Venezuela, Chávez minaccia di nazionalizzare il sistema bancario

Venezuela, Chávez minaccia di nazionalizzare il sistema bancario

Il presidente venezuelano Hugo Chàvez ha minacciato di nazionalizzare l’intero sistema bancario del Paese, pur avendo assicurato che i risparmi dei cittadini saranno al sicuro negli istituti di credito locali. Parlando ieri alla nazione, il leader latinoamericano ha spiegato infatti che il governo dovrà probabilmente affrontare nuovi problemi nel settore, dopo aver recentemente chiuso i battenti di due banche e proceduto ad un salvataggio d’emergenza per altre due. Si tratta di Banco Canarias de Venezuela e di Banco Provivienda, che sono state dichiarate insolventi, e di Bolívar Banco and Banco Confederado, il cui controllo è passato per ora in mani pubbliche.

Chàvez ha spiegato che la maggior parte dei depositi delle quattro banche (che ammontano complessivamente a circa il 6% del totale venezuelano) saranno restituiti ai legittimi proprietari, e che il governo farà il possibile per evitare rischi sistemici in futuro. «La nostra attenzione è concentrata su un altro gruppo di istituti di credito: ieri abbiamo passato dieci ore a studiare i loro casi», ha spiegato Chàvez in una conferenza proposta in tv da tutte le emittenti venezuelane. «Potete stare certi che se dovrò nazionalizzare l’intero comparto bancario del Paese, lo farò senza esitazioni», ha aggiunto.

Tuttavia - riferisce il Wall Street Journal - le dieci più importanti banche del Paese, che gestiscono circa il 70% dei depositi, sono considerate per ora in discreta salute, e non dovrebbero necessitare di particolari operazioni per garantirne il futuro.

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Intercettazioni bancarie di provincia

sportello-bancarioIeri ero ad uno sportello della mia banca, e come spesso accade avevo davanti una coda di persone. Mi piace - facendo passare il tempo necessario perchè la coda si smaltisca - ascoltare i clienti in fila parlare del più e del meno; ieri questo “più e meno” erano l’economia e la politica. Arrivato a casa ho trascritto il dialogo registrato con il mio cellulare, come una D’Addario qualsiasi. Ve lo riporto com’è uscito dall’altoparlante:

Tizio: «Il problema grosso è che, trattandosi di una crisi mondiale, va risolta su base mondiale. Il problema grosso è che siamo 6 miliardi, che a occhio e croce fa circa 4 miliardi di abili al lavoro, e 4 miliardi di posti di lavoro non ci sono, e nemmeno 3, e forse neanche 2 miliardi, e gli altri? Il problema grosso è che, come dice perfino ora il compagno Fini, l’unica strada è la via dei sussidi minimi. Lo stipendio è un diritto, il lavoro si paga a parte.»

Caio: «Resta il fatto che prima della crisi tutti questi contratti flessibili, da molti definiti “atipici”, hanno permesso una notevole diminuzione della disoccupazione! Quindi, pur in considerazione della profonda crisi che stiamo vivendo, meglio disoccupati o occupati precari? Lo so che non sono entrambe belle situazioni, ma tra le due…»

Tizio: «E’ schifoso questo ricatto da parte di chi ha il coltello dalla parte del manico. Meglio disoccupati: è più dignitoso per la persona e più nocivo per il sistema.»

Caio: «Meglio disoccupati per essere contro il sistema è si un sentimento idealisticamente pienamente condivisibile… purtroppo oggi è sempre più complicato cercare di sovvertire il sistema se non sei figlio di papà…»

Tizio: «Cercherò di spiegarti perché non è necessario essere figli di papà per sovvertire il sistema. In questa fase storica di decadimento il sistema, inteso come intreccio di politica e affari, è retto da una classe dirigente in gran parte composta - questa sì - da figli di papà, raccomandati e smidollati, cocainomani senza alcuna tensione ideale e morale e ai quali ciò che importa, ciò che sta loro veramente a cuore, è riuscire a ritagliarsi spazi per lo sballo, come le recenti cronache testimoniano; e trasmettono subdolamente al resto della popolazione il medesimo messaggio affinché assimili questa “filosofia di vita” e le somigli. La popolazione deve restare calma, stordita, anestetizzata. Queste coscienze addormentate sono l’unico ostacolo alla rivoluzione. La rivoluzione va esercitata non con le armi da fuoco (per ora) ma con le armi del pensiero critico, finalizzate al risveglio delle coscienze, poiché il problema oggi non è denunciare che il re è nudo, il che è fin troppo evidente, ma che il popolo è nudo. Una volta che il popolo, destatosi dal torpore televisivo, prendesse coscienza che il potere oggi non è altro che una tigre di carta, un’accolita di vigliacchetti debosciati, basterebbero due o tre colpi ben assestati per far crollare la baracca.»

Terzo uomo: «Quel “per ora” mi inquieta non poco! Ok, hai fatto crollare la baracca con la rivoluzione più o meno violenta e poi? Già, perchè è il poi che a me interessa! Nel senso che la storia ha sempre dimostrato che il “poi” spesso diventava peggio del “prima” o, più semplicemente: rapidamente “ritornava tutto come prima”!»

Tizio: «Non si sa mai che piega prendano gli eventi, il potere non molla facilmente l’osso. Sarebbe stato quantomeno imprudente per i combattenti della Liberazione dal nazifascismo escludere di imbracciare il fucile … Il “poi” dipenderà da noi, non dalla storia, dal destino o dagli astri. Noi che società vogliamo?»

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