Finanziaria, il grande bluff dello scudo fiscale e dei tagli alle tasse

Economiadi Pietro Salvato

 

pubblicato il 30 novembre 2009 alle 11:00 dallo stesso autore - torna alla home

Il provvedimento fa incamerare solo 3,5 miliardi di euro contro i 5  previsti da Tremonti. Perciò niente abbassamento dell’Irpef e dell’Irap. Nel frattempo, c’è chi guarda con preoccupazione a Dubai e alla nuova tempesta finanziaria. Sono le nostre Pmi.

I soldi che rientreranno in Italia grazie allo scudo fiscale sono sacrosanti e ci serviranno per dare una mano a tutti coloro che hanno bisogno”. A dirlo fu lo stesso premier Silvio Berlusconi, in un’intervista al Tg5. Ancora più nel dettaglio era entrato il ministro delle Attività Produttive, Claudio Scajola, che al quotidiano La Repubblica dichiarò: “Con i soldi dello scudo ridurremo l’Irap”. Lo stesso ministero dell’Economia prevedeva, peraltro, un introito di almeno 5 miliardi euro, frutto di quel 5% di aggravio previsto sui capitali “scudati”. Del resto, al contrario degli analoghi provvedimenti varati dai governi degli altri paesi, il nostro “scudo fiscale” si presentava al quanto allettante: quasi quanto un “condono tombale”. Innanzitutto, permette l’anonimato, poi sana, di fatto, almeno una decina di reati tributari tra i quali qualcuno pure piuttosto grave come l’occultamento o la distruzione di documenti contabili (la pena prevede la reclusione anche fino cinque anni) e, dulcis in fundo, come detto, l’irrisoria “balzello” una tantum del 5% sul capitale illegalmente trasferito all’estero.

DIECI EMENDAMENTI POSSON BASTARE… - Dando un’occhiata alle proposte del governo sotto forma di emendamento alla sua stessa legge Finanziaria, che sarà discussa nei prossimi giorni alla Camera, abbiamo scoperto un pacchetto aggiuntivo di 10 emendamenti per un valore di circa 8 miliardi di euro. Queste proposte risultano coperte, per meno della metà, dalle risorse ora previste dallo scudo fiscale e per il rimanente si tratta di “spostamenti all’interno di capitoli di bilancio già esistenti”. Secondo quanto riferiscono fonti del ministero dell’Economia, le risorse extra scudo che serviranno a finanziare misure come Roma capitale, gli ammortizzatori sociali e l’ambiente “non sono soldi freschi, ma vengono presi da voci già esistenti, attraverso uno spostamento di poste di bilancio da un capitolo all’altro”. Compare, inoltre, anche un aumento delle tasse sui processi: in particolare aumenta il cosiddetto “contributo unificato”, cioè la “forfetizzazione” in un unico importo di tutte le spese collegate ad una causa. Fra le proposte avanzate dall’esecutivo ci sono anche gli sgravi fiscali per le banche promessi dallo stesso ministro dell’Economia Giulio Tremonti in conseguenza dell’accordo sulla moratoria sui debiti delle Pmi. Un emendamento, in particolare, poi propone la soppressione delle comunità montane (dopo che lo stesso governo Berlusconi, qualche tempo fa, ne ha permesso la costituzione persino di un paio a livello del mare!) e del difensore civico comunale. Scatta, infine, una stretta sui falsi invalidi con verifiche straordinarie.

DE TAX… IN TAX - La Finanziaria, quindi, che valeva già 4 miliardi di euro così come approvata dal Consiglio dei ministri e dopo il passaggio al Senato, si arricchisce di altri 4 miliardi che derivano dallo scudo fiscale, più altre risorse. In particolare, dallo scudo adesso si prevede di introitare solo 3-3,5 mld di euro, contro i 5 mld inizialmente previsti (non più di un mese e mezzo fa). Nel pacchetto del governo c’è anche l’emendamento che ripartisce gli introiti dello scudo fiscale: che dovrebbero andare, secondo quanto riferisce il vice-ministro dell’Economia, Giuseppe Vegas, nell’ordine: “alle missioni di pace, ai libri di testo scolastici, ai lavoratori socialmente utili della scuola, alle scuole paritarie, al fondo università e alla proroga del 5 per mille per il 2010”. Insomma, non c’è alcun taglio delle tasse. Già detto del finto “taglio dell’acconto sull’Irpef” , spacciato dallo stesso esecutivo e persino da certi “organi di informazione” come “il primo consistente taglio delle tasse messo in atto dal governo Berlusconi”, ora osserviamo come non ci saranno altri tagli, sconti o sgravi fiscali nella Finanziaria 2010. Questo, in particolare, è uno dei punti fermi assieme, all’assenza di sgravi sull’Irap (contrariamente, quindi, a quello che sosteneva Scajola) a favore delle imprese, ed al “no” alla cedolare secca sugli affitti. Dal Corriere della Sera di ieri, apprendiamo inoltre che: “Aperto lo scudo e pagata la sanzione, potrebbe esserci fino a un anno di tempo per il rimpatrio o la regolarizzazione con lo scudo fiscale dei capitali detenuti illecitamente all’estero. L’Agenzia delle entrate ha già fatto sapere che i contribuenti che avranno difficoltà nel disinvestimento dei capitali da scudare potranno far presente l’esistenza di «cause ostative» e procedere al rientro fisico in tempi “congrui”. E l’orientamento che sta maturando nell’Agenzia è quello di considerare “congruo”, in funzione della complessità delle operazioni, anche un anno di tempo. Non è chiaro se l’indicazione troverà accoglienza in un emendamento alla Finanziaria 2010 oppure, come sembra più probabile, in una nuova Circolare del direttore dell’Agenzia”.

Tradotto, significa che lo scudo, al pari peraltro dei suoi predecessori varati dall’altro esecutivo Berlusconi, nel 2002 e 2003, ha raccolto meno di quanto sperato. Adesso, in presenza di “cause ostative”, si estende ad un anno il tempo per il rientro, mentre resta ferma la scadenza al 15 dicembre per presentare la dichiarazione con il pagamento della sanzione del 5%, che di fatto apre l’ombrello giuridico dello scudo.

SILVIO E LA TEMPESTA DI DUBAI –Se c’é bisogno di fare deficit, si fa solo sulla cassa integrazione, sul sociale”. Lo ha detto il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti intervenendo in commissione Bilancio della Camera nel dibattito sulla Finanziaria, ricordando che la cassa integrazione “è l’unica causale che ha una cifra etica e morale condivisibile”. Se la tempesta finanziaria proveniente dal lontano Golfo Persico dovesse man mano crescere, probabilmente gli effetti si faranno sentire anche nel nostro Paese. Infatti, non basta fare spallucce, magari dicendo che “le nostre banche non sono esposte direttamente”. Non lo erano, più di tanto, nemmeno con la “bolla americana”, eppure gli effetti perversi della crisi prima finanziaria e poi economica, come sappiamo, li stiamo ancora scontando per intero anche nel nostro Paese. Oltre a ciò, non sono poche le piccole e medie imprese italiane impegnate direttamente nell’Emirato arabo. Come ricorda in una brillante analisi su www.ilsussidiario.net, Ugo Bertone: “Sono state le trivelle della Trevi a scavare le fondamenta di tanti tra le centinaia di grattacieli spuntati sulle rive del Golfo; nelle hall dei grandi alberghi (tra cui la Armani house) spiccavano le vetrine delle griffes, grandi e piccole; a Salvatore Ferragamo, nell’ottobre del 2008, era stato affidato l’incarico di arredare “la casa più lussuosa del pianeta” che, come tutti gli hotel di lusso, avrebbe dovuto avere le finiture, a partire dai rubinetti per finire con gli yacht parcheggiati davanti all’ingresso rigorosamente made in Italy”. E ancora: “Non sarà sufficiente stringere i tempi e aspettare che “passi ‘a nuttata”: l’economia reale italiana – sostiene Bertone – da sempre export oriented, rischia di pagare anche per il 2010 un prezzo più alto di altre, con una ricaduta negativa sia sulla crescita del Pil, che nella migliore delle ipotesi, sarà di un punto inferiore a Francia e Germania, sia sui consumi e sulle entrate fiscali […]. È questa la cornice in cui s’innesca il dibattito sulla Finanziaria. Da una parte, la tesi Tremont, ovvero, è importante sparare con parsimonia le (poche) pallottole a disposizione, frutto di un’iniezione una tantum, cioè lo scudo fiscale […] dall’altra,la tesi Baldassarri-Brunetta (è curioso che il dibattito più aspro avvenga all’interno della maggioranza…), che perciò necessario riqualificare la spesa in corsa, tagliando costi improduttivi a vantaggio degli sgravi fiscali nei confronti delle famiglie e delle imprese”. La chiosa è eloquente: “L’ottimismo di Tremonti è un’illusione, dicono i più critici: dietro l’apparente stabilità, resa possibile dalla tenuta dei bilanci familiari, ben più solidi, c’è il malcontento che cova sotto le ceneri, soprattutto nelle aree forti del Paese, quelle meno avvezze ad affrontare le emergenze. Un boomerang che potrebbe ritorcersi contro Silvio Berlusconi, che ha vinto le elezioni proprio sull’onda della protesta contro la pressione fiscale”.

http://www.giornalettismo.com/archives/43252/vi-sveliamo-il-grande-bluff-della-finanziaria-2010/

CRISI/ Dietro il crack della finanza islamica, la vendetta dei petrodollari

 

Gianni Credit

Economia e Finanza

lunedì 30 novembre 2009

Il default da 60 miliardi di dollari del Dubai World, il braccio finanziario dell’emirato del Golfo, sta apparentemente riproiettando un “video” finanziario già quasi logoro. Da un lato c’è la gestione valutaria a Dexia, alle Landesbanken tedesche fallite o a un altro “paese virtuale” andato in rovina come l’Islanda: un mix di aiuti pubblici e di mutuo soccorso interbancario sovrannazionale, anche se attraverso la probabile variante un po’ tribale dell’intervento da parte di Abu Dhabi: emirato formalmente federato con Dubai, sostanzialmente retto da una nobiltà rivale. Semmai l’ironia della sorte è che Dubai, nei primi mesi della Grande Crisi veniva indicato come sede di uno di quei fondi sovrani dei paesi emergenti/emersi che avrebbero sorretto le economie del G8 azzoppate dalla finanza derivata. 

Neppure l’analisi a caldo dell’ennesimo scoppio di bolla sta del resto riservando sorprese particolari. C’è l’odore forte e dominante di immobiliarismo bruciato in fretta sulle sabbie costiere del Golfo: rispetto a quello massiccio dell’America post 11 settembre (o di quello un po’ più pittoresco dei “newcomers” italiani come Ricucci o Zunino) c’è magari con la variante esotica e glamour degli alberghi a sette stelle con campo da tennis sul tetto; o delle mega-tower alte il doppio dei grattacieli di Manhattan, ma alla fine più simili all’inquietante gigantismo di un dittatore come Ceausescu. Attorno a Dubai si nota anche sicuramente il pullulare di investment bank impegnate nell’ennesima corsa all’oro. In questo caso il “fly to quality” - per la verità molto terra-terra - si è risolto nella ricerca di un luogo dove la “regulation” finanziaria era inversamente proporzionale all’immagine mediatica e dove fosse quindi possibile tentare di replicare il modello turbo-finanziario. Ma - come la gelida, spopolata e ultra-europea Islanda - anche il rovente, immigratissimo ed occidentalizzante emirato si è rivelato una piattaforma drammaticamente inconsistente, al di là dei giganteschi cantieri aperti.

Mentre Rejkyavik, tuttavia, fino a quindici anni fa era più o meno un grande porto peschereccio, reinventatosi come paradiso fiscale della City londinese, travestito alla bell’e meglio da “parco per new business”, le monarchie del Golfo - capeggiate dall’Arabia Saudita - hanno alle spalle più storia, sia recente che antica. Hanno alle spalle quasi mezzo secolo di grandi incassi petroliferi: centinaia, migliaia di miliardi di dollari di ricchezza finanziaria “reale”, per almeno un decennio “sottratti” in termini reali alle economie occidentali, che hanno dovuto lavorare duro per ristrutturare i propri sistemi produttivi.

Potrà sembrare un paradosso, ma la terziarizzazione globalistica e finanziarizzata dell’economia euramericana a partire dagli anni ’80 è stata certamente accelerata - se non provocata - dagli choc petroliferi. L’euro - come simbolo sintetico di una dinamica storico economica di lungo periodo - è il punto d’approdo del Vecchio Continente dopo un ventennio di squilibri valutari e più in generale macroeconomici. Il “big bang” delle Borse e il gigantismo bancario sono due altre facce di un cammino di liberalizzazione e internazionalizzazione economica che ha avuto nella finanza di mercato il traino e - da ultimo - una leadership ora sotto processo.

Ma i veri grandi “neo-capitalisti” del pianeta a lungo sono stati emiri e sceicchi: molto prima che le onde della ripresa di fine secolo ricreassero i surplus finanziari nelle tasche di centinaia di milioni di famiglie o, via via, in quelle dei primi tycoons di Brasile, Russia, India e Cina. Ora, già quasi al giro di boa del primo decennio del nuovo secolo, Dubai (che di petrolio non ne ha molto, ma di petrodollari sì) si rivela poco più che un “parco di divertimenti” per banche d’affari in fuga. Così - non diversamente da molti americani indebitati a forza di subprime per comprarsi case che non potevano permettersi - anche un emirato islamico può vedersi ritornare parte dei propri capitali - intermediati dalle grandi banche apolidi - sotto forma di investimenti solo apparentemente reali, ma di fatto altamente speculativi.

E in questo, il capitalismo islamico non si è rivelato più attrezzato nel resistere al richiamo della scorciatoia: dello sviluppo indotto per via esclusivamente finanziaria, con l’illusione (in fondo il cuore della cultura globalista entrata in crisi) che la mobilità apparentemente totale dei capitali fosse condizione necessaria e sufficiente per impiantare, da subito e ovunque, imprenditorialità, occupazione, education. Il crack di Dubai conferma - tristemente - che la finanza autoreferenziale colpisce indiscriminatamente: perfino ha avuto - oggettivamente - la possibilità di determinarne il gioco.

 

http://www.ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2009/11/30/CRISI-Dietro-il-crack-della-finanza-islamica-la-vendetta-dei-petrodollari/52620/

CANNIBALISMO FINANZIARIO

 

 

 

Le banche d’affari ormai vivono solo per succhiare il sangue al mercato ed ai risparmiatori. E anche se siamo a fine anno, non sorprendiamoci di nulla.

30 Novembre 2009, ore 12:45

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Tra i vari report che mi sono passati tra le mani, c’è un appuntamento quotidiano con uno degli economisti che più stimo, ovvero Gerard Minack di Morgan Stanley. Nel report di oggi inizia a ventilare l’ipotesi che la correzione di queste ultime sedute potrebbero essere diverse da quelle prese di beneficio a cui siamo stati abituati.

Effettivamente, dai minimi di marzo, la borsa ha inanellato una serie di sedute incredibili, con una performance eccellente se parametrata al tempo. In oto mesi abbiamo visto uno SP 500 a +67%, un Euro Stoxx 50 a +68%, un Topix (Giappone) a +41% e così via.
Le varie “correzioni” sono sempre state delle temporanee prese di beneficio che poi, però, hanno sempre visto una violenta ripresa delle quotazioni.
Ma questa volta potrebbe essere diverso.

Potrebbe.

Potrebbe perché abbiamo avuto modo di vedere che la speculazione regna sovrana e che le randi banche di matrice USA (in primis) hanno mezzi, potere e denaro per portare i listini un po’ dove vogliono.
Però, speculazione a parte, qualche segnalino interessante e degno di nota non possiamo sottovalutarlo.

1) Tanto per cominciare è assolutamente inequivocabile il rallentamento e l’appannamento di diversi dati macroeconomici. E oltre ai dati peggiori delle attese e, comunque meno “forti”rispetto a mesi fa, abbiamo anche avuto la conferma dei timori dello stesso Obama sull’effettiva prosecuzione della crescita economica (visto che il buon Barack mi va a parlare di “double dip”).

2) Inoltre non possiamo anche considerare un altro importante elemento, la rotazione settoriale.
Infatti, in ogni rally che si rispetti, i vari settori salgono generalmente in tempi diversi. E Così possiamo dire che nelle ultime sedute i finanziari e i tecnologici hanno rallentato la loro corsa, mentre sono andati molto meglio i telefonici e il settore della salute. Che sia finito il ciclo e sia matura la correzione?

3) inoltre alcuni settori iniziano a muoversi in modo bizzarro. Infatti, come segnalato anche in Compass, il comportamento del T Note ci vuol dire qualcosa. E non è un messaggio di serenità per i mercati.

4) infine c’è la vicenda Dubai. Per carità, non siamo a livelli di vero dramma finanziario, ma dal punto di vista psicologico può avere degli effetti importanti, visto che le banche più esposte già di per sé non godono di ottima salute. Fate conto, Barclays e RBS sono tra le più esposte. Ed un salvataggio di entrambe, per il governo britannico, non è assolutamente pensabile.

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Ma non facciamo il passo più lungo della gamba, non diventiamo matti su supposizioni ed elucubrazioni. Teniamo in considerazione il fatto che lo scenario sta vistosamente scricchiolando e che al speculazione, come ha montato un castello di carte, lo può anche smontare.

Trovo comunque difficile che, proprio in concomitanza con il fine anno, si tenda a smontare carry trade e speculazioni. Però tutto è possibile e se il mercato prende una piega, la corsa al “take profit” potrebbe diventare inesorabile per le grandi banche, che ormai vedo come grandi cannibali , animali che se ne fregano di tutto e di tutti ed hanno solo un obiettivo. Fare soldi. A scapito del sistema, dei cittadini, dei consumatori, dei poveri cristiani e di tutti gli esseri umani. Target: super bonus per i manager. E siccome questi super bonus vorranno essere difesi, la paura di un mercato che gira e va contro potrebbe portare a chiudere repentinamente posizioni e a scatenare un gran putiferio.

Certò, sono ipotesi, ma in questo mercato, ormai, non mi sorprendo più di nulla.

STAY TUNED!

http://intermarketandmore.investireoggi.it/cannibalismo-finanziario-8331.html

L’India alle prese con un’inflazione sopra al 15%, il record dell’oro e la crisi di Dubai


di CT Nilesh
La crescita dei prezzi, soprattutto per i beni di prima necessità, crea largo scontento nella popolazione e scambi di accuse tra i partiti. Lo Stato acquista oro, ma dice di avere ancora fiducia nel dollaro. Forti ripercussioni dalla crisi immobiliare di Dubai.

Mumbai (AsiaNews) - In una economia in sviluppo come quella indiana, l’aumento dell’indice di produzione industriale inevitabilmente porta con sé un aumento dei prezzi degli alimentari. In questo mese di novembre l’inflazione ha toccato un record del 15,48 %. I prezzi degli ortaggi e del cibo essenziale hanno avuto un rialzo assurdo. Qualcuno da’ la colpa al recente ciclone Phyan, ma qualcun altro accusa di governo di politiche sbagliate.

Vinod Jadav, che vende ortaggi sia all’ingrosso che al minuto nel mercato di Dadar a Mumbai dice: “Faccio questo mestiere da molti anni, ma non ho mai visto i prezzi salire così in fretta”. Krishnakant Gandhi, che importa cibi congelati, accusa il ministero di manipolare il mercato in maniera tale da favorire la potente lobby locale. Gli esperti rimproverano anche il ministro dell’agricoltura, Sharad Pawar, per le sue frequenti previsioni sull’aumento dei prezzi al minuto per le piogge mancate del monsone. Questo dà ai grossisti il vantaggio psicologico per poter alzare subito i prezzi senza aspettare l’arrivo sul mercato del nuovo raccolto.

Ma anche il primo ministro, Manmohan Singh, intervistato da una scolaresca durante la celebrazione del Children’s Day, quando gli è stato chiesto di fare qualcosa per l’aumento dei prezzi, ha risposto dicendo che qualcosa si può fare, ma quando l’introito nazionale per persona è in aumento, è naturale che anche gli agricoltori si aspettano un guadagno maggiore per i loro prodotti.

Tuttavia il partito del Congress si è mosso velocemente a parare il danno, chiedendo ufficialmente al governo di prendere tutte le misure necessarie per controllare i prezzi. Il segretario generale del Congress, Janardan Diwedi, ha detto che il richiamo era necessario dato che si tratta di “un governo di coalizione e non totalmente del Congress”. Il richiamo era per i ministro dell’agricoltura, Sharad Pawar, che non è un membro del Congress. Il giorno prima di questo richiamo l’opposizione aveva protestato contro il governo per l’aumento dei prezzi degli alimentari essenziali.

Su un altro fronte anche il prezzo dell’oro è aumentato fino a superare le 18.000 rupie (circa 273 euro) per 10 grammi. Una causa di questo aumento è stata l’acquisto da parte della Riserve Bank of India di 200 tonnellate di oro dall’IMF tra il 19 ed il 30 ottobre. Due fattori hanno contribuito a questo aumento di prezzo: la paura di una riduzione del cambio del dollaro ed il sospetto che altre banche centrali comprino oro. Anche la vendita al minuto dell’oro in India è in aumento, dovuta in particolare all’inizio della stagione dei matrimoni. L’India è il maggior mercato dell’oro nel mondo.

Malgrado l’acquisto di oro, il primo ministro Manmohan Singh, durante la sua visita negli USA ha dichiarato: “Per quello che io posso prevedere ora non c’è un sostituto per il dollaro”. Lo scambio di dollari-per-oro della Riserve Bank of India era stato interpretato nelle capitali politiche e finanziarie come un implicito voto di sfiducia nell’economia americana.

Questo è anche in contrasto con le ripetute insinuazioni cinesi che l’epoca del dollaro come moneta di scambio stia ormai finendo. La Cina come primo creditore dell’America ha una ipoteca su Washington. Per il momento Singh versa olio sulle piaghe dell’America.

Un terzo fattore che preoccupa l’economia indiana è la tempesta che sta scatenandosi a Dubai. Ci sono paure che l’impresa Dubai World appartenente al governo, e la sua filiale immobiliare Nakheel siano incapace di pagare i suoi debiti di 59 miliardi di dollari. Queste imprese sono state rovinate dalla caduta del mercato immobiliare dopo la crisi finanziaria mondiale.

Malgrado la risposta coraggiosa del governo indiano, la crisi finanziari che è caduta sul Dubai World minaccia di colpire il mercato del lavoro indiano all’estero che dipende largamente dai contratti di lavoro del Medio Oriente. Questa crisi viene proprio quando le statistiche ufficiali parlano di una caduta al 30% della disoccupazione, l’anno scorso nel Medio Oriente. La conseguenza sarà che le rimesse in India degli emigrati saranno molto di meno dei 43,5 miliardi di dollari del 2007-2008. Orami si sa che quando Dubai starnutisce, l’India del sud, specialmente il Kerala, prende un doppio raffreddore.

http://www.asianews.it/index.php?l=it&size=A

Dopo Dubai: i mercati parlano a Dublino affinché Roma intenda?

 

Monday, 30 November, 2009

in Articoli, Discussioni, Economia & Mercato, Italia

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di Mario Seminerio – Libertiamo

Nei giorni scorsi Simon Johnson, ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale, ha evidenziato l’apparentemente strana correlazione tra i timori di crisi sistemica suscitati dal crescente rischio di insolvenza di una entità finanziaria del Dubai a controllo pubblico e il rischio di credito percepito su alcuni stati sovrani particolarmente colpiti dalla crisi finanziaria globale, come l’Irlanda. Cosa c’entra la verde Dublino con le sabbie del Golfo?

Per tentare di rispondere, Johnson parte dell’analisi della situazione di Dubai. Lo scenario più probabile, oggi, è quello di un salvataggio di Dubai per mano di Abu Dhabi, con l’emirato petrolifero a soccorrere quello finanziario-immobiliare. Dubai avrebbe circa 100 miliardi di dollari di passività totali, e si ipotizza che il salvataggio preveda che i suoi creditori vengano in qualche misura colpiti dal default (ottenendo, secondo le indiscrezioni, 75 centesimi per ogni dollaro di credito). Quindi le perdite sarebbero dell’ordine di 30-50 miliardi di dollari.

Se questi fossero i numeri, l’effetto diretto sarebbe nel complesso contenuto. La banca anglo-cinese HSBC, che guida il gruppo dei creditori per esposizione lorda, perderebbe il 3 per cento del proprio patrimonio netto. Non è divertente, ma è comunque gestibile. Ricordiamo che HSBC non ha fruito dei salvataggi pubblici durante la crisi, e secondo l’agenzia Standard&Poor’s sarebbe la banca meglio capitalizzata al mondo, in termini di capacità di gestione del rischio. L’impatto tra le altre istituzioni finanziarie che hanno prestato a Dubai sarebbe piuttosto disperso, e geograficamente localizzato tra le banche europee continentali.

Ma se le cose stanno in termini tutto sommato così rassicuranti, che c’entra l’Irlanda? Per Johnson, il punto sta proprio nel concetto di “salvataggio parziale”, cioè con perdite inflitte ai creditori. Se Dubai può effettivamente dichiarare insolvenza e ristrutturare il proprio debito senza far deragliare l’economia globale, allora anche altrove può accadere qualcosa di simile. Se Abu Dhabi può assumere una linea dura sul salvataggio e ciò non destabilizza i mercati, anche (ad esempio) l’Unione europea può sopravvivere al default di uno o più dei suoi membri. Diciamo Irlanda e Grecia, per non mettere ansia a nessuno? Se gli intermediari finanziari cominciassero ad imparar qualcosa da queste insolvenze, e cioè che non è detto debba sempre esserci un deus ex machina nazionale o sovranazionale che trae d’impaccio i creditori, impedendo loro di perdere anche un solo euro, ecco che d’incanto la cautela tornerebbe sui mercati, dissolvendo l’azzardo morale.

Che significa ciò? Che i prestatori farebbero i compiti a casa, e chiederebbero ai debitori una remunerazione maggiormente espressiva del rischio di insolvenza di questi ultimi. Detto incidentalmente, questo doveva anche essere il percorso da seguire dall’inizio della crisi, ma le troppe interconnessioni sistemiche tra debitori e creditori, oltre alla vigorosa azione di lobbying intrapresa dal sistema finanziario, hanno cristallizzato la situazione, e si è scelta la strada della grande sovvenzione pubblica, preferendola a quella della perdita pro-rata, in capo ai creditori.

Dentro l’Unione europea l’affermarsi dello scenario ipotizzato da Johnson (la fine dei bailout senza se e senza ma) avrebbe come conseguenza quasi immediata un aumento dei differenziali di rendimento richiesti dal mercato sui titoli di stato Non che questo fenomeno non sia già in atto, a dire il vero: prima dell’inizio della crisi paesi come il nostro, con il loro imponente stock di debito, avevano un premio al rischio molto basso. Bastavano venti centesimi di punto percentuale in più del Bund tedesco per comprarsi un Btp decennale. Oggi siamo intorno a ottanta centesimi, e quel differenziale appare la nuova soglia di equilibrio compatibile con un mondo di investitori che, bene o male, stanno prendendo coscienza che il rischio esiste, e che i debitori non sono tutti uguali. Il prossimo passo potrebbe essere l’ulteriore innalzamento di questo premio al rischio, a crisi terminata, a carico dei paesi che sembrano dare le minori garanzie di solvibilità nel lungo termine.

In questo scenario, due conclusioni emergerebbero: la prima è che, contrariamente ad una ormai logora vulgata, non è vero che un paese membro dell’Unione monetaria europea non possa andare in default; la seconda è che i paesi che hanno un debito elevato e crescono strutturalmente meno di altri, finirebbero con l’essere posti in prima linea nell’elenco dei sospettati. Parlare a Dublino affinché Roma intenda?

http://phastidio.net/

IL NUOVO MERCATO: IL CAPITALISMO CERCA DI RENDERE "REDDITIZIA" LA POVERTA'

 

di Manuel Freytas
Il sistema capitalista non solo porta la fame, la marginalità, la mancanza di protezione sociale, le privazioni e le malattie, a mille milioni di essere umani nel pianeta, ma adesso, in più, i suoi esperti stanno studiando il modo di riciclare quella massa maggioritaria di rifiuti umani e sociali che lascia lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo in nuovi mercati con “potenzialità di sviluppo” e apici di un guadagno assicurato.
Nei parametri funzionali del sistema capitalista (stabilito come “l’unica civilizzazione”) “il surplus di popolazione” sono le masse espulse dal circuito del consumo come emerge dalla dinamica della concentrazione della ricchezza in poche mani.
Queste masse, che si moltiplicano nelle periferie dell’ Asia, Africa e America Latina, non soddisfano gli standard del consumo basico (sopravvivenza minima) che la struttura funzionale del sistema richiede per guadagnare e creare nuovi cicli di concentrazione di attivi aziendali e fortune personali.
Inoltre, queste masse espulse dal sistema del consumo, richiedono (per dare uno schermo “compassionevole” al sistema) di una struttura “assistenzialista” composta dall' ONU e le organizzazioni internazionali che rappresentano un peso ed un “passivo indesiderabile” nei bilanci dei governi ed aziende transnazionali su scala mondiale.
Fino ad ora i poveri hanno rappresentato solo un guadagno elettorale per i politici del sistema.
Attraverso le politiche assistenziali “clientelari” i politici ottengono un mercato vincolato alla povertà. Di fatto, il sistema capitalista vigente ha industrializzato il “mercato della povertà” come strategia per ottenere voti e contenere le rivolte sociali.
Parallelamente (il Libano, Iraq, Gaza, Afghanistan, Pakistan, Sudan, Somalia, e Sri Lanka, tra gli altri) si sono diventati teatri sperimentali dello sterminio militare in massa del “surplus di popolazione” che operano sotto la copertura operativa della “guerra contro il terrorismo”.
Fuori dall’orbita dell’ “assistenzialismo” elettorale, o di una possibile “soluzione finale” maltusiana con lo sterminio militare, la povertà, la massa mondiale della “popolazione in eccesso”, non sembra avere un luogo nei piani del capitalismo.
Per l’ ONU, con “meno dell’ 1%” dei fondi economici che i governi capitalisti centrali hanno usato per salvare il sistema finanziario globale (banche e aziende che hanno scatenato la crisi economica), si potrebbe risolvere la calamità e la sofferenza di mille di milioni di persone ( più della metà della popolazione mondiale) che sono vittime della fame su scala mondiale.
E perché non si fa? Per un motivo di fondo: I poveri, gli abbandonati, il “surplus di popolazione”, non sono un “prodotto redditizio” per il sistema capitalista.
Tuttavia, ci sono pochi esperti del sistema capitalista, che studiano e disegnano (anche se sembra una fantasia incredibile) progetti per riciclare la povertà (la massa della “popolazione in eccesso”) in un mercato frammentato, con basso costo d'investimento.
Riciclando il “surplus di popolazione”.
In un articolo intitolato “Il miglior modo di vendere la base della piramide”, The Wall Street Journal in spagnolo segnala che “Intorno al mondo, quattro mila milioni di persone vivono in povertà. E le compagnie occidentali stanno lottando per convertirle in clienti”.
I visionari degli affari- continua- da più di un decennio argomentano che queste persone, conosciute come la base della piramide, conformano un immenso e poco utilizzato mercato. Alcune delle maggiori e più astute aziende hanno voluto rispondere ai bisogni primari vendendo loro dall’ acqua pulita all' elettricità.
Tuttavia, ancora una volta, gli sforzi sono scomparsi senza lasciare traccia. Perché? Perché queste compagnie avevano una visione completamente sbagliata, afferma nel suo articolo il giornale.
Per dirlo in modo semplice, aggiunge: la base della piramide non è, in realtà, un mercato. È vero che quei miliardi di persone a basso reddito hanno molto in comune. E non hanno adattato i loro comportamenti e risorse economiche per dare spazio ai prodotti nelle loro vite. Un mercato di consumo è nient' altro che uno stile di vita costruito intorno ad un prodotto.
Usiamo come esempio un conosciuto caso, indica l’articolo del Journal: Negli anni 70, l’acqua in bottiglia era un’idea strana per la maggior parte degli statunitensi. Non faceva parte dello stile di vita del consumatore di quel paese. Ci sono voluti decenni perché un gran numero di consumatori accettasse l’idea di comprare qualcosa che si può ottenere gratuitamente dal rubinetto, e convertire l’acqua imbottigliata in un grande affare.
La risposta? Si chiede. Le compagnie devono creare mercati- nuovi stili di vita- per i consumatori poveri. Devono fare in modo che l’idea di pagare per i prodotti sembri naturale, devono indurre i consumatori ad incorporare quei beni alle loro abitudini. Questo significa lavorare da vicino con le comunità locali nello sviluppo di prodotti ed aziende, per rendere l'acquisto di questi prodotti attraente per i consumatori. Le compagnie, inoltre, devono adottare una prospettiva di marketing ampia per dare ai compratori il maggior numero di motivi possibile per provare i prodotti.
Come salvare l’inerzia alla base della piramide (leggasi povertà maggioritaria)? Si chiede l’autore dell’articolo. La tipica strategia di cercare di convincere la gente con una campagna di informazione è spesso una lotta lunga e difficile.
Invece, segnala, le aziende dovrebbero iniziare il coinvolgimento della comunità (di "surplus di popolazione") nel processo di creare, implementare e dare forma all'affare. La sensazione di proprietà che questo comporta aiuta ad assicurare che l’interesse nel prodotto della compagnia sia ampio e sostenuto.
La tesi (incredibile e da incubo), pubblicata nel più influente portavoce giornalistico del sionismo finanziario di Wall Street, lancia una considerazione finale: per cercare di vendere alla base della piramide, le compagnie dovrebbero inviare messaggi positivi. Invece di dire che il prodotto sarà un sollievo per le loro pene, l' azienda deve enfatizzare come il prodotto farà in modo che le loro vite saranno più piacevoli.
Ma i progetti per riciclare la povertà in merce redditizia non è solo prerogativa delle corporazioni private e dei loro “think tanks”.
Un' “opportunità per gli affari”.
In un documento pubblicato nel 2007, intitolato “I prossimi quattro miliardi: mercato e strategia di affari alla base della piramide”, l’istituto di Risorse Mondiali e la Corporazione Internazionale delle Finanze, il ramo del Gruppo Banca Mondiale, dedicata al settore privato, avverte che il segmento della popolazione del pianeta situata alla base della piramide economica (BOP, le sue sigle in inglese) , rappresenta un potenziale mercato di circa 5000 miliardi di dollari.
Per gli esperti della Banca Mondiale il settore privato sta disattendendo la grande opportunità per gli affari che rappresentano i 4 miliardi di poveri che ci sono nel mondo.
Si tratta del primo studio di questo tipo in base a dati ottenuti attraverso le inchieste realizzate nelle famiglie di circa 110 paesi.
L’obiettivo- per i suoi autori- è di aiutare le aziende a pensare più creativamente sulla possibilità di nuovi modelli di affari che coprano le necessità dei mercati disattesi (leggasi, la massa di povertà creata dallo stesso capitalismo) e allo stesso tempo contribuire con lo sviluppo di chi ha di meno (??).
Il documento della Banca Mondiale, si occupa della massa di uomini e donne dell’ Asia, Africa, Europa dell’ Est, America Latina e i Caraibi le cui entrate sono al di sotto della linea della povertà delle società occidentali, ma che sommati rappresentano un eccellente potenziale per gli affari.
La maggior parte di quelle persone- secondo quando dice il documento- vive con meno di quattro dollari giornalieri, non hanno accesso ai servizi primari, proprietà, conti correnti o servizi finanziari.
“Riuscire a far entrare la BOP nell’economia formale deve costituire un elemento critico per qualsiasi strategia che tende a generare ricchezza e crescita “dice il documento senza arrossire”.
In tal senso, suggerisce di prestare attenzione alle necessità non soddisfatte di questo mercato come passo essenziale per aumentare il benessere, la produttività e le entrate, aiutando così le famiglie a trovare una via d’uscita dalla povertà (??).
“Considerare i poveri, che sono anche produttori e distributori di un' enorme gamma di beni, non è un atto caritatevole, ma un’opportunità di fare affari”, segnala Luis Alberto Moreno, presidente della Banca Interamericana dello Sviluppo, dando il suo granello di sabbia alla tesi del riciclaggio redditizio della povertà.
Quasi la metà della popolazione del pianeta- per l' ONU- sopravvive in uno stato di povertà o al di sotto della soglia di sopravvivenza, senza soddisfare i loro bisogni alimentari primari.
Per quell’ organismo, nel mondo ci sono più di 1.000 milioni di persone che soffre la fame, la cifra più alta della storia, ed in tutto il pianeta ci sono 3.000 milioni di mal nutriti.
Tutto indica che la “grande sfida” per i think tanks del capitalismo europeo e statunitense, consiste nel riciclare questa massa maggioritaria di rifiuto umano e sociale che lascia lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, a nuovi mercati con “potenzialità di sviluppo” e apici di guadagno assicurato.
La povertà è anch’essa redditizia, sembra essere il nuovo slogan implicito nelle proposte e progetti che gli esperti del sistema capitalista (che genera povertà e "surplus di popolazione") che cominciano a sviluppare attraverso tesi e teorie che sembrano essere tolte da un manuale di psichiatria.
Demenza decadente o realtà? Il capitalismo sionista prosegue la sua rotta.
Fonte: http://www.iarnoticias.com/2009/secciones/contrainformacion/0080_pobreza_rentable_06nov09.html
Tradotto per Voci Dalla Strada da VANESA

Pubblicato da Alba kan. a 14:00 0 commenti

Etichette: Banca Mondiale, Capitalismo, Povertà

http://www.vocidallastrada.com/

Per un attimo si è alzato il velo

 


Riflettiamo sull'affaire Dubai: da un punto di vista strettamente numerico non è certo la fine del mondo...(al massimo è la fine di "un mondo").
Parliamo "solo" di 59 miliardi di dollari: una cifra enorme ma ai tempi della Grande Crisi sono noccioline perchè è cambiato il sistema metrico di misurazione che ormai è tarato sulle centinaia o migliaia di miliardi...
Pensiamo ai circa 2000 miliardi di dollari (a debito) messi in campo dalla FED, od ai 12.000 miliardi di dollari (a debito) messi in campo dal governo USA oppure ai 550 miliardi messi in campo dalla Cina (in contanti) ed ai 1300 miliardi di credito messi in campo dalla banche cinesi...etc etc
Raffrontiamo tutti questi numeri fantascientifici con il 59 del Dubai World ed aggiungiamo il fatto che dietro alle quinte ci sta "paparino" ovvero il Fondo Sovrano di Abu Dhabi con 600 miliardi di dollari di assets ed il 9% del petrolio mondiale...(anche se per ora hanno deciso di non intervenire).
Il punto della questione non è dunque numerico ma più che altro è un ulteriore COLPO alla CONFIDENCE.
In questi 8 mesi hanno cercato di ripristinare la FIDUCIA nel sistema in ogni modo:
- mettendo a garanzia delle banche e dell'economia i debiti pubblici, a costo di sfondarli
- facendo un bombardamento mediatico ed istituzionale senza precedenti, molto spesso dissimulando o mentendo spudoratamente (ipnosi di massa)
- imboccando la scorciatoia della Bolla
- mettendo in atto una politica monetaria espansiva come non mai nella storia
- mettendo in atto politiche eccezionali di quantitative easing
- stampando denaro dal nulla
- generando un'arrischiata assets inflation senza precedenti che ha portato le borse e tutti gli asset del pianeta a salire contemporaneamente per 8 mesi di fila (scociatoia della bolla)
- mettendo in campo piani di stimolo faraonici
etc etc etc
Il messaggio è chiaro: questa Crisi è solo un raffreddore, dopo il popo' di aspirina che abbiamo somministrato, basta lasciare che si sfoghi e tutto tornerà come prima...
Ebbene la "bomba" da Dubai non sposta più di tanto il problema, perchè se hanno fatto tutto questo per "riprendere il boccino in mano"... non se lo lasceranno certo sfuggire adesso (a meno che non si inneschi un effetto domino ma lo reputo poco probabile)
PERO' PER UN ATTIMO IL VELO SI ALZA, la cortina fumogena si dirada e TUTTI POSSONO VEDERE OLTRE: non solo quelli già consapevoli ma anche i boccaloni che in questi 8 mesi si sono bevuti tutto o quasi...
Se anche le "Mille ed una notte" fanno crack, è un ulteriore SEGNALE che la Grande Crisi non è un semplice raffreddore, una breve parentesi negativa.
Forse forse....il problema è STRUTTURALE ed il SISTEMA andrebbe riformato in modo serio, radicale e duraturo.
Non basta insufflare una bella BOLLA e fare ipnosi di massa per risolvere tutto in quattro e quattr'otto...favorendo le solite lobbies.
I "Castelli nella Sabbia" di Dubai, la pista da sci nel deserto...sono SIMBOLI ESEMPLARI ED ESTREMI che ci indicano in modo inequivocabile: E' LA MENTALITA' CHE DEVE CAMBIARE!
Ma tanto, come sempre, NON SE NE FARA' NULLA.
E le soluzioni messe in campo sono solo ulteriori passi dettati proprio da QUELLA MENTALITA' che non è cambiata di una virgola...anzi si è rafforzata col Moral Hazard.
Dubai che rischia il Crack è una clava che colpisce pesantemente l'immaginario collettivo: potrebbe dunque far riflettere molte persone, anche per più di 5 minuti....
Ma ATTENZIONE: IL VELO si riabbasserà molto presto, il bombardamento istituzionale e mediatico riprenderà a martellare, l'ipnosi di massa riprenderà il sopravvento.
Godetevi questi attimi di vita consapevole al di fuori del Matrix, perchè tra poco verrete ri-connessi alla simulazione e dimenticherete tutto...
Ma in fondo non vi dispiacerà tornare nel Matrix: perchè nel mondo virtuale la vita è molto più bella e godibile che nel desolante mondo reale della consapevolezza.
Fino a quando il SISTEMA reggerà...Poi il risveglio.
Oppure...il Sistema potrebbe anche reggere per sempre (o quasi) e la simulazione del Matrix divergerà sempre di più dalla realtà.
Ma un bel giorno la MAGGIOR PARTE di noi potrebbe risvegliarsi "sudamericanizzata".
Tra non molto il "fattaccio" di Dubai World diventerà solo un incidente di percorso sopravvalutato dalla speculazione ribassista e da un certo punto di vista interno agli schemi è proprio così...
Ma se si prova a guardare al di là del proprio naso, la prospettiva cambia radicalmente.
P.S. Questo non è un Blog di trading come ben sapete.
Il trading definirà questo episodio "black-out" ribassista, "incidente di percorso" e vi dirà come approfittare dell'occasione per riprendere a calvalcare il rally della bolla (nel Web trovate centinaia di siti di tal fatta)
Io invece considero questo episodio l'esatto contrario ovvero "una fugace illuminazione".
E le due prospettive posso anche non essere in contraddizione.
aggiornamento delle ore 12
A dimostrazione che il "Giornalismo" se solo volesse (o potesse)....
Da "La Stampa" ecco un OTTIMO articolo che sintetizza perfettamente la situazione
Se nascono nuove bolle

http://lagrandecrisi2009.blogspot.com/

Ma n'Dubai? ( Se le banane non ce l'hai?)

Nov 0927

 

Pubblicato da Pietro Cambi alle 11:48 in Apocalypse now, Bugie, Finanza

john donneBuoni ultimi arriviamo anche noi a parlare dello sconquasso che è successo a Dubai.

Di che si tratta ve l'hanno già raccontato ampiamente i media ordinari.

Personalmente confesso che  questo genere di notizie mi ha quasi ( quasi!!) stufato. Nel senso che rientrano nel solco del tutto già scritto, detto, letto e sentito.

La finanza mondiale è marcia, dalle fondamenta, perchè si regge su principi folli (Senza contare la follia dei Principi, che proprio nel piccolo principato svetta al massimo grado, strictu sensu). Principi senza principii e finanza "allegra", consona ai ricchi ereditieri che, con scarso o nessun merito si siano trovati a "gestire" ( rectius: sperperare) l'enorme tesoro che si trova sotto i loro piedi.

Dal loro punto di vista, con l'immane afflusso di capitali legato alla vendita dell'"oro nero" (puah) è parsa una buona idea investire tempo, energia e capitali per educare le nuove generazioni alla gestione dei medesimi. Di per se, visto che un giorno il petrolio finirà e il desertico paesaggio non pare particolarmente promettente per una economia rurale, non è detto che fosse una cattiva idea.

Diventa invece una PESSIMA idea, nel momento in cui non si coglie il banal fatto che il VERO capitale di un paese come quello è l'energia rinnovabile gratuita, inesauribile, che si sono trovati in mano.

Il sole, il vento.

I ragazzi che hanno studiato a New York e si sono specializzati a Londra, come avrebbero potuto capirlo?

Hanno applicato BENE quanto appreso, tornando a casa e facendo un immane casino buco finanziario.

Il punto è questo, infatti: una BUONA e CORRETTA gestione finanziaria, nel mondo finanziario ATTUALE porta a quel genere di risultati.

L'alternativa è vedersi scappare i capitali sotto il naso, a rotta di collo.

Questo succede , manco a dirlo, perche' sono i capitali che muovono le teste e non viceversa.

Ancora una volta, per l'ennesima volta, il sonno della ragione libera i peggiori mostri nei lobi frontali di questa gente.

Cosa credete che succedera'? Una bella iniezione di fiducia, un grosso paghero' garantito dallo stato di turno ( Il Dubai, in questo caso) e tutto continuerà come prima. Si sposta un poco piu' in la l'amaro calice, i debiti aumentano in modo vertiginoso, ma ANCORA si riesce a farne e la palla viene passata di mano.

Quando ci si accorgerà che la tavola è rotonda, la palla in realtà è una bomba e la miccia continua a bruciare, sarà tardi. E' un gioco che ha una sola e certa, CERTA, fine: il collasso monetario, finanziario, bancario ed assicurativo mondiale.

I numeri, enormi, immani, ingestibili, sono li e crescono a ritmo vertiginoso.

Ne abbiamo parlato talmente tante volte qui su crisis che non voglio ripetermi nemmeno un poco.

Santi numi: Il Debito pubblico americano è raddoppiato in otto anni (2009 su 2001), il deficit federale viaggia intorno al 10-12% e dobbiamo ancora spiegare PERCHE' la situazione è insostenibile? L'inaudito pompaggio delle ultime riserve e risorse disponibili serve solo a rallentare, come avete visto, ma non ad invertire seriamente la tendenza. TROPPI, TROPPI nodi stanno venendo al pettine e, secondo una delle tante leggi di Murphy, lo stanno facendo nel peggiore ordine possibile.

Ogni volta che mi capita di vedere il rituale inizio delle contrattazioni a Wall Street, con un "fortunato" di turno che suona la campana, mi viene in mente il meraviglioso scritto di John Donne, che Hemingway citava all'inizio di un suo famoso romanzo:

No man is an island, entire of itself. Every man is a piece of the continent, a part of the main. If a clod be washed away by the sea, Europe is the less, as well as if a promontory were, as well as if a manor of thy friends or of thine own were. Any man's death diminishes me, because I am involved in mankind and therefore never send to know for whom the bell tolls it tolls for thee.

"Non chiederti per chi suona la campana: suona per te"

 

http://crisis.blogosfere.it/

Tagli e dettagli

di Eugenio Benetazzo

 

Quando nel 1994 Amy Whitfield scalava le classifiche musicali internazionali con il suo "Saturday Night" ed imperava la cultura del disco entertainment degli anni 90, allo stesso tempo il nostro paese raggiungeva il suo picco di massimo splendore per quanto concerneva il benessere economico alimentato da uno sviluppo e successo industriale che proprio in quell'epoca ostentava il suo massimo slancio evolutivo. Ricordo molte bene quel periodo, frequentavo da qualche anno l'università ed al tempo stesso mi dilettavo come dee jay negli house club: rammento ancora come tutti noi giovani "discotecari" sognavamo un giorno di poter possedere o gestire un locale da ballo (e sballo) tutto nostro, vedendo gli incassi e le migliaia di persone che vi gravitavano ad ogni serata.  Sono passati appena quindici anni e quel periodo ormai è un ricordo di un passato che non rivedremo mai più.
Dalla metà degli anni 90 per l'Italia è iniziato infatti un lento processo di declino industriale: sono stati fatti entrare a frotte milioni di extracomunitari con il solo scopo di consentire ai grandi gruppi industriali di poter abbassare i costi di manifattura (grazie a persone disperate disposte a lavorare con retribuzioni minori rispetto agli italiani), di lì a poco è stato introdotto il lavoro interinale come soluzione per "snellire" l'attività di impresa che in poco tempo ha fatto nascere una nuova fascia sociale, quella dei precari, infine si è dato inizio ad una lenta opera di deindustrializzazione aiutando gli industriali a smantellare le loro aziende per spostarle al di fuori dei confini italiani e decretando così la fine di centinaia di migliaia di posti di lavoro.  Quando sta accadendo in questi ultimi 18 mesi non può essere definito genericamente come semplice crisi, come ci vogliono far credere i media tradizionali con il loro gracchiante vociferare, quanto piuttosto come una vera e propria emergenza che sino ad oggi ha manifestato solo il primo dei sue tre aspetti, ovvero quello finanziario.
Adesso dovranno arrivare le altre due sfacettature, quella industriale e quella sociale, entrambe legate da questo scellerato ed osannato modello economico imposto dal WTO in cui tutti i paesi occidentali hanno dovuto lentamente e progressivamente regalare le loro produzioni ed i loro ordinativi industriali alle nuove aree emergenti di questo millennio, così facendo si sono create le condizioni sociali ed industriali per una impensabile sperequazione. L'Inghilterra regna sovrana su questo, il modello thatcheriano (privatizzazioni e dismissioni forzate dei gangli strategici della nazione) sta dimostrando come l'eccesso di liberismo economico produca l'esatto opposto di quello che aveva promesso. Gli USA che sono stati il primo paese a delocalizzare (con Messico ed India) hanno pagato il conto con la loro stessa solidità finanziaria. Per chi non lo avesse ancora compreso i mutui subprime sono detonati perchè lentamente sono stati bruciati milioni di posti di lavoro e persone che avevano contratto precedentemente debiti per vivere non sono più stati in grado di ripargarli (la FED poi ci ha marciato accellerando il processo di polverizzazione finanziaria). 
Ormai dovremmo parlare di una mutazione genetica per il nostro tessuto socioeconomico: il turbocapitalismo ci sta presentando i conti. E siamo appena agli inizi. Chi continua a profetizzare la fine di questa cosidetta "crisi" temo che non abbia veramente ancora compreso che cosa stia accadendo. L'Italia è un paese manifatturiero (per quello che rimane) ed esportatore, questo significa che per esserci veramente ripresa questa deve realizzarsi al di fuori dei nostri confini, consentendo alla nostra economia di seguire a traino. Tra meno di quindici anni saremo catapultati al quindicesimo posto su scala planetaria, non saremo più un paese industrialmenete rilevante, ma uno stato depresso in lento e silenzioso declino. Direi proprio silenzioso perchè di giovani a gridare ce ne saranno sempre meno: sempre tra quindici anni oltre il 40 per cento della popolazione avrà un'eta superiore ai sessant'anni. Da Bel Paese un tempo, presto saremmo denominati come il cimitero degli elefanti. La contrazione della capacità produttiva industriale che si è verificata in questi ultimi mesi ci ha proiettati ai livelli di produttività di oltre quindici anni fa (non penso che si riuscirà mai più a recuperare questi livelli).
Il futuro è piuttosto delineato, chi è vecchio vivrà con quei quattro soldi messi da parte e chi è giovane si troverà a doversi inventare la vita di tutti i giorni, lavorando a missione e a singhiozzo: già tra cinque anni almeno 1/5 se non 1/4 delle aziende italiane si estinguerà o si ritirerà dal mercato, lasciando un profondo vuoto a livello occupazionale. Non dimentichiamo inoltre come le pesanti situazioni di default finanziario che stanno vivendo le imprese italiane presto si riverserà proprio sui bilanci delle stesse banche che adesso (grazie alle strepitose opere di privatizzazione riguradanti appunto lo stesso sistema bancario italiano) continuano a dettare legge su chi vive e chi dovrà estinguersi. Chi pensa di replicare il modello inglese per assorbire gli esuberi occupazionali, puntando quindi tutto sul terziario (settore dei servizi) probabilmente si è laureato per corrispondenza in Economia Davanti e Commercio Dietro presso l'Università per Barbieri. A livello nazionale non vi è una forza politica che si faccia portavoce di esigenze di protezionismo nei confronti dei nostri gloriosi ed invidiati distretti industriali, l'unica risorsa che avevamo ovvero la distintività ed originalità della manifattura italiana è stata brutalmente sacrificata per permettere a paesi come la Cina di assorbire, copiare e far morire le nostre tipiche produzoni, diventando nel frattempo la grande fabbrica del pianeta. A mio modo di vedere l'unica salvezza potrebbe essere un incredibile e improvviso cambio di governance politica che faccia emergere un "tribuno del popolo" stile Lula in Brasile, che contrasti e metta fine a questo dictat economico che sta portando il paese al suicidio industriale, sociale ed economico. 
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Riproduzione concessa con citazione della fonte
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Non esiste nessuna norma europea sulla privatizzazione dell'acqua

 

acqua

Nei giorni scorsi a proposito della legge sulla privatizzazione dell'acqua lo abbiamo sentito ripetere fino alla nausea acustica come un mantra stonato "dobbiamo adeguarci alle direttive europee".
Ma qualcuno ha mai letto o sentito di quale direttiva europea si trattasse? Nessuno, perché questa direttiva non esiste. Sembra incredibile eppure è così. Possibile che nessun giornalista o politico dell'opposizione si sia preso la briga di indagare su quella norma dell'Europa che ci costringeva a vendere le nostre acque a società private? Possibile. Abitudine, pigrizia, inettitudine o malcelato interesse davano per scontata una "verità" che in realtà era una colossale balla.
Il decreto-legge Ronchi approvato (con l’ennesimo voto di fiducia) anche dalla Camera dei deputati il 19 novembre 2009, all’articolo 15, ribadisce proprio questo concetto, e cioè che è necessario privatizzare il servizio idrico "per adeguarsi alle direttive europee".
La verità è che si è votato (in Parlamento) e si sta accettando (nel Paese) qualcosa che non esiste, perché le due direttive europee in questione (92/50/CEE e 93/38/CEE) si limitano a chiedere che vi sia concorrenza per i servizi pubblici nazionali e locali, ma escludono da logiche di mercato proprio il servizio idrico.
L’Unione europea non si è mai sognata di chiedere a nessun Paese membro di privatizzare l’acqua e i servizi idrici. Almeno non attraverso il proprio Parlamento e i propri atti ufficiali. Al contrario: la cosiddetta "direttiva Bolkestein" tiene fuori dalla libera circolazione dei servizi proprio il servizio idrico e affida ai singoli Stati membri il compito di stabilire quali siano i servizi "a interesse economico" e quali quelli "intrinsecamente non a scopo di lucro".
Per questi ultimi, ogni singolo Stato può sancire il divieto totale di apertura al mercato.
Fra un po' ci faranno credere, se non l'hanno già fatto e non ce ne siamo nemmeno accorti visto il grado di rincitrullimento generale, che gli asini volano. E noi tutti col naso in su a guardare.

Technorati Tags: privatizzazione acqua, europa, ronchi

 

http://albertocane.blogspot.com/2009/11/non-esiste-nessuna-norma-europea-sulla.html

In origine fu la Caduta, che continua tuttora: non progresso, ma regresso dell’umanità

 

di Francesco Lamendola - 27/11/2009
Fonte: Arianna Editrice [scheda fonte]

Tutte le tradizioni iniziatiche sono concordi nel descrivere lo stato originario dell’umanità come infinitamente più prospero e felice di quello presente; tutte sono concordi nel parlare di un evento rovinoso, una Caduta, che, ad un certo punto, segnò una brusca rottura dell’equilibrio e fu all’origine della storia; tutte sono concordi circa il fatto che, da allora, l’umanità non sta progredendo affatto, ma, semmai, sta regredendo.
Le religioni recano un ricordo di questa sapienza antichissima nei miti delle origini. Nel cristianesimo, ad esempio, si parla di una umanità felice prima della disobbedienza a Dio, indi di una cacciata dal giardino dell’Eden e di un radicale mutamento, in negativo, della sorte dei nostri progenitori e di noi medesimi.
Ora, la religione della modernità, ovvero la Scienza razionalista, strumentale e calcolante, che - a giudizio dei suoi cantori - ci avrebbe assicurato il dominio assoluto sulla natura, predica esattamente il contrario. All’inizio vi era una creatura scimmiesca, selvaggia, incapace di pensare, di parlare, di operare in modo consapevole; poi, lentamente, essa sarebbe evoluta verso l’uomo come lo conosciamo oggi: lottando contro la natura e contro i propri simili, non riconoscendo nulla di superiore a sé, con lo sguardo rivolto verso sempre nuove mete, ognora più ambiziose e avveniristiche.
È chiaro che una delle due concezioni deve ritenersi completamente falsa, e giusta quell’altra: «tertium non datur». Chi si inganna, dunque: la Tradizione, antica di millenni, o la nuova religione scientista, vecchia di pochi secoli?
La differenza tra le due concezioni non riguarda soltanto i contenuti del sapere, ma anche le sue origini.
Per la Tradizione, il sapere originario non è di origine umana; la Tradizione stessa, in quanto tale, non è di origine umana. Gli uomini la conservano e la custodiscono, allo scopo di tramandarla di generazione in generazione: ma non rivolgendosi a tutti gli orecchi, bensì solamente a quelli capaci di accoglierla (non diciamo di comprenderla, perché l’uomo non può comprendere sino in fondo un sapere che gli è di tanto superiore). 
E si tratta di una trasmissione silenziosa, che non si serve della parola scritta o del libro stampato, perché la parola scritta si rivolge indifferentemente a qualsiasi lettore, mentre vi sono molti potenziali lettori i quali, non essendo preparati ad accogliere la Tradizione, è bene che ne rimangano all’oscuro: l’uso che farebbero di quel poco che riuscirebbero a capire, stravolgendone il senso, sarebbe sicuramente dannoso, per loro stessi e per altri.
Per la scienza moderna, materialista, quantitativa e meccanicista, il sapere è interamente frutto della ragione umana; nessuno lo ha donato all’uomo, egli se lo è conquistato con le proprie forze; e a tutti può essere trasmesso, perché non consiste che di formule da applicare in maniera impersonale, indipendentemente dall’uso che se ne fa e dalle intenzioni di chi le possiede.
Poiché viviamo immersi nel paradigma falsamente democratico basato sull’idea che tutti gli esseri umani sono uguali  quanto a capacità, attitudini e senso morale, la scienza moderna appare tanto più veritiera, quanto più solletica la nostra vanità e il nostro orgoglio. L’idea che chiunque, venendo in possesso di determinate formule fisiche, possa padroneggiare l’energia nucleare (per fare un esempio) ci piace, perché lusinga il nostro desiderio di potenza a buon mercato, secondo la vecchia formula cara a tutti gli studenti pigri e furbastri: «massimo risultato con il minimo sforzo»; mentre, in effetti, dovrebbe atterrirci, perché le sue implicazioni sono devastanti.
Viceversa, il fatto che la Tradizione si sforzi di velare il proprio sapere, partendo dall’assunto che se un essere umano lo desidera con animo sincero e con pure intenzioni, finirà per trovare il Maestro che lo giudichi all’altezza di riceverla, suscita una istintiva diffidenza e una malcelata insofferenza da parte di molti, perché tutto ciò sa di «aristocratico». (Per inciso, è ben questa la ragione per cui, erroneamente, in certi ambienti politicizzati si parla della Tradizione come di un sapere «di destra», scomodando persino Platone, mentre la cultura democratica è considerata «di sinistra» o, comunque, progressista: mentre termini come «destra» e «sinistra» sono semplicemente assurdi, se riferiti al sapere iniziatico).
Stando così le cose, si potrebbe dedurne che optare per la Tradizione oppure per il moderno sapere scientifico sia, tutto sommato, una questione di gusti personali, e che si possa scegliere l’una o l’altro con la stessa disinvoltura con cui, al supermercato, ci si decide per l’acquisto di una determinata marca di dentifricio o di pantofole, oppure per un’altra.
Ma è proprio vero? Non sarebbe, invece, il caso di domandarsi se non esistano degli indizi che possano suffragare la pretesa della Tradizione di porsi come il sapere originario dell’uomo, proveniente da livelli a lui superiori; e se, in particolare, non esistano elementi a sostegno della tesi centrale di ogni sapere iniziatico: che lo stadio attuale dell’umanità corrisponde non a un progresso, ma a un regresso sempre più marcato e carico di conseguenze distruttive?
Vediamo.
Vi è un ampio settore del conoscere che la scienza moderna, quantitativa e materialista, guarda con sommo disdegno, o che pretende di esaminare a partire dal proprio pregiudizio razionalista: quello dei fenomeni supernaturali.
Ancora oggi, lo studioso accademico che vi si dedichi apertamente (anche se molti, al soldo di potenti istituzioni statali e militari, lo fanno a tempo pieno, ma in segreto) rischia di attirare su di sé il discredito dei colleghi e del pubblico, nonché di vedersi stroncata la carriera. Obbligatorio, poi, parlare di tali fenomeni, alla stampa o in televisione, con l’atteggiamento distratto e di boriosa sufficienza, proprio di chi non si lascia abbindolare da alcun genere di trucco e dalle vecchie superstizioni, retaggio di un’epoca arretrata, in cui gli esseri umani credevano ancora all’esistenza di forze invisibili.
Notiamo, tra parentesi, che questo atteggiamento, oltre ad essere intrinsecamente antiscientifico (nel senso di una scienza bene intesa), perché rifiuta di misurarsi con i fatti, è anche totalmente incongruo, perché la stessa scienza contemporanea, specialmente la fisica delle particelle sub-atomiche, ha oltrepassato da un pezzo le rozze premesse materialistiche del passato, ed è più che disposta a prendere in considerazione, sia pure come ipotesi di lavoro, l’esistenza di forze non solo invisibili, ma anche immateriali, capaci di agire sulla materia stessa:
Telepatia, chiaroveggenza, precognizione, retrocognizione, psicocinesi, apporto ed asporto, solo per citare alcuni fenomeni supernormali, in effetti costituiscono, per il ricercatore libero da pregiudizi materialisti e da grossolane forme di presunzione, altrettante finestre che permettono di gettare uno sguardo su una realtà «altra», ove le pretese leggi della scienza galileiana e newtoniana sono sospese e annullate e che, pertanto, esige di essere interpretata alla luce di un nuovo modo di pensare e di una nuova e più ampia concezione della realtà.
La scienza materialista ci dice che, per vedere, occorre la facoltà della vista, la quale si serve degli occhi: niente occhi, niente, vista, niente percezione di oggetti. Ma ecco qui una ragazza che, distesa su un letto con lo stomaco scoperto, e con un libro posato su di esso, legge le parole, le frasi e le pagine, come se le avesse davanti agli occhi.
Ancora.
La scienza materialista ci dice che un essere umano non può sopravvivere più di qualche giorno senza bere e più di qualche settimana, al massimo, senza assumere cibo solido. Ma ecco qui una donna che, a partire dalla sua giovinezza, non ha più mangiato né bevuto niente di niente, se si esclude la particola della comunione; eppure è vissuta molti anni, durante i quali, pur paralizzata e costretta a stare in ambienti non illuminati, era in grado di ascoltare, consolare e consigliare migliaia e migliaia di visitatori.
Non basta.
La scienza materialista ci assicura che lo spirito non può agire direttamente sulla materia, ma solo indirettamente. Eppure, ecco uno stregone che lancia un incantesimo di morte contro una persona ignara di ciò (e, quindi, non suscettibile di autosuggestione); ed ecco che la vittima designata si ammala e muore rapidamente, senza che nulla, nello stato di salute del suo organismo, sembri giustificare un fatto del genere.
Dobbiamo continuare?
Quelli che abbiamo citato sono fatti, fatti attestati da testimoni degni di fede; fatti, talvolta, osservati da molte persone, medici compresi; fatti che, in certi casi, sono stati perfino riprodotti e osservati in laboratorio, vale a dire in condizioni rigorosamente controllate dagli scienziati.
Ebbene, ci sembra che fatti del genere - di cui esiste, per chi la voglia vedere, una ricchissima e inoppugnabile documentazione -, possano, se non altro, suggerire una ipotesi: che la mente sia capace di agire indipendentemente dal corpo; che il cervello ne sia la sede temporanea, ma che non sia tutt’uno con essa; che la mente individuale sia in comunicazione con tutte le altre menti, passate, presenti e future; che, in un tempo passato, tutti gli esseri umani fossero in grado di accedere ai suoi straordinari poteri; che gli uomini abbiano incominciato a perdere tale facoltà proprio a partire dall’epoca in cui essi restrinsero la mente a quella piccola porzione di essa che corrisponde al Logos strumentale e calcolante, alla Ragione dei moderni.
Questa, ci sembra, dovrebbe costituire per lo meno una seria ipotesi di lavoro per lo studioso in buona fede, non ottenebrato da pregiudizi e disposto a misurarsi, da vero scienziato, con l’ombra del mistero, e non soltanto con una sua caricatura di comodo.
Tale punto di vista è stato ben sintetizzato da un eminente studioso dell'occulto, Leo Talamonti, in un suo libro di quasi trentacinque anni fa, e dal quale riportiamo il seguente passaggio («La mente senza frontiere», Milano, Sugarco, 1975, pp. 131-32):

«Si è già detto che a proposito di telepatia e fenomeni affini vi è chi parla di "regressione atavica", presupponendo implicitamente che la razza umana sia progredita , e che nel progredire abbia lasciato cadere funzioni e capacità che più non le occorrevano. Un primo aspetto errato di tale concetto è stato già da noi indicato quando abbiamo sostenuto che la telepatia non è un fenomeno a sé stante; essa fa parte di un complesso di facoltà e doti che sono e saranno sempre utili alla razza umana perché si evolveranno con essa specializzandosi a seconda delle sue future occorrenze; è vero dunque esattamente il contrario di quanto si afferma da parte di certi studiosi tuttora legati a un pensiero ottocentesco di stampo grossolanamente darwiniano.
Ora non resta che completare il quadro e specificare per quali ragioni il presunto progresso della raza sia stato in realtà un regresso.  A nostro avviso, le facoltà telepatiche e affini che tuttora si manifestano in seno all'umanità non sono che il residuo DI PROFONDE CORRENTI  DI FORZA PSICHICA COESIVA che in una situazione primordiale, ben più felice di quella attuale, bastava a mantenere armonici legami fra gli uomini, fra questi  e le forze cosmiche. Forse la telepatia - che abbiamo visto manifestarsi sporadicamente nel suo ruolo di GRAVITAZIONE PSICHICA INTER-INDIVIDUALE - era allora una forza operante ed universale che cementava gli uomini fra loro. Si provi a immaginare il ruolo della messa in comune di sentimenti e pensieri in una collettività, come rarissimamente avviene anche oggi, ma in forma assai tenue: nessuno può far soffrire deliberatamente un altro, se avverte le sofferenze di quello come proprie; nessuno è poco intelligente, quando ha a propria disposizione le risorse intellettive dell'intero gruppo. È il segreto di una società perfettamente integrata.  Per l'uomo di oggi è una utopia assurda; per quello di una volta, forse, fu qualcosa di più di una bella fantasia.
Tutte le grandi tradizioni parlano di una MISTERIOSA CADUTA: di un'età del ferro che succedete a quella mitica dell'oro; di un peccato d'origine che valse a scatenare gli appetiti e gli sfoghi di un EGO separatista, aggressivo, sopraffattore.
Allora i finalismi tipici del ristretto campo di coscienza che fa capo all'individuo come tale prevalsero su quelli ben più fondamentali, e ad ampio respiro, della specie, i quali prima si esprimevano nelle tendenze unificanti della psiche profonda; di qui la crescente disarmonia; di qui il conflitto sempre più aspro fra uomo e uomo, fra l'uomo e l'ambiente che lo ospita. Trionfo della "ragione" - di una ragione ristretta e priva di luce interiore - e contemporanea perdita dell'anima. Da allora l'uomo fu condannato a essere solo, sempre più solo, con qualche rimedio parziale e non sempre operante a sua disposizione. Ma in profondità i legami sussistono, ed infatti qualche volta, in soggetti rari, emergono a piena luce, come dimostrano i molti episodi che siamo andati esaminando; nella maggior parte dei casi essi sono invece soffocati dalla voce imperiosa dell'EGO. Permane ancora la nostalgia di un'integrazione che affranchi dal peso della solitudine, ma quando la spinta integrativa erompe, travolgendo le innaturali barriere dell'io, non di rado si manifesta nel senso sbagliato: come avviene nelle fole scatenate, quando molti psichismi individualki si associano di colpo sotto l'ondata di una emozione comune,  formando una entità collettiva che risucchia le single anime per fonderle in una sola, che impone all'intero gruppo la propria volontà…»

La teoria esposta da Talamonti, semplice ed elegante al tempo stesso, è in grado di rendere ragione di una quantità di fenomeni supernormali altrimenti inesplicabili: ad esempio, come due persone legate da forti vincoli d'affetto possano comunicare a distanza, senza servirsi di alcun mezzo materiale, e perfino di far sapere all'altra la morte di una di esse.
Non si dice, del resto, che gli aborigeni australiani - che sono considerati, non a caso, il popolo più antico del mondo, essendo stanziato in quel continente da almeno 40.000 anni - fossero in grado di comunicare fra loro telepaticamente, a distanze notevolissime, per esempio convergendo ai raduni tribali dai luoghi più remoti, oppure recandosi ai funerali di un parente deceduto durante l'assenza di alcuni elementi del gruppo?
Inoltre, questa teoria è in grado di riportare la mente individuale in un rapporto funzionale e armonioso con tutte le altre menti, e non solo quelle umane (si pensi al particolarissimo rapporto che doveva stabilirsi fra la psiche di un antico cacciatore e quella della sua preda), inserendo il concetto junghiano dell'inconscio collettivo in una prospettiva molto più ampia e profonda, sia dal punto di vista strettamente antropologico, sia da un punto di vista filosofico generale.
La Caduta, pertanto, ha segnato un cammino inverso rispetto al trionfo del Logos strumentale e calcolante: quello della perdita della parte più profonda dell'uomo e, al tempo stesso, della perdita dei vincoli ancestrali che legavano tutti gli uomini fra loro e con l'ambiente in cui vivevano, animali e piante compresi.
L'inconscio individuale, su cui Freud ha basato tutta la sua pessimistica concezione dell'uomo, altro non è che la marcescenza dell'ego, dopo che il prevaricare della Ragione ne ha schiantato i profondi legami con le altre menti e con tutti gli altri viventi. Ma l'ego, a sua volta, non è che la parte tirannica e aggressiva dell'io: divenuta tanto più tirannica e tanto più aggressiva, quanto più si sono allentati e dissolti i legami psichici profondi dell'uomo con i propri simili e dell'uomo con il resto del creato.
Una reintegrazione dell'uomo nella sua piena umanità, pertanto, non potrà aver luogo che quando egli si renderà conto di aver sacrificato, in nome di forze tiranniche che non lo fanno vivere in armonia con se stesso e con il mondo, la parte migliore di se stesso: la più profonda, la più antica e la più vera.

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Crolla Dubai: la crisi arriva in paradiso. E' in arrivo la grande crisi. Quella vera

 

di Attilio Folliero - 27/11/2009
Fonte: www.folliero.it

Chi pensa che la grande crisi sia già arrivata e magari da credito alle voci di coloro che gridano che ormai il peggio è passato, si sbaglia di grosso!

Oggi in USA è il giorno del ringraziamento ed è festa; tutte le banche, le borse e gli uffici finanziari sono chiusi. Domani, venerdì, molti faranno ponte in vista del sabato e della domenica. Quattro giorni di quasi totale chiusura delle attività finanziarie. Se non ci fosse stata questa festività, oggi avremmo assistito ad un grande tracollo di Wall Street o per meglio dire Wall Street si sta salvando dal tracollo solo perché è chiusa per festività! La storia si ripete. Corsi e ricorsi che ritornano. Lo schema della crisi odierna continua ad essere quello della crisi del 1929-1933.

In queste ore è arrivata la notizia bomba della crisi della Dubai World (famosa per la sua controllata Nakheel, quella che ha costruito in pieno golfo l'Isola delle Palme), la finanziaria di uno degli stati più ricchi del mondo, gli Emirati Arabi Uniti. La Dubai World ha chiesto ai suoi creditori una moratoria di sei mesi, ossia ha chiesto di sospendere i pagamenti dei debiti per sei mesi, perché ovviamente non è in grado di pagare. I creditori in parole povere non hanno molte alternative: accettare o dire addio a una parte consistente dei soldi prestati, che ammontano a circa 59 miliardi di dollari, che non sono degli spiccioli.

La crisi arriva in Paradiso!

Questa finanziaria degli Emirati Arabi Uniti è proprietaria di una parte delle azioni della London Stock Exchange LTD, la Borsa di Londra e di conseguenza anche della Borsa Italiana fusasi con quella di Londra. Non solo: i principali creditori di questa finanziaria (Royal Bank of Scotland, Barclays, Hsbc, Lloyds e Credit Suisse), quelli che rischiano di perdere i 59 miliardi di dollari prestati a questa finanziaria, sono quotati appunto alla borsa di Londra. Oggi, con la chiusura di Wall Street, la Borsa di Londra è stata il punto di riferimento mondiale, ossia scende la borsa di Londra, scendono tutte le altre.

Le banche creditrici sono ovviamente tutte fortemente scese; fortunatamente il panico è stato arginato grazie ad un provvidenziale guasto tecnico che ha messo fuori uso la borsa di Londra per varie ore. Solo questa festività forzata di alcune ore alla borsa di Londra è riuscita a limitare il crollo.

Guasti tecnici provvidenziali e festività sono eventi che appaiono magicamente a salvare dai crolli; peccato che hanno effetti momentanei. Il crollo sarà inevitabile.

Ricordiamo ancora che tra le principali banche creditrici di questa finanziaria araba ci sono HBOS e Royal Bank of Scotland, che all’indomani del crollo della Lehman Brothers furono segretamente salvate da un provvidenziale intervento della Banca d'Inghilterra che concedette loro prestiti segreti per 62 miliardi di sterline, un centinaio di miliardi di dollari! Il tutto per evitare il panico ed il crollo generale del sistema. La notizia è stata rivelata proprio oggi da Swissinfo (1)

Parlavamo dei corsi e ricorsi storici e della crisi del 1929. Nel 1933 il nuovo presidente USA, Franklin Delano Roosevelt (in carica dal 4 marzo 1933 al 12 aprile 1945), subito dopo aver assunto l’incarico, nel bel mezzo della grande depressione, inventò una festività bancaria di 4 giorni, ossia le banche furono chiuse per 4 giorni ed i clienti non potettero prelevare i risparmi. Alla fine della provvidenziale lunga festività, quando le banche riaprirono, oltre 2000 continuarono a fare festa, ossia non aprirono mai più; erano fallite ed il provvidenziale intervento di Roosevelt è riuscito ad impedire che i clienti ritirassero i loro risparmi (2). Oggi siamo nella stessa situazione: banche e borse chiuse negli USA ed annuncio di questo immenso crack proprio durante questa lunga provvidenziale chiusura.

Se l’annuncio del default di Dubai fosse intervenuto con Wall Street aperta, qui si sarebbe diffuso il panico, che si sarebbe subito propagato a tutto il mondo, perche Wall Street è la borsa di riferimento mondiale: crolla lei, crollano tutte le altre borse.

Pensare che l’annuncio del default della Dubai World nel giorno della chiusura di Wall Street sia solo semplice coincidenza è cosa che ovviamente possono credere solo chi crede ai Babbo Natale e a coloro che gridano alla fine della crisi.

La crisi non è passata, anzi la vera crisi sta per arrivare e arriverà perche al contrario di quanto hanno voluto farci credere, il vero motivo della crisi è nella caduta del saggio di profitto delle imprese ed analizzando i dati della economia USA del terzo trimestre (quello in cui c’è stato un lieve rialzo del PIL che ha fatto gridare alla fine della crisi) il saggio di profitto delle imprese continua a cadere.

Note

(1) Inirizzo: http://www.swissinfo.ch/ita/rubriche/notizie_d_agenzia/mondo_brevi/Banca_Inghilterra_erog_in_segreto_62_mld_sterline_a_RBS_e_HBOS.html?siteSect=143&sid=11533067&cKey=1259076672000&ty=ti&positionT=46

(2) Per approfondimenti sul tema dei provvedimenti di Rooslvelt consiglio il Blog “Informazione scorretta” a questo indirizzo: http://informazionescorretta.blogspot.com/2009/11/default-di-dubai-pagamenti-in-ritardo.html

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Il crac di Dubai

 

di Marco Cedolin - 27/11/2009
Fonte: Il Corrosivo di Marco Cedolin [scheda fonte]

Fino ad oggi da molti è stato considerato un “paradiso artificiale”, quasi un luogo di fantasia collocato a metà fra le “città del futuro” tanto care alla letteratura fantascientifica degli anni 70 ed i fumetti di Walt Disney che ci accompagnavano da bambini. Sicuramente la storia recente di Dubai lo ha reso il paradiso delle grandi opere, dell’edilizia avveniristica e dei mega investimenti immobiliari, tanto da farlo somigliare ad un immenso cantiere a cielo aperto, dove oltre ai grattacieli ed ai centri commerciali si costruiscono anche arcipelaghi di isole artificiali, piste da sci nel bel mezzo del deserto, città costiere adagiate sopra a piattaforme galleggianti. Una sorta di grande “capriccio” dove la favola s’intreccia con la perdita del senso del limite, ma non tutte le favole hanno un lieto fine.
E’ di ieri la notizia in virtù della quale “Dubai World”, la holding statale che ha coniato lo slogan “su Dubai il sole non tramonta mai” e controlla tutti i maggiori investimenti immobiliari del paese, oltre al mercato della logistica, della finanza e dell’energia, sembrerebbe essere sull’orlo del crac finanziario a causa di un debito di 59 miliardi di dollari, pari al 70% dell’intero debito statale. In grandissima difficoltà finanziaria a causa della crisi del mercato immobiliare, con i prezzi delle case precipitati del 47% nell’ultimo anno, Dubai World si è dichiarata intenzionata a chiedere a tutti i creditori una moratoria sul debito almeno fino al 30 di maggio e sta tentando di rinegoziare le proprie posizioni. Per tentare di porre rimedio alla drammatica situazione il governo dello sceicco Moahmmed bin Rashid Al Maktoum sta valutando la possibilità di avviare un vasto programma di emissioni obbligazionarie per una cifra di circa 20 miliardi di dollari che potrebbe prendere l’avvio già all’inizio del prossimo anno.
La difficile situazione in cui versa la holding dell’Emirato arabo, famosa per avere realizzato fra le altre cose le isole artificiali a forma di palma, con relative ville da sogno vendute a peso d’oro a facoltosi clienti vip di ogni parte del mondo, ha creato grande allarme all’interno del sistema bancario europeo che complessivamente risulta essere esposto nei confronti di Dubai World per una cifra di circa 40 miliardi di dollari. Tutte le borse europee hanno già ieri registrato indici pesantemente negativi, nell’ordine Londra -2,83%, Parigi -3,25%, Francoforte -2,91%, Madrid -2,47%, Milano -3,42%, Amsterdam -3,60%, Stoccolma -3,02%, Zurigo -2,42%. Mentre si attende la reazione di Wall Street che oggi era chiusa per il giorno del ringraziamento.

L’intreccio fra un’economia malata, una finanza in stato degenerativo e il gigantismo infrastrutturale fine a sé stesso, anziché una fiaba sta rischiando insomma di partorire un vero e proprio romanzo dell’orrore da aggiungere nella libreria del crollo di questo sistema economico ormai in stadio terminale.

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PETROLIO E DUBAI

  • Questi del Dubai
  • 08:23 27/11/09
  • Questi del Dubai martedì erano sui giornali e in TV a spiegare che non c'era problema e che l'Abu Dhabi che ha il petrolio garantiva per loro
    Mercoledì sera annunciano che non pagano e il loro mercato chiude fino a lunedì per cui gli investitori nei loro bonds sono nel panico fino a lunedì e devono compensare la posizione su altri mercati
    Lo shock è stato per il mercato che abbiano o mentito in modo sfacciato o che non sappiano più neanche loro cosa fare, cioè il voltafaccia totale in 24 ore che ha creato di colpo la sindrome del "...vatti a fidare di questi mercati emergenti...."

    ... I cantieri sono fermi, i prezzi delle case sono crollati del 50%. E il Dubai - candidato fino a pochi mesi fa a diventare la Wall Street (o la Disneyland, suggerisce qualcuno) del Medio Oriente - non ha più i soldi per onorare i suoi debiti. A tremare sono in tanti. In prima fila, ovviamente, le banche che hanno finanziato gli 80 miliardi di esposizione dell'emirato. E le aziende, migliaia tra cui molte italiane, che hanno investito sui suoi piani di sviluppo. Il pericolo vero, però, è che lo tsunami-Dubai tracimi verso gli altri paesi del Golfo, facendo scricchiolare le casse di quei fondi sovrani che negli ultimi due anni hanno recitato un ruolo da protagonisti nel salvataggio dell'economia mondiale. Puntellando a suon di petrodollari il capitale di banche e imprese sull'orlo del crac.
    Gli analisti, per ora, gettano acqua sul fuoco. Gli Emirati sono realtà differenti tra loro, assicurano. Dubai è una mosca bianca, la sua crisi affonda le radici in un'economia "di carta", povera di greggio (rappresenta solo il 6% del pil) e travolta dal crac di un settore, il mattone, arrivato a rappresentare il 30% della ricchezza nazionale. I vicini, aggiungono, sono messi meglio. Abu Dhabi - nel cui sottosuolo c'è il 9% delle riserve petrolifere globali - è una macchina da soldi. Mentre Qatar e Kuwait non hanno conosciuto gli eccessi finanziari della dinastia degli Al Makhtoum.
    Le borse però hanno drizzato le antenne. Le cifre in gioco, in effetti, sono altissime (i fondi sovrani del Golfo gestiscono un patrimonio superiore ai mille miliardi di dollari) e molte blue chip su entrambe le sponde dell'Atlantico sono ancora in vita grazie solo ai capitali degli emiri.
    La cassaforte pubblica del Dubai ha in portafoglio il 20% della Borsa di Londra (che controlla anche Borsa Italiana spa), quote di Standard Chartered, Daimler, Eads - la casa madre di Airbus - e persino il 20% del Cirque du Soleil. In Italia gli Al Makhtoum hanno trattato a lungo per rilevare le aree di Zunino a Sesto San Giovanni e Santa Giulia. Il ricchissimo Abu Dhabi investment fund - con la sua potenza di fuoco da 700 miliardi di dollari - ha il 2% di Mediaset ed è stato il protagonista del salvataggio a stelle e strisce di Citigroup. I sovrani del Qatar hanno appena speso 7 miliardi per tenere a galla la Porsche dopo la disavventura della speculazione su Volkswagen e nella loro collezione di trofei finanziari hanno pure partecipazioni significative in Barclays, nella Borsa di Londra e nei grandi magazzini Sainsbury. Il Kuwait investment office ha contribuito a strappare dal crac la Merrill Lynch ed è socio di Bp e Daimler.
    Il timore dei mercati - al di là delle conseguenze per le banche esposte con Dubai (Credit Suisse stima in 40 miliardi il rischio di quelle europee) - è che Dubai World sia in realtà solo il primo tassello di un domino di default immobiliari nel Golfo. Standard&Poor's stima che i progetti messi in stand by - opere stravaganti come le piste da sci nel deserto, isole artificiali a forma di planisfero e grattacieli modellati sulle figure degli scacchi o alti un chilometro - siano pari a quasi 500 miliardi di dollari. Una montagna di soldi che rischia di costringere gli emiri - reduci dal salvataggio del capitalismo occidentale - a liquidare le loro posizioni azionarie. Per sa

http://www.cobraf.com/blog/default.php?idr=203141#203141

FINANZA/ La nuova crisi è arrivata e parla arabo: ecco le prove

 

Mauro Bottarelli

venerdì 27 novembre 2009

Signore e signori, la terza fase di crisi è servita. E per viverne e patirne tutti gli effetti non ci toccherà nemmeno attendere l’esplosione della prima bolla di liquidità all’inizio del prossimo anno: sta per innescarsi un domino di dimensioni spaventose come certificato, per una volta in maniera realistica, dal crollo borsistico di ieri in tutto il mondo - Usa esclusi poiché il Thanksgiving Day ha comportato anche la chiusura di Wall Street.

Anche i ricchi e i super-ricchi a volte piangono e rischiano di far piangere anche noi che tali non siamo. Regnava infatti il terrore ieri tra i mercati per i problemi debitori di Dubai World, la società di investimenti controllata dal governo di Abu Dhabi e con passività per 59 miliardi di dollari, che ha chiesto ai suoi creditori di congelare il pagamento dei suoi debiti, in vista di un drastico processo di ristrutturazione.

Ieri mattina, i crediti default swaps a cinque anni dell'Emirato del Golfo Persico, che esprimono il costo per assicurare il debito sovrano, sono balzati secondo i dati ufficiali di Cma Datavision a 469,5 punti base (la differenza rispetto a una settimana fa è di 300 punti base). Ma secondo altri trader, in realtà sarebbero a 550 punti base: vale a dire, servirebbero circa 500 mila dollari l'anno per assicurare 10 milioni del debito nazionale.

La cifra reale la sa solo chi sta speculandoci sopra in maniera folle ma, dai piani alti, trapela che non mancherebbe molto a una situazione di default tecnico di stile islandese: comunque, siamo sopra i 650 punti base. Il problema è semplice: la crescita esponenziale e rapidissima di Dubai è stata dovuta, oltre a indubbia capacità, a miliardi e miliardi di dollari ed euro prestati dalle banche.

Le quali, da ieri, vivono nel terrore di non poter rivedere quel denaro partito sotto forma di prestito e che potrebbe incagliarsi negli scogli del default: insomma, oltre alle svalutazioni di assets e titoli tossici ancora in pancia, anche una bella crisi di capitale. Quello che ci voleva.

Sono almeno nove le banche europee che ha fatto da capofila al prestito monstre da 5,5 miliardi verso Dubai World emesso nel giugno dello scorso anno ma, fanno notare nella City, chi agisce come bookrunners mantiene in pancia solo il 10-15% del prestito o dei bonds, il resto potrebbe già essere allegramente sparso sul mercato secondario e diffuso come uno spezzatino.

Hsbc, Lloyds e Royal Bank of Scotland hanno rifiutato di commentare, Ing si è detta non preoccupata vista l’esposizione limitata mentre sotto pressione sono Deutsche Bank, Standard Chartered, Barclays, Bnp Paribas, Credit Suisse e Societe Generale: ovvero, il gotha del sistema bancario europeo.

Ma il problema non è solo di tenuta bancaria, che già sarebbe sufficiente a fare tremare le vene ai polsi. Abu Dhabi e altri emirati dell’area, infatti, sono presenti attraverso loro controllate in molte aziende europee: non a caso ieri Porsche perdeva il 10% in Borsa visto che proprio del 10% è la partecipazione al capitale della Qatari Investment Authority. Così come Daimler, controllata quasi al 10% dall’Abu Dhabi Aabar Investment, perdeva il 7%.

Insomma, lo tsunami potrebbe essere di quelli seri, anche per le aziende esposte in quei paesi attraverso quote di controllo e soprattutto se innescato in un quadro di instabilità generale per il sistema bancario. Se infatti mercoledì la Bundesbank ha finalmente ammesso di temere ingenti svalutazioni bancarie per il prossimo trimestre, ieri a gridare che il re era nudo ci ha pensato il re stesso, ovvero il direttore del Fondo Monetario Internazionale, Dominique Strauss-Kahn, secondo cui «metà delle perdite del sistema bancario globale potrebbe ancora essere nascosta nei bilanci, più in Europa che in America».

È la bomba ad orologeria bancario di cui vi parlo da mesi ormai: ora, purtroppo, c’è il certificato di autenticità della notizia timbrato Fmi. Troppo tempo è stato speso senza fare seri stress tests al sistema, troppi soldi gettati prima in salvataggi poi in speculazioni sul rally della liquidità: non si è pensato a una soluzione di bad bank, magari coordinata dalla Bce, che garantisse un mark-to-market calmierato e aiutasse il sistema a depurarsi dalle scorie.

Ora è tardi, perché non solo il malato è ancor più debilitato, ma questa nuova crisi potrebbe essere letale per qualcuno. Il bello è che le parole di Strauss-Kahn erano scritte nero su bianco in una bella intervista su Le Figaro, eppure nessuno sembra averle prese con la debite attenzione e preoccupazione: qualche miliardo di dollari di assets tossici sta per esplodere fuori dai bilanci ma qui, fino a ieri, si giocava a fare i broker d’assalto grazie ai soldi dei governi.

I regolatori, questa volta sì, dovrebbero andare a casa: uno dopo l’altro, senza distinzioni. In compenso l'oro continua ad abbattere un record dietro l'altro e supera anche la soglia di 1.195 dollari l'oncia, all'indomani di un nuovo massiccio acquisto da parte di una banca centrale asiatica di riserve proprio del Fondo Monetario Internazionale.

L'Fmi, che ha già venduto una parte della sue riserve d'oro all'India e alle Mauritius nel quadro di un programma che mira a ridurle a poco più di 400 tonnellate, ha infatti annunciato di aver venduto 10 tonnellate allo Sri Lanka per 375 milioni di dollari: ma il problema non sono le vendite istituzionali, legate alla natura intrinseca dell’oro come bene rifugio soprattutto da rischi inflattivi e turbolenze dei mercati, bensì la speculazione a breve che si sta compiendo esattamente come gli squeezes che si fanno sui futures petroliferi.

I miei lettori, che ringrazio sempre per l’attenzione con cui seguono quanto scrivo, mi hanno spesso imputato un eccessivo pessimismo: può certamente essere vero ma quando, mesi fa, cominciavo a parlare di nuova bomba bancaria all’orizzonte e di atteggiamenti suicidi di governi e mercati mi limitavo a guardare la realtà, a leggere tra le righe e fare due conti.

Forse realismo fa rima con pessimismo, non so. Ma certo solo con il realismo si esce dalle crisi. E finora non lo si è fatto. L’anno che verrà, forse, sarà tardi per farlo in modo che non ci siamo vittime: qualcuno, a questo giro, non ce la farà.

P.S. Proprio ieri, casualmente, la Borsa di Londra - e quindi quella di Milano - hanno avuto operatività ridotta causa problemi tecnici: che strana coincidenza, non vi pare? Rifletteteci su nel fine settimana.

 

http://www.ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2009/11/27/FINANZA-La-nuova-crisi-e-arrivata-e-parla-arabo-ecco-le-prove/51963/