Per non incorre in sanzioni dall’Unione europea, il governo accetta le norme antiriciclaggio togliendo l’anonimato allo scudo fiscale. La Guardia di Finanza potrà conoscere nomi e dati fiscali di chi ha “scudato” i suoi capitali ed avviare così accertamenti e sanzioni.
Nell’ambito delle operazioni relative allo scudo fiscale, vanno applicate le disposizioni antiriciclaggio previste dal Decreto Legislativo numero 231 del 2007, norma che estende la lotta al denaro sporco anche all’emersione, voluta dall’allora ministro delle Finanze del governo di centrosinistra, Vincenzo Visco. Questo significa che in termini di adeguata verifica, di registrazione e di segnalazione di operazioni sospette, i nomi di coloro che aderiscono allo scudo fiscale, possono essere rinvenuti dalla Guardia di Finanza nella documentazione antiriciclaggio tenuta dai professionisti e dagli intermediari finanziari e, pertanto, può utilizzarli anche a fini fiscali. Questa è l’ultima interpretazione data dai “tecnici” del dipartimento del Tesoro alla normativa sull’ultimo scudo fiscale. Una novità, come si vede, molto importate. La Guardia di Finanza, d’ora in poi, può fare verifiche sia negli istituti di credito sia negli studi di commercialisti ed intermediari ed acquisire i nomi dei clienti che si sono avvalsi dello scudo. A fare breccia nell’anonimato così come previsto dallo scudo voluto dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, sono state le disposizioni in tema di antiriciclaggio di denaro “sporco”. Secondo la review del dipartimento del Tesoro, nelle operazioni relative allo scudo fiscale trovano pienamente applicazione “tutti i presidi antiriciclaggio” previsti dal Dlgs 231/2007, conseguentemente, i soggetti destinatari degli obblighi antiriciclaggio che intervengono nell’iter della procedura di rimpatrio o, come assai più probabile, di semplice regolarizzazione, “devono provvedere all’adeguata verifica della clientela; alla registrazione dei dati, all’obbligo di segnalazione di operazioni sospette”, a patto che queste siano comunque motivate da particolari attività d’indagine. Ne deriva che tutti i professionisti a cui si sono rivolti i clienti che intendevano “scudare” i loro capitali, precedentemente “esportati” illegalmente all’estero, possono far conoscere alle autorità competenti, i nomi e tutti gli altri dati sensibili dei loro assistiti. Peraltro, la stessa normativa antiriciclaggio prevede la possibilità per la GdF di effettuare controlli presso coloro che sono tenuti a tali adempimenti, per verificarne la piena osservanza e l’esplicita possibilità di utilizzo a fini fiscali dei dati e delle informazioni registrate. La procedura può essere avviata sia autonomamente dalle “Fiamme Gialle”, sia su mandato dell’autorità giudiziaria.
COSA È SUCCESSO? – Come mai ad una settimana dal termine della procedura di adesione allo scudo fiscale (che scade, è bene ricordarlo, il prossimo 15 dicembre) è avvenuta questa sorta di rivoluzione copernicana? Una possibile risposta, a nostro avviso, può essere la seguente. La “precedente” versione dello scudo, con tanto di anonimato totale, era rischio bocciatura da parte dell’Unione Europea, poiché palesemente in contrasto con la direttiva antiriciclaggio comunitaria. Sul portale d’informazione economica lavoce.info l’avvocato Giuseppe Scassellati Sforzolini, partner dello studio Cleary-Gottlieb, ha sostenuto che: “Lo Stato italiano può essere citato dalla Commissione europea davanti alla Corte di giustizia perché questa constati la violazione ai sensi dell’articolo 226 del Trattato“. In alternativa, “non solo qualsiasi giudice, ma anche qualsiasi autorità pubblica, è tenuta a disapplicare una norma interna, anche di rango primario, contraria a una disposizione di una direttiva, applicando in sua vece la disposizione della direttiva stessa, se sufficientemente chiara, come in questo caso“. L’emendamento inserito dal Parlamento all’articolo 13 del decreto 78/2009 prevedeva che alle operazioni di emersione fatte con lo scudo fiscale non si applica l’obbligo di segnalazione delle operazioni sospette. “Senza addentrarsi nel tema, invero complesso e controverso – sostiene l’avvocato – dell’estensione della non punibilità penale introdotta dal nuovo scudo fiscale, basti osservare che, se fosse fuor di dubbio che non si estende alle attività criminose, il Parlamento non avrebbe avvertito la necessità di sospendere completamente l’obbligo di segnalazione, contrariamente al precedente scudo fiscale del 2001 e alla versione soft approvata con il decreto 78/2009: entrambi non a caso escludevano espressamente la punibilità dei soli reati di natura fiscale“. In pratica, la normativa sinora in vigore sullo scudo violava la direttiva europea 2005/60 sull’antiriciclaggio, che vieta agli Stati membri di sospendere gli obbligo di segnalazione. Una bocciatura in ambito europeo avrebbe messo a rischio tutta l’operazione “scudo fiscale”, basti immaginare a tutta la possibile serie di ricorsi alla stessa Alta Corte di Bruxelles. Nonché, per usare un termine ultimamente molto in voga, procurato al nostro paese l’ennesimo “sputtanamento” all’estero.
MA NON FINISCE QUI - Del resto alcuni europarlamentari italiani dell’Italia dei Valori, fra i quali Luigi De Magistris, e Vittorio Prodi del Partito democratico avevano presentato una denuncia formale alla Commissione contro lo scudo fiscale varato dal governo il 2 ottobre scorso. Secondo il ricorso la misura “non è né giustificabile né sostenibile”, poiché viola tre principi chiave del diritto comunitario. Nelle motivazioni si legge: “viola le norme comunitarie sull’Iva, sugli aiuti di Stato e sul riciclaggio”. Il dipartimento del Tesoro, come si è visto, è corso ai ripari, abolendo, di fatto, l’anonimato con riferimento alla normativa sull’antiriciclaggio. Restano, tuttavia,ancora i dubbi sugli altri due punti presentati nella denuncia di De Magistris&Co. In particolare: il provvedimento si scontrerebbe contro le disposizioni dell’Ue sull’Iva, concedendo, di fatto, un’amnistia fiscale sul suo pagamento. Secondo il legale esperto in questioni comunitarie Giuseppe Giacomini, al quale è stato affidato l’incarico di portare avanti l’iniziativa, “qualsiasi misura che riguardi l’Iva deve essere autorizzata dalla Commissione europea preliminarmente, dietro notifica formale, e lo scudo, che non è stato notificato, incide direttamente sull’evasione delle imposte dirette e dell’Iva”. L’avvocato ha sottolineato inoltre che il “18 settembre scorso la Corte di Cassazione italiana ha dato obbligo di esecuzione immediata a una sentenza della Corte di giustizia europea che annullava il condono fiscale dell’Iva del 2002”. In questo modo, ha spiegato Giacomini, si è “disposto l’obbligo di rimborso dell’Iva da parte di chi ha approfittato del condono, e questo vuol dire che lo stesso potrebbe accadere in caso di annullamento dello scudo”. A lungo termine si potrebbe dunque trattare di una vera e propria “trappola per evasori fiscali”. Sull’altro punto, con lo scudo fiscale si prefigura la possibilità di usare i patrimoni rimpatriati (pagando solo il 5% di imposte) per ricapitalizzare un’impresa. Il legale ha fatto un esempio: “Immaginiamo due aziende in difficoltà a causa della crisi, una che ha sempre pagato le tasse e l’altra che ha 10 milioni di euro in nero all’estero. La seconda, facendoli rientrare con lo scudo, potrebbe salvare l’azienda con nuovi investimenti”. Ciò può configurarsi come un aiuto di Stato che dovrebbe essere autorizzato dalla Commissione, dal momento che, distorcendo la concorrenza, andrebbe a svantaggio delle aziende concorrenti che non hanno mai evaso il fisco.
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