Halevi - Se Marchionne scopre la sovraproduzione...
Il Financial Times del 15 dicembre ha pubblicato le stime più recenti riguardo alle economie europee per il 2010. Si prevede che in tutte, perfino in Norvegia, la disoccupazione aumenterà notevolmente. Per la Germania la stima è del 9,2%, con un incremento del 1,5%; la Francia, con lo 0,7% in più, toccherà il 10,5%; l'Italia l'8,7% con un aumento dello 0,9%, così come la Gran Bretagna. Questo calcolando come «occupati» anche i semidisoccupati part-time ed escludendo i disoccupati che non cercano più lavoro. Colpisce che nella magnifica Svezia si preveda una disoccupazione del 10,2%, mentre nei celebrati modelli danesi ed olandesi si passerà rispettivamente dal 4,5% al 5,8% e dal 3,4% al 5,4%. Meno male che la ripresa c'è!
Il cuore dell'esplosione disoccupazionale risiede nella crisi della produzione industriale e nel nucleo centrale del mercato dei beni di consumo, che è quello dell'auto. Ci si dimentica spesso che l'auto rappresenta tuttora una grossa spesa per le famiglie in termini diretti di acquisto, in termini di indebitamento e spese correnti (assicurazione, carburante, pedaggi autostradali). Nella fase di produzione diretta l'auto genera un indotto ormai globalizzato e in quanto valore d'uso, sebbene sia funzionalmente inefficiente - è una scatola metallica che sta ferma per la maggioranza del tempo - l'automobile sostiene le società finanziarie, petrolifere, assicurative, nonché gli investimenti pubblici in infrastrutture. E' anche un fattore decisivo nella creazione delle rendita urbana. In Italia, basti pensare ai box. Quindi la crisi dell'auto esprime (ma definisce anche) le tendenze generali dell'economia. Due sono le fonti di domanda per ogni prodotto: quella connessa alla specificità del prodotto - che può essere a scapito di altri beni - e la domanda generale, dipendente dalla dinamica del reddito globale disponibile per la popolazione. La domanda di auto è guidata prevalentemente dall'andamento generale.
Possiamo ora valutare la relazione svolta da Marchionne il 22 dicembre. L'amministratore delegato della Fiat presenta il 2014 come data-obiettivo; i dati della Fiat verranno presentati nei dettagli in primavera, mentre Marchionne ci comunica già quelli della Chrysler: 2,8 milioni di unità, cioè un aumento del 40% rispetto ad oggi. Per l'Italia, la Fiat dovrà passare dalle 650mila alle 900mila auto prodotte localmente, cui si sommerebbero 200mila veicoli commerciali. Ma tutto ciò dipende sia dalla domanda aggregata dell'economia europea - e Marchionne non ha particolari facoltà di prevedere il futuro - sia dalla capacità concorrenziale del gruppo. In ambo i casi, il perno della strategia Fiat risiede nella ristrutturazione aziendale. Si deve ottenere una drastica riduzione delle capacità produttive eccedentarie, problema che il settore automobilistico europeo si porta dietro dagli anni settanta, e un aumento considerevole della produzione per addetto. Ne consegue che l'espansione produttiva della Fiat in Italia si basa su una drastica riduzione dell'occupazione. Da qui non si scappa.
Tuttavia tale espansione disoccupazionale non è per niente garantita, dato che la sua realizzazione non dipende solo dai piani del gruppo, ma soprattutto dalla domanda di mercato. Allo stato attuale la situazione è catastrofica ed emerge dalla relazione stessa. Nel 2009 le vendite europee sono state di 13,5 milioni di unità grazie agli ecoincentivi ed alle rottamazioni. Per il 2010 si prevedono 12 milioni di unità.
Si sovrappongono quindi due ondate disoccupazionali: una dovuta alla strategia di ristrutturazione e una dovuta alla crisi. Le due ondate possono cumularsi, in quanto le frustrazioni di mercato accentuano la necessità di operare ulteriori ristrutturazioni. E' evidente che la soluzione non si situa nell'ambito aziendale, ma comporta una politica industriale globale. Che non c'è, né a livello europeo né, tantomeno, sul piano nazionale. Sia a destra che a sinistra.
Joseph Halevi
Fonte: www.ilmanifesto.it
Link: http://www.ilmanifesto.it/archivi/commento/anno/2010/mese/01/articolo/2105/
2.01.2010
Le dieci storie che ti sei perso nel 2009
Qualche esempio di come il mondo sia cambiato mentre guardavi da un’altra parte di Joshua E. Keating, Foreign Policy
[Traduzione di Irene Campari, titolo originale "The Top 10 Stories You Missed in 2009. A few ways the world changed while you weren’t looking"]
Il passaggio a Nord-est aperto per il business
Il mitico Passaggio ad Oriente cattura ancora l’immaginazione, eppure nel settembre scorso due navi cargo tedesche hanno fatto la storia essendo le prime ad attraversarlo, per ragioni commerciali, da Est verso l’Europa, tra la Russia e l’Artico. Il ghiaccio aveva reso da sempre impossibile l’impresa, ma l’innalzamento delle temperature ha aperto la strada ed ora è come camminare su di un torta. "Non c’era pressoché ghiaccio lungo tutto il percorso" ha detto Capt. Valeriy Durov alla BBC. "Vent’anni fa, quando lavoravo nella parte orientale dell’Artico, non avrei mai immaginato una cosa del genere." Il significato di quel cambiamento dipende dalla persona alla quale si pone la domanda. Per l’industria navale dei cargo è oro, avendo così a disposizione una via per l’Oriente più breve e meno cara. Per gli ambientalisti significa invece l’aver raggiunto un punto molto pericoloso nel cambiamento climatico. Gli scienziati sostengono che durante il periodo estivo aumenterà la superficie libera dai ghiacci, con tutte le conseguenze negative per le specie animali e vegetali locali e per tutte le aree costiere del mondo. Per la geopolitica internazionale rappresenta, invece, un territorio di conquista. La Russia ha letteralmente piantato la propria bandiera nel ghiaccio artico provocando la costernazione degli altri paesi nordici: la posta in gioco è infatti l’accesso a immense risorse naturali. Data la melma in cui si sta trasformando l’Artico, anche il pacifico Canada sta traccheggiando con gli “war games” in attesa di possibile confronti militari.
Iraq
Con i media internazionali e le chat di tutto il mondo concentrati su Kabul, nessuno si occupa più di come vanno le cose a Baghdad. E non è bello; se, infatti, la violenza generalizzata si sta esaurendo, il conflitto è tutt’altro che finito. A causa di continui attacchi nelle maggiori città, nel paese ci sono 2,7 milioni di rifugiati interni; la deprimente mancanza di una politica di riconciliazione fa sì che qualsiasi tentativo di andare al di là della situazione contingente fallisca miseramente. E, come se non bastasse, rimane sulla scena il conflitto potenzialmente più pericoloso: quello tra la popolazione araba e quella curda. L’attenzione molto limitata che questo argomento ha ottenuto finora si è focalizzata sulle pretese curde sul petrolio di Kirkuk, nonostante gli analisti sostengano che i recenti sviluppi nella vicina zona di Ninive, la provincia che circonda Mosul, potrebbero essere ancor più pericolosi. Area situata a sud del confine curdo, la sua popolazione è a maggioranza curda, e sembra del tutto intenzionata a incorporare questo territorio nel Kurdistan. Dopo l’invasione statunitense, a Ninive i curdi sono diventati politicamente dominanti, un po’ per l’indifferenza della locale popolazione sunnita, e un po’ per la presenza stabile della peshmerga, miliziani stanziati qui in previsione del passaggio al Kurdistan. La situazione è però cambiata nel gennaio 2009, quando i sunniti si sono uniti al partito nazionalista arabo al-Hadba - che propagandava la cacciata del peshmerga e la diminuzione dell’influenza curda - ottenendo così una maggioranza, seppur risicata, alle elezioni provinciali di Ninive. La Kurdish Fraternal List, il maggior partito curdo della regione, ha abbandonato il consiglio provinciale, dichiarando che sarebbe ritornato soltanto nel caso le fossero state accordate posizioni di rilievo e di comando. Mentre entrambe le parti sono impegnate nel minacciarsi reciprocamente, continuano gli attacchi violenti, e sia Iraq che Stati Uniti tendono a vedere quel conflitto come il più insidioso per la stabilità del paese. "Senza un compromesso, [Ninive] rischia di trascinare tutto il paese su di una china pericolosa" ha detto nel settembre scorso Loulouwa al-Rachid, il senior analist dell’International Crisis Group. Segno di questa tensione è anche il fatto che le truppe Usa sono ancora in Mosul nonostante il ritiro ufficiale da altre città dell’Iraq.
Hotline per Cina e India
Le "hotline" tra leader mondiali, come quella leggendaria tra Mosca-Washington, o il "red telephone" attivato dopo la crisi dei missili a Cuba, hanno il compito di prevenire ed evitare qui pro quo o difetti di comunicazione tra potenze nucleari, evitando il deflagrare di un conflitto. Cina e Stati Uniti ne hanno una. Così per India e Pakistan. Quest’anno, i leader di India e Cina si sono accordati per attivarne una tra Nuova Delhi e Pechino, esplicitando così la preoccupazione circa la possibile degenerazione di una disputa di confini in un grande conflitto dell’era multipolare.
Le due superpotenze asiatiche si contendono la regione himalayana del Tawang, un distretto indiano dell’Arunachal Pradesh, che la Cina rivendica come storicamente appartenente al Tibet, e quindi della Cina. Nel 1962, per quello i due Paesi hanno combattuto una guerra che ha fatto 2000 morti tra i soldati. Il Dalai Lama (storicamente legato all’India) ha una grande influenza su quella regione con una popolazione in maggioranza tibetana. E questo costituisce per l’India un ulteriore elemento irritante. L’area è stata fortemente militarizzata; le forze indiane hanno documentato 270 violazioni dei confini e circa 2300 casi di “controlli aggressivi ai confini” da parte della Cina nel solo 2008. Il primo ministro indiano Manmohan Singh ha visitato l’area in ottobre, protestando ufficialmente nei confronti di Pechino.
In giugno, il Times of India ha riportato la notizia che il presidente cinese Hu Jintao avrebbe indicato a Singh la necessità dell’attivazione di una hotline in modo tale che quella disputa non sfoci in altre azioni militari - tantomeno nucleari - tra i sue paesi. Benché si tratti solo di una precauzione, quella hotline è un’indicazione di come il Tawang si sia aggiunto al Kashmir come una delle aree più pericolose dell’Asia.
Una nuova bolla immobiliare?
Le speculazioni immobiliari sono state il fattore che più di ogni altro ha contato nella crisi finanziaria globale. Eppure, nonostante i milioni di fallimenti e di effetti secondari sentiti a scala mondiale, i proprietari di case americani potrebbero prestarsi a ripetere lo stesso errore.
Dopo aver vissuto la più grande depressione del mercato della storia, nel maggio scorso i prezzi delle case americane hanno ricominciato a risalire. L’indice S&P/Case-Shiller, considerato il più credibile strumento di stime del mercato immobiliare statunitense, è salito al 3.4% tra maggio e luglio, con buoni profitti in 18 delle 20 città considerate. I prezzi erano ancora del 13.3% più bassi che nel 2008, tuttavia meglio di quanto ci si attendesse. "Abbiamo toccato il fondo" ha così dichiarato un economista al New York Times. Non però così velocemente. L’economista Robert Shiller, uno dei creatori di quell’indice, interpreta, infatti, quel dato in modo allarmante piuttosto che in modo promettente. Secondo i sondaggi, infatti, molti proprietari pensano che il valore dei loro immobili potrebbe crescere enormemente negli ultimi dieci anni, e questo potrebbe creare un’ulteriore e preoccupante “bolla dell’aspettativa". “Sembra che l’estrema oscillazione dei prezzi immobiliari abbia trasformato molti americani in speculatori” ha scritto Shiller sul New York Times. La soluzione prospettata dal governo sembra - ironicamente . essere causa del problema, incoraggiando irresponsabili acquisti di case da parte di coloro che non se lo potrebbero permettere. La Federal Housing Administration, che ha sfornato quasi 2 milioni di mutui nel 2009, in giugno ha visto la percentuale dei debitori crescere di quasi l’8%, e l’agenzia bruciare la sua riserva per la perdita del credito. E’ stata formata una commissione al Congresso per indagare su quelle perdite. Anche il responsabile della Federal Reserve, Ben Bernanke, pare abbia dichiarato che il Congresso dovrebbe controllare il potenziale del credito trattabile da parte dell’organismo federale. Con i prezzi apparentemente in crescita e il governo americano che concede generosi incentivi ai proprietari, c’è il rischio che ritorni il medesimo irresponsabile comportamento speculativo che ha provocato la Grande recessione.
Il veloce esaurimento della ‘forza civile'
Nel novembre 2007, il segretario della Difesa americana Robert Gates ha tenuto un discorso, diventato famoso, alla Kansas State University in cui riconosceva che "per vincere non basta il successo militare" e che le guerre in Iraq e Afghanistan richiederebbero un ben diverso ruolo e un aumento di fondi alla U.S. Agency for International Development (USAID). In marzo, l’amministrazione Obama sembrava voler seguire quell’intendimento, almeno nella strategia afghana. Aveva infatti chiesto che venisse aumentato il personale dell’USAID nelle truppe in Afghanistan. "La cosa che sicuramente non possiamo pensare è che in Afghanistan sia sufficiente l’azione militare per risolvere i nostri problemi", ha detto Obama a 60 Minutes, facendo eco alla retorica di Gates. Solo un mese dopo, l’amministrazione ha dovuto chiedere a Gates di individuare 300 militari per adempiere ad alcuni compiti in Afghanistan che sarebbero stati adeguati per esperti civili; ma gli esperti civili non si sono trovati. Il sottosegretario alla Difesa Michèle Flournoy ha poi ammesso che il governo stava bleffando visto che per anni non aveva addestrato alcun civile a quei compiti. Il Pentagono sta inoltre arrogandosi in Pakistan alcune funzioni che tradizionalmente sono del Dipartimento di Stato. E sarebbe un cambiamento senza precedenti, visto che formalmente gli Stati Uniti non hanno alcun contingente in quell’area. Con un supplemento di contributi, nel giugno scorso il Pentagono ha ottenuto di gestire temporaneamente 400 milioni di dollari destinati a migliorare la capacità di intervento in azioni civili dell’esercito pachistano. L’assistenza militare di questo tipo è però tradizionalmente compito del Dipartimento di Stato, ma Gates - e con lui il Generale David Petraeus - ha giustificato quella decisione con la mancanza nel Dipartimento di Stato di competenze necessarie. Per ora quindi il sogno di avere un corpo civile che affianchi quello militare è ancora molto lontano. Come ha buttato lì Anthony Cordesman, consigliere militare per l’Afghanistan "Dovremmo smettere di parlare di “potere intelligente” come se noi ce l’avessimo".
L’asse Pechino-Brasile
Nonostante la Cina abbia negli anni Novanta, non troppo segretamente, acquistato molti aerei sovietici, per gli analisti militari il problema sarebbe invece la sua ambizione navale. In marzo, il ministro cinese della Difesa Liang Guanglie ha offerto la più decisa conferma che il problema per loro è la flotta aerea. Mentre conferiva con il collega giapponese ha detto: "Noi dobbiamo sviluppare una flotta aerea". Il Pentagono pensa che il People's Liberation Army Navy (PLAN) potrebbe avere entro il decennio numerosi mezzi aerei, con costi per la costruzione di parecchi miliardi. Con una scarsissima esperienza nella costruzione di aerei, la Cina dovrà quindi dotarsi in tempi brevi di navigatori e piloti e trovare un aereo pronto su cui salire. Il problema è che solo quattro paesi sono attualmente in grado di costruire aerei pronti all’uso. Tuttavia, gli Usa hanno scarso interesse ad aiutare il versante militare cinese, la Francia non può farlo essendoci un embargo europeo che lo impedisce, e la Russia si è fatta più cauta circa la cooperazione militare con il suo potente vicino. Rimane il Brasile, felice invece di aver ospitato funzionari del PLAN sul suo São Paulo, un vecchio arnese di 52 anni acquistato dalla Francia nel 2000. Nelson Jobim, ministro della Difesa del Brasile, ha rivelato nel maggio scorso il programma su di un sito web. E benché non si conoscano i dettagli dell’accordo, è noto che i cinesi si accolleranno i costi del restauro del São Paulo in cambio di un sostanzioso programma di training. Inoltre, un sito cinese ha riportato l’indiscrezione secondo la quale la Cina potrebbe aiutare il Brasile a costruire sottomarini nucleari. Del resto Jobim stesso ha dichiarato di sperare in una cooperazione militare, e non, tra i due paesi.
Gli Usa sono la più grande potenza navale nel sud est asiatico, ma la flotta cinese è in costante aumento e non vede sempre di buon occhio le provocazioni lanciate dalla flotta statunitense che spesso varca le sue acque territoriali. Con la Cina e l’India che intraprendono massicci programmi militari (gli indiani stanno lavorando ad un piano per riciclare un modello di aereo russo) la supremazia navale degli Stati Uniti potrebbe sfumare via. La U.S. Navy sostiene che la flotta aerea cinese non influenzerà più di tanto l’equilibrio militare nella regione, ma quest’anno il rapporto annuale del Pentagono allerta circa le capacità militari della Cina che potrebbero incrementare in seguito alla modernizzazione del paese.
Uomo morto con passaporto
Dal 2007, il Dipartimento di Stato americano sta distribuendo gli "e-passports," che contengono un chip con i dati biometrici del titolare. Sfortunatamente, stando ad un rapporto pubblicato a marzo del Government Accountability Office (GAO), non sarebbe poi così difficile falsificarli anche da parte di non esperti. Un investigatore del GAO ha provato a richiederne quattro usando nomi inventati e documenti falsi. In un caso, ha usato il codice della Social Security di un uomo morto nel 1965. In un altro, quello generato per un precedente caso investigativo e riferito ad un inesistente bambino di 5 anni ma con un Id che ne indicava 53 di anni. L’investigatore ha poi utilizzato uno di quei e-passport per comprare un biglietto aereo, ottenere la carta di imbarco e superare il checkpoint di uno dei maggiori aeroporti americani. Quando il Gao ha presentato i risultati della sua indagine, il Dipartimento di Stato ha convenuto sulla vulnerabilità del sistema e sulla necessità di fare ulteriori approfondimenti. Più di 70 paesi hanno adottato il passaporto biometrico, che molti funzionari descrivono come una rivoluzione per la sicurezza relativa all’immigrazione. Tuttavia, le inchieste del Gao provano che la tecnologia più sofisticata non può garantire la sicurezza di un paese se dietro c’è una burocrazia fallace.
Gli assassini ceceni diventano globali
Il mondo è rimasto attonito di fronte all’assassinio dell’attivista cecena per i diritti umani Natalya Estemirova. I sospetti si sono subito indirizzati verso l’uomo forte del Cremlino, il ceceno Ramzan Kadyrov, spesso preso di mira nelle inchieste della Estemirova. Ma Estemirova era solo una delle voci molto critiche nei confronti di Kadyrov eliminate negli ultimi mesi. E vivere lontano dalla Cecenia non sempre significa essere al sicuro. In gennaio, l’ex guardia del corpo di Kadyrov, Umar Israilov, è morto per una disgrazia in Austria, dove si trovava per chiedere asilo. Israilov aveva presentato un esposto contro Kadyrov alla Corte europea dei diritti, accusandolo di rapimenti e di torture. In marzo, un membro della resistenza ormai esiliato, Ali Osayev, è stato ucciso ad Istanbul. Segue l’uccisione di due altri ribelli ceceni avvenuta sempre a Istambul nel 2008. Tutti e tre i delitti sono stati commessi con armi similari, secondo quanto dichiarato dalla polizia. Sempre in marzo, Sulim Yamadayev, che comandava un gruppo ribelle in concorrenza con quello di Kadyrov, è stato ucciso a Dubai. Suo fratello Ruslan, un tempo rivale di Kadyrov per la presidenza cecena, è stato ucciso a Mosca nel settembre 2008. L’Interpol ha fatto riferimento a sette cittadini russi collegati all’assassinio di Sulim, tra i quali ci sarebbe un esponente della Duma proveniente dal partito del primo ministro Vladimir Putin. E poi c’è l’ombra del conflitto nel nord del Caucaso; è lì, al momento solo congelato. Benché la tattica repressiva di Kadyrov abbia ottenuto dei risultati nella pacificazione della Cecenia e il Cremlino abbia dichiarato la fine delle ostilità nell’aprile scorso, c’è crescente paura per la politica a suon di autobombe che la repubblica islamica sta conducendo nei paesi vicini, in particolare in Ingushetia. Il suo presidente è stato gravemente ferito in un attentato nel giugno scorso.
L’America si è unita alla guerra civile in Uganda
In gennaio, Jeffrey Gettleman del New York Times ha fatto a pezzi la storiella secondo la quale l’esercito statunitense avrebbe aiutato l’esercito ugandese nell’attacco ad un gruppo spietato di ribelli, il Lord's Resistance Army (LRA), nella parte orientale del Congo. L’attacco fu eseguito miseramente , permettendo ai ribelli di scappare e uccidere, come rappresaglia, 900 civili. Era la prima volta che gli Usa partecipavano direttamente ad una azione contro la LRA, definita dagli stessi americani come un gruppo di terroristi. Il leader della LRA è un fondamentalista religioso che di nome fa Joseph Kony e che ha sottratto alle famiglie, durante dieci anni di guerriglia contro l’Uganda, decine di migliaia di bambini usati poi come guerriglieri o come schiavi del sesso. Il United States' new Africa Command (Africom) ha difeso il proprio ruolo in quella missione, dichiarando che l’attacco ugandese sarebbe avvenuto comunque e che “è troppo presto per giudicare” il supporto americano. Indipendentemente da come qualche membro del Congresso la penserà, il ruolo dell’Africom in quel conflitto potrebbe aumentare. C’è un atto pendente i cui autori sono Sens. Russ Feingold (D-Wis.) e Sam Brownback (R-Kan.) che, con un intendimento bipartisan, potrebbe impegnare gli Usa "nell’eliminazione della minaccia costituita dal Lord's Resistance Army ... tramite supporto informativo, politico, economico e militare". Nonostante siano pochi coloro i quali non si trovino d’accordo nel mandare Kony di fronte ad un tribunale - egli ha rifiutato di lasciare la giungla da quando l’International Criminal Court lo ha accusato di crimini contro l’Umanità - quell’atto impone delle domande circa il ruolo che dovrebbe avere l’Africom, che sembra ora piuttosto lontano dalle funzioni di advisor attribuitegli, e che rischia di coinvolgere gli Usa in uno dei conflitti africani più sanguinosi e complicati.
Un ROTC per le spie
Per crescere una nuova generazione di spie per una nuova generazione di minacce globali, la Cia e altre agenzie statunitensi di intelligence hanno proposto la creazione di un programma per individuare e istruire potenziali agenti con diversi background culturali ed etnici. Modellato sul Reserve Officers' Training Corps (ROTC-militare) dei college e delle università, il programma ambisce a individuare elementi della “prima - e seconda generazione di americani, che abbiano un linguaggio critico e una conoscenza culturale, e prepararli alla carriera nell’intelligence”. Un funzionario addentro a quella proposta ha detto a Walter Pincus del Washington Post che la partecipazione degli studenti a quel programma sarebbe stata mantenuta segreta per non permettere la loro identificazione da parte delle agenzie straniere. Le università possono concorrere per ottenere fondi per realizzare corsi e programmi che vengano incontro alle esigenze dell’Intelligence. La stessa ha tuttavia già erogato finanziamenti a più di 14 tra college e università per programmi inerenti la sicurezza nazionale. Il nuovo programma ha comunque obiettivi ancora più ambiziosi di quello pilota del 2004 che assicurava fondi agli studenti che decidevano di impegnarsi nello studio della criptologia. Cinque anni dopo il 9/11, la Commissione ha raccomandato alla CIA di reclutare più personale operativo bilingue: solo il 13% del personale parlerebbe una seconda lingua. Il direttore della CIA Leon Panetta ha dichiarato come gli sarebbe gradito se ogni suo analista fosse in grado di farlo. Il nuovo programma per i college è solo una parte degli sforzi della Cia per aggiornare e diversificare le taskforce di un’agenzia già dominata dagli Wasp [bianchi protestanti della East Coast , NdT]. La Cia sta alacremente reclutando anche tra le comunità arabo-americane, offrendo incentivi fino a 35.000 dollari per persone che parlano arabo, farsi e cinese.
Foreign Policy, dicembre 2009 [Traduzione di Irene Campari]
[Immagine da www.miart.net]
domenica, 03 gennaio 2010, 00:35 *** link *** inserito da irenecampari ***
http://circolopasolini.splinder.com/post/21981801/Le+dieci+storie+che+ti+sei+per
Incentivi
In italis si discute se estendere gli incentivi per la vendita di auto nuove con il motivo sempre più pretestuoso dell’”ecologia”. Da anni in Francia esiste una forma tutta particolare di “incentivo” a cambiare veicolo. Migliaia di migliaia di automobili vengono periodicamente incendiate da giovani immigrati africani e arabi come forma di disprezzo e di sfida alle autorità francesi. Anche nella notte del capodanno appena trascorso il fenomeno si è ripetuto puntualmente (1). Stando al ministero dell’Interno transalpino sarebbero state distrutte 1137 automobili, si dice solo dieci in meno del record del capodanno 2009. A dispetto del fatto che siano stati mobilitati 45mila poliziotti a prevenzione di questi episodi, 10mila in più di dodici mesi fa. La polizia ha arrestato 549 persone durante la notte, circa il doppio dell’anno scorso. Tuttavia, diversamente da allora, non sono avvenuti scontri diretti tra forze dell’ordine e bande d’immigrati. Così il 2010 inizia con oltre 1100 cittadini francesi che si dovranno procurare una nuova automobile e milioni che dovranno stipulare sempre più onerose polizze contro furto e incendio vandalico. Attorno alla questione delle automobili incendiate in Francia esiste una cortina di silenzio dell’informazione da fare l’invidia dell’omertà mafiosa. Poche le agenzie si stampa che riportano la notizia. Alcune arrivano a riferire che questi fenomeni avvengono in particolare nei quartieri ghetto alle periferie delle grandi città, nelle note “banlieu”. In pratica nessuna che citi l’eziologia da conflitto razziale latente, intrinseca in questa “vogue” che prima o poi si potrebbe estendere al resto dell’Europa sempre più imbottita di terzomondiali per nulla intenzionati ad integrarsi, bensì desiderosi di battaglia. Notate come gli organi che più sopprimono tale tipo di notizie sono spesso i medesimi si battono strenuamente per la “libertà d’informazione”. Vengono fortemente taciuti i feroci delitti commessi dai musulmani contro le donne francesi. Giusto ieri un padre, di cui NON è stata fornita l’origine etnica, ha sgozzato le tre figliolette e si è poi suicidato dopo aver incendiato l’abitazione. Al momento in cui scrivo si possono solo fare congetture. Però normalmente i padri francesi non sgozzano le figlie per fare uno sgarbo alla moglie che si vuole separare, soprattutto alle figlie non danno nomi arabi. (2) E’ il bello della società “multiculturale” ragazzi! Eppure non temano gli automobilisti italiani. Nel paese del “partito dell’amore”, dell’“antipolitica” e dei NoTav ai magrebini probabilmente faranno sfasciare gli autobus di linea del trasporto pubblico o incendiare i treni nuovi (“freccia rossa”, “freccia bianca”, come cavolo si chiamano). Nel paese più “equosolidale” dell’universo è l’intera collettività a sobbarcarsi i costi dell’”integrazione”. La proprietà individuale è sacra di qua delle Alpi. Qui i profitti si privatizzano, le perdite si “socializzano”! Guai a toccare all’italiota medio macchina e moglie. La sua auto è sicuro la più bella del quartiere e la moglie era certamente “illibata” al momento del matrimonio. Per un italiano bruciargli la macchina può risultare traumatizzante quanto apprendere dagli amici al bar che la moglie si fa “sbattere” dal portinaio egiziano dentro il gabbiotto della portineria. Se gli extracomunitari si azzardassero ad atti simili, rischierebbero di finire come quei poveracci di Castelvolturno, tragedia della quale peraltro si è già persa “memoria storica” (3). Suppongo perché i responsabili di quella raccapricciante strage non sono originari di Cogne, Erba o Garlasco. Per questo Scajola procrastinerà gli incentivi alla rottamazione di vecchie auto “inquinanti”. Convinti? F. Maurizio Blondet 1 ) http://news.yahoo.com/s/nm/20100101/ts_nm/us_france_newyear_violence 2 ) http://www.corriere.it/esteri/10_gennaio_02/francia_bambine_strangolate_incendio_478869ce-f7b1-11de-8d00-00144f02aabe.shtml Stranamente in vero il sito web dell’Unità da conferma che il carnefice era di origini marocchine: http://www.unita.it/notizie_flash/75888/francia_sgozzate_tre_bambine_in_alsazia 3 ) http://www.casertanews.it/public/articoli/200809/art_20080919182425.htm http://falsoblondet.blogspot.com/
IL 2010 SARA’ PEGGIORE
Data: Sabato, 02 gennaio @ 11:00:00 CST
Argomento: Economia
FONTE: MONTY PELERIN
americanthinker.com
Il 2010 sarà probabilmente l'anno di svolta in cui esperti smetteranno di riferirsi alla recessione e cominciano a parlare apertamente di depressione. Il problema economico è piuttosto semplice da descrivere: c'è troppo debito rispetto al reddito e / o alla ricchezza prodotta. Di seguito è riportato il grafico che rappresenta la situazione dell’ economia americana, nel quale viene mostrato il debito complessivo degli Stati Uniti come percentuale del PIL dal 1870 in avanti. I dati sul debito comprendono tutti i debiti pubblici e privati, non comprende gli oneri legati al mandato del governo come la Social Security e la Sanità che non vengono finanziate. (Nota: Secondo i depositari di questi fondi fondazione negli Stati Uniti il valore attuale delle passività sarebbe di circa 106 mila miliardi di dollari, che se venissero incluse farebbero aumentare il rapporto Debito/PIL fino al 1.000%).
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http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=6630
L'ammontare percentuale del debito in rapporto al PIL dal punto di vista storico è veramente sconcertante. Vale la pena di fare alcune considerazioni sul grafico:
* Sul lungo periodo la "norma" del rapporto sembra essere di circa il 150% e le linee rosse delimitano la "norma" compresa tra il 130% e 170% rispettivamente.
* Il rapporto non è mai superato la fascia superiore eccetto due periodi di impennata: nel 1920 e nel 1980,.
* Ogni intersezione delle linee ha comportato un enorme boom nel settore del credito. Il primo si concluse con la Grande Depressione. Il secondo produrrà una catastrofe simile se non peggiore. (siamo solo agli inizi).
* L'espansione del credito che ha portato alla Grande Depressione non è stata così rilevante come quella attuale.
* Il picco del credito si è verificato dopo che la depressione era cominciata. L’andamento della spesa pubblica e la contrazione del PIL hanno continuato a condizionare il rapporto fino all'inizio della Grande Depressione.
* Dopo la pubblicazione di questo grafico, il rapporto è cresciuto ed attualmente ha raggiunto quasi il 380%, quasi il doppio del livello raggiunto dagli Stati Uniti all’inizio della depressione.
* Mentre sembra che i prestiti privati abbiano raggiunto attualmente il picco, l’enorme finanziamento del disavanzo pubblico continua a far innalzare il rapporto , così come la contrazione del PIL.
Nessuna teoria economica riesce a razionalizzare una vera e propria "norma", ma intuitivamente, sappiamo che un tale valore limite esiste. Il debito non deve superare una certa percentuale di reddito, altrimenti non vi può essere un prestito. Per oltre un secolo il settore bancario ha utilizzato il concetto dei rapporti equivalenti come criterio per l’erogazione di prestiti ai singoli e alle imprese. Per varie ragioni, nel corso degli ultimi due decenni le banche hanno trascurato queste linee guida contribuendo notevolmente alla bolla del credito.
Il governo ha deciso che la cura per l'eccessivo indebitamento consiste nel fare più debito. Questa soluzione non può funzionare, soprattutto quando il credito è già così sovraesposto. I redditi e la ricchezza prodotta non possono sostenere gli attuali livelli di indebitamento..Il credito tornerà ai livelli medi, indipendentemente dagli intenti del governo, che questo avvenga attraverso il pagamento ordinato o l’insolvenza, la riduzione del debito sarà inevitabile.
Ludwig von Mises ha affrontato i limiti del credito nella Teoria della moneta e del credito, originariamente pubblicato nel 1912. In lavori successivi così si esprimeva sulla questione:
Non vi è alcuna possibilità di evitare il collasso finale derivante dal boom dall’espansione del credito [debito]. Una alternativa vi è solo se la crisi dovesse arrivare prima, come il risultato di un abbandono volontario di ulteriore espansione del credito [debito], o più tardi come una catastrofe finale e totale del sistema monetario in questione.
Nel 2009, non è stato possibile finanziare le richieste di capitale negli Stati Uniti attraverso i mercati tradizionali. Il governo è stato in grado di finanziare il suo deficit del 2009 solo attraverso Quantitative Easing [1] esplicite (e occulte) della Fed. In Discutendo del 2009, Zerohedge ha dichiarato:
Vi è stato un credito enorme e una crisi di liquidità, e poi c'era il Quantitative Easing, questo'ultimo equivale per la Fed al band-aiding [2] di uno zombie e di un organismo infettato dagli schemi di Ponzi, meglio conosciuto come “l'economia americana”. It worked for a while, but now the zombie is about to go back into critical, followed by comatose, and lastly, undead (and 401(k)-depleting) condition. Ha funzionato per un po ', ma ora la zombie è in procinto di tornare in crisi, seguito da uno stato comatoso e, infine, ridotto in condizioni di non morte (e con una riduzione della linea 401 k)[3] .
Zerohedge ha stimato che negli USA, per poter finanziare le esigenze di capitale nel 2010, la domanda (il finanziamento) di titoli a rendita fissa dovrebbe aumentare di undici volte. Intanto continua a declinare la partecipazione straniera nei titoli a rendita fissa sui mercati finanziari americani che contribuirà a rendere impossibile tale finanziamento.
Per quanto riguarda le esigenze di finanziamento del 2010 esitono solo tre possibilità:
· La Fed continuerà il suo Quantitative Easing oltre la loro cessazione prevista nel marzo 2010.
La Fed alza i tassi di interesse a livelli che potrebbero attirare i capitali necessari per finanziare le operazioni di governo attraverso i mercati del credito tradizionale.
La Fed.non prende alcuna iniziativa e allora si avrebbe un insolvenza del governo su alcune sue obbligazioni.
Nessuna di queste alternative è attraente. Le scelte sgradevoli derivano dalle politiche adottate precedentemente dalla Fed e dal Governo. Per evitare la recessione, il governo nel corso degli ultimi cinquant'anni ha abusato e poi alla fine ha esaurito tutte le opzioni ragionevoli. Dopo anni di cattiva gestione, il governo è in imbarazzo di fronte a quello che deve fare e non può sfuggire. Tutte le alternative saranno molto dolorose, e nessuna è in grado di garantire la possibilità di una ripresa di tipo tradizionale. Non importa quale alternativa si scelga, il paese non può evitare una depressione. A questo punto la politica dovrebbe preoccuparsi di "non nuocere ulteriormente". Delle tre alternative, ciò che è meglio economicamente è peggiore politicamente. Questo conflitto naturale tra buona economia e una buona politica non è insolito.Il paese subirebbe un grave danno economico se si attuasse la alternativa n 2.. Da un punto di vista politico, le alternative 2 e 3 sono probabilmente inaccettabili. Pertanto, è probabile che venga tentata (ancora!) la 1° alternativa. It is precisely the continual overuse of this alternative that has led to the current sad state. Ma è stato proprio il continuo abuso di questa alternativa, che ha portato a questo stato penoso.
Alternativa 1 non può funzionare, non riuscirà ad evitare una depressione, anzi peggio ancora, porterà probabilmente all'iperinflazione. Così, finiremo probabilmente con l’avere una situazione peggiore, infatti con l’iperinflazione, il denaro cesserà di essere un mezzo di scambio, i mercati cesseranno le loro attività, se non basandosi sul baratto, verrà spazzata via la classe media i cui risparmi perderanno valore come il dollaro. Alla fine si verificherà ciò che Mises ha previsto molti anni fa.
In una qualsiasi delle alternative si corre il rischio di perdere la nostra forma di governo, cosa che porterà a disordini ed alle lotte. All are probably more likely under alternative 1 because of the corrosive effects of high inflation combined with a depression. Tutto ciò risulterebbe possibile se si adottasse l’alternativa 1 per gli effetti corrosivi provocati da inflazione elevata unita ad una depressione.
Attenzione al calendario. Le cose si stanno facendo sempre più interessanti e probabilmente molto presto.
Fonte: www.americanthinker.com/
Link: http://www.americanthinker.com/2010/01/2010_will_be_worse.html
2.0.1.2010
Traduzione a cura di ANTONIO PAGLIARONE
NOTE
1 - Il termine anglosassone Quantitative Easing si traduce in italiano con alleggerimento quantitativo ed indica la creazione di moneta da parte della banca centrale e la sua iniezione, con operazioni di mercato aperto, nel sistema finanziario ed economico
2 - “band-aiding” significa aiutare a mantenere entro i limiti massimi le fluttuazioni dei tassi di cambio del dollaro rispetto ad un'altra valuta
3 - Il tipo di pensionamento 401k è stato progettato in modo tale che esso incoraggi i dipendenti a risparmiare una notevole somma di denaro per il periodo post-pensionamento.
2010: un anno di respiro per l'economia mondiale?
posted by di Ugo Bardi
Negli ultimi anni mi sono provato a fare delle previsioni sull'economia. Mi sono venute talmente bene che quasi mi faccio paura da solo (vedi questo post. riguardo al 2008 e questo riguardo al 2009). Ci sono due possibilità: o mi è andata bene per caso, oppure veramente ho dei modelli che funzionano. Supponendo che la seconda ipotesi sia quella vera, mi provo adesso a farvi qualche previsione per il 2010. Nessuno ha la sfera di cristallo, ma credo che, con un po' di attenzione, qualcosa sul futuro si possa dire.
Il 2009 è stato un anno molto particolare: non è successo quasi niente. Dopo una decade brutale e turbolenta, come è stato fino ad ora il ventunesimo secolo, è sorprendente vedere un'annata dove non è cominciata nessuna nuova guerra. Certo, c'è stato il bombardamento di Gaza, che però era cominciato nel 2008. Non si è visto nessun rivolgimento politico importante; ovviamente Obama è stato il grande cambiamento ma, anche lui, è stato eletto nel 2008. Sembra che la notizia politica principale da ricordare del 2009 sia la statuetta del duomo di Milano tirata in faccia a Berlusconi. Il che è tutto dire.
Nel 2009, l'economia si è abbastanza stabilizzata dopo la crisi del 2008; anche qui non abbiamo visto grandi crolli e neppure grandi impennate. I prezzi del petrolio si sono stabilizzati a un livello intermedio fra il picco del Luglio 2008 e il crollo di fine 2008. Persino in termini di catastrofi naturali è stato un anno tranquillo, a parte il terremoto dell'Aquila e i soliti allagamenti che in Italia arrivano appena piove un po' di più per via della cementificazione del territorio. Per quanto gravi, tuttavia, nessuna di queste cose si classifica come un disastro di portata planetaria. Ci sono stati soltanto tre uragani sull'Atlantico, dei quali nessuno ha toccato la terraferma degli Stati Uniti.
Insomma, sembra quasi incredibile che abbiamo passato un anno così calmo. Ma per tutto quello che accade ci sono delle ragioni. Non so che cosa abbia calmato i vulcani e gli uragani. Però, sembrerebbe che il picco del petrolio - avvenuto probabilmente nel 2008 - ci abbia lasciati letteralmente senza fiato. Anche per fare guerre e rivoluzioni ci vuole petrolio e sembra che senza petrolio non ci siano le risorse per farle. In un certo senso, questo è bene. In un futuro con meno petrolio, avremo un sacco di problemi ma - forse - meno guerre.
D'altra parte, tutto quello che accade ha una ragione di accadere e quindi nel 2009 abbiamo visto le conseguenze di alcuni fenomeni che si stavano sviluppando ormai da decenni. Di fronte a un costo di produzione sempre più elevato dell'energia fossile, il sistema economico si adatta. Inizialmente, aveva reagito in modo aggressivo con una serie di guerre costose e inutili. Adesso, sta reagendo contraendosi e riducendo i consumi. Allo stesso tempo, si sta cercando di investire nello sviluppo di nuove risorse - nuovi giacimenti e nuove tecnologie di estrazione. Soprattutto con il gas naturale, lo sviluppo della tecnologia dello "shale gas" associato al drilling orizzontale ha ridato fiato alla produzione negli Stati Uniti, che era in grossa difficoltà.
Quindi, che cosa ci possiamo aspettare per il 2010? Beh, l'arte della previsione è l'estrapolazione intelligente. Nessuno può fare previsioni precise, come pretendono di fare i maghi con gli oroscopi. Le previsioni non possono mai essere precise e se lo sono, sono sbagliate. Le previsioni veramente utili sono degli "scenari"; delle interpretazioni delle tendenze del sistema che possono accadere con buona probabilità.
Allora, cominciamo con il sistema economico. Durerà la ripresa che abbiamo visto a partire dal Marzo del 2009? Qui, bisogna vedere come si adatterà il sistema alla crisi di disponibilità di energia e di materie prime. Per questo, ci sono due possibilità: una è contrarre i consumi; l'altra è cercare di mantenere i livelli di produzione allocando più risorse verso l'esplorazione e l'estrazione. Questa seconda strategia si esprime con l'aumento dei prezzi delle materie prime ed è quello che il sistema ha fatto nella prima metà de 2008. A questa fase, è seguita una contrazione economica dato che il sistema non ce la faceva ad allocare risorse sufficienti per aumentare la produzione. In sostanza, il sistema ha oscillato fra le due strategie; è quello che in Inglese si chiama "boom and bust".
Ora, la crisi economica ha fatto abbassare i prezzi e questo, a sua volta, ha permesso all'economia di ripartire. A questo punto, ci sono tutti i presupposti per un nuovo ciclo di boom and bust. Ovvero, se l'economia continua a crescere, la domanda di petrolio e di materie prime salirà di nuovo e questo farà ripartire i prezzi. Questo potrebbe portare a una nuova impennata di prezzi, seguita da una nuova crisi.
D'altra parte, è anche vero che, a partire dalla seconda metà del 2009, il sistema sembra essersi stabilizzato su un livello di prezzi del petrolio che corrisponde - approssimativamente - al valore "giusto", ovvero vicino ai costi di esplorazione/estrazione. Il sistema non è completamente privo di memoria e quindi può imparare dal passato. Quindi non è detto che sia condannato a un altro ciclo di boom and bust; potrebbe stabilizzarsi. Il controllo dei prezzi petroliferi è ritornato - per ora - nelle mani dei paesi produttori, OPEC soprattutto. Questi non hanno nessun interesse in un nuovo ciclo di boom and bust e potrebbero riuscire a controllare l'offerta in modo da evitarlo.
Fra queste due ipotesi: nuovo ciclo di boom and bust oppure stabilizzazione, è impossibile al momento fare una scelta. Vedremo che cosa succederà via via che il 2010 avanza. In ogni caso, possiamo dire con certezza che nel 2010 non vedremo (ancora) l'inzio del declino terminale dell'economia che gli scenari dei "Limiti dello Sviluppo" prevedono per la decade 2010-2020. Per quello, dovremo aspettare qualche anno ancora.
In alcuni campi dell'economia, i fenomeni iniziati nel 2009 continueranno e si intensificheranno nel 2010. In particolare, il 2009 è stato l'anno dell'inversione di tendenza nel rapporto fra produzione alimentare e popolazione. Fino al 2009, la produzione tendeva ad aumentare più della popolazione, ma nel 2009 ci siamo accorti che il numero di persone affamate nel mondo ha avuto un brusco aumento. Era inevitabile: il sistema agricolo sta raggiungendo i limiti possibili di produzione, pur gonfiati artificialmente a furia di fertilizzanti di origine fossile. La produzione di cibo non sta diminuendo, almeno per ora, ma rimane approssimativamente costante. La popolazione, invece, continua ad aumentare sia pure a ritmi sempre più ridotti. Al problema dell'aumento di popolazione si aggiunge l'aumento dei costi di trasporto che rende difficile distribuire il cibo prodotto. Questo ha generato il fenomeno apparentemente contraddittorio del crollo dei prezzi delle derrate agricole. In sostanza, abbiamo una doppia crisi: una crisi alimentare nei paesi importatori che non possono comprare cibo a sufficienza e una crisi agricola nei paesi produttori che non trovano mercato per la loro produzione.
Nei prossimi anni, la crisi alimentare si farà sempre più grave e, a lungo andare, porterà a un'inversione di tendenza demografica, ovvero a un picco della popolazione umana sul pianeta. Questo, però, non lo vedremo ancora nel 2010. Vedremo la crisi alimentare colpire molto duramente nei paesi del cosidetto "terzo mondo". Colpirà anche duramente le minoranze (per ora) economicamente svantaggiate dei paesi "ricchi". In paesi come l'Italia non vedremo rivolte alimentari di gente affamata, ma un peggioramento della dieta delle fasce sociali più deboli, questo si.
Sarà anche un anno in cui la crisi dell'edilizia si farà sempre più evidente anche se si continuerà a cercare di ignorarla. In paesi dove l'economia è particolarmente legata all'edilizia, per esempio l'Italia, il crollo potrebbe diventare così grave che non sarebbe più possibile negarlo. Questo potrebbe portare a dei contraccolpi economici molto forti. I gruppi industriali legati al cemento andrebbero al collasso e quelli che avevano investito nel cosiddetto "mattone" vedrebbero i loro risparmi evaporare e scomparire. La botta economica conseguente, a sua volta potrebbe essere accompagnata da rivolgimenti politici importanti; considerando che l'attuale classe politica è fortemente legata alla lobby del cemento.
Il 2010 vedrà anche l'intensificarsi della crisi climatica. Se il 2009 è stato un anno senza fenomeni meteorologici drammatici; questo non vuol dire che la crisi non ci sia e non sia gravissima. Se il 2008 aveva visto un leggero calo della temperatura rispetto agli anni precedenti, il 2009 è ritornato in linea con la tendenza all'aumento globale. Il 2010 potrebbe vedere un ulteriore salto in avanti. Questo potrebbe avere dei forti contraccolpi sull'agricoltura e - di conseguenza - sull'economia, accellerando le tendenze attuali. Il 2010 potrebbe essere l'anno in cui si arriva finalmente ad accettare l'inevitabile realtà dell'effetto umano sul clima: troppo tardi, ma meglio tardi che mai.
Tutto quello che avviene, avviene per una ragione e quello che stiamo vedendo ha le sue radici in un fenomeno molto semplice: il progressivo esaurimento delle risorse a buon mercato che sta lentamente strangolando l'economia mondiale. Queste risorse includono la capacità dell'atmosfera di assorbire la CO2 emessa dalla combustione di idrocarburi fossili senza generare gravi danni da surriscaldamento. Anno dopo anno, quello che succede si spiega tenendo conto di questa tendenza. Il 2010 potrebbe non essere drammatico in questo senso, ma non ci possiamo aspettare che cambi qualcosa finchè, in un futuro per ora non vicinissimo, non riusciremo a invertire la tendenza con le energie rinnovabili.
Etichette: previsioni
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