Alessandro Cappelletti
Il 25 febbraio verrà presentato il nuovo piano industriale di Telecom Italia. Un appuntamento molto atteso in ambito finanziario, politico e sindacale. Dovrebbero svelarsi infatti i dettagli sul futuro rapporto con il socio spagnolo di Telefonica e, di conseguenza, sul futuro stesso dell’azienda.
Attualmente girano le voci più disparate, difficile stabilire a quale dare retta o quale considerare la più attendibile: forse tutte e nessuna… si sa solo che il Governo Berlusconi non ha posto veti politici sulla cessione della quota di maggioranza appartenente ai soci italiani.
Ciò significa che uno degli scenari possibili, forse il più probabile, sarà quello dello scorporo della Rete dalla Gestione Clienti. Ovvero: le infrastrutture che ci permettono di comunicare con il telefono di casa e con il cellulare (per i clienti Tim), verranno gestite da una società, mentre la gestione dei clienti finirà a un’altra società, dividendo in due tronconi, o forse più, ciò che da sempre è stata un’unica Azienda.
Impresa Semplice, verrebbe spontaneo da dire? No, per nulla, perchè Telecom non è un’azienda qualunque, è un colosso che tratta una merce piuttosto delicata, quella delle comunicazioni telefoniche e digitali, su rame, fibra ottica, gsm, umts, voip, da cui dipendono quasi tutti gli accessi telefonici di casa (anche se il vostro contratto è con un altro gestore, l’accesso diretto alla rete di trasmissione/ricezione, salvo rari casi, è sempre con Telecom Italia) oltre ad essere editrice e proprietaria dei canali tivù LA7 ed MTV.
Si pongono quindi diversi interrogativi, di carattere economico, politico e sociale.
Prima però qualche numero per capire di cosa stiamo parlando.
Telecom è un’azienda privata che al 30 giugno 2009 dichiarava tredici mila milioni di Euro di ricavi, un utile netto di 964 Milioni, un EBTDATA di 5.670 MLN (11.367 MLN al 31 dicembre 2008). In Italia, le linee TIM (ovvero, il numero di schede SIM in circolazione) sono 32,6 milioni, di cui si stima che almeno un terzo sia effettivamente funzionante (le altre sono le cosiddette “linee dormienti”, ovvero schede fornite con i cellulari nuovi che spesso finiscono dimenticate in un cassetto). Sul telefono fisso parliamo di circa 15 milioni accessi cosiddetti “retail” (al dettaglio, residenziali-privati) e circa 6 milioni accessi “whosale” (all’ingrosso, aziendali). L’offerta Alice Casa (45€ al mese) conta 350.000 clienti (lo fate voi il calcolo del guadagno mese/anno?). Il personale in servizio per gestire questo colosso è di circa 60 mila dipendenti. (Quando Telecom era ancora un’azienda di Stato, erano circa il doppio).
Poteva un’azienda come questa rimanere esente dalle brame dei soliti poteri finanziari? Certo che no…
Telecom Italia SPA nasce ufficialmente nel 1994 dalla fusione di 5 aziende: SIP, Italcable, Iritel, Telespazio e SIRM. Nel 1995 viene decisa la scissione della Divisione Radiomobile che porta alla nascita di TIM e poco dopo viene deciso di fondere la STET con Telecom Italia, in previsione della privatizzazione avvenuta nel 1997, sotto la Presidenza Prodi, con la quotazione alla Borsa Italiana che porterà il 6,62% delle azioni collocate in mano ad un gruppo con a capo la famiglia Agnelli.
Il cosiddetto “nocciolo duro” si rivelerà in realtà un ventre molle ed infatti meno di due anni dopo, Telecom cambierà padrone a seguito della famosa OPA di Tecnost, società guidata da Colaninno, dietro al quale si stagliava nitida l’ombra lunga di De Benedetti. Il Governo Italiano avrebbe potuto bloccare l’operazione grazie alla cosidetta “Golden Share”, che avrebbe permesso al Tesoro di porre il veto su un’operazione non proprio trasparente, soprattutto perché non si capiva come un gruppo di imprenditori poco conosciuti potesse mettere le mani su un’azienda enorme come Telecom, ma D’Alema, che nel frattempo era succeduto a Prodi a capo del Governo e indicato come referente politico dell’operazione, si guardò bene dal mettere i paletti nelle ruote dei “capitani coraggiosi”, motivando il fatto che l’Unione Europea non avrebbe accettato tale decisione. Fu così che nel giugno del 99, Tecnost, con un’operazione da 60 mila miliardi di allora Lire, acquistò il 51% della Società che controllava Telecom. Tralasciamo, per carità di patria, le successive operazioni finanziare adottate per consolidare il controllo dell’azienda, perchè non ne usciremmo vivi, e passiamo direttamente al capitolo successivo, ovvero la cessione a Tronchetti Provera avvenuta nel 2001 con l’acquisto della maggioranza del capitale da parte della Finanziaria Olimpia, partecipata da Pirelli, Benetton, Banca Intesa e Unicredito e la Hopa Di Gnutti.
Nel 2005, Telecom rientra in possesso di TIM. Nello stesso anno apprendiamo dal Bilancio che l’indebitamento dell’azienda ammonta a 40 miliardi di euro. L’11 settembre 2006 (guarda un po’ le coincidenze….) il consiglio d’amministrazione dell’azienda decide di riorganizzare Telecom Italia in quattro settori:
- Telecom Italia (telefonia fissa)
- Telecom Italia Mobile (telefonia mobile)
- Telecom Italia Rete (la rete telefonica)
- Telecom Italia Net (Tin.it , internet e media)
Il 15 settembre 2006, dopo l’annuncio dello scorporo di TIM, Marco Tronchetti Provera in polemica con Prodi, passerà la presidenza in mano a Guido Rossi, uomo di fiducia del Premier già ai tempi della prima privatizzazione. Lo scorporo rientrò e TIM rimase solo un marchio. Ormai il Gruppo Olimpia era in balia delle tempeste finanziarie e politiche, a seguito anche del famoso “scandalo delle intercettazioni”. Il 28 aprile del 2007, una cordata italo-spagnola composta da Mediobanca, Assicurazioni Generali, Intesa Sanpaolo, Sintonia e Telefónica rileverà la quota di Pirelli in Olimpia, attraverso la società Telco, arrivando al controllo del 23% circa di Telecom Italia e diventando quindi l’azionista di riferimento del Gruppo. Lo stesso anno fu approvato il piano industriale 2007-2009 che verrà, appunto, rinnovato il 25 febbraio.
Telecom Italia è, oggi, un’azienda impoverita dai continui cambi di proprietà che non hanno saputo garantire la necessaria solidità economica al Gruppo. Sotto la gestione di Tronchetti Provera, ha pure visto la svendita dei propri immobili. Resta solo una base clienti imponente, il monopolio “de facto” del fisso, una redditività immensa a fronte di una montagna di debiti finanziari che pregiudicano, tra le tante cose, lo sviluppo e la modernizzazione delle infrastrutture di Rete.
La paura è che quindi dal nuovo piano industriale venga fuori la solita logica finanziaria e non una vera strategia imprenditoriale, con la necessità di liberarsi dei pesi considerati inutili dai grandi teorici del liberismo, ovvero gli stipendi delle “risorse umane”, attraverso esternalizzazioni, cessioni di rami d’azienda, lo strumento della mobilità, che già oggi coinvolge circa 10.000 dipendenti, e i contratti di solidarietà, già applicati a circa 1000 lavoratori del vecchio “12″.
Come al solito, il rischio è che siano i lavoratori a pagare per le speculazioni finanziarie dei soliti “pirati”…
Telecom Italia è, infatti, un’azienda che produce utili, quantità enormi di utili. Industrialmente parlando è un’azienda fiorente come poche ce ne sono in Italia e nel mondo, eppure è sepolta di debiti.
I nodi, però, stanno venendo al pettine perché siamo di fronte al declino finale di un impero che ha fatto la storia dell’economia e del progresso della nostra nazione. Probabilmente a breve assisteremo a un nuovo cambio di proprietà con la probabile cessione della base clienti a Telefonica, lo scorporo totale di Open Acces (Rete) in società autonoma e una robusta ristrutturazione di tutto il Gruppo, così che l’ultima azienda di telecomunicazioni rimasta a maggioranza italiana, verrebbe a scomparire. Un ulteriore impoverimento della nostra economia e della nostra storia.
Al di là dello sciovinismo nazionalista, che non ci appartiene, è fuori discussione che questa sarebbe una sconfitta economica e politica tremenda per l’Italia, l’ultimo frutto delle scellerate privatizzazioni degli anni ’90, che hanno portato alla rovina decine di altre aziende. E Telecom sarà solo l’ultima, senza che ci sia stato nessun colpevole “morale”, nemmeno un indagato “morale”, dello strazio compiuto in soli dieci anni di privatizzazione. Una privatizzazione disgraziata, creata solo per favorire le solite logiche liberiste che favoriscono i soliti personaggi, nata male, che finirà probabilmente in peggio, con lo spezzatino alla italo-spagnola e qualche decina di migliaia di lavoratori “esternalizzati” ad aziende di dubbia solidità senza che nessuno venga chiamato a rispondere delle proprie responsabilità.
Chissà, magari la prossima volta che farete il 119 o il 191 o il 187 (ma succede anche con i call center di Wind, Tre, ecc ecc) , pensando di parlare con un operatore di Tim / Telecom, vi troverete in realtà dall’altra parte un dipendente di Telecontact, di Comdata, di Phonemedia-Omega, di Abramo o di chissà quale altra azienda di Call Center non meglio identificata, così simili a quell’azienda descritta da Paolo Virzì in un suo recente film.
Già succede, più di quanto possiate immaginare, senza che nessuno se ne accorga … E’ il mercato, baby…
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