CRAC GRECIA/ 1. Europa e Stati Uniti danno una mano agli speculatori

venerdì 14 maggio 2010

La speranza è che a Bruxelles e Francoforte abbiano davvero fatto bene i loro calcoli. Ovvero, accettare l’azzardo di un piano monstre dal punto di vista della stabilità per ottenere ciò che non si può ammettere di volere: la svalutazione di un euro che, fino a pochi mesi fa, viaggiava a un 20% in più del suo valore reale.

Se così non fosse, la scelta di comprare bond governativi dai vari paesi in crisi di debito per ottenere un abbassamento dei rendimenti volati alle stelle a causa dell’aggravarsi della crisi greca, potrebbe costare cara alla divisa comune: ovvero, una caduta del 10%. La Bce, nonostante lo neghi, sta infatti stampando moneta, nulla di più e nulla di meno: certo, la manovra della Banca centrale europea è differente da quella messa in campo da Fed e Bank of England visto che, nei fatti, dovrebbe servire solo a spaventare gli speculatori.

Ma gli effetti potrebbero non essere quelli voluti se alla fine verranno a galla le vere cifre messe in campo per comprare i bond sovrani: troppo potrebbe far balenare solo spettro dell’inflazione negli investitori, troppo poco potrebbe ringalluzzire gli speculatori e farli tornare all’attacco (anche in base ai ragionamenti sui trend euro/dollaro fatti nell’articolo di ieri). Insomma, è un periodo di scelte delicate e alcune sparate populistiche non aiutano.

Peccato che alla Bce abbiano le idee poco chiare al riguardo. Da un lato ci si lancia in salvataggi a pioggia, dall’altro si esortano i governi di Eurolandia a «intraprendere un’azione incisiva per conseguire il risanamento durevole e credibile delle finanze pubbliche». Nel suo bollettino di maggio, infatti, la Banca centrale afferma che «più si aspetterà a correggere gli squilibri, maggiore risulterà l’aggiustamento necessario e più elevato sarà il rischio di subire un danno in termini di reputazione e fiducia. Il risanamento dei conti pubblici dovrà superare in misura considerevole l’aggiustamento strutturale dello 0,5% del Pil su base annua stabilito come requisito minimo nel Patto di stabilità e crescita», si legge ancora nel report.

E ancora: «La crisi finanziaria potrebbe frenare la crescita» poiché sulla ripresa tuttora in corso sia pure a un ritmo «moderato», peseranno «il processo di risanamento dei bilanci» in vari settori, la bassa utilizzazione della capacità produttiva e il mercato del lavoro debole. La Bce teme inoltre nuove tensioni sui mercati finanziari. «In termini di rischi al ribasso - sottolinea l’Eurotower - persistono timori concernenti rinnovate tensioni in alcuni segmenti dei mercati finanziari».

Inoltre, secondo l’istituto di Francoforte, «potrebbero influire verso il basso anche interazioni negative più intense o prolungate del previsto fra l’economia reale e il settore finanziario, nuovi rincari del petrolio e di altre materie prime, maggiori spinte protezionistiche e la possibilità di una correzione disordinata degli squilibri internazionali». Insomma, per una volta si guarda in faccia la realtà.

Il problema è che si è operato in modo completamente opposto a quello che era necessario: giova ripetere fino alla morte, infatti, che questo piano di ammortizzazione - ovvero il ricomprare tutta l’immondizia in circolo, compresa quella delle banche - non si concilia affatto con politiche di rigore reale. A fronte di una crisi sociale che vede la disoccupazione nell’Europa dei Sedici salita al 10% e, parola di Eurotower, destinata a salire ancora, molti governi - quello greco in testa - potrebbero avere la tentazione, tra qualche mese, di rivedere i piani draconiani di tagli presentati per ottenere gli aiuti: a quel punto, l’effetto domino della spesa sarebbe dietro l’angolo, pronto a ripartire e gravare su bilanci già da mani nei capelli.

Se a questo aggiungiamo che la volatilità sui mercati proseguirà per buona parte dell’anno in corso, capirete che la fragilità del sistema sta diventando veramente estrema: se prima ci voleva un pugno per incrinare, oggi basta un buffetto. Non a caso, gli analisti del settore avvertono che nonostante il prezzo record che ha raggiunto, c’è ancora margine per entrare nel business dell’oro: segno che, dopo un breve ritracciamento previsto a breve, ci sarà una nuova impennata verso nuovi massimi. E se cresce in questo modo la domanda del bene rifugio per eccellenza, significa che la stabilizzazione non è certo dietro l’angolo.

E qui, torniamo all’accenno iniziale riguardo il calcolo dei rischi fatto dalla Bce: ieri l’Ufficio statistico del Regno Unito ha reso noto che, oltre alle condizioni estreme portate dallo scorso inverno, è stata proprio l’incapacità di una pur debole sterlina di facilitare l’export a bloccare maggiormente l’economia britannica. Insomma, non è poi detto che un euro debole sia utile per la ripresa grazie all’aumento automatico delle esportazioni: se il quadro generale va in deterioramento, il metro di misura potrebbe divenire la domanda interna e le condizioni macro, nell’intera Eurozona, non appaiono certamente rosee al riguardo. Occhio, quindi, agli azzardi.

In compenso, tanto per unire beffa ad azzardo, l’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno annunciato che lavoreranno per l’individuazione di una data condivisa nel 2011 per il varo di nuove e più stringenti regole sul trading book delle banche. In parole povere si tratta del primo slittamento nell’impegno internazionale verso un sistema finanziario meno rischioso.

«Le parti hanno concordato che, alle luce dei rispettivi sistemi legali e in coordinamento con il Comitato di Basilea sulla supervisione bancaria, lavoreranno con l’obiettivo di fissare una data condivisa nel 2011 per le regole sul trading book stabilite da Basilea», hanno detto, in un comunicato congiunto, il segretario al Tesoro Usa, Timothy Geithner, e il commissario europeo per il mercato interno e i servizi, Michel Barnier.

Il Comitato di Basilea dei banchieri centrali e dei regolatori aveva concordato che le nuove regole sul trading book avrebbero avuto effetto dalla fine del 2010, ma le banche hanno esercitato pressioni per ottenere un rinvio. Evviva, tutto come prima. O, forse, peggio.

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