CARTELLINO ROSSO!!!

CRISI: GRECIA; MERKEL; PAESI IN ROSSO FUORI DA EURO /ANSA (ANSA) - BERLINO, 12 MAR - Lo aveva detto mercoledi' e ha mantenuto la promessa. La cancelliera tedesca Angela Merkel (Cdu) aveva invocato sanzioni piu' incisive in Eurolandia per prevenire in futuro eventuali casi come quello greco. Oggi, questa minaccia ha preso forma: i Paesi che non rispettano i parametri del Patto di Stabilita', dovrebbero essere espulsi dall'Unione monetaria. La proposta l'ha lanciata questa mattina, dalle pagine del quotidiano Financial Times (Ft), il ministro delle Finanze tedesco, il conservatore Wolfgang Schaeuble (Cdu), e poche ore dopo la Merkel - attraverso una portavoce del governo - ha condiviso l'opinione del suo ministro. A mali estremi, quindi, estremi rimedi, sembra essere la logica di Berlino. Ma il premier Giorgio Papandreou non deve temere di essere estromesso dal club. Sempre oggi, infatti, sono circolate voci di stampa di un piano Ue da 55 miliardi di euro per salvare Atene. L'indiscrezione e' del quotidiano austriaco Kurier, secondo cui la Grecia potrebbe ricevere questi aiuti dall'Unione europea. In un primo momento, sottolinea il giornale, Berlino garantirebbe 20 miliardi e Parigi altri 10 miliardi. La Germania, spiega il Kurier, potrebbe finanziare meta' della somma attraverso delle garanzie e l'altra meta' con l'acquisto di titoli di Stato greci. E Papandreou, che ha visto la Merkel a Berlino venerdi' scorso, non dovrebbe neanche aspettare tanto: le prime misure di questo salvataggio, conclude Kurier, potrebbero essere messe a punto nella settimana prima di Pasqua. Per la Grecia, si tratterebbe quindi di una grossa mano, visto che finora si era parlato di un piano di salvataggio da 30 miliardi di euro, realizzato attraverso l'intervento di istituzioni bancarie pubbliche e investitori di mercato e coordinato da Berlino e Parigi. Le indiscrezioni del quotidiano austriaco, quindi, fanno lievitare di ben 25 miliardi di euro l'aiuto di cui avrebbe bisogno Atene per cercare di risanare i propri conti pubblici. Schaeuble e la Merkel, intanto, pensano al futuro. ''Un Paese di Eurolandia che non riesce a tenere sotto controllo i propri conti o a ristabilire la propria competitivita' in ultima analisi dovrebbe essere espulso dall'unione monetaria'', ha scritto il ministro delle Finanze in un editoriale pubblicato dal Financial Times. La cancelliera ''condivide l'opinione del suo ministro delle Finanze'', ha commentato una portavoce del governo, Sabine Heimbach. Da parte sua, intervistato oggi a New York, il presidente della Banca Centrale Europea, Jean-Claude Trichet, ha definito ''molto coraggiose'' le misure prese da Atene, sottolineando che la Grecia ''convincera''' i mercati che sta compiendo progressi. E per Schaeuble non ci sono dubbi: ''Dal caso Grecia dobbiamo trarre delle lezioni per l'unione monetaria - ha scritto il ministro sull'Ft -. L'euro si e' mostrato come un'affidabile ancora di stabilita' durante la crisi''. Ma adesso, ''come unione monetaria ci troviamo in un momento decisivo - ha sottolineato -. Tutti i membri dell'eurozona devono tornare il piu' rapidamente possibile ad aderire al patto di stabilita' e crescita''. (ANSA).

CRISI: GRECIA; GUARDIAN, TROVATO ACCORDO MISURE SALVATAGGIO

(ANSA) - LONDRA, 12 MAR - I Paesi dell'eurozona correranno in aiuto della Grecia con un pacchetto di salvataggio multimiliardario. A darne notizia e' il quotidiano britannico Guardian, che cita fonti di Bruxelles. Stando a quanto riporta l'edizione online del giornale, la Germania ha infatti deciso di mettere da parte ogni remora e avrebbe addirittura svolto un ruolo di regia nella messa a punto delle misure salva-Grecia e salva-euro. ''Ci sono stati intensi preparativi nell'eurogruppo'', ha detto un funzionario che ha chiesto di restare anonimo. ''Abbiamo i modi e i mezzi per farlo''. L'intervento avvera' dunque sotto forma di ''coordinate contribuzioni bilaterali'' tra i governi europei. ''Una contribuzione bilaterale - ha spiegato la fonte - puo' prendere la forma di un prestito o di garanzie sul prestito. Tali garanzie serviranno a facilitare quel tipo di raccolta fondi potenzialmente necessari in questo contesto''. ''Le regole che governano la moneta unica - ricorda il Guardian - proibiscono il salvataggio di un Paese sull'orlo della bancarotta. Berlino, in particolare, si e' detta preoccupata che ogni azione di questo tipo possa essere ostacolata dalla sua Corte costituzionale''. Ecco perche', stando al funzionario, l'accordo di salvataggio e' stato disegnato per evitare tale eventualita'. La cornice di regole che governa il buon funzionamento dell'euro, aggiunge il Guardian, verra' quindi riscritta in modo da rendere piu' stringenti le norme di disciplina economica degli Stati membri. Il piano dovrebbe essere finalizzato nella giornata di lunedi'. (ANSA).

E TRONISTI QUANTI NE SERVONO?

LAVORO: NONOSTANTE CRISI INTROVABILI 23 MILA OPERAI (ANSA) - FIRENZE, 12 MAR - ''E' un paradosso difficile da accettare il fatto che, nonostante la crisi, possano rimanere insoddisfatte richieste di lavoro nelle imprese artigiane per circa 23.500 lavoratori, 13.200 dei quali operai specializzati: elettricisti, falegnami e mobilieri, parrucchieri, meccanici sono i piu' introvabili per le aziende artigiane''. Lo ha detto il segretario generale di Unioncamere, Claudio Gagliardi, intervenendo oggi all'assemblea nazionale dei giovani imprenditori di Confartigianato, 'Impresa 2.0: la persona il vero capitale', in corso a Firenze. ''Un fatto - ha aggiunto Gagliardi - che conferma che lo spazio da colmare tra sistema dell'istruzione e della formazione e fabbisogni di capitale umano espressi dalle imprese e' ancora molto elevato, sia in termini quantitativi che, soprattutto, qualitativi''. Gagliardi, infine, ha auspicato ''percorsi di alternanza scuola-lavoro, stage e tirocini formativi per avvicinare i giovani alle imprese''. (ANSA).

Ho la mia bella convenienza!!!!!

Un mese prima....... Messaggio di Nostra Signora Regina della Pace n°3269 21.01.2010 Amati figli, l'Isola di Madeira sarà devastata e gli abitanti della grande città a fianco del fiume Tejo proveranno pesante croce. Piegate le vostre ginocchia in orazione. Dio mi ha inviato per chiamarvi alla santità. Vivete rivolti al Paradiso per il quale unicamente siete stati creati. L'umanità caricherà pesante croce perchè gli uomini si sono allontanati dal Creatore, Ritornate. Il vostro Dio vi attende a braccia aperte. Io sono la vostra Madre dolorosa e soffro per quello che viene per voi. Cercate forze nell'Eucarestia e testimoniate coraggiosamente i Miei appelli. Coraggio. Questo è il messaggio che oggi vi trasmetto nel nome della Santissima Trinità. Grazie per avermi permesso riunirvi quì ancora una volta. Io vi benedico, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Restate in pace.... Mostra tutto PORTOGALLO: ALLUVIONE CAUSA SETTE MORTI A MADEIRA Una tempesta di pioggia si e' abbattuta sull'isola portoghese di Madeira nell'Atlantico causando almeno 7 morti e 17 feriti accertati. Lo riferisce il sindaco del capoluogo Funchal, Miguel Albuquerque, che ha consigliato ai residenti di restare a casa. Le precipitazioni torrenziali hanno trasformato le strade in torrenti impetuosi e causato numerosi smottamenti di terreno che hanno travolto alcune case. I venti che soffiano ad oltre 100 km l'ora hanno abbattuto molti alberi . (20 febbraio 2010) http://www.escatologia.it/APPELLIURGENTI_2010.htm

Messaggio di Nostra Signora Regina della Pace n°3270 23.01.2010 Amati figli, non vi preoccupate. Dio è al controllo di tutto. Confidate pienamente nella Sua Misericordia e sarete vittoriosi. Io sono la vostra Madre e vengo dal cielo per chiamarvi alla conversione. Non perdetevi d'animo. Restate fermi sul cammino che vi ho indicato nel corso di questi anni. Siate mansueti ed umili di cuore. Aprite i vostri cuori ed accogliete i Miei appelli. Non restate in silenzio. Portate i Miei appelli al mondo. Grande sarà la ricompensa per quelli che divulgano i Miei messaggi. Dio ha fretta. Ritornate adesso, poichè il vostro tempo è breve. L'umanità cammina verso l'abisso dell'autodistruzione che gli uomini hanno preparato con le proprie mani. Un doloroso evento accadrà nella città di San Paulo. Dolore più grande non fu mai. Piegate le vostre ginocchia in orazione. Solamente pregando potrete sopportare il peso delle privazioni che già sono in cammino. Coraggio . Restate con il Signore. Questo è il messaggio che oggi vi trasmetto nel nome della Santissima Trinità. Grazie per avermi permesso riunirvi quì ancora una volta. Io vi benedico, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Restate in pace.

CRISI: GRECIA; PROVOPOULOS, PIL -2%,CALO OLTRE STIME GOVERNO

(ANSA) - ROMA, 12 MAR - Il prodotto interno lordo della Grecia subira' una ulteriore contrazione del 2% quest'anno, di gran lunga superiore alle stime del governo. Lo ha affermato il governatore della banca centrale greca e membro del consiglio direttivo della Bce, George Provopoulos, in un'intervista a Reuters. ''Tutti i piani radicali di austerita' hanno all'inizio qualche effetto depressivo. E' una delle ragioni per cui ci aspettiamo una contrazione dell'attivita' economica del 2% quest'anno'', ha spiegato Provopoulos. Tuttavia, ha aggiunto, ''il piano di risanamento fiscale creera' anche le condizioni per una crescita sostenibile nel futuro, cosa altrimenti impossibile senza un programma di consolidamento credibile''. La previsione del governatore della Banca Centrale greca e' in contrasto con quella del governo che ha stimato una contrazione del Pil dello 0,3% per l'anno in corso. Nel 2009 il Pil greco si e' ridotto del 2%, segnando la prima recessione dal 1993. (ANSA).

Sovranità e protezionismo

di Raffaele Ragni - 12/03/2010 Fonte: Rinascita [scheda fonte]

Il pensiero economico, fin dalle origini, ha spiegato lo scambio ricorrendo a parametri soggettivi - come il concetto di utilità, che è legato alla percezione reale o soltanto illusoria di un bisogno - oppure oggettivi - come la valorizzazione del lavoro socialmente necessario a produrre una certa merce. Il secondo approccio, tipico della scienza marxista, spiega non soltanto la sostanza dello scambio tra produttori all’interno del sistema, ma offre un fondamento teorico anche all’analisi dell’interscambio, cioè allo scambio tra sistemi. Infatti, partendo col distinguere tra prezzo e valore della merce, dimostra come la concorrenza e la ricerca del profitto, attraverso l’innovazione tecnologica e l’estensione della capacità produttiva, conducano all’apertura al resto del mondo.

Basandosi sulla teoria del valore lavoro, Karl Marx (1867) introduce, in primo luogo, il concetto di merce, che identifica ogni bene economico nella misura in cui viene prodotto non per uso personale ma per essere appunto scambiato con denaro o con altre merci. In secondo luogo, distingue tra prezzo e valore e della merce. Il prezzo si forma sul mercato, prevalentemente in base alla domanda e all’offerta. Sappiamo infatti che incidono anche altri fattori, talvolta complessi, come la speculazione legata a particolari eventi (es. guerra, catastrofi) o fasi della congiuntura (es. aspettative di rialzo o ribasso). Esistono inoltre forme diverse di concentrazione tra imprese che impongono un certo prezzo a prodotti e fattori produttivi. Considerata la varietà delle forme di scambio e l’eterogeneità dei fattori che influenzano il prezzo, Marx identifica un valore al di sotto del quale il prezzo di una merce non può scendere, cioè il tempo di lavoro necessario a produrla secondo la tecnologie esistenti e diffuse nella società in una determinata epoca. Secondo questo approccio lo scambio riguarda non i beni ma il lavoro necessario a produrli. Appare equo nella misura in cui i due produttori abbiano impiegato lo stesso tempo a produrre le merci. Ne risulta penalizzato il produttore che impiega più tempo, cioè quello tecnologicamente più arretrato o meno produttivo. Di conseguenza, laddove il conflitto competitivo comprime i prezzi, la ricerca di un maggiore profitto può essere perseguita in due modi. Poiché il sistema capitalista mercifica anche la capacità di svolgere ogni attività manuale o intellettuale, è possibile ridurre il costo della merce lavoro fino al suo valore limite, che è il tempo socialmente necessario a produrre i beni necessari alla sussistenza ed alla formazione del lavoratore. In alternativa la realizzazione del profitto può essere perseguita con l’introduzione di tecnologie che riducono i tempi di produzione. L’innovazione determina sempre e comunque un’estensione della capacità produttiva, e ciò impone la ricerca costante di nuovi mercati. Così il sistema si apre allo scambio con altri sistemi. Considerata la reale impossibilità che nel mondo contemporaneo possano esistere sistemi economici chiusi - a livello nazionale come a livello macroregionale - l’interscambio può essere sottoposto a restrizioni, ma non certo annullato. Esso consiste sia nel commercio di prodotti e servizi, sia nel trasferimento di capitali. I due fenomeni sono correlati. Infatti i flussi commerciali - che sono determinati dalla distribuzione ineguale dei fattori produttivi e dalla diversa competitività dei prodotti - presuppongono sempre un insieme di movimenti monetari a pagamento delle transazioni effettuate. A loro volta i flussi monetari - che sono rappresentati dalla concessione di crediti e dai movimenti di capitali - incidono fortemente sulla realtà produttiva e occupazionale del sistema beneficiario, soprattutto quando servono a finanziarie investimenti in impianti industriali ed infrastrutture. Così il resto del mondo influenza i comportamenti degli operatori interni al sistema ma, nell’interesse di famiglie ed imprese, lo Stato può limitarne o condizionarne l’impatto, sia stipulando accordi commerciali preferenziali, sia ricorrendo al protezionismo. Col termine protezionismo viene indicato l’insieme di misure adottate da un governo per difendere i produttori nazionali dalla concorrenza straniera. Le misure protezioniste si distinguono a seconda che incidano direttamente o indirettamente sui flussi commerciali. Tra le prime ricordiamo l’aumento dei dazi doganali all’importazione (barriere tariffarie), la fissazione di limiti alla tipologia o alla quantità di prodotti stranieri che possono essere importati (contingentamento o quota system), la messa in atto di procedure amministrative che rendano lento e complesso l’ingresso nel Paese di merci straniere e i relativi pagamenti (barriere non tariffarie). Le misure protezioniste indirette prendono la forma di sussidi di vario tipo ai produttori nazionali: citiamo ad esempio le facilitazioni creditizie, i finanziamenti a basso tasso d’interesse, l’accesso esclusivo a commesse pubbliche. La facoltà dello Stato di adottare misure protezionistiche è tra le forme di esercizio sovranità territoriale. Lo Stato ha il diritto di esercitare in modo esclusivo il potere di governo sulle risorse economiche del suo territorio. Tale principio è sancito dalla norma consuetudinaria sulla sovranità territoriale ed è stato più volte enunciato dall’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), sia in specifiche risoluzioni, sia nella celebre dichiarazione intitolata Carta dei diritti e dei doveri economici degli Stati (1974) secondo cui “ogni Stato possiede ed esercita liberamente una sovranità completa e permanente su tutte le ricchezze, risorse naturali ed attività economiche” (art.2) ed ha il diritto di “scegliere liberamente il proprio sistema economico, oltre che i suoi sistemi politici, sociali, culturali, conformemente alla volontà del suo popolo, senza influenza, pressione, o minaccia esterna di alcuna specie” (art.1), nonché di “scegliere i suoi obiettivi di sviluppo, di mobilitare e di utilizzare integralmente le sue risorse, di operare delle riforme economiche e sociali progressive e di assicurare le piena partecipazione del suo popolo al progresso ed ai vantaggi dello sviluppo (art.7). Ciò significa che uno Stato, in quanto espressione legittima di una comunità nazionale, è libero di regolare come crede le attività produttrici di ricchezza che si svolgono sul suo territorio. Gli unici limiti fissati dall’ordinamento giuridico internazionale riguardano il rispetto degli stranieri e dei loro beni che si trovino all’interno delle frontiere. I contenuti della sovranità territoriale incidono sulla mobilità delle risorse e l’apertura degli operatori a relazioni extrasistemiche. Il diritto internazionale generale non limita in alcun modo la libertà dello Stato di regolare il transito di beni attraverso le sue frontiere e di controllare i flussi monetari corrispondenti. Ogni restrizione all’esercizio della sovranità territoriale può derivare soltanto da norme convenzionali, cioè da accordi siglati dai governi. E’ l’operatore Stato che consente una maggiore o minore apertura di un sistema economico nazionale all’interscambio con i Paesi stranieri. Oppure sono gli organi di un istituzione sovranazionale, cui gli Stati hanno trasferito le proprie competenze in materia di commercio estero, che decide in merito all’apertura di un sistema economico macroregionale al resto del mondo. Le origini della cooperazione intergovernativa in materia commerciale sono assai remote. Una fitta rete di intese bilaterali venne sviluppandosi fin dal XII secolo tra i sovrani d’Europa e d’Oriente. I trattati di amicizia, commercio e navigazione, stipulati nel medioevo ed agli albori dell’età moderna, stabilivano i principi generali che avrebbero dovuto animare l’interscambio di merci tra le parti contraenti per la durata di anni o addirittura decenni. In materia doganale la prassi inizialmente seguita consisteva nel fissare l’ammontare dei dazi che sarebbero stati percepiti senza che le parti potessero modificarli per tutta la durata dell’accordo (dazi consolidati o incatenati). Col tempo questa forma di accordi fu abbandonata e gli Stati cominciarono ad adottare tariffe doganali nazionali riservandosi di concedere particolari riduzioni ad altri Stati in base ad accordi bilaterali. Essi conservavano la libertà di aumentare o diminuire l’ammontare dei dazi nazionali nel corso dell’accordo, mantenendo tuttavia lo scarto concordato col Paese amico. Per quanto importanti potessero risultare le concessioni tariffarie attribuite sulla base di accordi bilaterali, nel corso dei negoziati i governi erano indotti a chiedere, non solo un equo trattamento per le proprie merci, ma anche lo stesso regime preferenziale eventualmente riservato ad altri Paesi amici. Così è andata imponendosi la prassi internazionale di includere negli accordi commerciali bilaterali la cosiddetta clausola della nazione più favorita, secondo cui il trattamento che una delle parti contraenti rivolga ad uno Stato terzo si estende automaticamente, ove sia più favorevole, anche all’altra parte contraente. Questa clausola risale al trattato di pace e commercio stipulato tra Federico II ed il sovrano di Tunisi nel 1231. Ma si è diffusa soprattutto durante il secolo XIX, quando si era soliti condizionare l’estensione all’altra parte contraente del trattamento favorevole concesso ad uno Stato terzo solo nel caso in cui detta parte offrisse gli stessi benefici di cui godeva nei suoi rapporti con altri Stati. Dopo la prima guerra mondiale è prevalsa la tendenza ad estendere la clausola in maniera incondizionata, salvo alcune restrizioni riguardanti il rispetto di particolari regimi preferenziali - ad esempio un’unione doganale - eventualmente in vigore tra una parte contraente e Stati terzi. Sebbene non possano esistere sistemi chiusi ed i governi abbiano sempre cooperato per lo sviluppo del commercio internazionale, tuttavia il grado e le forme di apertura di un sistema al resto del mondo possono variare a seconda della congiuntura e trovare giustificazioni varie. Tutte le teorie sul commercio mondiale si basano su due fondamentali principi. Il primo presuppone che i sistemi economici nazionali non sono mai autosufficienti e si aprono necessariamente alle relazioni internazionali (principio della interdipendenza). Il secondo afferma che ciascun Paese tende a specializzarsi nella produzione di determinati merci o servizi (principio della divisione internazionale del lavoro). Quali che siano i vantaggi che ne derivano, in termini di benessere individuale e collettivo, bisogna difendere e valorizzare, specie in momenti di crisi, la sovranità dello Stato sulle risorse economiche del suo territorio e, con essa, la facoltà di adottare misure protezioniste per difendere l’economia nazionale.

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I Pigs sono loro

di Ugo Gaudenzi - 12/03/2010 Fonte: Rinascita [scheda fonte]

Battaglioni Media all’attacco. E’ “Merkel’s nightmare” - “per la Germania la crisi della zona euro è un incubo” - titola il Financial Times. “Ora i membri dell’area euro litigano fra loro” commentano gli anglosassoni finto-soddisfatti. E aggiungono: “l’unica soluzione è che i Paesi non competitivi svalutino la propria valuta corrente”. Naturalmente. L’ “Effetto Domino” del quale da settimane andiamo trattando nella più completa indifferenza - o nella più stolida malafede - di certe analisi della stampa italiana, si è già iniziato. Sappiamo dell’Islanda (che si è però rifiutata, con l’orrore della City e del n. 10 di Downing St., di pagare gli interessi sugli interessi imposti dal Fmi); sappiamo della Grecia - strangolata dalla Goldman&Sachs ai tempi della gestione europea di Draghi - costretta a pietire elemosine Ue penalizzate da altre multe e nuovi interventi del famigerato Fmi; sappiamo del Portogallo, nuovo tassello del domino: il suo suicidio “lacrime e sangue” è già in corso... E sappiamo che questo attacco alle economie più deboli della zona euro è stato pianificato tra le due coste dell’Atlantico per difendere il dollaro e gli investimenti-scommessa (i “derivati”, gli “hedge funds”) della grande finanza speculativa internazionale. Soprattutto, come Vi descriviamo, nelle pagine centrali di questo numero di Rinascita, che la nuova crisi americana è alle porte e che questi sono i colpi di coda inventati per evitare un nuovo crack delle banche d’affari e degli speculatori-filantropi, gli amici di Prodi, come Georges Soros. Vi abbiamo anche svelato, fin dalla sua nascita, il significato dell’acronimo inglese “P.I.G.S.”, che identificava in Portogallo, Italia (o Islanda, o Irlanda), Grecia e Spagna, i “maiali” da colpire con gli attacchi speculativi. Noi di più non possiamo fare. La nostra voce è piccola e censurata da ogni rassegna, da ogni dibattito stampa, radio o televisivo (...non era certo così quando questo stesso giornale portava un altro titolo: ma questa è un’altra storia). Non vogliamo nemmeno invitarVi a mettere una firma in calce ad una qualche “petizione”: sappiamo bene dove sono finite le migliaia di firme inviate a Ciampi “presidente della Repubblica” del tempo di consenso al nostro appello per fermare l’intervento italiano alle guerre “umanitarie” di Serbia o di Iraq. Senza riscontro, ritenute carta igienica e giù archiviate con lo sciacquone... Ma qui ne va della vita di tutti, del nostro popolo. Possibile che non ci sia nessuno, proprio nessuno, dei Lorsignori, che abbia il coraggio di svegliarsi e di fare il bene del Paese? Sarebbe, per ora, sufficiente bloccare il crack prossimo venturo con una leggina piccola piccola che tassi le vergognose scommesse sul crollo dell’economia italiana... Una leggina piccola piccola, suvvia... Ministro Tremonti: dai libri, dalle belle parole, passi per una volta ai fatti.

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PERCHE’ LA CATASTROFE E’ INEVITABILE

Data: Venerdì, 12 marzo @ 06:30:00 CST Argomento: Economia DI MORENO PASQUINELLI sollevazione.blogspot.com In risposta a keynesiani nonché alcuni marxisti Mi corre l’obbligo di rispondere all’accusa secondo cui le nostre analisi della crisi sarebbero viziate da un“catastrofismo pregiudiziale”. Non ci riferiamo anzitutto a coloro i quali credono ancora al mito delle magnifiche sorti e progressive del capitalismo. Parliamo piuttosto dei keynesiani alla Krugman (per i quali il debito non è mai un vero problema e diventa anzi un toccasana in caso di ciclo depresso) e ad analisti che si rifanno a linee di pensiero anticapitalistiche. Questi analisti, keynesiani e/o anticapitalisti latu sensu, sostengono che il capitalismo “non crollerà per il debito pubblico degli stati, né per la somma di questo con quelli privati”. Dicono anzi, svelando un certo “complottismo”, che alcune grandi consorterie finanziarie stanno esagerando artatamente la portata della “crisi da debito”, proprio per abbindolare l’opinione pubblica, per far sì che i popoli accettino un gigantesco e verticale drenaggio di ricchezza dal basso verso l’alto, allo scopo di rilanciare i processi di accumulazione e valorizzazione. Chiamo queste visioni della crisi “visioni cieche”. Cieche perché, come spiegherò più avanti, esse, mentre danno credito alla tesi minimalista dei governi occidentali per cui quella attuale sarebbe “solo” una crisi da debito, essi si ostinano a non riconoscere la metamorfosi subita dal capitalismo imperialista, perché non sono in grado di vedere la mutazione qualitativa avvenuta nel corpo del capitalismo, cioè il passaggio al turbo-capitalismo. E siccome occorre dare un nome alle cose, chiamo questa mutazione, nichilistica pulsione di morte. Incapaci di riconoscere questa metamorfosi, questo salto mortale, i nostri visionari ciechi non sono dunque in grado di cogliere la peculiarità della crisi attuale e cosa la differenzia rispetto a quelle precedenti.
Tabella 1
Anzitutto vorrei sgombrare il campo da un equivoco: chi scrive non è un “crollista”, ovvero non è un seguace delle teorie di Luxemburg e Grossmann, secondo cui il capitalismo, motu proprio, è destinato a crollare su se stesso. Quantomeno esso non crollerà in virtù della marxiana legge della “caduta tendenziale (ineluttabile) del saggio di profitto”. Ho avuto modo di spiegare, in accordo con Sweezy, perché questa legge ha dimostrato la sua fallacia, che non c’è nessuna tendenza suprema per cui il capitalismo sia meccanicamente destinato al crollo finale.
Tabella 2
Le catastrofi economico sociali sono invece non solo possibili, ma hanno segnato la storia stessa del capitalismo. Ogni grande ciclo di sviluppo del capitalismo è diviso da quello successivo, da periodi di crisi generale o storico-sistemica, da periodi di catastrofe con relativi sconquassi sociali e geopolitici, dai quali è sempre emerso un diverso modello sistemico, una differente configurazione della formazione sociale. Ciò è empiricamente verificabile senza neanche scomodare la teoria delle Onde (o cicli lunghi di 50-70 anni) di Kondratiev, poi ripresa da Mandel e J. Shumpeter. In risposta ai critici vorrei ribadire perché l’attuale crisi, da disastrosa quale già è, è destinata a divenire “catastrofica”, segnalando le sue specificità, che vanno ben al di la della questione del debito (pubblico o privato), ma attengono ai meccanismi nativi di quello che abbiamo chiamato turbo-capitalismo o, il che fa lo stesso, capitalismo-casinò.
Tabella 3
Sulle cause più profonde che hanno generato il turbo-capitalismo rimando all’intervento «La teoria marxista e il collasso dell’economia capitalistica», non senza segnalare, per amore di chiarezza, che esse convergono tutte su due punti causali focali.
Tabella 4
Anzitutto la crisi generale di sovrapproduzione fattasi avanti già alla fine degli anni ’60, la quale si manifestò nel più classico dei modi. Quando non più solo per un settore ma per la maggior parte di essi, diventa impossibile vendere le merci ad un prezzo che riconsegni non solo il loro valore (che sta per il tempo di lavoro in esse materializzato e che deve essere uguale al tempo di lavoro socialmente necessario alla loro produzione, Marx docet) ma pure il plusvalore (crisi di realizzo o di svalorizzazione) abbiamo la crisi generale di sovrapproduzione, alla quale fanno seguito una recessione (la cui durata e profondità è sempre relativa) e, data la concorrenza, la “distruzione creativa” delle forze (meno)produttive e dei capitali (meno)redditizi. Il secondo punto causale focale è di natura storica e politica, ovvero l’avanzata delle rivoluzioni sociali antimperialiste e anticapitaliste, e di cui la “guerra fredda” era un… derivato. Sul finire degli anni ‘60 il capitalismo imperialista stava perdendo la partita e, per non soccombere, ovvero per riconquistare la sua supremazia, doveva rifondarsi. Doveva escogitare un sistema, sia per finanziare i costi crescenti della sua macchina bellica (allo scopo di contrastare i movimenti antimperialisti e l’espansione dell’URSS), sia per alimentare la cosiddetta “società opulenta” (ovvero conservare e accrescere gli standard di vita e la capacità di consumo dei popoli dei centri imperialistici allo scopo di tenere fuori dalla mura l’ondata rivoluzionaria). E’ per risolvere questi due fattori combinati di crisi (sovrapproduzione generale e declino dell’egemonia geopolitica imperialistica), che prese il via la rifondazione imperialistica nella forma specifica del turbo-capitalismo. L’evento simbolico che segnò questo passaggio l’avemmo nel 1971, quando l’amministrazione Nixon soppresse la convertibilità tra dollaro e oro, facendo così crollare uno dei pilastri del sistema di Bretton Woods (tra cui il principio secondo cui le banconote e altro denaro creditizio dovevano essere, almeno in larga parte, garantite dall'oro). Svincolate dall’obbligo di ancorare la moneta alle riserve aureee, le autorità americane tracciano il solco su cui si svilupperà il capitalismo-casinò. Come ho detto il limite principale dei keynesiani come di certi marxisti, è che essi non riconoscono le specificità del turbo-capitalismo, non vedono le profonde differenze tra oggi e ieri e, al massimo non vanno oltre all’analogia con la crisi del ’29 o quella degli anni ’70. Non vedono insomma che gli stessi fenomeni del debito e della speculazione, pur avendo le sembianze di sempre, sono del tutto diversi, non solo per le loro dimensioni incomparabili, ma per le loro diverse dinamiche e natura. Il tratto peculiare decisivo che contraddistingue il turbo-capitalismo è che il capitalismo finanziario ha totalmente sussunto tutte le altre sfere dell’universo capitalista, compresa quella della produzione. Di più, il capitalismo finanziario di cui stiamo parlando non è quello di un tempo, risultato della fusione tra quello industriale e bancario, oggi abbiamo un capitalismo finanziario sui generis, un capitalismo finanziario usuraio fondato sullo strozzinaggio e l’aggiotaggio sistemici. Un capitalismo-truffa che ha oltrepassato il confine tra legalità e illegalità, che ha trasformato la circolazione in un gioco d’azzardo, in una bisca planetaria con sue proprie regole e meccanismi, dove i flussi e gli scambi avvengono over-the-counter, operano cioè alle spalle delle istituzioni e delle stesse borse tradizionali. A questo fenomeno corrisponde che nell’ambito della classe dominante lo strato dominante non è più rappresentato dai capitani d’industria e nemmeno dai banchieri istituzionali, ma dagli avventurieri della finanza speculativa, a loro volta consorziati in organismi che possono muovere e investire in tempo reale cifre colossali, tali da poter condizionare se non determinare le decisioni non solo delle grandi holding multinazionali ma degli stessi governi, compreso quello degli Stati Uniti. Affermava Henryk Grossmann: «Così la speculazione comincia proprio nella depressione. Dal punto di vista economico privato, l’investimento in borsa è fruttifero come qualsiasi altro. L’”investimento” in borsa però non crea né valore né plusvalore. Esso ha per scopo soltanto un aumento dei corsi e trasferimenti di capitale. Questo capitale si rivolge alla borsa, dimenticando il carattere illusorio di questi investimenti». [La legge dell’accumulazione e il crollo del capitalismo]. Questo poteva essere vero ai tempi di Grossmann. Ma cosa vuole dirci Grossmann? Vuole dirci che le performances delle borse, i loro slanci come i loro crolli, sono sempre e solo epifenomeni, sempre effetti e non cause delle grandi crisi, i “fondamentali” essendo sempre sottostanti, costituiti dai Capitali che producono o non producono plusvalore. Il fatto è che la quantità si è trasformata in qualità: la massa di denaro e titoli che possono oggi essere mossi dai soggetti dediti alla speculazione finanziaria (quelli deputati a creare denaro dal nulla, denaro dal denaro) sono talmente ingenti da condizionare l’economia reale, da causare il deragliamento del ciclo economico complessivo. Ciò che un tempo poteva essere considerato un effetto, oggi è diventato la causa. Ed è proprio questo è il segno distintivo dell’attuale crisi, ciò che la differenza da quelle precedenti: che nel turbo-capitalismo l’economia cartacea, il gioco d’azzardo, hanno assunto tali proporzioni che, come accaduto nel 2007-08, possono causare il crollo della cosiddetta “economia reale”, ovvero non solo una “bolla”, ma la recessione la quale, dato che pure i vecchi “fondamentali” traballano (crisi generale di sovrapproduzione), può sfociare in vera e propria depressione. Oggi, nell’ambito del turbo-capitalismo, abbiamo che questi “fondamentali” sono diventati subordinati, considerati “attività sottostanti”. Abbiamo che la sfera finanziaria si è autonomizzata, da “sottostante” è diventata “sovrastante” rispetto alla vera e propria produzione di merci oramai del tutto surdeterminata. Abbiamo che la gran parte degli investimenti globali si muove non più sul terreno degli investimenti produttivi ma in quello della scommessa per fara denaro dal denaro. Se ieri si vendevano e compravano azioni oggi si comprano e vendono montagne di pezzi di carta chiamati titoli, ma titoli che sono scommesse a termine sull’andamento dell’attività “sottostante” (gli assets di un’azienda, di una banca, di un fondo statale o sovrano, o un pacchetto di tutte queste cose), scommesse per cui si possono guadagnare immense somme non solo grazie alla buona performance dell’attività “sottostante” ma spesso grazie alla previsione del suo default (vedi i vari Derivati: Future, Warrant, Cdo, Cds, Irc, ecc). Come se non bastassero queste sofisticate diavolerie, che in caso di “cattivo investimento” possono dissipare tutto il denaro impiegato, la smania di ottenere anche il 100% ha partorito il cosiddetto Leverage, o effetto leva, un moltiplicatore che può far perdere addirittura più del capitale impiegato nell’operazione speculativa. Per comprendere fino a che punto quest’andazzo abbia permeato tutto il sistema, basti pensare che la quota di riserva di riserva chiesta ad una banca è solo il 10%, ovvero per un dollaro reale in pancia, la banca può prestarne dieci. Da qui il meccanismo perverso di transustanzazione per cui le banche confezionano e spacchettano questi debiti, spesso inesigibili, immettendoli sul mercato come di titoli di credito (altro che bolla dei muti subprime!). E le banche non hanno fatto che seguire, stemperandola, la tendenza vigente nel mondo dei Derivati, per cui ogni dollaro investito garantiscie 20 o 30 dollari di capitale a prestito. Il fatto è che con la globalizzazione e il tempo reale consentito dall’introduzione dei computer, questo immane gioco d’azzardo fluisce grazie alle linee telematiche e si muove in base ad automatismi suoi propri, seguendo le istruzioni di sofisticati software e algoritmi. Il flusso sfugge quindi ad ogni controllo pubblico o delle autorità monetarie, non passa come detto per le borse ma, appunto, over the counter, in un labirintico e globale mercato alternativo. Nel 2006 ogni giorno si muovevano Derivati per un valore di 2,4 trilioni di dollari ogni giorno (secondo il sistema anglosassone 1 trilione equivale ad un milione di miliardi). Secondo stime della Banca dei regolamenti Internazionali di Basilea, sempre nel 2006, i Derivati ammontavano alla iperbolica cifra di circa 400 trilioni di dollari, 7 volte il Pil mondiale. [Vedi sopra tabella n.1]. Nel giugno 2007 si era raggiunta la cifra di 516 trilioni (fonte: Bank for International Settlements) Tra questi Derivati quelli che hanno conosciuto un incremento gigantesco sono i “Derivati sul credito”, nati nel 19919 e che secondo le stime della IDSA (International Swaps and Derivatives Assocoation) sono raddoppiato tra il 2004 e il 2005. E tra i “Derivati sul credito”, ci sono i famigerati Credit Default Swap (CdS), qualcosa di molto simile ad una polizza assicurativa a copertura del rischio d’investimento. Certo, anche piccoli o piccolissimi risparmiatori, alla caccia di guadagni rapidi, utilizzando le reti telematiche e affidandosi a software di calcolo algoritmico freeware [guardate i diagrammi d questi calcoli logaritmici per rendervi conto della loro diavoleria], utilizzano questo strumento. Ma la vera e propria esplosione dei Cds dopo il 2004 si spiega solo a patto di ammettere che sono stati proprio grandi hedge fund e gli stessi investitori istituzionali (dalle banche centrali, ai governi, giù giù fino agli enti locali italiani) a farvi ricorso. I dati anche in questo caso parlano chiaro: nel giugno 2006 gli swaps e le opzioni sui tassi d’interesse e sulla moneta ammontavano a 213mila miliardi di dollari con un aumento annuo del 16%. Nello stesso periodo gli swaps sulle insolvenze creditizie sono aumentati di 4mila miliardi, ovvero del 48%. [dati della ISDA, International Swaps and Derivatives Association - Vedi sopra tabella n.2]. Un’altra tipologia di Derivati e/o di Futures sono gli Interest Rate Contracts (Irc), una sorta di scommessa sul movimento dei tassi d’interesse al di sopra o al di sotto di una certa soglia di riferimento. Gli Irc hanno anch’esso conosciuto un’esplosione dalla fine degli anni ’90 al 2006, costituendo ben il 69% dei Derivati presenti sui mercati pari a 292mila miliardi di dollari. [dati della Bank of International Settlement – Vedi sopra tabella n.3] Esistono altre tipologia di Derivati, anch’esso cresciuti a dismisura nella prima metà del decennio [vedi sopra tabella n. 4]. Il gioco d’azzardo dei Derivati, l’aggiotaggio, la speculazione, rappresentano un fenomeno talmente colossale che ha squassato non solo le tradizionali dinamiche borsistiche ma pure il sistema dei cambi, i rapporti tra le valute, la relazione tra banche e aziende, che condiziona le banche centrali e le politiche economiche dei governi. Lo stesso sistema monetario è stato stravolto. Tano per farsi un’idea: se, com’è giusto, consideriamo denaro anche i titoli che vengono scambiati nelle borse e over the counter, abbiamo che solo il 3% è rappresentato dalle banconote stampate dalla zecche, mentre il restante 97% è creato dalla banche commerciali e d’affari che sono in mano a privati e non debbono rendere conto a nessuno. Siamo in presenza di un sistema impazzito, ove la regola aurea non è più “la produzione di merci a mezzo di merci”, bensì “la creazione di denaro per mezzo di denaro”. Di fronte a questo sistema, cresciuto a dismisura negli anni ’90, e nei primi anni di questo secolo, vi fu chi mise in guardia del rischio di un crollo, che si stava andando verso la cosiddetta “crisi di follia”. Queste voci, per quanto autorevoli, non vennero ascoltate, e anche se lo fossero state sarebbe stato troppo tardi per fare dietro front. Un dietro front che, al di là delle belle promesse della Fed o della BCE, non c’è stato nemmeno dopo l’implosione del sistema bancario nordamericano del settembre 2008. Passata la buriana il gioco d’azzardo è ricominciato bellamente, e sta divorando, come un Moloch, la nuova liquidità messa in circolazione dai governi e dagli stati. Non può esservi alcun dubbio che, pur dovendosi evitare ogni meccanicismo, c’è un rapporto di causa effetto tra l’esplosione del gioco d’azzardo e l’ingresso dell’economia occidentale nel tunnel della recessione nel 2007-08, aggravatasi nel 2009 e di cui non si vede l’uscita. Recessione che avrebbe avuto effetti ancor più catastrofici, non avessimo avuto, ancor più che i piani di salvataggio dei governi (che hanno trasformato il debito privato di grandi banche piene di “titoli tossici”, leggi: invischiate nel gioco d’azzardo dei Derivati, in debito pubblico), la tenuta economica e lo slancio persistente di paesi “emergenti”come la Cina, che si è dimostrata essere lavera e propria locomotiva dell’economia mondiale. Se si fosse fermata anche questa un terremoo scala dici della scala Richter sarebbe senza alcun dubbio già accaduto. Questo per dire che il declinante capitalismo occidentale è appeso alle performances del capitalismo cinese. Ove anch’esso s’inceppasse un crack di dimensioni ciclopiche sarebbe inevitabile. Warren Buffet, non un bolscevico, ebbe modo di dire che i diversi strumenti utilizzati dalla speculazione finanziaria sono nient’altro che “armi di distruzione di massa”. Chi crede che tutto questo Ambaradan sia un “gioco a somma zero” si sbaglia. Il capitalismo è una macchina guidata da un’ente impersonale che la sta portando verso il baratro di una depressione che avrà conseguenze sociali e geopolitiche, per l’appunto, catastrofiche. Moreno Pasquinelli Fonte: http://sollevazione.blogspot.com Link: http://sollevazione.blogspot.com/2010/03/di-cosa-e-malato-il-capitalismo.html#more 12.03.2010
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La bambola gonfiata e quelle… gonfiabili

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FINANZA/ Gli errori di Francia e Germania costeranno cari all'Italia

venerdì 12 marzo 2010

Non ci voleva Nostradamus per prevederlo e, infatti, puntualmente si è avverato: Tim Geithner, segretario Usa al Tesoro, ha chiaramente reso noto che Washington è pronta alla scontro se l’Europa porterà avanti il suo piano di regolamentazione dei mercati finanziari e, soprattutto, l’idea di mettere al bando il naked short sui cds legati ai debiti sovrani dei paesi dell’area euro.

Il passo, gravissimo per le relazioni transatlantiche, è decisamente ufficiale visto che è contenuto in una lettera inviata il 1° marzo scorso da Geithner al Commissario per il mercato interno europeo, Michel Barnier (quello che una settimana fa si chiedeva chi stesse speculando sulla Grecia, praticamente Diogene), nella quale si denuncia di fatto un intento protezionistico del Vecchio Continente: in base ai cosiddetti “elementi della terza nazione” contenuti nella bozza che gli euroburocrati stanno stilando sotto dettatura di Francia e Germania (con Grecia e, udite udite, Lussemburgo a fare da camerieri dei nuovi potenti), ci sarebbe di fatto il divieto di operare in Europa per i fondi speculativi, quelli di private equity e anche per le banche Usa, a meno che non accettino la nuova regolamentazione: ovvero, addio naked short sui cds.

Come già denunciato ieri, non si sa nemmeno cosa sarà vietato e cosa no, se solo l’attività di naked - ovvero la non disponibilità del sottostante che il cds andrebbe ad assicurare - rispetto ai bond oppure anche ad altri assets collegati al debito sovrano da cui ci si vuole difendere, ad esempio partecipazioni azionarie in aziende del paese “nel mirino”. Ma si sa, per l’asse renano il mercato è il male assoluto, quindi occorre regolare e punire.

Peccato che i primi da mettere in coda per la ghigliottina sarebbero proprio Francia e Germania, visto che stando a dati comunicati in un draft riservato della BaFin - l'ente che regola il mercato tedesco - che ilsussidiario.net ha potuto visionare a Londra, la crescita del rendimento dei bond greci all’inizio di quest’anno ha preceduto la crescita del valore dei cds e non il contrario, come qualche complottista della speculazione vorrebbe far credere.

Di più, fino a fine gennaio gli hedge funds possedevano cds sul debito greco pari a 9 miliardi di dollari, valore rimasto inalterato fino allo scoppio della crisi a fronte di un totale di 300 miliardi di dollari di bond greci emessi e collocati: una goccia nel mare, incapace di mandare a gambe all’aria un paese. Diversa la questione da metà febbraio in poi, quando proprio le banche europee - francesi e tedesche in testa - hanno cominciato a comprare cds sul default greco a man bassa: banche, giova ricordarlo, che se non sono di fatto nazionalizzate, possono comunque operare soltanto perché salvate nei mesi scorsi dal denaro dei contribuenti e della Bce.

Inoltre, va ricordato che quello dei cds è un mercato di puri istituzionali e lo short sui bond lo si fa più semplicemente scommettendo sul rialzo del rischio del paese: quindi si va long di cds. Molte società di brokeraggio, ad esempio, seguono i corporate cds per valutare la rischiosità del titolo e di conseguenza settare i margini. Ma è un’altra la cosa che Parigi e Berlino fingono di non sapere, una vera e propria distorsione che si sta creando sul mercato.

Se tu sei un soggetto istituzionale e sottoscrivi il bond della Grecia al 6.50%, ti puoi infatti coprire dal rischio con il cds: se tu sei invece un povero privato, semplicemente non puoi farlo. Questo perché il mercato lo fanno gli istituzionali e non i privati e, di conseguenza, il tasso del 6.5% non esprime affatto tutta la componente di rischio. Prima dell’avvento dei cds, invece, il tasso di un bond esprimeva risk free rate + rischio paese + inflazione: oggi la componente rischio paese è, di fatto, “prezzata” male poiché i flussi vanno sui cds e non sui bond stessi. Ma non dite queste cose a madame Lagarde, potrebbe aversene a male.

Insomma, di fatto Parigi e Berlino vogliono vietare agli altri ciò che stanno lasciando allegramente fare alle loro banche in crisi nera, visto che in Germania la bomba a orologeria degli assets tossici è a quota 300 miliardi di euro e il progetto della bad bank in cui scaricarli è allegramente stato messo in ghiacciaia per mancanza di fondi. Ecco la moralità e l’onestà dei nuovi padroni d’Europa, i quali attraverso la Bild ieri hanno lanciato un chiaro attacco all'Italia bocciando la candidatura di Mario Draghi a capo della Bce, poiché «un uomo della Lira non può essere l’uomo dell'Euro», meglio il teutonico capo della Bundesbank, Weber, «persona che ha da sempre avuto a che fare con una valuta forte». Ma che, in fatto di mercato e competenza valutaria, non vale nemmeno la suola delle scarpe del governatore di Bankitalia.

Il quale, però, sconta lo scandaloso silenzio del governo italiano rispetto a questo dibattito chiave per il futuro dell'Europa: capiamo che le idee di Giulio Tremonti siano molto simili a quelle di francesi e tedeschi rispetto alla necessità di regolare determinati strumenti finanziari (e forse questo ha portato Silvio Berlusconi ad assumere una sorta di interim silenzioso sulle scelte economiche), ma ora è giunto il momento di farsi sentire e battere i pugni sul tavolo.

Esattamente come fece Margaret Thatcher a Fontainebleu quando ottenne il rebate: la Bce non può diventare la filiale allargata della Bundesbank, per Draghi è giusto e necessario lottare. Londra, dal canto suo, ha già fatto informalmente sapere di essere al fianco dell’Italia nel sostegno del candidato di Palazzo Koch. Anche perché in questa fase di shock generalizzato per le finanze pubbliche stiamo vivendo un pericoloso processo che vede minate alla fondamenta le rilevanze analitiche rispetto alle classificazioni convenzionali delle nazioni, ovvero i paesi cosiddetti industrializzati stanno - a causa del debito ormai a spirale - peggio a livello macro dei paesi cosiddetti emergenti, il Bric ma non solo.

È un attimo, in una situazione simile, finire ai margini e nel mirino delle società di rating e, questa volta sì, dei raiders pronti a tutto per un po’ di denaro facile e veloce: Roma si svegli e lo faccia in fretta, invece di preoccuparsi per un “buffone” che cerca un po’ di notorietà facendo cagnara alle conferenze stampa.

Diciamo chiaro e tondo a Germania e Francia che invece di invocare misure populistiche e controproducenti al fine di mascherare il fallimento nel bail-out greco da parte dell’Europa, si dovrebbe fare davvero qualcosa di serio e soprattutto condiviso: ripeto, la stessa BaFin certifica che Deutsche Bank, Commerzbank e le loro colleghe transalpine - Bnp Paribas in testa - si sono lanciate come avvoltoi - poi si lamentano degli vulture funds - sui cds del debito greco: questo mentre Sarkozy e Merkel giocavano a rimpiattino con il piano di salvataggio, un giorno negando e l’altro confermando, al fine di rendere instabile la situazione di Atene e far crescere spread e rendimenti: meriterebbero l’apertura di un’inchiesta formale in sede europea, ma essendo “loro” l’Europa, si autoassolveranno come sempre fanno i vincenti alla fine della guerra.

Sono altre, volendo essere seri, le regolamentazioni da fare. Come, ad esempio, quella imposta dalla Fsa, l’ente di vigilanza del mercato britannico, alle banche d’Oltremanica, obbligate - avete letto bene, obbligate, l'Abi tenga a mente - a nuovi, durissimi stress tests per valutare la tenuta rispetto a uno scenario da double dip recession, ovvero la recessione a w: è il cosiddetto caso di “worst case scenario”, ovvero prepararsi al peggio. Che, magari, non arriverà mai, ma che è sempre meglio prevedere: la Bce e gli enti europei cosa dicono? Dormono forse? O sono troppo impegnati a dare la caccia agli speculatori cattivi, gli stessi hedge funds che vendono alle banche tedesche e francesi i cds greci, visto che si trattano su base privata e non in Borsa come le azioni?

Lo scenario inglese da simulare per gli stess tests è da incubo: disoccupazione al 13,3% e contrazione dell’economia di un ulteriore 2,3% che porti il tendenziale annuo a qualcosa come l’8,1% di calo del Pil. Per passare il test la Fsa ha reso noto che la ratio del Core Tier 1, ovvero l'indicatore di riserva degli istituti, dovrà essere superiore al 4%. Questo avviene nei paesi seri, altrove ci si fa dettare le regole da dilettanti allo sbaraglio che non vogliono altro che l’egemonia sulla nuova Europa che va formandosi: è brutto dirlo, ma ora come ora Germania e Francia sono nostri nemici. E come tali andrebbero trattati fino a quando non torneranno a portarci un po’ di rispetto.

http://www.ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2010/3/12/FINANZA-Gli-errori-di-Francia-e-Germania-costeranno-cari-all-Italia/72319/

Usa, crack Lehman: accuse a dirigenti, altre banche e società di servizi

Usa, crack Lehman: accuse a dirigenti, altre banche e società di servizi JPMorgan Chase e Citigroup hanno favorito il collasso di Lehman Brothers. Ad affermarlo è, questa mattina, Anton Valukas, esperto incaricato dalla giustizia americana di studiare le cause del clamoroso crack...

JPMorgan Chase e Citigroup hanno favorito il collasso di Lehman Brothers. Ad affermarlo è, questa mattina, Anton Valukas, esperto incaricato dalla giustizia americana di studiare le cause del clamoroso crack. L’analista, in un rapporto di 2.200 pagine che è stato reso pubblico dalla corte federale di Manhattan, spiega come chiedendo più collaterali e rivedendo gli accordi per l'offerta di garanzie, i due istituti di credito abbiano contribuito in modo decisivo a far precipitare la crisi di liquidità della banca.

Il rapporto tira anche in ballo numerosi ex dirigenti di Lehman, a partire dall’amministratore delegato Richard Fuld («il cui comportamento è stato per lo meno ampiamente negligente», si legge nel documento), per proseguire con i direttori finanziari Christopher O'Meara, Erin Callan e Ian Lowitt, che avrebbero avallato comunicati fuorvianti sullo stato del colosso bancario. In particolare, si sarebbe effettuata un’ampia manovra contabile che ha permesso «di sgravare il bilancio di 500 miliardi di dollari» nei primi sei mesi del 2008, al fine di mascherare l’ampiezza reale dell’indebitamento di Lehman.

Nel frattempo, arrivano le prime prese di posizione degli altri istituti coinvolti: Danielle Romero-Apsilos, una portavoce di Citigroup, ha spiegato che il rapporto è ancora al vaglio degli esperti del gruppo, ma che ad un primo sguardo «non è stato ravvisato alcun comportamento sbagliato da parte nostra».

Valukas - che ha impiegato un anno di tempo e 38 milioni di dollari per produrre il report, intervistando oltre 100 persone, compresi il segretario al Tesoro Timothy Geithner e il presidente della Federal Reserve Ben Bernanke - ha poi puntato il dito contro l’inglese Barclays, per le modalità di acquisizione di parte delle attività di Lehman successivamente al collasso, considerate in parte «improprie». Niente sconti, infine, anche alla società di servizi Ernst & Young, «per, tra le altre cose, la sua incapacità di mettere in discussione» le dichiarazioni dei dirigenti della banca.

http://www.valori.it/italian/finanza-globale.php?idnews=2137

CRISI: SPAGNA; BBVA CHIEDE A GOVERNO URGENTE TAGLIO DEFICIT

(ANSA) - MADRID, 12 MAR - Il presidente della banca Bbva, Francisco Gonzalez, ha chiesto oggi al governo spagnolo di avviare ''urgentemente'' un piano ''credibile e sostenuto'' di riduzione del deficit pubblico e di applicare riforme strutturali ''profonde'' per fare si' che la Spagna non perda la fiducia dei mercati finanziari e riattivi la crescita, riferisce l'edizione elettronica di Expansion. Il richiamo di Gonzalez arriva all'indomani della pubblicazione del bollettino economico Bce, nel quale l'istituto presieduto da Jean Claude Trichet chiede a Madrid di presentare ''misure concrete, specialmente per il periodo 2011-13'' che diano credibilita' al programma di stabilita' presentato dall' esecutivo. Oggi Gonzalez ha avvisato che l'uscita dalla crisi e' resa piu' difficile dal deficit pubblico ''insostenibile'', ora all'11,9%, e dalla crescita esponenziale del debito. ''Dobbiamo affrontare questi problemi urgentemente, ha detto, perche' la Spagna non puo' perdere la credibilita' dei mercati che la finanziano''. (ANSA).

La forza delle argomentazioni – 3

Ci è voluto un po’ di tempo, ma alla fine l’argomentato attacco alla assai ipotetica candidatura di Mario Draghi alla guida della Banca Centrale Europea è arrivato. Il pulpito non è dei più qualificati (il quotidiano tedesco Bild), ma certo di grande presa popolare. Il tema dell’ortodossia monetaria è very pop in Germania, un po’ come quello dell’immigrazione da noi, dove può capitare di leggere titoli del tipo “I negri hanno ragione“, e Bild lo declina a modo suo. Il posto oggi occupato da Jean-Claude Trichet potrà andare solo ad un tedesco, e chi meglio di Axel Weber? Quanto a Draghi, lui è “un uomo della lira”, ma non solo: ha pure lavorato per Goldman Sachs, argomenta Bild.

Quest’ultima accusa, a onor del vero, è molto popolare anche da noi, ad uso e consumo di quanti ritengono che sia possibile ridurre l’ansia trovandosi un capro espiatorio, e poco importa che la parentesi di Draghi a Goldman sia terminata molto tempo addietro, o che egli non fosse (ovviamente) coinvolto in operazioni di finanza strutturata, avendo un ruolo di relationship istituzionale più o meno uguale a quello che nel corso degli anni hanno avuto Mario Monti, Romano Prodi e (udite, udite) Gianni Letta. Tornando ad Axel Weber, all’eroe senza macchia e senza paura della stabilità monetaria (mica come Draghi, che la notte di nascosto stampa banconote nella cantina di casa), potrebbero e dovrebbero essere girate le domande di Simon Johnson.

Weber, nel suo pluriennale ruolo di dominus e custode dell’ortodossia economica e monetaria tedesca, potrebbe ad esempio spiegare dov’era quando Deutsche Bank è diventata una delle banche con la maggior leva finanziaria al mondo, suggerisce Johnson. Oppure potrebbe spiegare il ruolo della Bundesbank, in quanto regolatore del sistema creditizio tedesco, nel caso di Hypo Real Estate, il buco nero di Germania. O ancora, la strenua resistenza tedesca alle proposte di incremento dei requisiti di capitale, e l’aver tenuto rigorosamente segreti i risultati degli stress test bancari europei, per evitare qualcosa di più dello stigma a carico di alcuni istituti non particolarmente virtuosi. E potrebbe forse anche spiegare il ruolo tedesco nel contesto di quella che Johnson definisce la politica monetaria fortemente prociclica dell’eurozona, che ha indirettamente favorito gli esportatori tedeschi.

Weber, è l’argomentazione di Johnson, in quanto ascoltatissimo consigliere economico dei governi di Berlino, è stato determinante nel perseguire un modello di policy basato sull’export e sulla stretta fiscale sistematica. Che notoriamente è cosa diversa da una politica fiscale anticiclica, tale cioè da risultare moderatamente espansiva in recessione e restrittiva in espansione (a somma zero, quindi), ma evidentemente per i tedeschi questi sono dettagli.

Al di là delle campagne dei giornali popolari, Berlino resta il crocevia dei destini dell’Unione monetaria europea, oltre che della sua evoluzione politica. Spetta ai tedeschi scegliere se continuare a spremere esportazioni dal Sud di Eurolandia (se e quando ciò potrà tornare ad accadere), salvo poi salire in cattedra nel momento in cui gli squilibri diventano insostenibili, oppure se puntare ad un vero coordinamento delle politiche economiche. Sperando che a Berlino riescano a comprendere che gli squilibri macroeconomici sono come il tango (cioè che occorre essere in due per ballare), e che un deficit non è altro che un surplus visto allo specchio.

Update: questi stessi concetti li ritrovate (ovviamente espressi meglio) in questo post di Edward Harrison per Naked Capitalism, che riprende lo schema dei saldi tra settore pubblico, privato e conto capitale, frequentemente utilizzato da Martin Wolf. La morale è che l’Europa, applicando la ricetta tedesca, va dritta ad infilarsi in un double dip.

http://phastidio.net/

BERNASCONI

In questo inverno senza fine anche i cinghiali galoppano in mezzo alla neve. Ieri l'S&P500 ha raggiunto i fatidici 1150 punti e precedente massimo annuale. Ormai anche gli ultimi indecisi partecipano a questo rialzo che rischia ora di restare a corto di carburante.

Ieri in Europa gli indici azionari sono rimasti vittima di prese di beneficio. In mancanza di ulteriori stimoli sono spariti anche i compratori. In America le borse sono rimaste tranquille ed invariate fino ad un'ora dalla chiusura. Poi la tentazione é stata troppo forte ed una breve ondata di acquisti concentrata sui titoli finanziari e sui futures ha fatto fare un balzo agli indici e permesso all'S&P500 di chiudere a 1150 punti (+0.40%). La tendenza a medio termine é rialzista e l'indice dovrebbe essere in grado di superare la resistenza a 1150 punti e salire sul prossimo obiettivo a 1170. I progressi tecnici sono però talmente buoni l'S&P500 potrebbe in aprile salire fino sui 1200 punti. A corto termine l'indice é però ipercomperato, gli investitori troppo euforici e la partecipazione é in diminuzione. Prevediamo quindi nela prossima settimana un sano ritracciamento di un 3% (1120 punti) prima della ripresa del rialzo. Le borse europee seguiranno e si comporteeranno di conseguenza. L'Eurostoxx50 potrebbe ridiscendere sui 2820 punti. Il cambio EUR/USD é salito a 1.3695. Il rialzo del dollaro dovrebbe nei prossimi mesi continuare in direzione del nostro obiettivo a 1.30 ma per ora dovrebbe fare una pausa. Un rimbalzo di alcune settimane verso gli 1.40 é probabile. L'oro oscilla senza trend a corto termine ed é risalito a 1112 USD/oncia. Dopo la buona chiusura a Wall Street ed il balzo del Nikkei (+0.81%) stamattina le borse europee inizieranno la seduta in rialzo del +0.4% cancellando le perdite di ieri. Oggi venerdì non ci aspettiamo ulteriori cambiamenti.

Leggete il nostro avviso o visitate il nuovo sito !!!

Passiamo ora ad esaminare la situazione (charts a sei mesi) dell'S&P500.

L'S&P500 (+0.40% 1150 punti) ha fatto un balzo nell'ultima ora di contrattazioni chiudendo sul massimo giornaliero, massimo annuale e resistenza. La tendenza a medio termine é rialzista ma l'indice non dovrebbe sullo slancio superare la barriera dei 1150 punti. Prevediamo una pausa ed un ritracciamento fin verso i 1120 punti. Il rafforzamento degli indicatori a medio termine mostrano però un potenziale di salita dell'S&P500 nei prossimi mesi fino ai 1200 punti.

Scenario 2010 (aggiornato a marzo 2010) Nel corso del 2010 ed al termine di alcuni mesi di distribuzione prevediamo una sostanziale correzione delle borse dopo il rally di marzo 2009 - gennaio 2010. Probabilmento l'S&P500 toccherà nel corso di quest'anno un minimo tra i 740 ed i 820 punti. La performance annuale dovrebbe essere negativa e l'S&P500 dovrebbe terminare il 2010 intorno ai 900 punti. Ora che la recessione sembra alle nostre spalle, le stime ufficiali per per gli utili operativi 2009 (al 3 novembre 2009) delle societâ dell'S&P500 sono risalite a 56.22 USD. Quelle per il 2010 sono addirittura al'incredibile livello di 74.99 USD. Capitalizzando gli utili 2009 con un P/E normale di 15/16 si arriva ad un valore teorico dell'S&P500 di 900 punti. In questi dati é però scontato un recupero marcato dell'economia ed un forte aumento degli utili delle imprese. Ricordiamoci che gli utili operativi 2008 delle società dell'S&P500 sono stati di 15.09 USD. Debitiamo inoltre che i dati relativi al 2010 siano realistici. In America si differenzia tra Operating Earnings (i guadagni ripuliti da tutti quelli che il Management definisce perdite o guadagni straordinari) e i Reported Earnings (che sono i soldi guadagnati o persi dalla società indipendentemente dalla loro provenienza o causa). Fino all'inizio del 2000 tra questi due valori le differenze erano trascurabili. Poi é arrivata la moda di definire tutte le grandi perdite come eventi straordinari che non vengono più attribuiti alla normale attività della società. Il risultato é una sovrastima sistematica dei guadagni. Una prova? Le stime ufficiali per i Reported Earnings 2010 per l'S&P500 sono a 45.50 USD (contro i 74.99 USD di Operating Earnings). La capacità delle società di generare profitti viene sistematicamente gonfiata. Se un giorno gli investitori aprissero gli occhi si renderebbero conto che una oggettiva valutazione dell'S&P500 con i tassi d'interesse sul USTB a 10 anni al 3.70% (stato ad inizio marzo 2010) é sui 790 punti (nostro calcolo). Immaginatevi cosa potrebbe succedere se i tassi d'interesse aumentassero! Ammettiamo che stimare ora correttamente gli utili delle società e determinare un giusto rapporto P/E per capitalizzare questo valore é un'impresa ardua. Troppe sono le variabili e le incognite. La nostra valutazione tecnica e fondamentale é però che i 1150 punti di S&P500 raggiunti a gennaio 2010 corrispondono ad una sopravalutazione. La prossima dovuta sostanziale correzione ci dirà a quale punto si trova la congiuntura mondiale.

Richiedete informazioni a analisi_tecnica@longshortinvest.com Non rispondiamo a mails anonime.

Bernasconi Consult, gestione patrimoniale e consulenza finanziaria Rütistrasse 13, CH-8702 Zollikon Tel. +41 43 499 63 84 EMail: bernasconi@longshortinvest.com

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