadro generale va in deterioramento, il metro di misura potrebbe divenire la domanda interna e le condizioni macro, nell’intera Eurozona, non appaiono certamente rosee al riguardo. Occhio, quindi, agli azzardi.

In compenso, tanto per unire beffa ad azzardo, l’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno annunciato che lavoreranno per l’individuazione di una data condivisa nel 2011 per il varo di nuove e più stringenti regole sul trading book delle banche. In parole povere si tratta del primo slittamento nell’impegno internazionale verso un sistema finanziario meno rischioso.

«Le parti hanno concordato che, alle luce dei rispettivi sistemi legali e in coordinamento con il Comitato di Basilea sulla supervisione bancaria, lavoreranno con l’obiettivo di fissare una data condivisa nel 2011 per le regole sul trading book stabilite da Basilea», hanno detto, in un comunicato congiunto, il segretario al Tesoro Usa, Timothy Geithner, e il commissario europeo per il mercato interno e i servizi, Michel Barnier.

Il Comitato di Basilea dei banchieri centrali e dei regolatori aveva concordato che le nuove regole sul trading book avrebbero avuto effetto dalla fine del 2010, ma le banche hanno esercitato pressioni per ottenere un rinvio. Evviva, tutto come prima. O, forse, peggio.

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CRISI: SALE RISCHIO DEBITO GRECIA,SPAGNA, PORTOGALLO,IRLANDA

(ANSA) - ROMA, 14 MAG - Torna a salire il rischio default dei cosiddetti paesi 'periferici' dell'eurozona, Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Italia: i credit-default swap (cds) sul debito greco sono balzati di 42,5 punti base a 572,5 punti - in base ai dati Cma DataVision riportati dall'agenzia Bloomberg - quelli sul Portogallo sono aumentati di 18 punti base a 219 punti e quelli sulla Spagna di 14,5 punti base a 169,5 punti. I cds sull'Irlanda di 12 punti base 182 e i derivati sull'Italia di 7,5 punti base a 137 punti. I cds sono contratti con cui si scommette o ci si assicura rispetto al rischio di insolvenza degli emittenti di obbligazioni e un aumento segnala il deteriorarsi della percezione della qualita' del credito.(ANSA).

EUROPA? MA CHE BELLA FAMIGLIA!!!!!

CRISI: GRECIA; SECONDO ZAPATERO SARKOZY MINACCIO'USCITA EURO (ANSA) - MADRID, 14 MAG - Secondo El Pais il premier spagnolo Jose' Luis Zapatero avrebbe riferito nei giorni scorsi a dirigenti del partito socialista che il presidente francese Nicolas Sarkozy, la settimana scorsa al vertice dell'Eurogruppo di Bruxelles, avrebbe minacciato una possibile uscita di Parigi dall'euro per sbloccare il piano di aiuto alla Grecia. Per il giornale spagnolo, il premier ha ''drammatizzato'' la situazione nei giorni scorsi per ''convincere i suoi dei momenti che ha vissuto l'Europa''. Mercoledi' Zapatero ha annunciato in Parlamento un forte giro di vite per accelerare la riduzione del deficit pubblico spagnolo. Zapatero, riferisce El Pais, avrebbe detto che nel vertice di Bruxelles ''le tensioni fra i leader dell'Eurogruppo furono tali che ad un certo momento si divisero in due fronti: da un lato Francia, Spagna e Italia, dall'altro la Germania''. Sempre secondo quanto avrebbe riferito il premier spagnolo, Sarkozy chiese ''un impegno di tutti, per aiutare tutti la Grecia, ognuno con i suoi mezzi, o la Francia avrebbe riconsiderato la sua situazione nell'euro''. Secondo un'altra fonte, Zapatero avrebbe detto che ''Francia, Italia e Spagna hanno formato un fronte comune contro la Germania e che Sarkozy e' giunto a minacciare Merkel di rompere il tradizionale asse franco-tedesco''. (ANSA).

CRISI:GRECIA;CATENA DI SUICIDI PER RAGIONI ECONOMICHE

(ANSA) - ATENE, 14 MAG - La crisi finanziaria greca sarebbe all'origine di una vera e propria ondata di suicidi registrata in tutto il Paese, secondo quanto riferisce la stampa citando fonti della polizia. Gli ultimi due a togliersi la vita, apparentemente per problemi economici, sono stati il proprietario di una panetteria ad Atene che si e' impiccato nel suo negozio e un meccanico della capitale che si e' sparato un colpo di fucile. Quest'ultimo, un quarantanovenne, ha lasciato un messaggio alla sua famiglia spiegando di non poter piu' sopportare la propria situazione economica. Suicidi, apparentemente per le stesse ragioni, sono segnalati anche in diverse altre parti del Paese, a Creta, Trikala, Salonicco, Veria e Serres. E' inoltre aumentato drasticamente il numero di coloro che chiamano i centri di assistenza a coloro che meditano il suicidio. Secondo lo psichiatra Kyriakos Katsadoros della linea 1018 che opera in collaborazione con il ministero della Sanita' le chiamate sono aumentate negli ultimi tempi del 70%. (ANSA).