Dopo il no di Bernanke a Taylor, un cero a sant’Ambrose e al suo pessimismo

Capisco che a inizio anno potrebbe essere considerato menagramo. Ma io continuo a non essere molto ottimista, sul decorso della crisi mondiale. Capisco che i governi debbano impegnarsi nel convincere le opinioni pubbliche che ormai si tratta solo di tirare il fiato e andare avanti, perché la grande rete di sicurezza ha funzionato e non si può che migliorare, senza troppi patemi. Ma la lettura dell’intervento pronunciato da Ben Bernanke al meeting annuale dell’American Economic Association mi ha gettato nello scoramento. Per fortuna invece Ambrose Evans-Pritchard mi ha tirato su il morale, con il suo sarcasmo che in realtà dipinge uno scenario da film horror. Bernanke prova a demolire dalle fondamenta proprio la critica che su questo blog ha costituito il refrain dell’intero 2009, a proposito degli errori di politica monetaria americana di cui la crisi finanziaria è stata figlia. L’intero paper infatti è una risposta alle severe critiche portate da John Taylor allo stance di politica monetaria seguita da Alan Greenspan negli anni Duemila. Immagino molti di voi abbiano letto Getting Off Track di Taylor, che al Bruno Leoni abbiamo tradotto in italiano col titolo Fuori Strada. A me pare che le argomentazioni di Bernanke siano non condivisibili in punta di teoria, e molto preoccupanti per le conseguenze implicite. Vediamo di chiarire. Bernanke parte dalla legge di Taylor (la ritrovate qui alla slide 2), e ripercorre la distanza tra i bassi tassi praticati dalla Fed e quelli indicati dalla cautela (fino a 400 punti base più bassi a fine 2004, oltre 600 punti base più bassi a inizio 2008, nella slide 3). Dopodiché Bernanke sostiene che in realtà la norma di Taylor è sbagliata per almeno tre ragioni: la prima è che incorpora valutazioni di inflazione al momento reale, la seconda è che dovrebbe incorporare valutazioni di inflazione perduranti e non contingenti, la terza è che anzi dovrebbe incorporare poi solo previsioni di inflazione, e non andamenti reali. Per il presidente della FED, in altre parole, l’inflazione da fronteggiare con i tassi d’interesse e foriera di destabilizzazione non è affatto quella, per esempio, dovuta allo schizzare verso l’alto delle commodities come quando il barile toccò i 147 dollari, perché al contrario è il regolatore monetario che deve distinguere l’inflazione a carattere strutturale da quella dovuta a fiammate contingenti e speculative; e anzi la cosa migliore, visto che il regolatore lavora avendo davanti a sé una finestra temporale della quale bisogna tener conto per gli effetti che lo stance di politica monetaria eserciterà poi sull’economia reale, è quella che la FED non lavori neppure incorporando nei suoi modelli econometrici l’inflazione long-lasting, bensì solo le previsioni per il futuro sull’andamento dei prezzi. Così corretta la legge di Taylor, come si vede nella slide 4, Bernanke crede di aver dimostrato che la forbice tra i tassi concretamente seguiti dalla FED e quelli più prudenti indicati da Taylor si riduce considerevolissimevolmente. Fino al punto tale da far perdere consistenza alla critica monetarista. Ma così argomentando non è che si corregge la legge di Taylor. Semplicemente, la si disconosce riducendola a tutt’altra cosa rispetto a quella che è e vuole essere: un’indicazione alla cautela nei tassi rispetto all’andamento che lega inflazione e differenza tra output potenziale e reale. Al suo posto, Bernanke afferma invece un’assoluta discrezionalità della FED. È dunque la più completa difesa del passato greenspaniano prodotta da Bernanke sin dall’inizio della crisi, finanziaria prima e reale poi. Capisco che Helicopter Ben abbia atteso che venisse la conferma da parte del Congresso al secondo mandato, prima di esporla in termini tanto espliciti. È la conferma che viviamo in tempi che pensano la crisi passerà semplicemente mettendone sotto il tappeto la polvere dei cocci prodotti. Da tale premessa, poi, Bernanke nella seconda parte del paper passa a una difesa ancor più estrema. I tassi non sono stati spericolati, ed essi non hanno avuto alcuna responsabilità nell’alimentare la bolla immobiliare. Essa è stata solo figlia della finanza sintetica intervenuta sempre più massicciamente nel settore dei mortgages, afferma il presidente della FED. Dunque il problema è di regolazione di quegli strumenti di finanza sintetica, non di eccesso di liquidità al sistema grazi al quale quegli strumenti hanno avuto modo di prosperare. Per dimostrarlo, alla slide 9, Bernanke raffigura il rapporto tra politica dei tassi e incremento di valore immobiliare in molti Paesi, in un grafico che assolve ictu oculi la FED da ogni colpa. Ma è una maniera di procedere del tutto inaccettabile: perché i tassi americani – cioè sulla valuta di riferimento mondiale – esprimevano quella liquidità oceanica nella quale il mercato leader degli impieghi finanziari annegava ogni rischio di emittente, controparte e prenditore per la finanza sintetica che veniva rimbalzata in tutto il mondo, e così facendo garantiva la redditività a doppia cifra e gli utili crescenti dell’intermediazione finanziaria USA che attiravano il flusso di capitali dal Far East necessario a pareggiare l’altrimenti insostenibile crescente sbilancio commerciale e delle partite correnti americane. Mettere sullo stesso piano il dollaro e valute di Paesi diversi, quando il dollaro ha la funzione mondiale che ha, falsa ogni paragone tra relazioni dei tassi e degli asset – immobiliari e mobiliari – che non sia corretto per quella funzione esercitata. Che cosa implica, questa totale assoluzione della FED? Almeno due cose. La prima è che il regolatore monetario USA continuerà a restare indifferente a eventuali effetti inflazionistici del suo attuale tasso zero. La seconda è che scommette su un andamento di cambio del dollaro totalmente legato alle notizie congiunturali che vengono dall’economia reale USA, scommettendo cioè che il debito pubblico massiccio americano in via di tumultuoso accumulo non lo porti sempre più giù, verso quota 2 dollari per euro (ricordo a tutti che la cosa arrecherebbe ulteriori vantaggi competitivi allo yuan-renminmbi). Capisco che queste due conclusioni piacciano molto a Paul Krugman, che anzi critica Bernanke perché avrebbe dovuto, a suo modo di vedere, aggiungere richieste di deficit e debito pubblico ulteriori. Ma a me le parole di Bernanke sembrano solo la fedeltà a vecchi e spaventevoli errori. Dai quali credo si accrediti ulteriormente la versione iperpessimistica di Evans-Pritchard. La contrazione di M3 e degli impieghi alle imprese nell’Eurozona ha toccato il record negativo da che i dati si raccolgono, negli anni 70, I Paesi in surplus commerciale o finanziario - Germania, Cina, Giappone, India, Emirati – non hanno potuto o voluto compensare il drastico calo della domanda verificatosi negli Usa, Eurozona ed Europa. Lo squilibrio Est-Ovest del mondo non è meno grave di un anno e mezzo fa. I debiti delle famiglie dei paesi avanzati sono ancora due quinti del GDP mondiale e i debiti pubblici salgono a ritmi forsennati, trasferendo sul Tesoro sovrano i rischi di patrimonio privati. L’instabilità comporta rischi imprevisti, vedi il no dell’Islanda oggi al 5,5 bn $ di rimborso ai depositanti britannici e olandesi della fallita Icegate. Non abbiamo ancora toccato il fondo. No. Io almeno la penso così.

http://www.chicago-blog.it/2010/01/05/dopo-il-no-di-bernanke-a-taylor-un-cero-a-santambrose-e-al-suo-aureo-pessimismo/

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