Ma cos'è davvero Goldman Sachs? (versione per stampa)

Ripropongo la serie di puntate dedicate a Goldman Sachs pubblicate nel luglio dello scorso anno, una riedizione che reputo necessaria alla luce delle recenti indagini federali su Goldman. Nella puntata di mercoledì del Diario della crisi finanziaria ho dedicato ampio spazio all’analisi dei risultati relativi al secondo trimestre della potente ma ancor più preveggente Goldman Sachs, così come ho cercato in numerose altre puntate di offrire ai miei lettori qualche informazione su questa entità che è davvero difficile inquadrare sia nel contesto delle oramai ex Investment Banks, sia nell’ampio e variegato panorama creditizio più o meno globale, anche perché, anche dopo la forzata trasformazione in holding bancaria soggetta alla vigilanza della Federal Reserve avvenuta nell’autunno dell’anno scorso, tutto si può dire meno che Goldman abbia cercato di mutare pelle trasformandosi, come qualcuno aveva molto ingenuamente previsto, di diventare un’entità più ‘normale’. Come ho ripetutamente sottolineato, la maggior parte dei ricavi e degli utili di Goldman provengono dall’attività di posizionamento su quasi tutto quanto viene trattato sui mercati regolamentati, un’operatività che spazia dai prezzi futuri delle materie prime energetiche e non, le derrate alimentari, i tassi di interesse, le valute convertibili, gli indici azionari o le singole azioni, attività che, peraltro, svolge in quasi perfetta solitudine da quando sono scomparse dalla scena Bear Stearns, Lehman Brothers e Merrill Lynch, la prima e la terza assorbite, rispettivamente, da J.P. Morgan Chase per un classico piatto di lenticchie, e da Bank of America, che, come è stato ampiamente e documentalmente dimostrato nelle aule del Congresso americano, è stata praticamente costretta da Bernspan e Paulson a pagare un prezzo stratosferico per un’entità tecnicamente più che fallita e a cui non è stato neppure consentito di fare nemmeno uno straccio di due diligence. Per quanto riguarda, invece, la scomparsa dalla scena della banca un tempo appartenente ai fratelli Lehman, il discorso sarebbe troppo lungo per essere affrontato in questa sede e mi vedo costretto a rinviare i lettori alle numerose puntate specificamente dedicate ai retroscena di quel funesto avvenimento dopo il quale nulla più è stato come prima, un avvenimento che non è mai stato spiegato in modo comprensibile e razionale dall’ex (?) investment banker Hank Paulson, numero uno indiscusso di Goldman sino a quando ritenne, a metà del 2006, opportuno assumere l’incarico di ministro del Tesoro degli Stati Uniti d’America e che, in tale veste, non si oppose in alcun modo allo ‘strangolamento’ della banca guidata da Dick Fuld a opera delle maggiori banche a stelle e strisce che le negarono l’accesso ai propri depositi presso di loro e ne determinarono quel fallimento che minacciò seriamente, nel successivo mese di ottobre del 2008, di determinare un default sistemico a livello planetario dei diversi soggetti protagonisti del mercato finanziario, un rischio talmente concreto da indurre i paesi del G20 ad assumere con inedita prontezza e determinazione misure realmente senza precedenti. Non voglio assolutamente con questo dire che Goldman Sachs sia rimasta l’unica entità a operare nel cosiddetto mercato delle scommesse, ma certamente che non deve più guardarsi le spalle da tre delle quattro concorrenti aventi l’expertise e lo standing per rendere meno certo l’esito delle sue mosse, una circostanza che è ulteriormente rafforzata dal fatto che Morgan Stanley, l’unica delle ex Big Five statunitensi sopravvissuta insieme a Goldman, sembra oramai muoversi esclusivamente sulla scia della sua maggiore concorrente, che, a sua volta, non sembra preoccuparsi troppo dell’operatività delle banche universali a vocazione più o meno globale, troppo occupate a pulire i propri bilanci e troppo timorose delle reazioni dei propri non più docili azionisti per lanciarsi in scommesse più o meno azzardate! * * * Se davvero la principale fonte di guadagni dei senior e junior partners di Goldman Sachs proviene dall’attività consistente nello scommettere sugli andamenti futuri di prezzi,indici, tassi e valute, è molto importante capire quanto le stesse abbiano le caratteristiche delle self fulfilling prophecies, cioè delle cosiddette profezie auto realizzantesi, che, a loro volta, sono rese possibili dalla forma che assume il mercato in cui si opera, dalla quantità e dal livello di informazioni di cui si dispone, dall’esperienza e preparazione delle persone direttamente impegnate, dalla qualità e dalla affidabilità del sistema informativo e operativo, nonché, the last but not the least dalle dimensioni e dal comportamento degli altri operatori. Non è un mistero per nessuno che Goldman possiede, e alla grande, delle quattro condizioni esposte di sopra, così come correlativamente gode di una tale fama da indurre i competitors, che rappresentano la quinta condizione, ad assumere, nella maggior parte dei casi, un atteggiamento cooperativo e non di contrasto, una fattispecie comportamentale particolarmente visibile nel mercato delle materie prime energetiche, con particolare riferimento a quello dove si determinano i prezzi presenti e futuri del greggio. Dopo essere stata negata se non addirittura irrisa per decenni dai paesi produttori, dalle compagnie petrolifere e dai maggiori esperti del settore, la tesi che vede una larga prevalenza della componente speculativa nella determinazione del prezzo del petrolio è ora accettata e sostenuta proprio da coloro che così ostinatamente negavano che il prezzo fosse determinato da qualcosa di diverso dalla domanda e dalla offerta di questa importante materia prima, domanda e offerta a loro volta strettamente connesse alle diverse fasi del ciclo economico, anche se sulla base di un tasso di elasticità significativamente ridottosi a causa delle modificazioni strutturali intervenute nelle economie dei paesi maggiormente industrializzati negli oltre tre decenni trascorsi dal primo shock petrolifero. Ma quanto è avvenuto tra il dicembre del 2007 e il luglio del 2008, quando, in piena tempesta perfetta e mentre il prodotto interno lordo statunitense iniziava a dare sempre più evidenti segnali di frenata, il prezzo del greggio infranse rapidamente tutti i record per poi portarsi al massimo storico di 147 dollari al barile, ha definitivamente chiarito come bastasse che tutti credessero possibile l’obiettivo dei 200 dollari entro la fine di quell’anno sostenuta dagli analisti di Goldman e rafforzata dalle previsioni miste ai desideri del numero uno della russa Gazprom per abbattere come birilli posti in fila i vari livelli un tempo giudicati inviolabili, una nuova corsa all’oro che vide in scia alle banche più o meno globali una massa sterminati di investitori più o meno istituzionali, tra i quali si distinsero anche molti fondi pensione, come il famoso Calpers, con la differenza che Goldman e le sue dirette concorrenti girarono per tempo le proprie posizioni, mentre la maggior parte degli altri investitori restarono intrappolati nella successiva discesa verticale dei prezzi del greggio innescata dalla reazione dei paesi produttori, Arabia Saudita in testa. Ma quello che è accaduto tra la seconda metà del mese di marzo e la prima metà di quello di giugno dell’anno in corso, è stato davvero ancora più clamoroso, in quanto il quasi raddoppio del prezzo del greggio è intervenuto quando erano già noti i crolli dei PIL nel primo trimestre sia la di qua che al di là dell’Oceano Atlantico e mentre si assisteva alla bruschissima frenata della crescita di Cina, India e dintorni, ma quel movimento al rialzo del prezzo del greggio era davvero indispensabile perché si potesse realizzare quella altrettanto incredibile corsa dell’orso sui mercati azionari! * * * Per avere un’idea vaga dei profitti derivanti dalle scommesse effettuate sui rialzi dei listini azionari verificatisi tra la metà di marzo e la metà di giugno dell’anno in corso, basta dare una scorsa ai grafici delle principali entità creditizie basate negli Stati Uniti d’America, a proposito dei quali mi limito a citare il passaggio dai 97 centesimi ai poco meno di 4 dollari nel caso di Citigroup o la poco meno che sestuplicazione dell’azione di Bank of America dal minimo di 2,50 ai qualcosa di più di 14 dollari, rialzi che traevano forza proprio dal segnale anticipatore della ripresa proveniente dal mercato delle materie prime energetiche, quello stesso segnale che ha fatto straparlare dei cosiddetti germogli verdi. Comprendo pienamente l’imbarazzo dell’addetto stampa del nuovo inquilino della Casa Bianca di fronte alle domande sui successi di Goldman Sachs rivoltegli nel giorno in cui sono stati pubblicati i risultati del secondo trimestre, così come quello che avrebbe provato Obama se le stesse domanda gli fossero state fatte personalmente, in quanto buona parte di quei successi sono stati ottenuti esattamente con i metodi da lui, nonché dai suoi omologhi di Francia e Germania, fortemente censurati e da lui stesso indicati come una, se non la principale, delle cause che ci hanno condotti dritti, dritti nel meltdown finanziario ed economico attuale. Il presidente dell’organismo incaricato di vigilare sugli strumenti derivati utilizzati per determinare i prezzi attuali e futuri delle derrate agricole ha appena dati il via a una serie di audizioni per capire se è il caso di estendere quei meccanismi di controllo che inchiodarono lo scomparso Raul Gardini per la sua operatività sulla soia anche ai futures e agli altri strumenti relativi al petrolio e alle altre materie prime energetiche, un ciclo di audizioni che durerà almeno due mesi e al termine del quale forse avremo la possibilità di capire se la nuova amministrazione intende realmente spuntare le unghie alla speculazione, un’eventualità nella quale ripongo ben poche speranze, ma che credo sarà molto legata al livello di pressione proveniente dall’opinione pubblica. Non vi è dubbio che Goldman disponga di tutte le condizioni che rendono possibile operare con successo nel mercato delle scommesse, condizioni che ho sommariamente indicato nella puntata precedente, in quanto non solo dispone dei migliori specialisti e della migliore strumentazione disponibili, ma è anche dotata di sistemi, procedure e informazioni, tutti elementi sui quali vigilano i due Chief Operating Officer dei quali si è molto opportunamente dotata, ma è altrettanto certo che, oltre a queste condizioni indispensabili, Goldman Sachs dispone di un fattore di successo aggiuntivo che coincide nella rete di relazioni di alto e altissimo livello che le viene universalmente riconosciuto, una rete di relazioni forse unica al mondo e che viene coltivata con la massima attenzione e cura. Non è, peraltro, un mistero per nessuno il fatto che un grande numero di persone che si sono formate e sono cresciute professionalmente in Goldman abbiano successivamente ricoperto importanti incarichi sia nel settore pubblico che in quello privato, così come è altrettanto noto che numerosi esponenti di primo piano della politica a stelle e strisce o di quella operante nei cinque continenti siano poi stati arruolati, senza i cento colloqui riservati ai normali candidati all’assunzione, a livelli più o meno elevati della banca, alcuni con contratti prevedenti l’impegno a tempo pieno, mentre ad altri sono stati riservati più o meno dorati contratti di consulenza, un sistema che ha reso quelle di Goldman Sachs delle porte girevoli dalle quali una parte dei potenti del pianeta entra e esce abitualmente e che rende elevatissima la qualità delle informazioni. * * * La vasta e fittissima rete di relazioni intessuta negli ultimi decenni da Goldman Sachs nei cinque continenti ha raggiunto negli ultimi tempi dimensioni inedite e tali da consentirle, forse unico caso tra le pur potentissime multinazionali della finanza e dell’industria, una capacità di influenza tale da non rendere del tutto ipotetica o fantasiosa l’idea che sia finita per essere una sorta di luogo di compensazione di interessi tra di loro apparentemente contraddittori, così come si presta a essere un’istituzione molto più efficace e rapida nel suo agire di consessi quali la commissione trilaterale o il gruppo Bildberg che, al confronto, finiscono per assomigliare di più a raduni di ex alunni di scuole prestigiose ed esclusive che a quella sorta di governo planetario cui vorrebbero più o meno dichiaratamente assomigliare. Per fare qualche piccolo esempio della capacità che la banca statunitense ha di condizionare o, quanto meno, di influenzare le scelte dei governi e delle autorità monetarie in patria e altrove nel mondo, mi soffermerò brevemente sul caso italiano, sulla rete di riferimento di Goldman negli USA nei poco meno di due anni trascorsi dall’avvio della tempesta perfetta e nella davvero emblematica vicenda del salvataggio della AIG, chiarendo sin d’ora che si tratta solo di squarci, a volte casuali, di un velo molto fitto che avvolge l’operatività complessiva della banca. Per quanto riguarda l’Italia, non è un mistero l’attribuzione di una consulenza prima a Romano Prodi e poi a Gianni Letta, in entrambi i casi quando i due erano liberi da impegni di Governo, mentre ancora più emblematica è la parentesi svolta da Mario Draghi al vertice della presenza di Goldman in Europa e nel comitato esecutivo globale della banca, una parentesi che si è collocata tra la fine del suo impegno decennale come Direttore Generale del ministero del Tesoro con delega sulle privatizzazioni e che si è conclusa con la sua nomina a Governatore della Banca d’Italia e alla successiva assunzione della guida di quel Financial Stability Forum, poi allargatosi e trasformatosi in Financial Stability Group, cui è stata affidata dal G8 e dal G20 la riscrittura delle regole da applicare alla finanza globale, ma è altrettanto nota la presenza diretta o in via consulenziale di uomini Goldman sia nei governi presieduti da Prodi che in quelli guidati da Berlusconi. Per dare un’idea della presenza di Goldman nell’amministrazione USA, anche in questo caso senza differenza alcuna tra amministrazioni democratiche e repubblicane, non basterebbe un libro, per cui mi limiterò a citare il caso degli ex ministri del Tesoro Robert Rubin e Hank Paulson (nonché di tre dei quattro vice di quest’ultimo), dell’ex presidente del New York Stock Exchange e poi esecutore testamentario di Merrill Lynch, John Thain, così come non si contano gli ex uomini di vertice di Goldman passati a guidare le principali banche e compagnie di assicurazione statunitensi o alla guida delle presenze statunitensi di banche e compagnie di assicurazioni basate altrove. Mentre nulla si sa di come trascorra le sue giornate il ‘soldato’ Paulson dopo la fine del suo intensissimo impegno al vertice del dicastero del Tesoro, molto si discute sulla sua decisione di porre al vertice della di fatto nazionalizzata AIG Edward Liddy, un uomo che ha percorso quasi tutti i gradini della scala gerarchica in Goldman Sachs e che da poco si godeva una meritata pensione dopo aver guidato una compagnia di assicurazione e che non ha potuto esimersi dall’accettare la richiesta pressante di Hank in cambio di uno stipendio da un dollaro l’anno, ma che già sta meditando l’uscita dopo aver garantito in poche settimane il rimborso pressoché integrale in favore delle banche statunitensi e straniere, Goldman ovviamente in testa, che hanno ricevuto buona parte dei 180 miliardi di dollari ricevuti da quel TARP fortemente voluto dallo stesso Paulson.
http://diariodellacrisi.blogspot.com/2009/09/ma-cose-davvero-goldman-sachs-versione.html

IL PEGGIO ALLE SPALLE?

Spagna, disoccupazione oltre 20%

Ai massimi dal 1997, in primo trimestre 4,6mln senza lavoro

30 aprile, 14:29
Spagna, disoccupazione oltre 20% (ANSA) - MADRID, 30 APR - A fine marzo la disoccupazione in Spagna ha superato la soglia del 20% attestandosi al 20,05%, ai massimi dal 1997. La crisi economica e lo scoppio della bolla immobiliare hanno fatto passare la percentuale delle persone senza lavoro sulla popolazione attiva spagnola dal 9,6% di marzo 2008 al 20,05% dello scorso marzo. La Spagna chiude cosi' il primo trimestre del 2010 con 4.612.700 persone disoccupate. Quasi 1,3 milioni le famiglie con tutti i membri disoccupati. http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/topnews/2010/04/30/visualizza_new.html_1787475653

Le Carte degli Illuminati

Si parla spesso in rete di un particolare gioco di carte, chiamato “Illuminati Card Game”, che appartiene ad una vasta serie di giochi basati sulle diverse teorie che riguardano gli Illuminati, i poteri occulti e il cosiddetto Nuovo Ordine Mondiale. (*) Ciò che rende questo gioco interessante è la presenza di molte carte che descrivono con anticipo (“Illuminati Card Game” è del 1994) eventi di portata mondiale che sono poi realmente accaduti. Fra questi spiccano soprattutto la distruzione del Pentagono e delle Torri Gemelle, la cui rappresentazione grafica sembra addirittura ricalcata da una fotografia del fatto reale, avvenuto nel 2001. Altre sorprendenti “coincidenze“ sono, ad esempio, la pandemia con tanto di “quarantena", la “manipolazione dei mercati finanziari”, oppure “l’esplosione del vulcano”, che ci ricordano da vicino eventi accaduti di recente.

Ci sono poi immagini più generiche, come la “riduzione della popolazione“, o la “riscrittura della storia“, che corrispondono sicuramente ai sogni più o meno nascosti degli Illuminati del “Nuovo Ordine Mondiale”. Il fatto che questo set di carte sia stato effettivamente pubblicato nel ’94 sembra fuori discussione, in quanto il gioco è talmente diffuso che se certe carte non comparissero nel mazzo originale, ma fossero state aggiunte dopo, qualcuno lo avrebbe sicuramente denunciato. Siamo quindi di fronte ad un curioso minestrone di progetti attribuiti al “Nuovo Ordine Mondiale” - alcuni specifici, altri generici, alcuni realizzati e altri no - che di certo non può essere spiegato con una semplice serie di coincidenze. Fra le varie possibilità, la spiegazione più probabile è che il creatore del gioco, Steve Jackson, abbia ricevuto informazioni riservate da qualcuno che era a conoscenza diretta dei progetti che circolavano nell’ambito del “Nuovo Ordine Mondiale”. E’ possibile che Jackson sia stato usato come “altoparlante inconsapevole“, a cui vengono passate informazioni da diffondere, in modo apparentemente triviale, con l’intento di rafforzare la pubblica percezione del potere degli Illuminati. Oppure potrebbe appartenere lui stesso al NWO, oppure ancora può essere una persona che cerca solo di sfruttare commercialmente certe informazioni di cui in qualche modo è venuto in possesso. In fondo, la Steve Jackson Games dichiara un reddito lordo annuo superiore ai 2 milioni e mezzo di dollari. Il caso di Jackson ricorda da vicino quello di certi libri “fortunati”, come ad esempio “Il Candidato Manciuriano”, che hanno saputo descrivere in anticipo vicende che si sono poi realizzate nella realtà. Vi sono anche autori dotati di intuito particolare, che percepiscono in anticipo certe onde di “sentire collettivo”, come ad esempio “Il Nome della Rosa”, oppure il “Codice da Vinci”, sfruttando al meglio il nascente interesse popolare per certi argomenti “occulti” - o comunque occultati. In certi casi diventa addirittura difficile capire quanta informazione originale esista fra le righe di un libro, e quanta invece sia il riflesso di quel sentire collettivo, introdotto - consciamente o inconsciamente – dallo stesso autore nelle sue pagine. In realtà, a ben guardare, le carte degli Illuminati non rappresentano nulla di stupefacente, se non l’eventuale conferma che ciò che accade nel mondo sia spesso il risultato di una precisa volontà di un ristretto gruppo di persone. Il primo attentato al World Trade Center risale al 1993, indicando che un progetto di un attentato con esplosivi alle Torri Gemelle dovesse essere in circolazione almeno da quella data (che precede l’uscita del gioco di carte). Vi è anche una possibilità più remota, più difficile però da sostentare in modo analitico: che l’autore non riceva affatto informazioni esterne, ma che sia dotato di particolari “poteri di preveggenza“, che gli permetterebbero di visualizzare in anticipo eventi che poi accadono nella realtà. A sua volta, si potrebbe teorizzare che questo tipo di preveggenza consista nella capacità di accedere ad un insieme di archetipi, che esisterebbero fuori della nostra dimensione spazio-temporale, i quali vengono ad assumere le forme specifiche degli eventi che poi accadono nel nostro tempo. In questa ottica si può anche spiegare un fenomeno come quello di Nostradamus, le cui quartine, più che anticipare eventi specifici, sembrano rappresentare archetipi universali, sufficientemente dettagliati però da poterli applicare in seguito a certi fatti realmente avvenuti. Qui però dobbiamo fermarci, perchè stiamo entrando in un territorio assolutamente ipotetico, che non ci permette di utilizzare il metodo analitico, e ci offre risposte che possono avere al massimo un valore individuale. Di certo possiamo affermare una cosa: man mano che procede il cammino dell’umanità, scopriamo che è sempre più grande il numero di cose che non conosciamo rispetto a quelle che conosciamo. E questo è già un notevole passo in avanti, volendo, che ci possa almeno liberare da quell’ignoranza, travestita da falso sapere, che ci offusca costantemente la vista. Massimo Mazzucco * Uso il termine “cosiddetto”, per il Nuovo Ordine Mondiale, perchè personalmente ritengo che non esista un solo gruppo di potere, sic et simpliciter, ma che la questione sia molto più complessa ed intricata. http://www.luogocomune.net/site/modules/news/article.php?storyid=3529

Che fine ha fatto la nube vulcanica?

Piloti depressi e in cura potranno volare Davis Fiore per Disinformazione.it

I piloti potranno presto volare sotto l'effetto di potenti psicofarmaci. La FAA (Federal Aviation Administration) ha appena abolito il divieto che da 70 anni impediva ai piloti americani sotto trattamento di prestare servizio. La regola era stata imposta a causa dei gravi effetti collaterali, stanchezza, difetti di visione e giudizio. Sono 4 gli antidepressivi consentiti: Prozac, Zoloft, Celexa e Lexapro. Fred Tilton, medico della Faa, ha detto che anche altri psicofarmaci potrebbero venire approvati. I piloti che li usano sono tenuti ad effettuare una visita psichiatrica ogni sei mesi.

Tutto ciò nonostante le Black Box (etichette di avvertimento) approvate dall'FDA sul rischio di suicidio nei bambini e negli adulti, oltre a una lunga serie di pericolose reazioni, comprese: aggressione, ostilità, disinibizione, impulsività e manie. Con gli antidepressivi, la guida spericolata è una delle reazioni più comunemente segnalate, dove molte volte l'auto si trasforma in un arma di suicidio. Che cosa potrebbe mai fare un pilota di aereo sotto l'effetto di simili sostanze?

L'FAA dice di non poter stimare il numero di piloti interessati, ma crede che la percentuale di piloti depressi non sia dissimile da quella della popolazione, da loro stimata al 10%. Ecco arrivare una nube ben più scura e fosca di quella del vulcano islandese: ad esserne coinvolte non saranno le sole compagnie aeree.

Fonti: http://it.reuters.com/article/entertainmentNews/idITMIE63202W20100403 http://www.huffingtonpost.com/dr-peter-breggin/antidepressants-pilots-ta_b_542240.html http://online.wsj.com/article/SB20001424052702304871704575159740692643072.html

Il Fantasma di Eyjafjallajökull Che fine ha fatto la nube vulcanica? www.disinformazione.it

Il vulcano  EyjafjallajokullDa qualche settimana assistiamo in TV alle spettacolari ed inquietanti immagini del vulcano islandese, che erutta ancor oggi liberando fin oltre la tropopausa (1) una grossa e minacciosa nube. Minacciosa, certo. Per la salute degli islandesi e per i motori degli aerei di linea. Così, pochi giorni dopo l'inizio dell'esplosione, la Gran Bretagna pensava bene di chiudere il suo spazio aereo inficiato dall'oscura nube.

Eurocontrol, l'ente europeo responsabile del flusso di traffico aereo, emetteva un'informativa SIGMET con tanto di cartografia ove specificava le tre categorie di zone a rischio: no fly (voli proibiti), conditional (voli ammessi a discrezione del comandante), no restriction (voli permessi). E allora uno dopo l'altro ogni paese europeo, Italia inclusa, chiudeva il suo spazio aereo a garanzia della sicurezza.

E allora? Tutto corretto, no? Andando un pò, soltanto un pò a fondo nella questione ci si accorge che qualcosa, come sempre, non torna. La polvere vulcanica fonde intorno alle temperature di 1100 gradi centigradi e si attacca alle pareti interne della camera di combustione e sul cono di espulsione dei motori, incrementandone oltre i limiti le temperature. Inoltre corrode e danneggia le pale di compressori e turbine, provocando finanche lo stallo del motore, ma anche le superfici di ali e coda, riducendo la quantità di portanza sviluppata. I finestrini poi si opacizzano, impedendo la visione all'atterraggio, ed i freni diventano meno efficienti. Drammatico direi!

Ma ci riferiamo ad una nube che, appena fuoriuscita dall'esplosione, contiene particelle nell'ordine di millimetri cubici, cioè di entità tale da provocare quanto sopra. Queste particelle poi, nella misura in cui le correnti ascensionali non sono più sufficienti a mantenerle in sospensione, ricadono al suolo. Le altre, via via più piccole fin sotto il micron, restano sospese e potrebbero essere trasportate dalle correnti a getto (venti d'alta quota) anche per centinaia di chilometri.

Bene: secondo le carte pubblicate da Eurocontrol, le zone a rischio si estenderebbero dall'Islanda fino alla Russia ma anche dall'Islanda fino all'America Centrale! Capito bene? In altre parole, le correnti a getto, correnti che spirano da Ovest, avrebbero trasportato le nanoparticelle implicate verso Est fino a svariate migliaia di chilometri MA in qualche modo le stesse sarebbero anche state sospinte controcorrente fino al Portorico! Questa "curiosa" teoria non è mai stata verificata né avallata da analisi scientifiche dell'aria, effettuate da alcuno degli stati che avevano chiuso il proprio spazio aereo, e neppure da alcun avvistamento da parte di piloti. Puramente una teoria che, per qualche ragione, è apparsa a tutti ragionevole.

Ma perché soltanto oggi appare tale? Perché per decine d'anni si è volato sull'aeroporto di Catania, con l'Etna attivo e la quotidiana nube traversale alle rotte di volo, soltanto evitandola "a vista" e soltanto di qualche decina di chilometri? Il pilota sa bene che già a tale distanza, ove non è più visibile, la nube si è talmente rarefatta da non rappresentare più un pericolo "tecnico" per l'aeromobile. Semmai le nanoparticelle invisibili potrebbero porre un problema "medico", per la salute di chi all'interno dell'aereo le respira, essendo queste in grado di permeare la membrana cellulare e addirittura interferire col DNA: proprio come quelle emesse dai NON pericolosi inceneritori, no scusate, termovalorizzatori.

Ma questo vale anche e soprattutto di chi, nei pressi del vulcano, ci trascorre l'intera sua vita. Ed ecco che, qualche giorno fa, la BBC intervista un responsabile di Eurocontrol, il quale con assoluta serenità afferma che effettivamente "il computer" avrebbe fornito dei dati errati, delle proiezioni eccessive sulle aree a rischio. E così oggi la nube è divenuta un fantasma. Prima c'era, ora non c'è più, domani magari ci sarà ancora. Nessun media più se ne interessa.

E come la SARS , l'aviaria, la suina, l'antrace, le armi di distruzione di massa irachene, l'incrociatore americano mai affondato dai vietcong, il Lusitania attaccato dai tedeschi, Pearl Harbor dai Giapponesi, le Torri Gemelle da chissà chi e via dicendo, anche la nube fantasma passerà in cavalleria, in attesa di essere riesumata e scenograficamente rivestita per la sua prossima missione: la creazione di un problema per la cui reazione popolare indotta già qualcuno avrà sùbito in mano la perfetta soluzione.

Ma cosa è avvenuto nel frattempo? In una settimana di cancellazioni a tappeto e MILIONI di passeggeri e merci a terra, il mercato globale si è arrestato ed è già a rischio di tracollo: per i pezzi di ricambio non consegnati, l'industria automobilistica BMW è a rischio fallimento, così come lo sono migliaia di altre industrie, oltreché compagnie aeree, Alitalia-CAE in primis.

Cui prodest: a chi giova tutto ciò? Ci sono ancora dubbi? Ai soliti noti, le eminenze grigie che controllano stati come la Gran Bretagna e quindi il mondo intero, attraverso le loro reti finanziario-politico-militar-sanitario-universitario-massoniche, che avranno a disposizione nuove migliaia di imprese insolventi da acquisire per una pipa di tabacco, nonché milioni di nuovi poveri da inserire nel novero dei loro schiavi, distratti dai propri problemi quotidiani di sopravvivenza.

Che sia stata un'operazione finanziaria, un'esercitazione militare di portata sovranazionale o una manovra occulta d'altro tipo, è di certo qualcosa che comunque noi popolo non avevamo chiesto, votato o approvato, e di cui senza dubbio abbiamo assistito inermi all'ennesima manipolazione mediatica, nonostante ci sforziamo di sedare l'intima voce dell'intuizione in noi che ci pungola alla diffidenza. Chi può, comprenda. Chi ancora riesce ad avere il tempo e la salute per farlo, discerna ciò che gli viene offerto in pasto dall'establishment mediatico e politico. Se si vuol essere pecore, disinteressandosene, oppure struzzi, tenendo la testa sotto la sabbia e le chiappe esposte perché si è compreso ma non si ha il coraggio di alzare la testa, si prenda coscienza che presto la testa non la si potrà più alzare, poiché se si accetteranno determinate restrizioni prossime venture non si avrà più la possibilità di replica, di dissenso come ancora esiste oggi.

Quel giorno, a causa di tutte le nostre paure avremo ceduto la nostra autonomia, di azione ma anche di pensiero e sentimento: libertà sarà per noi essere finalmente controllati, perciò al sicuro! E senza neppure rendersene conto si avrà già il collare addosso, un chip a radiofrequenze sotto pelle come già oggi hanno cani e qualche star hollywoodiana, collegato al Golem, il messia elettronico, senza il cui marchio "non si potrà nè vendere nè comprare" (l'Apocalisse).

Ed il bello è che saremo stati noi, proprio noi, spaventati, lobotomizzati e malati, ad averlo chiesto!

(1) Tropopausa: è lo strato di atmosfera che separa la troposfera dalla stratosfera, in cui avvengono i fenomeni meteorologici. Si trova ad una quota media di circa 12 km e il suo spessore è variabile.

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Dai Cds segnali di allarme sul debito britannico

30 aprile 2010
Dai Cds segnali di  allarme sul debito britannico Gli investitori sono preoccupati. Nuovamente pericoli in arrivo dalla Grecia? No, a guardate i dati relativi ai credit default swap (Cds), le nuove ansie arrivano dal Regno Unito...

Gli investitori sono preoccupati. Nuovamente pericoli in arrivo dalla Grecia? No, a guardate i dati relativi ai credit default swap (Cds), le nuove ansie arrivano dal Regno Unito. La quantità di capitali investiti infatti per acquistare tali prodotti derivati - attraverso i quali ci si assicura contro l’eventuale default di un debito sovrano - è schizzata a 443 milioni dollari.

A riferire il dato è la Depository Trust e Clearing Corp., secondo quanto riportato questa mattina dal Wall Street Journal. Qualche motivo di reale preoccupazione c’è del resto, se il totale dei Cds in circolazione raggiunge ormai gli 8,2 miliardi dollari e se George Soros, il miliardario a capo del fondo di investimenti reo di aver messo ko la sterlina britannica negli anni Novanta, ha dichiarato recentemente di aver ragione di credere che il Regno Unito possa trovare una maniera per gestire i propri debiti che non sia entrare nella zona Euro. E non è il solo, Parlamento britannico in testa. L’ammontare dei titoli di “protezione” nel Regno Unito è quasi raddoppiato dall’inizio dell’anno e supera di gran lunga la rincorsa ai Cds avvenuta in Grecia lo scorso autunno. Sebbene questo trend non abbia ancora dato luogo ad alcun crollo dei prezzi, come era invece accaduto in altre recenti situazioni, il comportamento del mercato britannico, in qualche modo, riecheggia quello che ha preceduto altre crisi, quella greca e altre simili.

Tra l’altro, è interessante notare come al contempo l'acquisto di Cds in Portogallo sia aumentato di soli 10 milioni di dollari la settimana scorsa, mentre risulta in calo sia per la Spagna che per l'Italia. E se c’è chi considera questi Paesi come possibili mete di contagio del virus in arrivo da Atene, i dati potrebbero suggerire che anche il Regno Unito sia tra i possibili bersagli.

http://www.valori.it/italian/finanza-globale.php?idnews=2306

Promesse di Presidente.

Apr 1030

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Pubblicato da Debora Billi alle 10:10 in Peak Oil

nixon1974.jpg

Ne abbiamo parlato spesso anche noi dei proclami presidenziali americani sulla dipendenza dal petrolio, che paiono susseguirsi sempre uguali anno dopo anno come se nulla fosse.

Business Insider ne ha fatto una presentazione, chiamandola "una patetica storia", e scopro divertita che si risale addiritttura ai tempi di Nixon! Eccoli qua:

- Richard Nixon, 1974. Alla fine di questo decennio, nel 1980, gli Stati Uniti non dipenderanno più da nessun Paese estero per il fabbisogno energetico. Petrolio importato: 36,1%.

- Gerald Ford, 1975. Dobbiamo ridurre le importazioni di petrolio di un milione di barili al giorno entro la fine dell'anno e di due milioni per la fine del 1997. Petrolio importato: 36,1%.

- Jimmy Carter, 1977. A partire da questo momento, la nostra Nazione non userà mai più più petrolio importato di quanto ha fatto nel 1977. Mai più. Petrolio importato: 40,5%.

- Ronald Reagan, 1983. Mentre la conservazione vale la pena di per sé, la migliore risposta è cercare di renderci indipendenti dalle fonti estere al massimo possibile per la nostra energia. Petrolio importato: 43,6%.

- George Bush, 1992. Quando la nostra amministrazione ha sviluppato la strategia energetica, tre punti ci hanno guidato: il primo è ridurre la nostra dipendenza dal petrolio straniero. Petrolio importato: 47,2%.

- Bill Clinton, 1995. La crescente dipendenza del Paese dal petrolio straniero è una minaccia per la nostra sicurezza (...) continueremo ad aumentare gli sforzi per stimolare la produzione nazionale. Petrolio importato: 49,8%.

- George Bush Jr, 2006. La tecnologia ci aiuterà a raggiungere un grande obiettivo: rimpiazzare il 75% delle importazioni petrolifere dal Medio Oriente entro il 2025. Petrolio importato: 65,5%.

- Barack Obama, 2009. Sarà primario nella mia amministrazione ridurre la nostra dipendenza dal petrolio estero costruendo un'economia energetica che offrirà milioni di posti di lavoro. Petrolio importato: 66,2%.

Ancora convinti che "volendo siamo in tempo"?

http://petrolio.blogosfere.it/2010/04/promesse-di-presidente.html

Ma noi ne usciremo meglio di altri – 11

Friday, 30 April, 2010

in Economia & Mercato, Italia

Pochi numeri, la sintesi di un problema che si aggrava di mese in mese. Come comunica oggi Istat, il numero di occupati a marzo 2010 è pari a 22 milioni 753 mila unità (dati destagionalizzati), in calo dello 0,2 per cento rispetto a febbraio e inferiore dell’1,6 per cento (-367 mila unità) rispetto a marzo 2009. Il tasso di occupazione è pari ad un disastroso 56,7 per cento (inferiore, rispetto a febbraio, di 0,1 punti percentuali e di 1,1 punti percentuali rispetto a marzo dell’anno precedente).

Il numero delle persone in cerca di occupazione risulta pari a 2 milioni 194 mila unità, in crescita del 2,7 per cento (+58 mila unità) rispetto al mese precedente e del 12 per cento (+236 mila unità) rispetto a marzo 2009. Il tasso di disoccupazione si posiziona all’8,8 per cento (+0,2 punti percentuali rispetto al mese precedente e +1 punto percentuale rispetto a marzo 2009), peggior risultato dal secondo trimestre 2002. Il tasso di disoccupazione giovanile è pari al 27,7 per cento, con un calo di 0,4 punti percentuali rispetto al mese precedente ma in aumento di 2,9 punti percentuali rispetto a marzo 2009.

Il numero di inattivi di età compresa tra 15 e 64 anni, è pari a 14 milioni 907 mila unità, con una riduzione dello 0,2 per cento (-24 mila unità) rispetto a febbraio 2010 e un aumento dell’1,6 per cento (+239 mila unità) rispetto a marzo 2009. Il tasso di inattività è pari al 37,8 per cento (-0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente ma in aumento di 0,5 punti percentuali rispetto a marzo 2009).

Naturalmente, vi diranno che siamo messi meglio della media europea, che sta al 10 per cento. E non vi diranno nulla riguardo il fatto che abbiamo un tasso di attività che è di nove punti percentuali inferiore alla media Ue, situazione che tende a frenare l’ascesa della disoccupazione. Né vi diranno che abbiamo un ricorso alla cassa integrazione che non accenna a flettere, anzi che la cig sta lentamente trasformandosi in un ammortizzatore “a piè di lista”, gravando sempre più sulla finanza pubblica e riproducendo le condizioni degli anni Settanta, quando imprese decotte restavano in vita.

Né vi diranno che il numero di disoccupati tedeschi, in marzo (per rendere il confronto temporalmente omogeneo) era sceso dall’8,1 all’8 per cento, e che in aprile, dato comunicato ieri, si è ulteriormente contratto al 7,8 per cento. Se pensate che il dato tedesco derivi dal fenomeno dello scoraggiamento, ripensateci: il totale degli occupati tedeschi, a marzo, è cresciuto di 10.000 unità rispetto a febbraio.

Sono molte le cose che non vi diranno. Perché se ve le dicessero, esiste un’elevata probabilità che vi inquietereste.

http://go2.wordpress.com/?id=725X1342&site=macromonitor.wordpress.com&url=http%3A%2F%2Ffeedproxy.google.com%2F~r%2Fphastidio%2Flhrg%2F~3%2FhQImC4Hp-uk%2F&sref=http%3A%2F%2Fmacromonitor.net%2F

CRAC GRECIA/ 2. Cosa accadrà se crollano anche Portogallo e Spagna?

venerdì 30 aprile 2010

Tranquilli, l’incendio sta per essere spento! I cervelloni di Bce e Fmi stanno per inviare dei dirigenti in Grecia per studiare la situazione e Barack Obama ha chiamato Angela Merkel convenendo sulla necessità di un’azione veloce ed efficace. Traduzione dal burocratese: alla Bce si sono resi conto che il giochino tedesco sta sfuggendo di mano e cercano una soluzione rapida, la quale sarà sicuramente tardiva e insufficiente.

Due potenziali bancarottieri politici si chiamano per decidere le prossime mosse: non prendiamoci in giro. Le società di rating, in mano alle banche e all’establishment Usa, per due anni non si sono resi conti della crescita esponenziale del debito privato delle banche, la cosiddetta “leva” e ora, invece, sono diventate precisissime e puntualissime nel punire l’eccesso di debito degli Stati.

I quali, è vero, hanno truccato o gonfiato i conti ma non meritano di essere massacrati: vanno messi in riga, questo sì ma non per far fare soldi a chi sta scommettendo allo scoperto sul crollo e sulle oscillazioni delle piazze finanziarie. Appare infatti un po’ poco credibile che il declassamento del rating sul debito spagnolo effettuato l’altro giorno da S&P sia arrivato a mezz’ora dalla chiusura dell’indice Ibex, crollato poi del 3%.

Stanno volontariamente utilizzando la crisi per rifarsi dell’esposizione greca: le banche, i soggetti istituzionali, in questi giorni si stanno comportando in maniera alle soglie della delinquenzialità. Fanno pagare ai contribuenti, attraverso i salvataggi di Fmi e Ue, la contabilità allegra di Grecia, Spagna e altri e nel frattempo fanno incetta di cds e utilizzano le società di rating, che controllano, per muovere i corsi azionari in modo a loro favorevole.

Non fatevi ingannare dai titoli degli istituti che crollano: le banche, ormai, fanno solo investment banking e quindi hanno un portafoglio di investimenti da portare avanti, i loro bilanci se li fanno mettere a posto dagli Stati - vedi la Germania - e poi fanno profitti sul mercato drogato del debito e delle certificazioni ad personam delle società di rating.

La Grecia, infatti, è di fatto già insolvente e una ristrutturazione del debito, seria, sarà presto necessaria: un default porterebbe con sé, infatti, un duplice effetto. Perdite pesantissime per le istituzioni finanziarie che detengono titoli di debito greco e rischio di contagio, di fatto già partito, verso Portogallo, Spagna, Irlanda e in ultima istanza, Italia in un perverso effetto domino.

Il problema sostanziale è che un peggioramento del debito e quindi un’ulteriore avversione dei mercati porterà con sé, inevitabilmente, il crollo del valore degli assets a livello globale: fatto, questo, che potrebbe contemplare un calo della crescita, almeno negli Stati Uniti, attorno al 2% in base a calcoli compiuti da Nouriel Roubini.

La Grecia, nei fatti, è oggettivamente la punta dell’iceberg, però i crolli generalizzati poco si accoppiano con la sostanziale tenuta dell’euro sul mercato dei cambi: c’è qualcosa di strutturale ed eterodiretto in quanto sta accadendo, in molti stanno beneficiando del cosiddetto incendio in atto e le sole parole di Olli Rehn, Commissario agli affari economici e monetari dell’Ue, non possono essere sufficienti a spiegare questa discrasia in atto.

D’altronde se il destino della Grecia dipendesse dalle banche europee, sarebbero guai seri. Mentre i governi cercano l’accordo su come salvare il salvabile, gli istituti di credito la loro decisione strategica l’hanno infatti già presa: fuggire da Atene. A gambe levate. Stando ai dati della Banca internazionale dei regolamenti, negli ultimi tre mesi del 2009 le banche europee hanno infatti mediamente ridotto l’esposizione sulla Grecia del 29%: dopo lo scoppio in ottobre della crisi, hanno “scaricato” sul mercato 79 miliardi di dollari di debiti targati Atene.

Insomma, le banche sapevano o almeno avevano intuito il rischio, i capoccioni di Bce e Ue no: confortante essere governati da gente del genere. Questo cosa comporta? Questa fuga ha causato l’impennata dei rendimenti su livelli insostenibili, tanto che ora la Grecia non riesce più a rifinanziare (dunque a rimborsare) i suoi debiti. Fin che questo resta un problema greco non succede nulla, almeno a livello di contagio ma se la stessa fuga contagiasse altri Paesi come Portogallo e Spagna sarebbe un gran brutto segnale.

E sta accadendo, almeno a giudicare dall’impennata dei rendimenti: la fuga da Madrid e Lisbona è già in atto. Anche perché da quando la Bce ha ridotto le sue operazioni di rifinanziamento, le speculazioni con i titoli di Stato (il cosiddetto carry trade) sono diventate meno convenienti. Ecco, allora, il perché del forte di rischio di contagio: quest’anno gli Stati dovranno emettere tantissimi titoli di Stato, visto che Deutsche Bank stima che il fabbisogno di liquidità di Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna sfiori, nell’intero 2010, i 900 miliardi di dollari.

Riusciranno a ottenerlo? È questa, oggi, la domanda da porsi. E il grande rischio che ci sta di fronte. La Borsa di Atene, ieri, è schizzata al +8% dopo il formale ok di Berlino al salvataggio: follia. La stessa che pervade da due anni almeno le azioni di soggetti istituzionali e regolatori, altro che speculazione ed hedge funds, le vere locuste sono le stesse persone che millantano di cercare soluzioni ai presunti danni del libero mercato.

P.S. Le banche spagnole e italiane sono quelle maggiormente esposte verso la cosiddetta “Europa periferica”, mentre la maggiore esposizione delle banche francesi a livello periferico è proprio verso l’Italia: basta un singolo cortocircuito bancario, un errore di intervento e saranno guai davvero, ma davvero seri. L’ultimo outlook di Citi sul debito sovrano, in tal senso, è agghiacciante.

http://www.ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2010/4/30/CRAC-GRECIA-2-Cosa-accadra-se-crollano-anche-Portogallo-e-Spagna-/82967/

Spingendo il dissesto più in là

Uno degli effetti dell’acuirsi della crisi greca, ma anche della sua pretesa “soluzione”, è stato l’aumento del rischio di credito sugli emittenti finanziari europei, così come evidenziato dall’indice iTraxx Senior Financials. Il motivo è facilmente intuibile: i mercati stanno diventando nervosi riguardo la crescente dipendenza del merito di credito delle banche dai salvataggi pubblici, e si interrogano su quanto ancora questa situazione potrà durare e, soprattutto, che accadrà agli stessi rating sovrani, sempre più fragili.

Nell’ultimo biennio, i governi hanno trasferito il rischio di insolvenza dal bilancio delle banche a quelli pubblici, attraverso garanzie dirette ed indirette. Ma oggi i bilanci pubblici sono stremati e sempre più sotto la lente delle agenzie di rating. La situazione complessivamente più fragile è quella europea, con un sistema bancario sottocapitalizzato e scarsissima trasparenza, soprattutto riguardo la reale consistenza dei veicoli fuori bilancio nelle banche (tedesche e non solo).

Le quali banche europee hanno un calendario di rinnovo del debito per il 2010 particolarmente impegnativo, prossimo all’equivalente di 800 miliardi di dollari. Negli Stati Uniti il salvataggio del sistema bancario, attuato col famigerato TARP, si è basato (e si basa) sulla creazione di una curva dei rendimenti molto ripida, con il costo del funding per le banche prossimo allo zero, grazie alla Fed. In questo modo, in un arco di tempo sufficientemente ampio, le banche riescono a trarsi d’impaccio. In Europa, ammesso e non concesso che il “salvataggio” greco possa rappresentare l’inizio del nostro TARP, le banche spagnole e portoghesi si trovano tagliate fuori dal mercato interbancario, mentre le stesse banche tedesche e francesi stanno sperimentando un aumento dei costi di finanziamento all’ingrosso.

Ancora una volta, spetterà alla Banca Centrale Europea puntellare il sistema, con le aste di rifinanziamento a tasso fisso e pié di lista. Ma questa dinamica rappresenta di fatto una monetizzazione dei deficit pubblici. Le banche sottoscrivono i titoli di debito pubblico e li finanziano all’1 per cento presso la Bce, dandoli in garanzia. Una perfetta macchina da soldi, per le banche. Almeno fino al giorno in cui i mercati diranno basta. E quel giorno potrebbe essere più vicino di quanto si pensi.

http://www.chicago-blog.it/2010/04/30/spingendo-il-dissesto-piu-in-la/

ECCO PERCHÉ FINGERE DI ESSERE OTTIMISTI È IL MODO PEGGIORE DI AFFRONTARE I PROBLEMI

Data: Venerdì, 30 aprile @ 00:00:00 CDT Argomento: Psiche DI LIZ LANGLEY AlterNet Una delle scene più divertenti, macabre e accattivanti nella storia del cinema era la scena finale del film Brian di Nazareth dei Monty Python. Brian insieme ad un’altra decina di ragazzi vengono crocefissi e in attesa di morire uno di loro si lancia nel celeberrimo motivetto "Always Look on the Bright Side of Life." Sebbene questa parodia sia stata scritta 30 anni fa, il suo finale ironico con il motivetto fischiettato per arginare il senso imminente della morte sembra essere invece molto attuale. Questo tempo di crisi in cui il desiderio di capire in che modo far sembrare la cosa più terribile come la cosa migliore che ci possa capitare sembra essere diventato un vero e proprio business. Affermazioni, immagini, situazioni sembrano essere ovunque. Anche a voi – sicuramente – sarà capitato quest’anno di trovarvi di fronte qualcuno che ha soddisfatto i vostri dubbi con il mantra “Pensa positivo!”. E quanto ci piace a tutti pensare che possa essere vero! Barbara Ehrenreich offre una lunga panoramica del pensiero positivo nel suo ultimo libro Bright Sided: How the Relentless Promotion of Positive Thinking Has Undermined America. Ehrenreich fruga nella storia religiosa del nostro paese, nel come il pensiero positivo sia stato totalmente assorbito dalla religione, dalla psicologia e dall’economia, dall’ubiquità di oratori motivazionali e perché esso possa non essere una cosa così buona da fare, poiché le novità potrebbero negativamente sorprenderti. Uno dei passaggi più memorabili del libro è quello in cui un impiegato di un call-center descrive di dover fingere la propria felicità anche in quei giorni in cui “ti senti morire”. Afferma Ehrenreich: “Mi era stato diagnosticato un cancro al seno. Ma anche nel mondo del pensiero positivo, malgrado numerose storie di pseudo-amici su Internet, mi sentivo invece sola come un cane. Nessuno tra i tanti blogger e scrittori sembrava condividere il mio senso di disgusto verso la malattia e le terapie disponibili. Mi rendo allora conto che l’effetto del pensiero positivo è quello di trasformare il cancro al seno in una sorta di rito di passaggio – non in una ingiustizia o una tragedia contro cui inveire ma un normale evento della vita, come la menopausa o la maternità. C’è addirittura chi qualifica il cancro al seno come un 'dono dal cielo'”. Nell’attuale periodo di crisi economica tutti diamo e riceviamo molte più brutte notizie. Forse in seguito saremo capaci di aiutare qualche amico a vedere le cose in modo più roseo. Ma anche se le nostre intenzioni sono buone, quell’espressione “E’ una cosa buona” molto spesso non è quanto lei/lui vogliono sentirsi dire in quel dato momento. Dunque quale è la cosa migliore da rispondere quando un amico si trova ad affrontare – accidenti! – un evento negativo come la perdita del lavoro, una malattia, una separazione, una rottura o qualunque altra cosa per la quale non si vede nell’immediatezza un ritorno di alcun tipo? Ne ho parlato con quattro scrittori, i quali – tutti – hanno offerto eccellenti consigli sul come rispondere nel migliore dei modi ad un amico o ad un familiare che affronta un momento di crisi. Il Dr. John Sharp, neuropsichiatra, che insegna a Harvard e all’UCLA, il cui ultimo libro è in uscita per il prossimo anno, The Emotional Calendar, sostiene che anche se l’essere positivi ed ottimisti ha un suo valore “non è possibile negare la realtà”. Un cambiamento effettivo parte innanzitutto da una vera accettazione. Una volta che questa ha avuto luogo il Dott. Sharp raccomanda una tecnica denominata PERL, acronimo che sta per “Partnership, Empathy, Respect and Legitimization” [N.d.T. Rapporto, Empatia, Rispetto e Legittimazione]. Il primo, Partnership, ha una breve premessa: in qualità di amico bisogna rapidamente valutare e decidere quanto si può realmente essere presenti per quella persona, quale può essere il modo più valido per aiutarla. La seconda fase è l’Empatia: "Trasmettere con il minor numero di parole possibili la vostra comprensione dei sentimenti altrui”. Che non vuol dire: “Oh deve essere così dura per te!” perché l’espressione “per te” mette dei muri. E’ sostanzialmente diverso dire “Mi dispiace”, “Brutto affare”… La persona si sentirà più capita. Il Dr. Charles Sophy, che ha partecipato a trasmissioni come “Larry King Live” e “Dr. Drew's Celebrity Rehab,” è il Direttore Sanitario del Los Angeles County Department of Children and Family Services. Il suo prossimo libro è, Side By Side: The Revolutionary Mother-Daughter Program for Conflict-Free Communication, in uscita a febbraio 2010. "Le chiamate che solitamente riceviamo riguardano minori abusati” afferma quando gli chiediamo opinioni sul come trattare una persona che ha appena perso il lavoro o si trovano ad affrontare gravi problematiche frutto della crisi economica. "Queste persone provengono da un posto enorme di paura e imbarazzo” afferma. Non vogliono perdere anche la loro famiglia. Sophy consiglia di far sì che le persone raccontino la loro storia. "talvolta una non risposta è la cosa migliore," sostiene. "La maggior parte delle persone desiderano solo essere ascoltate, perché vogliono semplicemente sfogarsi," e una volta che capiscono che non si è schifati dal loro accaduto bensì ci si propone con un approccio empatico e sostenitore, essi si calmano. "Il denaro è simbolo di forza per le persone" asserisce, soprattutto per gli uomini i quali sentono che “senza soldi viene meno anche la loro forza”. “Bisogna allora dare loro spazio per riguadagnare terreno verso quella posizione di potere”. Una volta attenuato quel senso di pressione essi si sentono meglio e “ritornano ad essere delle persone”. Sheri Winston, sessuologa e autore del libro Women's Anatomy of Arousal: Secret Maps to Buried Pleasure è una ex infermiera e ostetrica la quale spesso si è trovata a dare più brutte notizie di quante ne abbia ricevute quali per es. malattie a trasmissione sessuale, gravidanze inaspettate, complicazioni in fase di gravidanza o parto, ecc. Afferma: “Non appena pronunci parole del genere le persone talvolta sono incapaci di elaborare qualsiasi altra informazione”. Winston sostiene che è proprio qui che entra in gioco l’empatia: “Wow! Lo so che è difficile sentirselo dire. Va bene essere terribilmente disorientati. Va bene anche piangere”. , “E’ inoltre importante essere sensibili verso le reazioni di ognuno, leggere tali reazioni e permettere alle persone di rispondervi”. Per le persone che vengono sconvolte da una cattiva notizia, la Winston fa loro sapere che sarà lì in qualsiasi momento qualora avessero bisogno di altre informazioni e nel momento in cui saranno pronte a riceverle. Se le persone giungono alla conclusione che una condizione normale e gestibile – come un herpes, o una malattia venerea curabile - è automaticamente una tragedia allora è meglio cercare di offrire loro alcune prospettive. Per alcune persone un cuore ferito è molto più doloroso della perdita di un posto di lavoro. L’empatia era stata anche la prima risposta di Cristina Nehring, autrice di saggi e del libro A Vindication of Love. In una e-mail dalla sua città natale, Parigi, ha scritto che tutte le situazioni sono diverse e le risposte devono essere attentamente selezionate. Per esempio, si potrebbe dire di fronte ad una cattiva notizia: “Oh mannaggia sono terribilmente dispiaciuta. Come ti senti?” e cercare di “dare eco a quanto viene espresso da coloro che sono vittime di tale evento negativo e far loro capire la vostra comprensione." Nell’acronimo PERL del Dott. Sharp, c’è poi il Rispetto che è il premio per quanto di buono sta facendo il vostro amico nei guai. “Apprezzare il suo coraggio lo porterà ad aprirsi” sostiene il Dr. Sharp. Programmare di parlarne ancora, e ricordare al vostro amico di farsi una bella mangiata e un bella dormita (D, il mio migliore amico una volta mi diceva, quando ero a stomaco vuoto, di non prendere nessuna decisione importante se non a pancia piena!...) Un amor proprio di base come quelli di cui spesso ci si dimentica è fondamentale. Se si dice a qualcuno di aver perso il lavoro ci si potrebbe chiedere “Quanto sicuro è il mio di lavoro?” e allora non saremo nemmeno più ascoltati in qualità di clienti, sostiene il Dott. Sharp. Il consiglio che dà per non farsi consumare da tali pensieri è la tecnica SWEEP: sonno, lavoro, cibo, espressione emotive, gioco. Una giusta dose di tutte queste cose è importante e a prescindere che si tratti della persona con il problema o di chi l’aiuta “più intatto risulta il loro SWEEP, più saranno in grado di gestire il momento di crisi”. Cristina Nehring sottolinea inoltre il dare importanza alle persone che pur soffrendo continuano a vivere bene: “E’ meraviglioso che tu possa amare ancora più forte che puoi. E, al contempo, soffrire tanto quanto senti di farlo. Perché il dolore è la misura dell’amore, che questo possa piacerci o no. Capendo tuttavia che possiamo superare ogni sofferenza andando oltre”. Ricordare che non si perde stesso o le nostre qualità: “Quello che eri quando X si è innamorato di te, lo sei tutt’ora”. Certo, queste fasi, all’occorrenza, possono anche essere mescolate un po’, operando una scelta su misura a seconda della situazione. Ma tornando a PERL, l’ultimo step è la legittimazione, ossia la precisa osservazione che la persona in questione deve ricordare che non dipende da lei e che non ha nessuna colpa. Parte del dogma del pensiero positivo è che i pensieri negativi attraggono eventi negativi, per cui – sostiene Sheri Winston – molte persone si sentono male a causa dell’atteggiamento che hanno verso la vita. Il che non significa essere colpevoli dei propri malesseri. “Mi arrabbio davvero quando la sofferenza di qualcuno viene sottovalutata”, afferma. “Quando qualcosa o qualcuno ci ferisce, bene quella ferita è spaventosa ed è importante esserne consapevoli”. “Se qualcuno soffre di una grave depressione” afferma il Dott. Sharp “ si tratta di un problema medico e può accadere a chiunque”. Vediamo cosa si può fare. Per Cristina Nehring va bene riconoscere i rischi nascosti nel rapporto andato perso (personalmente credo che una piccola deflazione della controparte sia una nozione eccellente). “Conosci te stesso” scrive “e sei perfettamente in grado di capire un rapporto non perfetto per te”. Cita persino una frase del film Casablanca: "Puoi avere qualcosa –FARE qualcosa – anche migliore. Non oggi, non domani, non immediatamente. Ma lascia aperto il tuo cuore e la parte migliore verrà fuori, te lo prometto”. Ella sostiene che è di fondamentale importanza aiutare un amico a trovare dei punti di riferimento che “seppure fragili, siano dei punti di appoggio dai quali gettarsi di nuovo nel futuro, per quanto ciò sia possibile”. I pensieri negativi possono portare problemi seri, persino pensieri di tipo suicida o omicida. "E bisogna saperli affrontare” sostiene Sophy paragonando gli sfoghi ad una sorta di purga emotiva che lascia venir fuori quanto di più brutto è dentro di noi. Nel caso qualcuno non ti lasci sfogare (come nell'esperienza di Ehrenreich), dice Sophy : "chi non lascia vomitare qualcun altro è perchè ha paura egli stesso di vomitare”. Chiunque abbia avuto a che fare con un rapporto significativo ha dovuto pulire qualcosa – pannolini sporchi, vomiti di Margarita o biancheria sporca – molto peggio di un vomito di tipo emotivo. Una volta che il vostro amico espelle timori, rabbia, confusione allora potete aiutarlo a definire il passo successivo da fare o forse persino consigliargli di prendersi del riposo. Fate una passeggiata. Affittate un bel film. Ce n’è uno molto bello dei Monty Python. Forse al vostro amico potrebbe piacere il finale… Titolo originale: "Why Fake Optimism Is the Worst Way to Deal with Life's Problems" Fonte: http://www.alternet.org Link 08.12.2009 Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CRISTINA POMPEI
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Uno scenario esplosivo, da buona notte a tutti

Prima un antipasto, questo bel Martin Feldstein che Dio ce lo preservi alungo, in cui aritmetica alla mano spiega come e qualmente la Grecia ormai non ce la può fare, e andrà comunque al default dopo aver aspettato tanto. Ma dopo che vi siete appena appena amareggiati il palato, fatevi andare tutta la cena per traverso con queste 65 pagine di spietato realismo. Ve le raccomando davvero. L’autore è William Buiter, ex professore alla LSE, poi al Financial Times e da gennaio 2010 capoeconomista a Citi. E’ la più completa, analitica e documentata analisi comparata e complessiva della situazione di finanza pubblica mondiale che abbia letto recentemente. Se i politici italiani frequentassero consimili letture, avrebbero un dato di cui menar vanto e 65 pagine di cui spaventarsi. Il dato è quello della figura 7 a pagina 16: che ci crediate o no, per dare stabilità alla sua finanza pubblica l’Italia deve correggere il suo deficit tendenziale con misure strutturali non superiori a 4 punti di Pil tra 2010 e 2020 per giungere al 60% di debito pubblico al 2030, cioè meno della metà di quanto ormai serva alla media dei Paesi Ocse. Ma la notizia è che Stati Uniti, Regno Unito e Giappone hanno tutti bisogno di aggiustanmenti strutturali superiori al 10% di Pil, cioè – sì, avete capito bene – maggiori di quelli che servano alla Grecia per evitare il default. Buiter stima che sia la peggior situazione che si sia mai vista, dal punto di vista delle finanze pubbliche mondiali. Ritiene che la risposta di un massiccio way out inflazionistico sia improbabile, per quanto la FED sia attualmente tra le grandi banche centrali quella più dipendente dal governo e dalla politica. E ne conclude che l’unica soluzione sia quella del panico fiscale, con massicci aumenti di imposte e minori spese che deprimeranno sicuramente per un biennio ma perfino a un un quinquennio a venire ogni prospettiva di sostenuta crescita dei Paesi avanzati. Di qui il terrore che deve venirci comunque, come italiani: perché da Paesi Ocse in brusca correzione e bassa domanda per ragioni fiscali, il nostro export avrà di che piangere e la nostra crescita si appiattirebbe ulteriormente. Serissimo il capitolo sulla Grecia, e sul nuovo patto di stabilità europeo – un Fondo monetario europeo più meccanismi di default-a tempo dichiarati ex ante per le istituzioni finanziarie in difficoltà – di cui c’è bisogno nella crisi attuale. Altro che fine della crisi.

http://www.chicago-blog.it/2010/04/29/uno-scenario-esplosivo-da-buona-notte-a-tutti/

L'innesco di una crisi sistemica

di Pino Cabras - 29/04/2010 Fonte: megachip [scheda fonte]

debitisucks

Con il precipitare della crisi greca si confermano le analisi di chi non era compromesso con la propaganda o con i pii desideri. La crisi si colloca nel solco di una crisi molto più vasta, una crisi sistemica. Si poteva comprendere da subito. Chi ha causato la crisi, ossia il sistema bancario ombra, punta ancora ai soliti suoi superprofitti,

soverchiando i poteri collocati più alla luce del sole.

I giganti della speculazione di Wall Street sanno che il dollaro, l’architrave della finanza mondiale, dovrà cedere, perché allo stato è impossibile rifinanziare la valanga di titoli del debito pubblico statunitense che verrà a scadere fra pochi mesi. Perciò va fatta crollare l’alternativa monetaria disponibile, l’euro, e creare un bisogno forzoso ed estremo di dollari.

Nel frattempo, con i meccanismi delle "profezie che si autoadempiono", da loro dominati attraverso spaventose entità criminali (le agenzie di rating), gli speculatori decidono i tempi e i modi dei crolli, su cui hanno scommesso montagne di soldi con la certezza – a breve – di vincere.

Lo schema somiglia al crollo del 2008-2009. Allora affossavano le banche, che sapevano gravate di scommesse impossibili su debitori insolventi. Ora affossano gli stati sovrani, che sanno esposti verso trucchi creati dagli stessi speculatori e verso piramidi di debiti fuori controllo. Ecco Standard & Poor's , Moody's e Fitch a decidere ancora quando un titolo deve andare all’inferno.

Se ne fregano di avere una pessima reputazione e di non essere attendibili agli occhi di chi usa la ragione per valutare la loro “oggettività” nelle valutazioni. I meccanismi legali sono inesorabilmente dalla loro parte. La Banca Centrale europea non può acquistare i bond spagnoli o greci se il loro rating non raggiunge una certa soglia. Così, chi decide il rating può decidere quando e come far cadere i pezzi di un sistema. Stati interi.

E questo gioco da padroni dell’universo è condotto dagli speculatori non solo a dispetto di ciò che abbiamo chiamato reputazione, ma perfino nonostante le inchieste del Congresso, della Sec e della Fed. Così, per capire quali sono i veri “poteri forti”.

L’annuncio delle facce di bronzo di Goldman Sachs e JP Morgan Chase è che non si parla più di 45 miliardi di euro per salvare Atene, ma di almeno 600 miliardi di euro per salvare il “Club Med” dell’euro. Una cifra superiore a quanto dissanguò le casse Usa per impedire il collasso totale nel 2008, quando i contribuenti furono salassati per 700 miliardi di dollari, una parte dei quali allegramente finiti nei bonus dei “Masters of Universe”.

Con l’uso di titoli derivati "credit default swaps" (Cds), la speculazione anziché assicurarsi contro la bancarotta (problema di medio termine), vi ci punta direttamente per guadagnarci subito, creando contagio finanziario, di cui non avverte la minima responsabilità. Nella sua ottica, questi al momento saranno problemi insolubili delle banche europee.

Lo ricorda Federico Rampini su «la Repubblica» del 29 aprile 2010: «Un'inchiesta del Department of Justice accusa i più importanti hedge fund (Soros, Paulson, Grenlight, Sac capital) di aver concordato un attacco simultaneo all'euro, in una cena segreta l'8 febbraio a Wall Street. Il giorno dopo, 9 febbraio, al Chicago Mercantile Exchange i contratti futures che scommettevano su un tracollo dell'euro erano schizzati oltre 54.000, un record storico. Con Goldman Sachs e Barclays in buona vista nelle cronache su quelle grandi manovre.»

La grande finanza anglosassone sta decidendo che gli europei saranno divisi in nordici e sudici. Noi sudici a ciucciarci il default, da subito.

In realtà anche la Gran Bretagna è seduta su una voragine di debiti e bugie contabili, che si rinvia il più possibile, almeno a dopo le elezioni politiche.

E sullo sfondo, irrisolvibile con gli strumenti ordinari, c’è il nodo più grosso, gli USA.

Tanti Stati, non solo i PIGS mediterranei, per coprire i debiti e le scadenze, avranno scelte estremamente costose da fare: aumentare le imposte, scatenare l’inflazione per ridurre il peso del debito, altrimenti fare bancarotta. Quel che è peggio, queste situazioni possono addirittura arrivare in contemporanea, anche negli Stati Uniti.

La politica sarà investita naturalmente da tensioni e novità di enorme portata, che spazzeranno via interi sistemi.

Tante altre notizie su www.ariannaeditrice.it

Stati in fallimento e dubbi atroci.

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Pubblicato da Debora Billi alle 11:30 in Finanza

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Io avevo già da un po' questo dubbio, ma mi ero astenuta dall'esternarlo. In fin dei conti di finanza capisco meno di zero, l'addetto qui è Pietro, e quindi i miei pensieri sull'argomento mi tocca tenerli ben nascosti per evitare storiche figuracce.

Poi ho letto l'ultimo post di Uriel, e ho trovato conferma ai miei sospetti. So perfettamente che Uriel non è la voce della verità e molti di voi lo vedono come il fumo agli occhi, ma leggere nero su bianco ad opera di uno che si intende di finanza quello che segretamente rimuginavo, un po' mi ha colpito.

Così, ecco qua:

La mappa del rischio internazionale, di fatto, segue piu' la mappa degli indebitamenti dei privati che quello degli indebitamenti pubblici.

Inoltre, segue dei trend che rispecchiano anche dei razzismi: il Belgio e' messo come il porco a Natale sul piano economico, finanziario e adesso anche politico. IL suo debito pubblico e' altissimo e l'indebitamento anche. Non si vede per quale motivo dovrebbe essere in condizioni migliori di un' Irlanda o di un Portogallo, se non per il fatto che sono piu' ariani e piu' vicini al centro dell' UE. Di fatto, il razzismo di fondo sollevato dalla crisi dei PIIGS e' quello di paesi mediterranei o culturalmente in opposizione al mondo protestante (ovvero paesi mediterranei o cattolici): la geografia del rischio e' molto diversa.

Era proprio quello che mi chiedevo anch'io. Da tutte le parti si elencano le varie tragiche situazioni di Paesi come l'Inghilterra (che sta come l'agnello a Pasqua), gli Stati Uniti (il Paese più indebitato del mondo, che stampa dollari notte e giorno), e vari altri Paesi europei. Eppure, guarda caso, i PIIGS siamo noi. E non osiamo neppure metterlo in dubbio, dato che ogni giorno constatiamo la corruzione dei nostri governanti e ci viene ricordato il debito fin da quando siamo nella culla. Non sappiamo nulla degli altri, e li presumiamo sicuramente più virtuosi: quando la mazzata arriverà, saremo convinti di essercela meritata.

Ieri sera un amico mi ricordava come si vive(va) bene in Grecia. Se ci siete stati, avrete avuto anche voi l'impressione di gente libera, spensierata, cortese, semplice, molto diversa insomma dalla volgarità, dalla prepotenza e dall'arrivismo imperanti qui da noi. Sui forum americani, invece, i greci vengono dipinti come un popolo di anarchici rivoltosi e comunisti a cui ben gli sta una lezione. Una lezione: forse chi è nel mirino sono i Paesi che hanno bisogno, per un verso o un altro, di una lezione.

Oppure quelli privi di atomiche e cacciabombardieri.

Che ne pensate?

http://crisis.blogosfere.it/2010/04/stati-in-fallimento-e-dubbi-atroci.html

BERNASCONI

Mentre la maggior parte dei piccoli cigni non osano abbandonare la madre, c'é un ribelle che preferisce l'indipendenza. Gli altri osservano perplessi. Mentre la massa degli investitori é felicemente riunita sul carrozzone del rialzo si notano i primi abbandoni. Vedremo chi ha ragione nel prossimo futuro.

Ieri le borse europee sono oscillate senza costrutto seguendo gli impulsi forniti dall' America e dai dati economici. Hanno terminato la seduta in guadagno anche se le plusvalenze sono state al di sotto delle aspettative. A Wall Street é successo poco. L'S&P500 ha guadagnato un punto muovendosi in un range ristretto di 5 punti. Forti invece trasporti e tecnologia. La nostra opinione tecnica é invariata: "È evidente che, malgrado la situazione di ipercomperato e la scarsa partecipazione, gli indici azionari non vogliono più correggere. È questo un segno evidente che ci avviciniamo alla fine del lungo rialzo iniziato il 6 marzo dell'anno scorso. I mercati sono ormai arrivati alla fase esaustiva di questo movimento. Non ci saranno più correzioni né ritracciamenti superiori ai tre giorni fino al raggiungimento di un massimo definitivo." Per quel che riguarda gli obiettivi vi abbiamo dato questa indicazione: "Sembra che il top non sia imminente. Prepariamoci quindi ad un'ulteriore salita dell'S&P500. Abbiamo definito un range tra i 1200 ed i 1270 punti per il massimo definitivo di questo lungo rialzo." Stamattina le borse asiatiche sono a sorpresa deboli. I futures americani scendono del -0.5% e anche l'apertura in Europa sarà in calo. Oggi scadono le opzioni di aprile. In teoria non dovrebbe succedere molto ma proprio per questo potrebbe essere il momento ideale per un forte movimento. Il cambio EUR/USD stamattina é sceso a 1.3545. Il cambio potrebbe nelle prossime settimane risalire fino a 1.38 prima che il ribasso riprenda in direzione 1.30. L'oro é stabile a 1154 USD/oncia e resta sotto la resistenza a 1160 USD. Prossimamente dovrebbe seguire un tentativo verso l'alto. La rottura di questa resistenza segnerà l'inizio di una nuova gamba di rialzo a medio termine con obiettivo 1220 USD.

Leggete il nostro avviso o visitate il nuovo sito !!!

Passiamo ora ad esaminare la situazione (charts a sei mesi) dell'S&P500.

L'S&P500 (+0.08% a 1211 punti) non si é mosso. La fase esaustiva del rialzo segue le nostre previsioni: "Durante il fine settimana abbiamo precisato il nostro scenario per la fase finale di questo lungo rialzo dal minimo del marzo 2009. Abbiamo fissato un range 1200-1270 punti nel quale il rialzo si esaurirà senza più correggere."

Scenario 2010 (aggiornato a marzo 2010) Nel corso del 2010 ed al termine di alcuni mesi di distribuzione prevediamo una sostanziale correzione delle borse dopo il rally di marzo 2009 - gennaio 2010. Probabilmento l'S&P500 toccherà nel corso di quest'anno un minimo tra i 740 ed i 820 punti. La performance annuale dovrebbe essere negativa e l'S&P500 dovrebbe terminare il 2010 intorno ai 900 punti. Ora che la recessione sembra alle nostre spalle, le stime ufficiali per per gli utili operativi 2009 (al 3 novembre 2009) delle societâ dell'S&P500 sono risalite a 56.22 USD. Quelle per il 2010 sono addirittura al'incredibile livello di 74.99 USD. Capitalizzando gli utili 2009 con un P/E normale di 15/16 si arriva ad un valore teorico dell'S&P500 di 900 punti. In questi dati é però scontato un recupero marcato dell'economia ed un forte aumento degli utili delle imprese. Ricordiamoci che gli utili operativi 2008 delle società dell'S&P500 sono stati di 15.09 USD. Debitiamo inoltre che i dati relativi al 2010 siano realistici. In America si differenzia tra Operating Earnings (i guadagni ripuliti da tutti quelli che il Management definisce perdite o guadagni straordinari) e i Reported Earnings (che sono i soldi guadagnati o persi dalla società indipendentemente dalla loro provenienza o causa). Fino all'inizio del 2000 tra questi due valori le differenze erano trascurabili. Poi é arrivata la moda di definire tutte le grandi perdite come eventi straordinari che non vengono più attribuiti alla normale attività della società. Il risultato é una sovrastima sistematica dei guadagni. Una prova? Le stime ufficiali per i Reported Earnings 2010 per l'S&P500 sono a 45.50 USD (contro i 74.99 USD di Operating Earnings). La capacità delle società di generare profitti viene sistematicamente gonfiata. Se un giorno gli investitori aprissero gli occhi si renderebbero conto che una oggettiva valutazione dell'S&P500 con i tassi d'interesse sul USTB a 10 anni al 3.70% (stato ad inizio marzo 2010) é sui 790 punti (nostro calcolo). Immaginatevi cosa potrebbe succedere se i tassi d'interesse aumentassero! Ammettiamo che stimare ora correttamente gli utili delle società e determinare un giusto rapporto P/E per capitalizzare questo valore é un'impresa ardua. Troppe sono le variabili e le incognite. La nostra valutazione tecnica e fondamentale é però che i 1150 punti di S&P500 raggiunti a gennaio 2010 corrispondono ad una sopravalutazione. La prossima dovuta sostanziale correzione ci dirà a quale punto si trova la congiuntura mondiale.

Richiedete informazioni a analisi_tecnica@longshortinvest.com Non rispondiamo a mails anonime.

Bernasconi Consult, gestione patrimoniale e consulenza finanziaria Rütistrasse 13, CH-8702 Zollikon Tel. +41 43 499 63 84 EMail: bernasconi@longshortinvest.com

FINANZA/ La Germania sogna un nuovo euro senza l’Italia

venerdì 16 aprile 2010

Fortuna che Ue e Fmi avevano salvato la Grecia e i suoi conti pubblici da incubo! Ieri è infatti schizzato di nuovo verso l’alto il differenziale fra il rendimento dei titoli di stato tedeschi e quelli greci: lo spread è arrivato a 426 punti base, il valore più alto da una settimana, dopo che l’altro giorno era risalito oltre i 400 punti a 406 punti base.

Per quanto le autorità europee professino ottimismo, i mercati hanno tutt’altra idea rispetto a quanto sta accadendo. E ne hanno ben donde. Basta rileggere alla luce di quanto sta accadendo le parole di George Soros, durante una lecture tenuta a Londra alcuni giorni fa: «I tedeschi hanno sempre fatto le concessioni necessarie per far avanzare il progetto europeista. Ora non è più così, ecco perché l’Ue è in uno stato di stallo».

Già, nonostante “frau nein” Angela Merkel abbia abbassato i toni rispetto al salvataggio della Grecia, l’assegno tedesco deve essere ancora non solo staccato ma anche firmato: da Francoforte sono arrivate secche smentite alle voci che volevano il piano di salvataggio addirittura da 90 miliardi di euro - la Grecia deve rifinanziarne 110, 50 dei quali entro la fine dell’anno - e la Bundesbank manda segnali inequivocabili rispetto a quanto sta accadendo. Ovvero, di deciso c’è poco. Pochissimo.

Ovviamente è interesse di tutti in Europa evitare un default controllato della Grecia, di tutti tranne che della Grecia stessa. La quale, infatti, avrebbe tutto da guadagnare da una procedura di ristrutturazione del debito in stile uruguayano gestita unicamente dal Fmi: certo, al Fondo chiedono sacrifici in cambio dei soldi, ma Atene non è destinata ad anni di vacche magre anche dal piano europeo? Il quale, tra parentesi, espone il mercato a enormi sbalzi di umore: le montagne russe dello spread greco rispetto ai bund parlano infatti questa lingua. Anche perché la ricetta europea non fa che eliminare i problemi di liquidità nel breve termine, ma i rischi di insolvenza sul medio-lungo termine restano tutti quanti sul tappeto.

A Morgan Stanley stanno monitorando la situazione e il loro ultimo report dice chiaramente una cosa: «Questi problemi di insolvenza, generalizzati, potrebbero portare a una frantumazione dell’area euro e alla fine dell’unione monetaria». Ciò che vuole, sempre più chiaramente la Germania, nostalgica come non mai del suo marco e del ruolo guida del continente senza la noia di partner arretrati e indebitati come i Pigs o l’Irlanda. L’euro, signori, finirà entro il 2012, ma la sua crisi sistemica comincerà quest’anno con l’abbandono della moneta unica da parte di uno Stato membro.

È scritto, i tedeschi ci stanno lavorando dal 2006 almeno e la crisi economica innescata due anni fa dal crollo di Lehman Brothers sta facendo il loro gioco. Giova ricordare infatti, qualche particolare. Se l’America ha creato le condizioni perché la crisi finanziaria la travolgesse, l’Europa cosa ha fatto negli ultimi anni per prevenire quanto sta accadendo nel suo sistema bancario? Nulla nonostante nel corso del vertice informale tenutosi in Lussemburgo il 14 maggio del 2005 venne trovato un accordo a maggioranza su un unico punto: un memorandum d’intesa per la creazione di un piano di emergenza consistente nello scambio aperto e rapido di informazioni internazionali tra i membri su eventuali crisi in atto al fine di evitare la loro espansione al continente in una sorta di effetto domino, per fronteggiare un’ipotetica crisi finanziaria a livello europeo.

Il documento, facilmente reperibile sui siti istituzionali dell’Ue, si intitolava “Memorandum d’intesa sulla cooperazione tra supervisori bancari, banche centrali e ministri delle Finanze dell’Unione Europea su situazioni di crisi finanziaria” e si basava su otto punti, sostanzialmente una riedizione rafforzata del precedente memorandum varato nel 2003.

Nonostante si sottolineasse che questo atto non appariva vincolante per l’autonomia di intervento dei vari paesi in caso di crisi, lo scopo dell’operazione era chiaro. Ovvero, il sistema è ormai globale e nessuno di noi è un’isola. Questo nel maggio 2005. All’epoca la notizia non suscitò particolare scalpore, anche se alcuni ambienti londinesi non presero particolarmente bene la excusatio non petita del presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, affannatosi a tranquillizzare i cronisti sul fatto che l’accordo non significasse «la presenza concreta di minacce reali in tal senso a medio termine». Bluffava o lo pensava davvero?

In compenso, però, emerse che quella riunione decise che l’aprile dell’anno successivo si tenesse una simulazione di collasso bancario continentale sotto l’egida del Financial Services Committee a Francoforte. In sede Ecofin, insomma, si stava valutando l’ipotesi di una crisi finanziaria a livello europeo sul modello di quella che squassò l’Asia nel 1997-98 o di quella più limitata che nel 1992-94 toccò le regioni scandinave. A rendere il tutto ancora più credibile - lasciando in bocca un sapore di incombenza che le autorità invece negavano, Trichet in testa - fu poi la dinamica scelta per il piano di simulazione della crisi: stando agli studi dell’epoca, infatti, sarebbe stato il collasso di una grande banca operante a livello continentale a far scatenare l’effetto domino generale.

All’epoca in sede comunitaria si parlava, riferendosi all’accordo, di nulla più che di un’estensione dell’intesa già esistente tra banche centrali e regolatori (quello del 2003 citato in precedenza), sfuggì però ai più che questa “estensione” vedeva coinvolti anche i ministri delle Finanze dei 25. Sempre in seno a questa operazione gestita dall’Ecofin fu bocciata a larga maggioranza la proposta di creare un super-comitato centrale - con sede a Bruxelles - che monitorasse tutti i possibili scenari di crisi interni all’eurozona.

«I comitati non risolvono le crisi», fu il giudizio senza appello del capo del comitato per i servizi finanziari dell’Unione, l’olandese Kees Van Dijkhuizen. Il quale, interpellato dal Financial Times dopo il vertice del 14 maggio del 2005, disse: «Speriamo di occupare il nostro tempo con questioni che non ci vedranno mai diretti protagonisti, ma visto quanto accaduto in Asia e in altre parti del mondo non possiamo dire con certezza che questo non succederà mai da noi».

E come andò quella simulazione? Il 9 settembre a Helsinki si tenne una nuova riunione dell’Ecofin tesa proprio a valutare i risultati ottenuti: nessun giornale sembrò dare troppa importanza alle parole del presidente finlandese, Tarja Halonen, il quale disse in maniera molto diplomatica che il sistema Ue di vigilanza e intervento era assolutamente inadeguato. Il 12 settembre, tre giorni dopo, un solo giornale, European Report, sottolineava la pesantezza della situazione con un articolo dal titolo “L’Europa si scopre impreparata a gestire una crisi finanziaria”. Da allora, cosa è accaduto?

Alla riunione dell’Ecofin del 9 ottobre 2007, a scandalo Northern Rock già scoppiato, si discuteva di eccessive procedure sul deficit di Gran Bretagna e Repubblica Ceca, mentre il 23 gennaio di quest’anno, a crisi ormai esplosa, in Slovenia si tornava a parlare di necessità di rafforzare la cooperazione sulla supervisione. Parole. Solo parole. Come quelle, profeticamente scritte da Deutsche Bank in un outlook per gli azionisti istituzionali pubblicato più o meno nello stesso periodo, ovvero la primavera 2005: nel 2010 uno stato europeo abbandonerà l’euro dando vita a una crisi sistemica.

Purtroppo, qualcuno aveva già capito tutto e stava preparando il terreno. Le parole di George Soros, giunte proprio in questi giorni, devono essere un campanello d’allarme: uno tra Grecia e Spagna, entro quest’anno, sarà costretto ad accettare le non vincolanti condizioni che la Germania voleva porre a corredo del piano di salvataggio di Atene, ovvero fuori dall’euro chi trucca i conti o non li tiene in ordine a livello di disciplina fiscale.

Manca poco e l’atteggiamento della Bundesbank ci fa capire che ormai siamo allo showdown: il piano per salvare la Grecia, semplicemente, non serve a nulla se non a costringere Atene a dirci addio e chiedere protezione al Fmi. La fine del sogno monetario europeista è ormai all’orizzonte, cosa ci aspetterà dopo e davvero difficile dirlo.

Per Morgan Stanley, «quello greco è un pessimo precedente per tutti gli altri paesi membri. Un precedente che potrebbe trasformare l’area euro in una zona di alta pressione inflazionistica e debolezza monetaria. Nazioni con una forte stabilità come la Germania potrebbero decidere che per loro sarebbe meglio un unione monetaria più piccola ma più rigida: ma visto che il Trattato di Maastricht non permette l’espulsione di nazioni dall’area euro, la Germania potrebbe optare per un’altra scelta. Ovvero, abbandonare essa stessa l’area euro per creare una voluta più forte».

L’eventuale richiesta di opt-out greco o spagnolo, bocciata in sede comunitaria, sarebbe di fatto solo l’alibi per Berlino per andarsene: lo pensano a Morgan Stanley. Meglio dargli retta seriamente questa volta. La danza di spread e cds sul sovereign debt di questi giorni non rappresenta nulla di positivo, infatti.

http://www.ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2010/4/16/FINANZA-La-Germania-sogna-un-nuovo-euro-senza-l-Italia/3/79913/