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# posted by Terenzio Longobardi : 10:05 PM 9 comments links to this post http://aspoitalia.blogspot.com/2010/01/quanto-durera-il-petrolio.html#linksQuanto durerà il petrolio?
Noi, mazziati e distratti…
A fine anno non leggo mai le previsioni economiche per l’anno nuovo. Raramente sono affidabili. Gli esperti pensano di prevedere il futuro guardando esclusivamente nello specchietto retrovisore, come se la strada percorsa fino a quel momento dovesse continuare all’infinito. E questo spiega, tra l’altro, perchè quasi nessuno ci azzecchi.
Quel che mi ha colpito in questi primi giorni del 2010, dando un’occhiata ai titoli e ascoltando scampoli di trasmisionni radiofoniche e televisive, è la ripetitività delle analisi. Tutti parlano di “ripresa lenta”, di “exit strategy”. Tutti sono pronti a darci lezioni, soprattutto gli esperti che hanno esaltato il capitalismo finanziario e speculativo anglosassone, presentandolo come la panacea dei nostri mali.
Oggi quegli stessi signori avvertono che l’Europa è vecchia, che non sa adeguarsi alla globalizzazione e, con accenti colpevolisti, ammoniscono a “rimettere in ordine i bilanci statali”, come ha fatto ad esempio il vicesegretario dell’Ocse, l’italiano Pier Carlo Padoan, in una recente intervista, secondo cui “sarà necessario aumentare le tasse per riequilibrare i conti”.
Notate l’ipocrisia: questa crisi non è stata provocata da forsennate spese dei singoli Stati, ma dalla necessità di coprire le voragini provocate dalle banche. Missione compiuta, dicono gli esperti. Il sistema è salvo.
Ma nessuno, né l’Ocse, né il Fmi, né la Banca mondiale accenna a quella che dovrebbe essere una regola di buon senso. Se il sistema è davvero salvo, a pagarne i costi dovrebbe essere innanzitutto chi ha provocato il dissesto, dunque certe ben note banche di Wall Street, che operano in tutto il mondo.
E invece tutto è tornato come prima; anzi peggio di prima, come dimostrano i bonus da 140 miliardi di dollari elargiti quest’anno proprio da quelle banche. Il vero potere è rimasto nelle loro mani, anzi è persino aumentato, perché ora hanno la certezza che qualunque errore commettano, gli Stati non le lasceranno fallire.
L’importante è che l’opinione pubblica non se ne avveda. Chi bada più a loro? Nessuno: dobbiamo gioire per la ripresina ed essere pazienti, mettendo mano al portafoglio. Ce lo dicono i soliti guru. Ci hanno mazziato e ora ci distraggono. Ammansiti a dovere.
O sbaglio?
2010: DI MALE IN PEGGIO...
Saldi e inflazione
Scritto da Davide Giacalone | |
martedì 05 gennaio 2010 | |
Le file in occasione delle svendite non sono un indicatore economico, semmai di costume. L’entusiasmo con cui sono state commentate, quest’anno, ha più a che vedere con la scaramanzia che non con la riflessione sulla nostra ricchezza nazionale. Si deve stare attenti, insomma, a non mettere il cervello in saldo di fine stagione. La realtà è quella già qui descritta, senza bisogno d’attendere l’accalcarsi fuori dalle vetrine: il potere d’acquisto delle famiglie è cresciuto, come segnala l’incremento medio dei redditi, che si accompagna ad un tasso d’inflazione che si conferma il più basso degli ultimi cinquanta anni. La crisi c’è stata e c’è, ma si legge nei dati del prodotto interno lordo, che ha fatto segnare un tonfo notevole, superiore a quello degli altri Paesi europei, non si scorge, invece, nel reddito disponibile, sicché i prezzi stabili e le svendite inducono un aumento dei consumi. Prendere l’uno o l’altro dato, e pretendere di leggerci l’insieme della nostra situazione economica, pertanto, è arbitrario e conduce fuori strada. Anche nel 2009, tanto per fare un esempio, in occasione del “black friday”, il giorno degli sconti che coincide con il primo venerdì successivo al giorno del ringraziamento (quarto giovedì di novembre), gli statunitensi si sono messi in fila, ma non per questo è possibile negare né la crisi né la contrazione complessiva dei consumi. Come la rondine primaverile, quindi, una fila non fa ripresa. Il consumatore non si regola in base alle previsioni macroeconomiche, che, non a torto, considera alla stregua degli oroscopi, ma seguendo la bussola dei propri interessi e delle proprie convenienze. Altrimenti li risparmierà (nel caso italiano) o li utilizzerà per far diminuire i debiti (nel caso statunitense). Da noi, le spese natalizie sono state trattenute, anche a causa della non buona abitudine di posticipare i saldi, ma, lo ripeto, il potere d’acquisto era stabile o cresciuto, trovando conveniente concentrarsi in questi giorni. Ciò non toglie che i nostri redditi medi sono largamente inferiori alla media dei Paesi sviluppati, che la pressione fiscale, frutto di un patologico debito pubblico, è esagerata e che le due cose, messe assieme, diminuiscono la libertà dei cittadini, trasferendo in capo allo Stato le decisioni di spesa. E non toglie che chi ha perso o s’appresta a perdere il posto di lavoro, esaurite le salvaguardie degli ammortizzatori sociali, vede crollare il potere d’acquisto, per mancanza di reddito. E non toglie, infine, che ancora una parte troppo grande del nostro mercato agisce in regime d’evasione fiscale. I nostri problemi, quindi, sono tutti lì, in attesa d’essere seriamente affrontati, a cominciare dalla continua perdita di competitività. Restiamo uno dei Paesi più ricchi del mondo, ma perdiamo terreno rispetto ai concorrenti. Il fatto che le famiglie non ne avvertano, ancora, tutte le conseguenze, non è un buon motivo per far finta di niente. Davide Giacalone www.davidegiacalone.it
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Bodyscanner e vaccini.
Forse qualcuno ricorderà la scena finale dei Predatori dell'Arca Perduta. Quella dell'immenso capannone senza fine, in cui un ottuso servitore dello Stato seduto sul muletto stivava in un settore qualsiasi nientemeno che l'Arca dell'Alleanza, tra milioni e milioni di altre casse ammucchiate di cui si intuiva il misterioso e inestimabile valore.
Ho la sensazione che questi capannoni immensi esistano davvero, in ogni Nazione del mondo. Segretissimi, sotterranei, a perdita d'occhio nel sottosuolo di intere regioni. Un pugno di ottusi impiegati gestisce il magazzino, stiva, cataloga, ripone, senza minimamente preoccuparsi di cosa ci sia laggiù, a prendere polvere. Io lo so, cosa c'è.
Tutto quello che compriamo coi soldi del contribuente. Ad esempio, ci sono 24 milioni di dosi di inutile vaccino per la suina: ce ne eravamo qui già lamentati in tempi non sospetti, ancor prima che la prima cassa raggiungesse il capannone. Ci sono i semafori intelligenti, quelli che facevano le multe a caso, comprati a mucchi e poi messi fuorilegge. Ci sono centinaia di chilometri di TAV, che TAV non è. Ci sono interi arsenali militari presto obsoleti e prontamente sostituiti. Ci sono milioni di euro in attrezzature per le ONG, mai consegnate.
Adesso, gli addetti sono in fermento: stanno per arrivare centinaia di bodyscanner da aeroporto. Un tizio ha messo un candelotto nelle mutande, e a noi tocca spendere miliardi per i bodyscanner. Che, come dice il contadino, non verranno installati però sui tram, nelle stazioni, nei supermercati, nelle banche: come ben sappiamo noi che abbiamo vissuto il vero terrorismo, chi mette le bombe in quei posti garantito non ci va.
Insomma, dopo aver sovvenzionato l'industria farmaceutica nel 2009, nel 2010 tocca all'industria della security. Si fa un po' per uno. In preda ad un attacco di complottismo, ho cercato chi godrà del fiume di miliardi: ebbene, mi spiace deludervi, ma non c'è un parente di Cheney a tenere le fila del business globale, non stavolta. Ogni Paese ha i suoi amichetti da foraggiare. Le aziende che fanno bodyscanner con detection di esplosivi (una conquista tecnologica degli ultimi anni, cercavano di piazzarli da tempo insomma), si trovano quasi in ognuno dei Paesi più avanzati. Una fettina di torta per ciascuno, per stimolare l'industria locale o quella del Paese amico.
Non crediate: anche questo è un prodotto della crisi. Si fa un po' di new deal, ci si tiene a galla coi soldi dello Stato, ma a differenza dei tempi di Roosevelt nessuno ha il fegato di dirlo apertamente. Sia mai, che si ammetta che il mercato libero è una buffonata che non sta più in piedi. Meglio puntellare l'economia coi quattrini di Pantalone, facendolo però di nascosto. Tanto, ci sono sempre quegli enormi capannoni dove stivare le robe inutili che siamo costretti a comprare.
http://crisis.blogosfere.it/2010/01/bodyscanner-e-vaccini.html
Terroristi in giacca e cravatta
Sarà una coincidenza, ma un sacco di organizzazioni internazionali hanno deciso da tempo di cambiare strategia a Risiko e hanno scelto di puntare molto, forse troppo, sulla paura. Un giochino pericoloso nel quale vincono i più cattivi e non i più bravi.
Che fine ha fatto l’influenza suina destinata a decimare la razza umana nel breve volgere di una stagione? E, prima della maiala, l’aviaria e la mucca pazza? Se ne ricorda qualcuno? Il pianeta, dopo Copenaghen, sta meglio o peggio di prima? Il flop del vertice verde ci ha condannato a perire inceneriti dal surriscaldamento globale? Quando scade il termine per cambiare il destino del pianeta? Sono solo alcune delle domande che sarebbe il caso di fare alla prima assemblea utile delle Nazioni Unite, magari accompagnandole dalla richiesta di chiarimenti perché si continua imperterriti a lanciare allarmi ovunque nel mondo, ma le prospettive millenaristiche paventate da questi signori continuano ad assomigliare alla nota favoletta di Pierino e il Lupo. Eppure non demordono. Perché?
MONDO MALATO – Tra le più attive agenzie speciali dell’ONU è l’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO). Da anni promette al mondo l’avvento della grande peste che distruggerà la razza umana e da sempre non riesce a darci soddisfazione. Ci hanno provato coi piccioni, le quaglie, i polli, le vacche e anche coi maiali: niente di niente. Le febbri animali si contentano di qualche migliaio di vittime raccattate qua e là e poi svaniscono senza lasciare tracce. Anzi, a dire la verità qualche traccia la lasciano regolarmente nei bilanci pubblici dei paesi coglioni che subiscono senza dire bao la pressione psicologica di questa combriccola di incompetenti e si precipitano a comprare decine di milioni di dosi di vaccini inutili. E nessuno che abbia il coraggio di presentarsi con la faccia cattiva a chiedere conto. Per esempio, all’ignoto estensore di questa farneticante nota apparsa sul sito ufficiale della WHO il 22 dicembre scorso. Secondo questo genio incompreso, il numero di morti imputabili alla pandemia H1N1 è largamente sottostimato quando messo in rapporto con quelli imputabili alle influenze stagionali perché i primi sono decessi ufficiali e i secondi sono dati stimati. In più, lo si scrive apertamente, parecchi medici non sarebbero capaci di individuare correttamente le cause dei decessi per cui molti dei morti per cause diverse sarebbero comunque da assegnare all’influenza suina. Una tesi scientificamente bizzarra che farebbe sorridere un maestro delle elementari: fa un po’ furbetto che mette il risultato giusto dopo lo svolgimento sbagliato dell’espressione. Intanto, però, è partita la svendita in attesa di vedere cosa si prepari per la stagione che arriva.
CHE CALDO! – Perse nell’organigramma dell’ONU ci sono altre due entità che dovrebbero fornire spiegazioni. L’UNEP (United Nations Environmental Programme) e la WMO (World Meteorological Organization) sono il padre e la madre dell’IPCC, recentemente spazzato dalla bufera dei dati truccati sui cambiamenti climatici. A Copenaghen non risulta se ne sia discusso, eppure da dire ce ne sarebbe stato parecchio. Intendiamoci: nessuno si sognerebbe mai di sostenere che una delle possibili vie di sviluppo – la cosiddetta Linea Verde – sia da escludersi a priori, ma un conto è valutare una possibilità, un altro è voler forzare la mano usando la minaccia dell’imminente fine del mondo. A maggior ragione se si brandisce una pistola che, giorno dopo giorno, comincia ad assomigliare sempre di più ad un gingillo giocattolo. Non c’è da stupirsi se alle invocazioni d’aiuto e alla richiesta di fondi – sempre più frequenti e sempre più ingenti – si sentano rispondere dagli interessati che magari richiamano loro. Certo, alla fine qualcosa otterranno perché l’opinione pubblica resta comunque sensibile alle versioni ufficiali. Il punto è capire fino a quando può reggere e cosa succederà quando l’incantesimo si rompe.
NON DITEMI CHE … – Ai più non sarà sfuggita la similitudine di approccio su due temi che più delicati non si può. E non sarà sfuggito il fatto che si tratta di due settori in cui la competenza media, o la capacità media di verifica e di controllo, dell’opinione pubblica è molto scarsa, né potrebbe essere altrimenti. E sarà un caso se i cervelloni che sono alla guida delle rispettive organizzazioni sembrano essersi ispirati, nel recitare la loro parte, al Ministro della Paura di Albanese. Tuttavia, siccome il mondo è pieno di malfidati, viene il sospetto che ci sia pure una ragione che deve aver convinto costoro a lasciare la strada maestra della persuasione per prendere la scorciatoia del terrorismo mediatico. In fondo, non potendo discutere nel merito dell’attendibilità scientifica che supporta gli allarmi continui, si può sempre seguire l’esempio di Pollicino per cercare di capire se gli indizi briciola portino da qualche parte. Magari ad un meeting virtuale con il testo di Evamaria Weisser (Financing the United Nations) dalla cui lettura si ricavano informazioni interessanti. Ad esempio, che i contributi “obbligatori” versati dai paesi membri sono infinitamente inferiori a quelli cosiddetti “volontari” destinati a finanziare le agenzie speciali e i vari programmi dell’ONU. Il che porta dritti al problema di come sollecitare la generosità “spontanea” dei donatori e di come convincerli a mettere le mani nel portafoglio. Esclusa la possibilità di una trattativa politica (molti degli stati membri, USA inclusi) non pagano i contributi obbligatori per ripicca, resta come unica alternativa la capacità di spezzare i cuori dei rispettivi elettorati per mettere pressione ai governi di turno. E i risultati parlano chiaro: i soldi spontaneamente giunti nel 2007 (circa 17 miliardi di dollari) sono 4 volte di più del budget ordinario. Poi dicono che la gente è cattiva.
INDOTTO E LIETO FINE – Quindi tutti felici e contenti? Per adesso sembra che spaventare la gente funzioni e che i partners privilegiati di queste organizzazioni godano di ottima salute economico finanziaria. Così, per dare due cifre, la sola influenza H1N1 del 2009 ha generato un business da 20 miliardi di dollari per le case farmaceutiche che tanto si sono prodigate per trovare il magico rimedio alla fine dell’umanità. Un prezzo neanche troppo salato, visto il nobile fine. L’IPCC, invece, può vantarsi di aver contribuito a creare un intero settore economico e di aver contribuito non poco all’affermazione della “Green Economy”. In gran parte a carico del contribuente, ma chissenefrega. Il problema è che non si può sperare di tenere in stato di allerta permanente tutti quanti per cui capiterà, prima o poi, che gli elettorati cominceranno a stufarsi di girare sempre col fucile e con l’elmetto. Vuoi perché ci sarà qualcuno che riesce a rompere il muro di gomma del quale si sono circondati gli autorevoli comitati scientifici, vuoi per pura e banale stanchezza, la tecnica del terrore è destinata a perdere di efficacia. E allora? E allora, niente. Chi ha campato per anni usando questi sistemi penserà che è solo questione di trovare uno spot più efficace e, probabilmente, sarà anche così. A meno che, nel frattempo, non debba trovarsi a riconoscere di aver fatto cassa con la credibilità dell’Istituzione che rappresenta. E speriamo che la maiala buona, quella destinata a far male sul serio, arrivi in tempo. Altrimenti, tocca sperare di essere già morti tutti di caldo.
http://www.giornalettismo.com/archives/46221/terroristi-giacca-cravatta/
Obama sorprende tutti e diventa "indossatore"
Dopo il no di Bernanke a Taylor, un cero a sant’Ambrose e al suo pessimismo
Capisco che a inizio anno potrebbe essere considerato menagramo. Ma io continuo a non essere molto ottimista, sul decorso della crisi mondiale. Capisco che i governi debbano impegnarsi nel convincere le opinioni pubbliche che ormai si tratta solo di tirare il fiato e andare avanti, perché la grande rete di sicurezza ha funzionato e non si può che migliorare, senza troppi patemi. Ma la lettura dell’intervento pronunciato da Ben Bernanke al meeting annuale dell’American Economic Association mi ha gettato nello scoramento. Per fortuna invece Ambrose Evans-Pritchard mi ha tirato su il morale, con il suo sarcasmo che in realtà dipinge uno scenario da film horror. Bernanke prova a demolire dalle fondamenta proprio la critica che su questo blog ha costituito il refrain dell’intero 2009, a proposito degli errori di politica monetaria americana di cui la crisi finanziaria è stata figlia. L’intero paper infatti è una risposta alle severe critiche portate da John Taylor allo stance di politica monetaria seguita da Alan Greenspan negli anni Duemila. Immagino molti di voi abbiano letto Getting Off Track di Taylor, che al Bruno Leoni abbiamo tradotto in italiano col titolo Fuori Strada. A me pare che le argomentazioni di Bernanke siano non condivisibili in punta di teoria, e molto preoccupanti per le conseguenze implicite. Vediamo di chiarire. Bernanke parte dalla legge di Taylor (la ritrovate qui alla slide 2), e ripercorre la distanza tra i bassi tassi praticati dalla Fed e quelli indicati dalla cautela (fino a 400 punti base più bassi a fine 2004, oltre 600 punti base più bassi a inizio 2008, nella slide 3). Dopodiché Bernanke sostiene che in realtà la norma di Taylor è sbagliata per almeno tre ragioni: la prima è che incorpora valutazioni di inflazione al momento reale, la seconda è che dovrebbe incorporare valutazioni di inflazione perduranti e non contingenti, la terza è che anzi dovrebbe incorporare poi solo previsioni di inflazione, e non andamenti reali. Per il presidente della FED, in altre parole, l’inflazione da fronteggiare con i tassi d’interesse e foriera di destabilizzazione non è affatto quella, per esempio, dovuta allo schizzare verso l’alto delle commodities come quando il barile toccò i 147 dollari, perché al contrario è il regolatore monetario che deve distinguere l’inflazione a carattere strutturale da quella dovuta a fiammate contingenti e speculative; e anzi la cosa migliore, visto che il regolatore lavora avendo davanti a sé una finestra temporale della quale bisogna tener conto per gli effetti che lo stance di politica monetaria eserciterà poi sull’economia reale, è quella che la FED non lavori neppure incorporando nei suoi modelli econometrici l’inflazione long-lasting, bensì solo le previsioni per il futuro sull’andamento dei prezzi. Così corretta la legge di Taylor, come si vede nella slide 4, Bernanke crede di aver dimostrato che la forbice tra i tassi concretamente seguiti dalla FED e quelli più prudenti indicati da Taylor si riduce considerevolissimevolmente. Fino al punto tale da far perdere consistenza alla critica monetarista. Ma così argomentando non è che si corregge la legge di Taylor. Semplicemente, la si disconosce riducendola a tutt’altra cosa rispetto a quella che è e vuole essere: un’indicazione alla cautela nei tassi rispetto all’andamento che lega inflazione e differenza tra output potenziale e reale. Al suo posto, Bernanke afferma invece un’assoluta discrezionalità della FED. È dunque la più completa difesa del passato greenspaniano prodotta da Bernanke sin dall’inizio della crisi, finanziaria prima e reale poi. Capisco che Helicopter Ben abbia atteso che venisse la conferma da parte del Congresso al secondo mandato, prima di esporla in termini tanto espliciti. È la conferma che viviamo in tempi che pensano la crisi passerà semplicemente mettendone sotto il tappeto la polvere dei cocci prodotti. Da tale premessa, poi, Bernanke nella seconda parte del paper passa a una difesa ancor più estrema. I tassi non sono stati spericolati, ed essi non hanno avuto alcuna responsabilità nell’alimentare la bolla immobiliare. Essa è stata solo figlia della finanza sintetica intervenuta sempre più massicciamente nel settore dei mortgages, afferma il presidente della FED. Dunque il problema è di regolazione di quegli strumenti di finanza sintetica, non di eccesso di liquidità al sistema grazi al quale quegli strumenti hanno avuto modo di prosperare. Per dimostrarlo, alla slide 9, Bernanke raffigura il rapporto tra politica dei tassi e incremento di valore immobiliare in molti Paesi, in un grafico che assolve ictu oculi la FED da ogni colpa. Ma è una maniera di procedere del tutto inaccettabile: perché i tassi americani – cioè sulla valuta di riferimento mondiale – esprimevano quella liquidità oceanica nella quale il mercato leader degli impieghi finanziari annegava ogni rischio di emittente, controparte e prenditore per la finanza sintetica che veniva rimbalzata in tutto il mondo, e così facendo garantiva la redditività a doppia cifra e gli utili crescenti dell’intermediazione finanziaria USA che attiravano il flusso di capitali dal Far East necessario a pareggiare l’altrimenti insostenibile crescente sbilancio commerciale e delle partite correnti americane. Mettere sullo stesso piano il dollaro e valute di Paesi diversi, quando il dollaro ha la funzione mondiale che ha, falsa ogni paragone tra relazioni dei tassi e degli asset – immobiliari e mobiliari – che non sia corretto per quella funzione esercitata. Che cosa implica, questa totale assoluzione della FED? Almeno due cose. La prima è che il regolatore monetario USA continuerà a restare indifferente a eventuali effetti inflazionistici del suo attuale tasso zero. La seconda è che scommette su un andamento di cambio del dollaro totalmente legato alle notizie congiunturali che vengono dall’economia reale USA, scommettendo cioè che il debito pubblico massiccio americano in via di tumultuoso accumulo non lo porti sempre più giù, verso quota 2 dollari per euro (ricordo a tutti che la cosa arrecherebbe ulteriori vantaggi competitivi allo yuan-renminmbi). Capisco che queste due conclusioni piacciano molto a Paul Krugman, che anzi critica Bernanke perché avrebbe dovuto, a suo modo di vedere, aggiungere richieste di deficit e debito pubblico ulteriori. Ma a me le parole di Bernanke sembrano solo la fedeltà a vecchi e spaventevoli errori. Dai quali credo si accrediti ulteriormente la versione iperpessimistica di Evans-Pritchard. La contrazione di M3 e degli impieghi alle imprese nell’Eurozona ha toccato il record negativo da che i dati si raccolgono, negli anni 70, I Paesi in surplus commerciale o finanziario - Germania, Cina, Giappone, India, Emirati – non hanno potuto o voluto compensare il drastico calo della domanda verificatosi negli Usa, Eurozona ed Europa. Lo squilibrio Est-Ovest del mondo non è meno grave di un anno e mezzo fa. I debiti delle famiglie dei paesi avanzati sono ancora due quinti del GDP mondiale e i debiti pubblici salgono a ritmi forsennati, trasferendo sul Tesoro sovrano i rischi di patrimonio privati. L’instabilità comporta rischi imprevisti, vedi il no dell’Islanda oggi al 5,5 bn $ di rimborso ai depositanti britannici e olandesi della fallita Icegate. Non abbiamo ancora toccato il fondo. No. Io almeno la penso così.
BERNASCONI
L'entusiasmo per i giocattoli nuovi dura poco. Dopo un'intensa attività é già arrivato il momento per una dormitina. Dopo il balzo di lunedì, ieri le borse si sono fermate ed hanno consolidato. Lo slancio verso l'alto sembra già esaurirsi. Oggi, festa dell'Epifania, limitiamo il nostro commento ad un breve aggiornamento. I mercati azionari non forniscono nuovi elementi di analisi. Ieri le borse si sono mosse poco. L'Eurostoxx50, dopo iniziali prese di beneficio, ha recuperato chiudendo a 3012.36 punti (-0.18%). L'S&P500 ha fatto meglio salendo ancora di un +0.31% a 1136.52 punti. L'indice si trova così a 4 punti dal limite inferiore del nostro obiettivo a 1140-1150 punti. I nuovi massimi a 20 giorni hanno raggiunto i 2169, un buon numero ma inferiore ai 3000 che normalmente indicano lo svilupparsi di una nuova sostenibile gamba di rialzo. Di conseguenza manteniamo invariate le nostre previsioni a medio termine. Al fine di questa settimana e su livelli leggermente superiori a quelli attuali il rialzo causato dall' "effetto gennaio" dovrebbe esaurirsi e trasformarsi in un movimento laterale a continuazione della fase distributiva. Fine del rialzo non significa però ancora inizio del ribasso! L'USD Index é salito a 77.62 (+0.12%), il cambio EUR/USD é a 1.43, l'oro si é fissato a 1120 USD/oncia. Anche tra divise e materie prime i movimenti sono stati minimi. Notiamo che ormai il petrolio si é installato sopra gli 80 USD al barile (82 USD). Senza parlare di inflazione il pieno di benzina in Europa rischia di diventare caro.
Ieri a Dubai, emirato arabo in piena crisi finanziaria, é stato inaugurato il più alto immobile del mondo. La Burj Dubai Tower supera gli 800 metri e dimostra che é possibile stabilire record anche su una marea di debiti. Ieri i mercati azionari sono balzati su nuovi massimi validi per le ultime 52 settimane. Malgrado che la recessione non sia ancora superata basta abbastanza liquidità per spingere le borse su nuovi livelli record. La domanda é se tutto questo é realistico e sostenibile...
Ieri l' "effetto gennaio" si é fatto sentire con tutta la sua forza spingendo le borse verso l'alto e su nuovi massimi. L'Eurostoxx50 ha chiuso a 3017 punti (+1.74%) nettamente sopra il nostro obiettivo a 3000 punti. Il rialzo é proseguito in America e l'S&P500 ha terminato la seduta a 1133 punti (+1.60%). I parametri tecnici confermano la rottura al rialzo e la solidità del movimento - il rapporto advances/declines mostra un forte 5:1, i nuovi massimi a 20 giorni salgono a 2134 e la volatilità VIX scende a 20.38. Solo i volumi restano magri (NYSE 1014 Mio.). La nostra opinione é da settimane invariata: "Per ora il rialzo é destinato a continuare al piccolo trotto - non aspettatevi troppo e prevedete con l'inizio dell'anno prossimo concreti problemi." e gli obiettivi restano quelli formulati il lunedì 14 dicembre: "A questo punto continuiamo a favorire l'aspetto stagionale e prevedere una continuazione del lieve trend rialzista. (...). Le nostre aspettative verso l'alto sono limitate. Il nostro obiettivo si situa a 1140-1150 punti di S&P500 per la prima settimana di gennaio 2010. Questo corrisponde a circa 3000 punti sull'Eurostoxx50. A medio termine abbiamo l'impressione che gli indici azionari stiano distribuendo e quindi, al termine di questa fase rialzista, una consistente correzione é possibile. Vedremo se nelle prossime due settimane appare quella debolezza strutturale, che al momento manca, necessaria ad innescare un ribasso." Pensiamo che il rialzo dovrebbe esaurirsi verso la fine di questa settimana e non vediamo molto potenziale verso l'alto dai livelli attuali - teoricamente solo ancora un +1%.
Il dollaro americano ha perso terreno. L'USD Index é sceso a 77.53 punti mentre il cambio EUR/USD stamattina é salito a 1.4440. Il dollaro americano sta tendenzialmente rafforzandosi e questa prima gamba di rialzo dovrebbe permettere all'USD Index di salire fino a 80 punti (rispettivamente 1.38/1.40 per EUR/USD). L'oro é stamattina a 1123 USD/l'oncia - la correzione in atto ha il potenziale di far ridiscendere il valore del metallo giallo sotto i 1000 USD. Il trend a lugo termine ö però rialzista ed i 1000 USD potrebbero costituire un'interessante livello d'acquisto. Non sembra che la forza del dollaro americano abbia un'influsso diretto sulle borse. Il rialzo della moneta americano prosegue però di pari passo con l'aumento dei tassi d'interesse sulla obbligazioni. Questo trend dovrebbe presto o tardi causare un collasso delle borse. Non abbiamo ancora segnali tecnici in questo senso ma seguiamo da vicino gli sviluppi della situazione.
Passiamo ora ad esaminare la situazione (charts a sei mesi) sui singoli mercati.
L'S&P500 (+1.60% a 1133 punti) é balzato ad un nuovo massimo confermando la nostra impressione che il calo di fine 2009 sotto i 1120 punti era solo un'incidente di percorso. Il nostro obiettivo di metà dicembre dovrebbe essere raggiunto questa settimana: "A questo punto abbiamo l'impressione che nelle prossime settimane un nuovo massimo marginale é possibile (1140-1150 punti)..." Vi ricordiamo però quanto scritto il 28 dicembre: "A medio termine la situazione é più complessa e la difficoltà riscontrata dall'indice a superare i 1120 punti indica distribuzione."
Il Nasdaq100 (+1.42% a 1886 punti) é salito come il resto del mercato. Il trend rialzista é ancora valido e solo una rottura del supporto a 1820 punti potrebbe metterlo a rischio. Il nostro obittivo é invariato: "Se l'indice riesce ad accelerare al rialzo sembra tecnicamente aver spazio fino ai 1950 punti."
L'Eurostoxx50 (+1.74% a 3017 punti) ha superato di slancio i 3000 punti raggiungendo un nuovo massimo. Ricordiamo quanto scritto ieri: "Difficile dire qualcosa di negativo su un'indice che termina l'anno a ridosso del massimo annuale e con una performance del +21%. Il trend rialzista é ancora valido e sullo slancio é probabile che questa prima settimana dell'anno sia positiva." A prima vista non vediamo forti resistenze fino ai 3090 punti ma dubitiamo fortemente che questi livelli possano essere prossimamente raggiunti.
Il DAX (+1.53% a 6048 punti) é risalito con decisione sopra i 6000 punti. La nostra valutazione di inizio settimana sembra corretta: "Malgrado che il nostro obiettivo a 6000 punti é stato raggiunto, l'indice resta in un trend rialzista e potrebbe almeno in questa settimana comportarsi bene. Il potenziale di rialzo sembra però limitato. Supporto é sui 5850 punti." Prossima forte resistenza é a 6150 punti.
L'SMI (+1.31% a 6631 punti) si é rafforzato come il resto dell'Europa. Fino a quando l'indice resta sopra il supporto a 6500 punti il rialzo é intatto e conoscete gli obiettivi teorici: "La prossima fascia di resistenza si trova solo a 6850-6890 (50% Fibonacci) punti."
Scenario 2010 Per i prossimi mesi prevediamo una sostanziale correzione delle borse dopo il rally di marzo - dicembre 2009. Probabilmento l'S&P500 toccherà nel corso di quest'anno un minimo tra i 740 ed i 820 punti. La performance annuale dovrebbe essere negativa e l'S&P500 dovrebbe terminare il 2010 intorno ai 900 punti. Gli analisti fondamentali stanno continuamente rivedendo le stime degli utili delle società. Ad un certo momento erano scesi fin sotto i 30 USD. Ora che la recessione sembra alle nostre spalle, le stime ufficiali per il 2009 (al 3 novembre 2009) sono risalite a 56.22 USD. Quelle per il 2010 sono addirittura al'incredibile livello di 74.99 USD. Capitalizzando gli utili 2009 con un P/E normale di 15/16 si arriva ad un valore teorico dell'S&P500 di 900 punti. In questi dati é però scontato un recupero marcato dell'economia ed un forte aumento degli utili delle imprese. Ricordiamoci che gli utili operativi 2008 delle società dell'S&P500 sono stati di 15.09 USD. Debitiamo inoltre che i dati relativi al 2010 siano realistici. Di conseguenze stimare ora correttamente gli utili delle società e determinare un giusto rapporto P/E per capitalizzare questo valore é un'impresa ardua. Troppe sono le variabili e le incognite. Se gli utili risalissero solo a 50 USD e la ripresa fosse anemica (come ritiene una buona parte degli economisti), un P/E di 12 sarebbe più adeguato portando il valore teorico dell'S&P500 a 600 USD. Riassumendo, tecnicamente e fondamentalmente i 1115 punti di S&P500 raggiunti a fine 2009 corrispondono secondo noi ad una sopravalutazione del mercato. La prossima dovuta sostanziale correzione ci dirà a quale punto si trova la congiuntura mondiale.
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