Premio o spintarella per i banchieri italiani

Post n°1992 pubblicato il 03 Dicembre 2009 da lucarossi82
Premio o spintarella per i banchieri italiani

[Libération]

Nel nome del padre e al posto del padre, una banca italiana ha appena deciso di offrire un impiego ai figli o ai nipoti dei suoi impiegati. La Banca del Credito Cooperativo (BCC) di Roma ha infatti annunciato la settimana scorsa la firma di un accordo con diversi sindacati per istituire il posto di lavoro in eredità. Concretamente, 76 stipendiati che si apprestano ad andare in prepensionamento potranno scegliere tra portare a casa una buonuscita o far assumere, al loro posto, i loro figli, figlie o nipoti. Anche i fratelli e le sorelle degli interessati potranno eventualmente beneficiare dell’iniziativa. L’accordo entrerà in vigore a partire da gennaio e sarà valido fino al 2012.

«Si tratta di una proposta innovativa» insistono alla direzione della BBC. «Gli impiegati prima di andare in prepensionamento hanno a disposizione una scelta: il bonus o il posto di lavoro trasmesso ad un membro della famiglia. Dietro a questa proposta, c’è evidentemente un aspetto solidale: quello di mantenere una fonte di rendita nelle famiglie». Soprattutto in tempi di crisi. La banca precisa che i figli dovranno comunque dar prova di competenza e, conseguentemente, che il sistema di rotazione padre-figlio non è «automatico». I candidati potenziali dovranno sostenere dei colloqui.

«Questa situazione favorirà il rinnovo generazionale», si è rallegrato Alessandro Violini, responsabile della Federazione autonoma degli impiegati di banca italiani. «Non si tratta di nepotismo», giurano all’interno della BBC ricordando che le banche cooperative «non hanno come obiettivo quello di distribuire profitto agli azionisti ma hanno degli impegni da mantenere nei confronti dei loro impiegati». Per alcuni, la misura non fa che istituzionalizzare alcune pratiche, tacite ma diffuse nel paese, mentre la disoccupazione degli aventi meno di 25 anni raggiunge quasi il 25%. Cosa, questa, che non impedisce la polemica. «Nel diciannovesimo secolo, il lavoro ereditato aveva una logica che si fondava sui valori familiari. Oggi invece appare una misura discriminatoria», ha commentato l’economista Giacomo Vaciago. E da notare: «Si parla tanto di merito ma lo si applica pochissimo.»

[Articolo originale "Prime ou piston chez les banquiers italiens" di Eric Jozsef]

[ traduzione di ItaliaDallEstero.info ]
http://italiadallestero.info/archives/8488 http://blog.libero.it/bigblogworld/view.php?reset=1&id=bigblogworld

CARRON/ 4. Giannino: non c’è economia senza dono, l’egoismo è perdente

giovedì 3 dicembre 2009

Don Carrón ha sviluppato l’argomento toccato al capitolo 3 della Caritas in Veritate. È il tema che più ho trattato nei tanti incontri pubblici dedicati all’enciclica ai quali, in questi mesi, ho partecipato in giro per l’Italia. L’ultimo a Milano, al Teatro Nazionale, tre sere fa. Proprio con Giulio Sapelli, tra gli altri, che su questo ha scritto prima di me. Il capitolo 3 è dedicato, come sapete, all’economia del dono, all’incontro e alla crescita con l’altro come categoria fondante di ogni scelta economica. Per il cristiano avvezzo alla dottrina non è una scoperta, anche se fa bene rinfrescarsi le idee. Ma, nel mondo dell’economia che bazzico io, bisogna affrontare due critiche entrambe taglienti. E bisogna provare a confutarle con argomenti concreti, non solo con la fede e l’adesione alla dottrina.

La prima critica, sin banale nella sua compunta e malcelata malizia ma in realtà pressoché eterna in quanto atemporale, è quella per la quale il dono è in realtà una scelta antieconomica per definizione. Riservata al no profit, al terzo settore, alla solidarietà verso chi non ha nulla o quasi. Certo, un dovere morale per chi lo persegue, un’edificazione del cuore e della coscienza. Ma non certo un atto economico. Esempio classico, Martino che divide il mantello col povero.

Seconda obiezione. Più puntuta, assolutamente e pervicacemente abbracciata a una certa interpretazione del pensiero soi disant liberista, in quanto non solo fondato sull’individuo, ma sul mero calcolo utilitaristico. Una versione spintissima del “birraio” di Adam Smith e della sua “mano invisibile”, innestata sulla teoria del valore di David Ricardo, del marginalismo di Wicksell

che poi diventa di Bohm-Bawerk e degli austriaci, fino alla scuola delle aspettative razionali di Bob Lucas e Thomas Sargent, e alla Efficient Market Hypothesis di Eugene Fama. Per me, che aderisco a tale scuola, è l’obiezione più seria.

Ma sono entrambe sbagliate. La dottrina cristiana ha posto nell’Uomo e nella sua centralità il fondamento morale dell’economia, ricordando in ogni diversa fase dello sviluppo storico come quel valore fosse un valore morale capace insieme di diventare valore aggiunto, non pura ma improduttiva testimonianza etica. Dividere il mantello con il povero crea valore aggiunto quando si affronta un’economia ancora sotto la linea di sussistenza, e il valore aggiunto non è solo quello della vita ma della precondizione dell’accesso alla dignità e al benessere. Potremmo ancor oggi scoprirlo eccome se riusciamo a strappare alla fame chi ancora ci muore in Africa, facendoli gradualmente entrare nel mercato.

Usciti dalle mera sussistenza ed entrati nel mercato - che non esiste in natura ma si fonda su fiducia tra uomini e regole poste da uomini - vi rinvio ai puntuali esempi che trovate al capitolo 3 dell’enciclica, quanto alla dimensione morale delle scelte alle quali è chiamato il banchiere e il finanziere che sconta capitale scarso per il suo impiego nel tempo, o dell’imprenditore chiamato a investire. In questi casi è più evidente, che mettere l’uomo al centro comporta logiche di ritorno economico. Non asintotico come la pura rendita finanziaria, ma agganciato all’economia reale centrata sull’uomo, sulla sua crescita, sul suo capitale umano come precondizione per estendere e accrescere quello di chi verrà dopo di lui, interagisce e coopera oggi con lui.

La seconda obiezione nasce da quella che per me è per tanti versi la vittoria degli antiliberali sui liberali veri. È la caricatura di Adam Smith, quella che dimentica che prima della Ricchezza delle Nazioni - in cui per altro l’espressione “mano invisibile” compare una sola volta - insegnava teoria dei sentimenti morali, come tutti gli altri illuministi scozzesi con lui e prima di lui, per altro. Non ha mai letto Hayek e Mises, chi sostiene che gli individui le cui scelte “dal basso” sono da essi indicati come forze vere e uniche del mercato al posto di quelle di chiunque “illuminato dall’alto”, non siano “persone” i cui valori, la cui morale e la cui tradizione contino nulla, di fronte al mero calcolo felicifico. Esattamente come Lucas e Barro non hanno mai affermato che gli individui sono perfettamente razionali, né Fama ha mai scritto che i mercati in sé e per sé sono perfettamente efficienti: hanno mostrato che individui, imprese e mercati tendono a incorporare nelle loro scelte le informazioni di cui dispongono, e dunque hanno ammonito sul fatto che dando loro informazioni asimmetriche ci si espone a dei guai. Esattamente come è successo con l’attuale crisi.

Non sono solo i liberisti in caricatura ma molti cattolici per primi, a cadere nella facile trappola di indicare il liberismo come irriducibilmente avverso e addirittura nemico all’economia del dono. Sbagliano. La dottrina cattolica, personalista e sussidiarista, diffida dello statalismo e della presunzione tecnocratica: esattamente come i veri liberali. Per il semplice fatto che non sarebbe esistito liberalismo, senza cristianesimo in Europa e nel mondo. Immaginare e perseguire il ritorno economico di medio e lungo periodo fondato sulla crescita umana, esclude semplicemente teorie e prassi del rendimento economico a breve massimizzate perché non-umane, puramente algoritmiche, sospese a metà tra Faust e Nietzsche. Come capita, purtroppo, a tanti giovani - ormai non più - bankers che ho conosciuto negli ultimi 20 anni.

http://www.ilsussidiario.net/default.aspx

Gli economisti liberisti difendono gli aiuti di Stato

Giovedì 3 Dicembre 2009 – 9:55 – Andrea Angelini
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Anche gli economisti, tanto per cambiare, si schierano decisamente per il mantenimento degli aiuti di Stato al sistema economico, in particolare alla grande industria e alle banche precipitate in una situazione di gigantesco indebitamento a causa delle proprie speculazioni. Una ulteriore dimostrazione che i governi non sono altro, in senso marxiano, che l’agenzia di affari dell’Alta Finanza e che gli stessi possono contare anche sul supporto della dottrina economica che si presenta tanto più autorevole se proviene da un Premio Nobel. Così Erik Maskin, premo Nobel 2007 per l’Economia, a margine dei lavori del convegno di Trieste, “I Nobel discutono”, ha invitato i governi, incluso quello italiano, a continuare a stimolare l’economia, iniettando liquidità nel sistema, “fino a quando non si arriverà a una situazione prossima alla piena ripresa”. Per la cronaca Maskin, che è conosciuto per gli studi sulla “economia degli incentivi” ed è stato premiato per i suoi studi sulla teoria della “allocazione delle risorse in ambiente incerto”. Insomma un vero esperto del settore chiamato a giustificare gli aiuti pubblici alle società private. Il tutto ovviamente in nome del Libero Mercato. Quando ci sarà la ripresa, ha precisato Maskin, si dovranno rimuovere le misure anti-crisi per evitare un ulteriore incremento dei deficit e anzi intervenire per ridurlo affinché l’inflazione resti sotto controllo. Ma, a suo giudizio, è troppo presto perché ci si debba preoccupare di un pericolo inflattivo. In ogni caso ci saranno problemi, soltanto se l’indebitamento continuerà ad aumentare dopo aver raggiunto una ripresa economica completa. Maskin non crede che l’attuale livello di deficit possa causare problemi a lungo termine ma c’è una condizione precisa: quella che si intervenga per ridurlo una volta raggiunta la piena ripresa. Se tanto ci dà tanto, le misure implicite suggerite da Maskin sono le solite: il taglio dello Stato sociale, elegantemente anche in Italia rinominato Welfare, attraverso il taglio della spese per la Sanità e per le pensioni. Maskin, bontà sua, si preoccupa anche della disoccupazione, ed ha osservato che si tratta sempre dell’ultimo problema a essere risolto in tempo di recessione. In genere, ha aggiunto, il resto dell’economia si muove prima e più velocemente, mentre l’esperienza ci insegna che si deve aspettare più a lungo perché vi sia una ripresa anche dell’occupazione. Quanto all’Italia, Maskin ritiene che misure molte positive siano già state introdotte e che possano dare un contributo alla soluzione di questi problemi. Il Nobel approva e plaude alle iniziative già adottate in questo senso dal governo italiano. Tipo, evidentemente, il nuovo modello contrattuale per le aziende incentrato sul cottimo e sui premi di produzione ed in grado, come peraltro è già successo, di dividere lavoratori e sindacati. E allora, per Maskin, in primo luogo si dovrebbe tentare di offrire alle aziende incentivi per incoraggiarle a mantenere la propria forza lavoro e, soprattutto, per riassumere. Quindi, ancora aiuti di Stato. http://www.rinascita.info/