FINANZA/ I nuovi rischi di crac che sconvolgono l’Europa

giovedì 3 dicembre 2009

Mentre la Cnbc gridava che il rischio di meltdown globale rappresentato da Dubai è tutt'altro che svanito, forse essendo a conoscenza di qualche particolare che verrà svelato la prossima settimana al meeting tra Dubai World e creditori, la giornata di ieri ci ha regalato un vero e proprio campionario di come governi e istituzioni sovranazionali stiano preparandosi a prendere in piena fronte il treno che sta sbucando dal tunnel e le cui luci di posizione vengono scambiate per segnali di ripresa.

Giungono, infatti, altre perdite di posti di lavoro a novembre in America nel settore privato, più gravi del previsto sebbene inferiori a quelle del mese precedente. Secondo l'indagine mensile Adp Employment Report sono stati persi 169mila posti di lavoro, dopo i 195mila di ottobre, dato leggermente rivisto in meglio. In media gli analisti prevedevano una perdita di 155 mila posti: ma domani l'amministrazione americana pubblicherà i dati ufficiali mensili sulla disoccupazione, relativi a novembre e che includono anche il settore pubblico.

A Wall Street i futures stanno già cominciando a deprimersi con ampio anticipo. Ma se l'America naviga a vista, speranzosa in un rafforzamento del dollaro che, legato al deficit da incubo, porterà solo il rischio di iper-inflazione, l'Europa dà il meglio di sé.

Sui tassi di interesse dell'area euro è attesa una conferma al minimo storico dell'1%, anche se la Banca centrale europea potrebbe iniziare una progressiva rimozione di alcune delle misure supplementari che nei mesi scorsi ha approntato per aiutare l'economia, che prevalentemente fanno leva sulla liquidità: ovvero, meno soldi per mettere a posto i Core Tier 1 delle banche. Le quali, essendo ridotte non male, ma peggio, restringeranno ancora il credito a privati e imprese: l'opposto di ciò che sarebbe servito.

La disoccupazione, infatti, si consolida anche nell'eurozona ai massimi storici, 9,8%o a ottobre, valore - secondo i dati Eurostat - che equivale a tre milioni di disoccupati in più rispetto a un anno fa. D'altronde per fronteggiare la crisi, nei mesi scorsi la Bce non aveva trovato di meglio che assicurare al sistema creditizio abbondante liquidità a condizioni stracciate ma nelle ultime settimane diversi esponenti dell'istituzione di Francoforte hanno espresso la preoccupazione che continuare troppo a lungo potrebbe favorire l'insorgere di nuove destabilizzazioni o crisi. Davvero dei geniacci questi burocrati.

Per questo già il mese scorso il presidente Jean-Claude Trichet aveva avvertito che a dicembre si sarebbe deciso se iniziare una progressiva rimozione, scelta osteggiata da molti governi e dal Fondo monetario internazionale, vero supermarket di carta straccia spacciata per denaro reale, che invece sostengono che sia più rischioso muoversi troppo in anticipo sulle exit strategies, piuttosto che troppo tardi. Scegliere la tempistica giusta non sembra un'opzione percorribile per lor signori, peccato siano profumatamente pagati per questo.

Ma non è tutto. Sempre ieri in sede Ecofin si è raggiunto l'accordo sul nuovo sistema di regolamentazione europeo, definito dal ministro dell'Economia francese Christine Lagarde, «il compromesso più chiaro possibile, grazie al quale stiamo creando una vera autorità di supervisione nei tre ambiti, ossia banche, assicurazioni e borse». Ci mancava solo un altro grande fratello miope per bloccare ancora di più i mercati e creare le condizioni per nuove crisi, figlie delle banche che non sanno usare derivati e cds e non degli hedge funds che invece sanno usarli eccome.

Ma vediamo qualche dettaglio. In particolare «in caso di crisi c'è una tripla protezione per assicurare agli Stati membri la sovranità in materia di bilancio». La prima è che sia il Consiglio - e non la Commissione Ue - a dichiarare lo stato di crisi. Inoltre, se le misure imposte dalle autorità hanno un impatto sulla spesa, «la decisione può essere discussa al Consiglio e revocata con una maggioranza semplice, di 14 voci su 27», spiegano le fonti, aggiungendo che «in casi estremi la decisione si può portare al vertice dei capi di Stato».

Inoltre, nel caso in cui non ci sia una crisi in ballo ma solo una decisione delle autorità di vigilanza contestata da uno Stato membro, alla prima spetta una sorta di “onere della prova”. Verrebbe da dire, salvate questa gente da se stessa ma è meglio dire, salvate noi da loro.

“Onere della prova”, sembra un processo, siamo forse terminati nel giallo di Garlasco senza saperlo! In compenso l'Europa, quella reale, scricchiola: i cds dell'Irlanda stanno risalendo in maniera preoccupante e la Grecia è ormai sull'orlo del default tecnico dopo aver disatteso la promessa fatta a Bruxelles di varare misure concrete antideficit entro ottobre.

La “forbice” (spread) fra i BOT greci e quelli tedeschi a 10 anni è saltata a 178 punti-base: il che significa che il governo di Atene, per farsi prestare denaro dai mercati, deve offrire quasi il 2% di interessi in più di Berlino sui suoi titoli di debito pubblico. Il rincaro del debito è rovinoso per un Paese economicamente debole, nel pieno di una crisi mondiale dove i debiti pubblici più potenti (vedi gli Usa) faranno una concorrenza spietata: 18 miliardi di euro di debito pubblico greco stanno per andare a scadenza e andranno rinnovati nel secondo trimestre del 2010.

Quale strada per il governo socialista greco se non quella dei tagli sanguinosi, i quali però porteranno ulteriore tensione sociale in un paese già pervaso da forti pressioni interne. Non si può svalutare, né stampare moneta: si può, però, svendere gli assets del paese all'estero visto che un deficit di budget del 13% sul Pil non consente molti margini di manovra.

E sta già accadendo: la Cina, di fatto, è pronta a comprarsi la Grecia a prezzo di saldo: i porti del Pireo sono ormai della Cosco, pronta a creare un hub cargo verso il Mar Nero. Pechino non comprerà bond governativi greci come spera il Pasok al governo, vuole gli assets e li vuole pagando poco, roba da take-away.

Hanno voglia i lavoratori portuali a protestare, con menti come quelle dell'Ecofin che triplicano gli enti di regolazione dei mercati invece di intervenire sulla crisi, meglio forse essere divorati da Pechino, nuovo stato Ue attraverso il suo protettorato economico ellenico. Ma i giornali non parlano di questo, parlano del trans Brenda!

Questa è l'Europa, non quella dell'Ecofin che gioca a chi si fa lo sgarbo peggiore tra asse renano e inglesi. Lo spread dei titoli di Dublino non deve farci stare affatto tranquilli, così come il rischio di insolvenza sempre crescente dell'Ucraina e i guai seri che dovrà affrontare nel primo trimestre del prossimo anno il sistema bancario tedesco, la cassaforte d'Europa.

La Gran Bretagna, poi, vedrà una netta svalutazione della sterlina entro marzo-aprile e già si vocifera del fatto che sarà il primo paese del G10 a dover affrontare una dura crisi fiscale - su cui scommettere per far soldi, ovviamente - determinata da proiezioni di banche d'affari, Morgan Stanley in testa nel suo outlook 2010, che prefigurano come sempre più probabile il rischio di assenza di maggioranza in grado di governare alle elezioni generali di maggio.

L'Italia, va beh, si commenta da sola, basta guardare il debito pubblico e ascoltare le parole di Mario Baldassarri all'ultima puntata di Ballarò: «In cassa non c'è più una lira». Evviva. Soprattutto l'Ecofin.

http://www.ilsussidiario.net/default.aspx

La crisi di Dubai è la crisi del sistema dei "salvataggi" centrato a Londra

3 dicembre 2009 (MoviSol) - Quella che viene chiamata la "crisi di Dubai" è in realtà il crollo del sistema monetario globale centrato a Londra. Lungi dall'essere un luogo periferico, Dubai svolge un ruolo chiave nell'organizzazione di riciclaggio dei proventi criminali dell'impero.

La cosiddetta crisi è diventata ufficiale il 25 novembre, quando Dubai World, l'azienda della famiglia reale dell'Emirato, ha chiesto una moratoria sui debiti di sei mesi. Dubai World ha circa 60 miliardi di dollari di debiti, la metà dei quali verso le banche europee. L'annuncio ha ovviamente provocato una frana nei mercati azionari di tutto il mondo, colpendo particolarmente i titoli bancari.

I debiti di Dubai World hanno finanziato una delle fantasie più bizzarre dell'attuale bisca finanziaria: trasformare il Dubai in un centro ricreativo internazionale creando isole artificiali, centri commerciali, hotel di lusso e torri vertiginose piene di ogni amenità, tranne che il buon gusto. Il sistema è sembrato funzionare per un po', ma poi il sistema finanziario è scoppiato, e i valori immobiliari sono crollati del 50%.

Ma l'ammontare del debito e dei valori immobiliari è quasi triviale, paragonato ai flussi di denaro sotterranei che formano l'economia di Dubai. Questo piccolo emirato è il centro del mercato nero dell'impero, la capitale finanziaria del flusso di denaro sporco della droga e di altre attività illecite. Dubai oggi svolge un ruolo simile a quello di Hong Kong all'inizio dell'Impero Britannico, e ospita nei suoi grattacieli i più potenti narcotrafficanti, tra cui i signori della droga dell'Afghanistan. Questo è il segreto della sua fortuna come centro finanziario.

Dubai è gestito completamente da Londra, costruito con soldi della City e da imprese di costruzione del Regno Unito. La maggior parte degli enti governativi ha un membro della famiglia reale come titolare, e un suddito britannico come vice e vero manager. Non dovrebbe sorprendere che lo sceicco Mohammed, il sovrano di Dubai, si è recato a Londra per incontrare la Regina Elisabetta, il Primo ministro Gordon Brown e altri dignitari della City nei giorni immediatamente precedenti all'annuncio di moratoria. Come ha poi dichiarato lo stesso sceicco, la cosa è stata "accuratamente pianificata in anticipo".

LaRouche: il fatto cruciale nel caso di Dubai

3 dicembre 2009 (MoviSol) - In un articolo intitolato "La crisi finanziaria europea di Dubai: l'orrore di Copenhagen", Lyndon LaRouche ha ammonito a non ignorare "il fatto cruciale nel caso di Dubai", perdendosi negli aspetti "decorativi" della crisi. È cruciale, ha scritto LaRouche, la reazione della monarchia britannica a questo nuovo sviluppo nel contesto della crisi da collasso mondiale.

"La monarchia britannica sta reagendo istericamente e stupidamente, anche se con cattiveria, al fatto essenziale della crisi di Dubai. Essenzialmente, l'attuale sistema monetario mondiale è nel processo né di una semplice recessione, né di una depressione, ma di una crisi da collasso di un tipo che non ha precedenti nella storia europea se non risalendo al quattordicesimo secolo".

"L'effetto politico di ciò che attualmente appare come la 'crisi di Dubai' che investe l'Europa occidentale, è affiorato in contemporanea con una crisi politica in Germania [le vicende attorno alle dimissioni dell'ex ministro della Difesa, ndr.]. Una successiva riflessione ha mostrato che non solo tutta l'Europa occidentale era immediatamente coinvolta, e ha subito gravi contraccolpi dalla minaccia di bancarotta degli interessi finanziari infestati dalla droga di Dubai e dell'Afghanistan. Il ruolo della Germania come terzo attore sulla scena della guerra anglo-americana in Afghanistan ha dato i segni premonitori di ciò che stava per scoppiare politicamente ed economicamente; la Regina britannica, come di prammatica, è stata preparata in anticipo".

"Ora, diamo uno sguardo sotto le lenzuola e i burka della stessa crisi centrata sul Dubai del traffico di droga. Lo sviluppo odierno punta a ciò che deve essere considerato seriamente come potenziale detonatore di un collasso monetario a catena, non solo dell'Europa occidentale ma coinvolgente sia gli interessi finanziari di Wall Street sia la stessa amministrazione Obama".

"Attualmente – spiega LaRouche – la traccia migliore da seguire per un'inchiesta sulla fase della crisi scatenata dal Dubai, è capire il parallelo globale della situazione attuale con la Germania del 1923, il che significa concentrarsi sulla cosiddetta crisi dei 'salvataggi' centrata sia sul Regno Unito che negli Usa, una crisi che continua dal settembre 2007 e che ora ha raggiunto il punto di una minaccia di collasso generale, alimentata da Obama, dello stesso sistema finanziario-monetario USA".

La crisi può essere ribaltata solo con politiche che permettano un aumento nel livello standard della densità del flusso energetico nelle tecnologie produttive applicate, ma anche nelle nuove tecnologie che dovranno più che compensare l'esaurimento delle risorse provocato da un modo fisso di tecnologia. Ecco perché deve essere fermato l'"orrore di Copenhagen", la "mobilitazione per l'omicidio di massa in tutto il pianeta" dietro il pretesto della cosiddetta "riduzione delle emissioni". Lo "schema di Copenhagen" non è solo malvagio, ma è anche stupido. "Gli effetti del tentativo di applicarlo porterà alla rovina lo stesso impero britannico del principe Filippo".

http://www.movisol.org/index.htm