A Copenhagen in limousine.

Dic 0911

Restringi post Espandi post

Pubblicato da Debora Billi alle 11:06 in Clima

limo.jpg

Poi dice che uno è catastrofista. Come si può avere fiducia in chi decide, e speranza per il futuro, a fronte di cotanta pervicace ottusità?

Riporta il Telegraph che il numero di limousine in circolazione in occasione del summit di Copenhagen ha superato quota 1200. Non ci sono abbastanza limousine in tutta la Danimarca per soddisfare la domanda, se le sono fatte arrivare dalle "vicine" Germania e Svezia, percorrendo centinaia di chilometri, per accontentare i pezzi da 90 (diciamola in stile Padrino, ci sta tutta).

All'aeroporto sono arrivati ben 140 jet privati, e siccome tutti insieme non ci stavano, hanno scaricato il loro prezioso carico per poi andare a cercare parcheggio a Stoccolma, in attesa di tornare a recuperare i leader. Il caro Obama invece se ne è andato a Oslo a ricevere il Nobel, poi è volato via per una scappatina a Washington, e poi ha riattraversato l'Atlantico diretto a Copenhagen che sta a due ore di auto da Oslo.

Negli alberghi da 1000 euro a notte, poi, si pasteggia a foie gras, ostriche e tartine al caviale. Tutto molto sostenibile.

Ma per fortuna al summit qualcuno ha utilizzato anche le auto ibride, ce ne rallegriamo. E quante sono?

Cinque.

http://petrolio.blogosfere.it/2009/12/a-copenhagen-in-limousine.html

IL GIORNALE: QUELLA SOVRANITA’ DELLA MONETA IN MANI PRIVATE

Data: Venerdì, 11 dicembre @ 05:51:00 CST Argomento: Economia FONTE: IL GIORNALE.IT Oggi il Giornale ha pubblicato un pezzo autodefinito “Provocazione”, in cui ribadisce che la moneta dev’essere del popolo e non di una cricca di privati. Il Giornale di Berlusconi, sembra disposto in questa lotta all’ultimo sangue, a fare scoppiare il bubbone, con un articolo che mai e poi mai i suoi detrattori, in particolare il braccio armato Repubblica e i suoi finanzieri proglobalizzazione, avrebbero mai scritto. Da far riflettere su chi sta attaccando il Premier da oltre un anno, e sugli eventuali perché. O sul tipo di conflitto intestino che sta vivendo il nostro governo… Un intestino che puzza di interferenze straniere... Nicoletta Forcheri (mercatoliberonews.blogspot.com) Abbiamo ricominciato a tremare per le banche. Abbiamo ricominciato a tremare addirittura per gli Stati, a rischio di fallimento attraverso i debiti delle banche. Si è alzata anche, in questi frangenti, la voce di Mario Draghi con il suo memento ai governanti: attenzione al debito pubblico e a quello privato; dovete a tutti i costi farli diminuire. Giusto. Ma l’unico modo efficace per farli diminuire è finalmente riappropriarsene. Non è forse giunta l’ora, dopo tutto quanto abbiamo dovuto soffrire a causa delle incredibili malversazioni dei banchieri, di sottrarci al loro macroscopico potere? Per prima cosa informando con correttezza i cittadini di ciò che in grande maggioranza non sanno, ossia che non sono gli Stati i padroni del denaro che viene messo in circolazione in quanto hanno delegato pochi privati, azionisti delle banche centrali, a crearlo. Sì, sembra perfino grottesca una cosa simile; uno scherzo surreale del quale ridere; ma è realtà. C’è stato un momento in cui alcuni ricchissimi banchieri hanno convinto gli Stati a cedere loro il diritto di fabbricare la moneta per poi prestargliela con tanto di interesse. È così che si è formato il debito pubblico: sono i soldi che ogni cittadino deve alla banca centrale del suo paese per ogni moneta che adopera. La Banca d’Italia non è per nulla la «Banca d’Italia», ossia la nostra, degli italiani, ma una banca privata, così come le altre Banche centrali inclusa quella Europea, che sono proprietà di grandi istituti di credito, pur traendo volutamente i popoli in inganno fregiandosi del nome dello Stato per il quale fabbricano il denaro. Ha cominciato la Federal Reserve (che si chiama così ma che non ha nulla di «federale»), banca centrale americana, i cui azionisti sono alcune delle più famose banche del mondo quali la Rothschild Bank di Londra, la Warburg Bank di Berlino, la Goldman Sachs di New York e poche altre. Queste a loro volta sono anche azioniste di molte delle Banche centrali degli Stati europei e queste infine, con il sistema delle scatole cinesi, sono proprietarie della Banca centrale europea. Insomma il patrimonio finanziario del mondo è nelle mani di pochissimi privati ai quali è stato conferito per legge un potere sovranazionale, cosa di per sé illegittima negli Stati democratici ove la Costituzione afferma, come in quella italiana, che la sovranità appartiene al popolo. Niente è segreto di quanto detto finora, anzi: è sufficiente cercare le voci adatte in internet per ottenere senza difficoltà le informazioni fondamentali sulla fabbricazione bancaria delle monete, sul cosiddetto «signoraggio», ossia sull’interesse che gli Stati pagano per avere «in prestito» dalle banche il denaro che adoperiamo e sulla sua assurda conseguenza: l’accumulo sempre crescente del debito pubblico dei singoli Stati. Anche la bibliografia è abbastanza nutrita e sono facilmente reperibili sia le traduzioni in italiano che i volumi specialistici di nostri autori. Tuttavia queste informazioni non circolano e sembra quasi che si sia formata, senza uno specifico divieto, una specie di congiura del silenzio. È vero che le decisioni dei banchieri hanno per statuto diritto alla segretezza; ma sappiamo bene quale forza pubblicitaria di diffusione la segretezza aggiunga alle notizie. Probabilmente si tratta del timore per le terribili rappresaglie cui sono andati incontro in America quegli eroici politici che hanno tentato di far saltare l’accordo con le banche e di cui si parla come dei «caduti» per la moneta. Abraham Lincoln, John F. Kennedy, Robert Kennedy sono stati uccisi, infatti (questo collegamento causale naturalmente è senza prove) subito dopo aver firmato la legge che autorizzava lo Stato a produrre il dollaro in proprio. Oggi, però, è indispensabile che i popoli guardino con determinazione e consapevolezza alla realtà del debito pubblico nelle sue vere cause in modo da indurre i governanti a riappropriarsi della sovranità monetaria prima che esso diventi inestinguibile. È questo il momento. Proprio perché i banchieri ci avvertono che il debito pubblico è troppo alto e deve rientrare, ma non è possibile farlo senza aumentare ancora le tasse oppure eliminare alcune delle più preziose garanzie sociali; proprio perché le banche hanno ricominciato a fallire (anche se in realtà non avevano affatto smesso) e ci portano al disastro; proprio perché è evidente che il sistema, così dichiaratamente patologico, è giunto alle sue estreme conseguenze, dobbiamo mettervi fine. In Italia non sarà difficile convincerne i governanti, visto che più volte è apparso chiaramente che la loro insofferenza per la situazione è quasi pari alla nostra. Fonte: www.ilgiornale.it Link: http://www.ilgiornale.it/economia/provocazione_quella_sovranita_moneta_mani_private/11-12-2009/articolo-id=406009-page=0-comments=1 11.12.2009
Questo Articolo proviene da ComeDonChisciotte http://www.comedonchisciotte.org/site L'URL per questa storia è: http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=6565

FINANZA/ 2. Ecco il prezzo da pagare per salvare la Grecia

venerdì 11 dicembre 2009

Signori, la crisi - quella vera, che prescinde dai sali e scendi della Borsa - è servita. Dopo i segnali incoraggianti arrivati nelle scorse settimane dal fronte occupazionale, le notizie arrivate ieri dagli Usa sono infatti contrastanti.

Se le richieste iniziali di sussidi di disoccupazione sono cresciute più delle previsioni degli analisti nei sette giorni appena conclusi, il numero complessivo si è attestato in ribasso: secondo quanto riportato dal dipartimento del Lavoro americano, nella settimana conclusasi il 5 dicembre, il numero di richieste è cresciuto di 17mila unità a 474mila, mentre gli analisti aspettavano un aumento di 8mila, e i numeri della settimana precedente sono rimasti invariati a 457mila unità.

Il dato, che arriva a una settimana di distanza dal rapporto del dipartimento del Lavoro (in novembre il tasso di disoccupazione è calato al 10% dal 10,2% precedente), si mantiene comunque a livelli alti ed è una dimostrazione del fatto che il settore dell'occupazione rimane il punto debole della ripresa economica: chissà che alla Fed, invece di continuare la caccia alle streghe contro i fondi speculativi, lo capiscano prima o poi.

Non va meglio, anzi, in Europa. «Le condizioni nel mercato del lavoro hanno seguitato a deteriorarsi. Il tasso di disoccupazione nell'area dell'euro è rimasto stabile al 9,8% in ottobre rispetto al mese precedente. Si tratta del valore più elevato dal dicembre del 1998. Nel secondo trimestre del 2009 la crescita dell'occupazione ha mostrato una flessione dello 0,5% sul periodo precedente».

È quanto si legge nel bollettino di dicembre della Banca Centrale Europea, secondo cui «in prospettiva, a seguito della netta contrazione del prodotto registrata alla fine del 2008 e all'inizio del 2009 unitamente agli attuali bassi livelli di utilizzo della capacità produttiva potrebbe risultare più difficile per le imprese seguitare a mantenere invariati i livelli di occupazione e ci si deve attendere un'ulteriore soppressione di posizioni lavorative permanenti. Nei prossimi mesi è probabile pertanto un'ulteriore crescita della disoccupazione nell'area dell'euro, ancorché a un ritmo inferiore a quello osservato nel corso dell'anno».

Ma la questione del lavoro, centrale per la tenuta stesso della società, non è paradossalmente quella prioritaria: siamo, infatti, a un passo dalla disgregazione dell'Ue. La Grecia è in default e l'Irlanda sta per raggiungerla, la Germania nel primo trimestre del prossimo anno dovrà fare i conti con le svalutazioni delle sue banche e i costi per salvarle faranno schizzare il debito pubblico a livelli inaccettabili.

L'ombrello dell'euro, a quel punto, sarà troppo piccolo e qualcuno si bagnerà. Non tanto per la gravità della situazione - devastante, inutile negarlo - quanto per il fatto che chi sarebbe preposto a trovare ricette per uscire dal pantano non sembra nemmeno accorgersi di quanto in realtà stia accadendo.

Tutti in ordine sparso, qualcuno getta acqua sul fuoco, qualcuno benzina, qualcuno ha il coraggio del realismo: nessuno, però, sa cosa fare. L'appena riconfermato presidente dell'eurogruppo, Jean Claude Juncker, ad esempio, esclude «categoricamente una bancarotta dello Stato della Grecia», nonostante «il minimo che si possa dire è che la situazione di bilancio è tesa». Tesa, un eufemismo che mette i brividi più che far sorridere visto che quest'anno il disavanzo pubblico è atteso quasi al 13% del Pil, mentre nel 2010 il debito dovrebbe superare il 120% del Pil.

Una deriva che l'altro giorno ha visto il premier lanciare una sorta di appello all'orgoglio nazionale, avvertendo che il dissesto dei conti mette a repentaglio «la sovranità della Grecia». Ieri il premier ellenico Georges Papandreou è tornato sulla questione lanciando l'idea di una riunione dei capi di tutti i partiti per lottare contro la corruzione e l'evasione fiscale, in modo da mandare «un potente messaggio all'estero», che mostri che la Grecia vuole risanare la sua economia.

In realtà, parte del problema risiede proprio nell'orientamento finora mostrato dal governo di voler risanare i conti facendo leva sulla lotta all'evasione, come dire prosciugare l'oceano con un cucchiaino da caffè. Secondo le autorità europee e gli altri paesi dell'Unione, questo ovviamente non basta e la scorsa settimana, avviando una nuova fase della procedura di deficit eccessivo sulla Grecia, i ministri delle Finanze Ue hanno chiesto misure supplementari: il piano greco, stando a quanto dichiarato da Atene, sarà pronto per gennaio.

Forse, conviene dirlo, sarà tardi poiché la situazione della Grecia è «gravissima». A dirlo non è il sottoscritto ma, a nome della presidenza di turno dell'Ue, il ministro degli Affari europei svedese Cecilia Malmstroem: «Certamente siamo inquieti. La questione non è formalmente sull'agenda del vertice Ue ma immagino che i leader parleranno informalmente della questione perché la situazione in Grecia è gravissima». Malmstroem ha aggiunto che «è una situazione difficile, che richiede tempo, coraggio politico e riforme. I greci sanno quel che devono fare ma sono in difficoltà e questo prende tempo. Comunque, siamo una famiglia e cerchiamo di sostenerci gli uni con gli altri».

Cerchiamo, appunto. Non si sa come, visto che dopo Atene toccherà a Dublino e poi via via tutti gli altri Stati che pur non andando in default dovranno pensare a preservare le proprie economie prima di tutelare quelle altrui: nell'Ue si litiga in tempi di pace, figuriamoci adesso. Ieri George Soros, speculatore tramutato in filantropo, ha detto che la Grecia non andrà in default: anzi, che «non le sarà consentito».

Verrà salvata ma il costo sarà l'accettazione della limitazione alla propria sovranità, oltre che un piano di riforme draconiano gestito dai burocrati europei: non è un caso che lo sconosciuto Herman Von Rompuy sia diventato il primo presidente della Ue. È stato “scelto” per quel ruolo e non dai partiti o dai cittadini ma da un direttorio ben preciso che vuole imporre nuove regole, prima delle quali la graduale cessione di sovranità da parte degli Stati: Grecia e Irlanda pagheranno il prezzo della sopravvivenza per prime ma certamente non saranno le uniche ad essere ridimensionate.

I default di questi giorni, da Dubai ad Atene, sono frutto di un'economia sbagliata e di investimenti folli ma hanno anche uno scopo preciso: il tempo per tamponare le situazioni prima di arrivare all'emergenza c'era ma si è lasciato che tutto scorresse. Tira la stessa aria che tirava diciassette anni fa: la Grecia verrà comprata a prezzo di saldo e colonizzata, la Spagna che tanto si vantava dei propri record dovrà accettare di perdere qualche gioiello di famiglia, l'Irlanda maledirà il suo boom da “tigre celtica”.

La geopolitica a volte non basta, come abbiamo già detto altre volte questi sono tempi di geofinanza: Lehman Brothers fu fatta crollare per colpire interessi avversi agli Usa e mandare un segnale a chi di dovere in tempi di crisi, ora sono i default statali sul debito la nuova arma. Ora, a mente fredda, il rally dell'oro trova un senso anche al di là degli hedging anti-inflattivi di Stati quantomeno folkloristici corsi però a fare man bassa nelle riserve del Fondo Monetario Internazionale: c'è sempre una regia per tutto. Chiedete al visconte Etienne Davignon per ulteriori chiarimenti.

http://www.ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2009/12/11/FINANZA-2-Ecco-il-prezzo-da-pagare-per-salvare-la-Grecia/54889/

BERNASCONI

Quando fuori é brutto tempo e c'é poco da fare meglio aspettare, rilassarsi e bere un bel té caldo. I mercati azionari rimangono in un largo trading range senza fornire indicazioni sulla direzione futura. Meglio non sviluppare scenari campati in aria ed attendere tranquillamente lo sviluppo della situazione.

Ieri gli indici azionari si sono generalmente rafforzati. Poiché il giorno prima non erano riusciti ad uscire dal trading range verso il basso, ora logicamente ritornano verso l'alto. Martedì l'S&P500 era sceso fino al supporto a 1085 punti che aveva retto e rispedito l'indice nella direzione opposta per una chiusura leggermente in positivo. Ieri l'Europa ha seguito ed il movimento verso l'alto é nuovamente continuato in America. L'S&P500 é oscillato in un range ristretto (1098-1106 punti) passando gran parte della giornata sui 1103 punti. Al termine si é fermato a 1102.35 punti (+0.58%) perfettamente in mezzo al trading range 1085 - 1120 che da settimane blocca qualsiasi tentativo di ribasso o di rialzo. I volumi di titoli trattati restano moderati, il rapporto advances/declines a 6 contro 4 rispetta la giornata positiva ma non entusiasmante. Tecnologia e Russell2000 (-0.44%) hanno sottoperformato. Interessanti invece sono i numeri riguardanti i nuovi massimi e minimi. A 20 giorni siamo a 955 contro 457 mentre a 65 giorni il rapporto é 453 a 186. I nuovi minimi sono nettamente meno dei nuovi massimi e non si espandono - non c'é quindi nessuna pressione di vendita e questo si riflette anche nell'analisi settoriale. Tranne le banche non vediamo grafici con costellazioni chiaramente negative. Conosceta la nostra opinione di base: "In questa situazione una momentanea continuazione del movimento laterale che caratterizza l'andamento delle borse delle ultime tre settimana é probabile. Tendenzialmente favoriamo poi una rottura al ribasso." Questa opinione negativa é data sopratutto dalle nostre attese sul dollaro. Al momento attuale però l'analisi grafica non ci offre nessuno spunto per una previsione attendibile mentre l'analisi strutturale ci mostra un lento miglioramento della situazione ed un possibile ritorno del trend rialzista. Nell'incertezza manteniamo vivo lo scenario presentato dieci giorni fà: "Nelle ultime due settimane l'S&P500 é rimasto in una stretta fascia di circa il 3% con un supporto sui 1085 punti ed una resistenza a 1115 punti. È ora che si muova e tecnicamente vediamo la molla compressa. Manteniamo la nostra opinione e prevediamo una rottura al ribasso per una necessaria ma (a questo punto) sorprendente correzione. Gli investitori si preparano al rally natalizio ed una cambiamento di trend sarebbe la classica sorpresa. Tenete d'occhio il dollaro americano ed in particolare l'USD Dollar Index...!" Oggi potrebbe essere essere una giornata decisiva con la pubblicazione in America dei dati sulle vendite al dettaglio. Con la chiusura settimanale cercheremo poi di fare delle previsioni attendibili sul prossimo futuro. Oscilliamo tra rialzo e ribasso ma al momento non succede niente.

Nel caso che la correzione indotta dalla forza del dollaro si concretizzasse vi ricordiamo gli obiettivi definiti due settimane fà: "...dobbiamo ora avere un calo del -3 fino ad un -5% a seconda dell'indice. Per l'S&P500 abbiamo un'obiettivo a 1050 punti mentre l'Eurostoxx50 dovrebbe ridiscendere sui 2700-2750 punti."

Il trend rialzista sugli indici azionari é strettamente correlato alla debolezza del dollaro americano. Questo a sua volta influenza i prezzi delle materie prime e dell'oro. Noi siamo convinti che il dollaro stia terminando questa fase di debolezza e stia iniziando, contro le indicazioni fornite dall'analisi fondamentale, un perido di rivalutazione. Se questa nostra teoria é corretta e l'USD Index sta formando un bottom, é probabile che gli indici azionari stiano formando un largo top a medio termine. Sembra però che questa fase prenda più tempo e sia più complessa del previsto. Ieri l'USD Index si é bloccato a 76.04. Il cambio EUR/USD é stabile a 1.4735. Il rally si é momentaneamente bloccato sotto la resistenza a 76.50 punti. Il comportamento del dollaro americano é cruciale e decide la differenza tra continuazione del rialzo e correzione sui mercati azionari. Per scatenere un ribasso sostenibile e di ampie proporzioni sui mercati azionari l'USD Index deve superare la forte ed importante resistenza a 76.50-77 punti. L'oro settimana scorsa ha toccato un massimo storico a 1226 USD/l'oncia. Tra venerdì e mercoledì é crollato finoa a 1116 USD in quello che é stato un cambiamento di tendenza e l'inizio di una sostanziale correzione. Ora si é stabilizzato sui 1138 USD/oncia. Per quel che riguarda la stretta correlazione tra USD e borse leggete il nostro nuovo articolo d'analisi fondamentale dal titolo "Carry Trade".

Passiamo ora ad esaminare la situazione (charts a sei mesi) sui singoli mercati.

L'S&P500 (+0.58% a 1102 punti) é tornato sopra i 1100 punti e nel mezzo del conosciuto trading range 1085-1120. A questo punto é difficile fare previsioni attendibili anche se noi ovviamente favoriamo un test del supporto: "L'indice é bloccato da due settimane nel trading range 1085 - 1115. È ora che ne esca. Noi, basandoci sull'improvvisa forza del dollaro americano, speculiamo su una rottura del supporto..." Fino a quando l'indice non esce (o fa un serio tentativo in questo senso) da questo range non é possibile dire in quale direzione si svilupperà. Vediamo un miglioramento strutturale che potrebbe anche aprire la strada verso l'alto ma mancano assolutamente conferme.

Il Nasdaq100 (+0.54% a 1799 punti) é tornato a ridosso dei 1800 punti. Fino a prova contraria crediamo ancora che la variante negativa delle nostre previsioni sia quella più probabile: "Nei prossimi giorni si decide l'andamento dell'indice fino a fine anno. Un superamento dell'ovvia resistenza a 1815 punti aprirebbe la strada ad una continuazione moderata del rialzo. Un ritorno sotto i 1740 punti unito ad un'ulteriore rafforzamento dell'USD potrebbe far ridiscendere l'indice sui 1650 punti."

L'Eurostoxx50 (+1.18% a 2851 punti) ha ribaltato il risultato del giorno precedente ritornando nel mezzo del range 2800-2900 punti che da settimane blocca ogni tentativo di rialzisti e ribassisti. Il movimento laterale appiattisce gli indicatori che mandano solo segnali confusi e contradittori. Manteniamo ancora il nostro scenario moderatamente negativo: "Si sta formando una testa e spalla ribassista che verrebbe confermata dalla rottura del minimo di novembre sui 2700 punti. Strutturalmente non vediamo molta debolezza e quindi ci aspettiamo ora una lenta ed irregolare discesa fino a questo supporto che dovrebbe reggere."

Il DAX (+1.08% a 5709 punti) si é comportato come l'Eurostoxx50. L'indice oscilla da settimane tra i 5600 ed i 5800 punti senza una tendenza e senza che rialzisti o ribassisti riescano ad imporsi. A questo punto evitiamo ulteriori previsioni senza supporto di evidenze tecniche ma manteniamo lo scenario negativo basato sul dollaro: "Prevediamo quindi una discesa almeno a testare il supporto a 5580-5600 punti. Una continuazione della correzione sotto questo livello dipende dal cambio EUR/USD."

L'SMI (+0.93% a 6410 punti) ha recuperato le perdite del giorno precedente. Il nostro scenario per questo indice é invariato da settimane: "Cominciamo a sentirci ridicoli a dover parlare di ribasso o rialzo guardando il grafico di un'indice che praticamente non si muove da due mesi. Fino a quando l'SMI non esce con decisione dal range 6200 - 6470 preferiamo stare zitti e lasciare l'indice oscillare lateralmente senza tendenza." Prendiamo nota che il trading range si é ampliato a 6200 - 6500 punti grazie al nuovo massimo annuale di settimana scorsa (6506) ma tendenzialmente l'indice é ancora in un movimento laterale.

Scenario fine 2009 - 2010 Per i prossimi mesi prevediamo una sostanziale correzione. Il minimo a 666 punti di S&P500 raggiunti il 6 di marzo deve essere confermato. Un nuovo minimo sotto questo livello é ormai da escludere. Probabilmento l'S&P500 toccherà nel corso dell'anno prossimo un minimo ascendente tra i 740 ed i 820 punti. Gli analisti fondamentali stanno continuamente rivedendo le stime degli utili delle società. Ad un certo momento erano scesi fin sotto i 30 USD. Ora che la recessione sembra alle nostre spalle, le stime ufficiali per il 2009 (al 3 novembre 2009) sono risalite a 56.22 USD. Quelle per il 2010 sono addirittura al'incredibile livello di 74.99 USD. Capitalizzando gli utili 2009 con un P/E normale di 15/16 si arriva ad un valore teorico dell'S&P500 di 900 punti. In questi dati é però scontato un recupero marcato dell'economia ed un forte aumento degli utili delle imprese. Ricordiamoci che gli utili operativi 2008 delle società dell'S&P500 sono stati di 15.09 USD. Debitiamo inoltre che i dati relativi al 2010 siano realistici. Di conseguenze stimare ora correttamente gli utili delle società e determinare un giusto rapporto P/E per capitalizzare questo valore é un'impresa ardua. Troppe sono le variabili e le incognite. Se gli utili risalissero solo a 50 USD e la ripresa fosse anemica (come ritiene una buona parte degli economisti), un P/E di 12 sarebbe più adeguato portando il valore teorico dell'S&P500 a 600 USD. Riassumendo, tecnicamente e fondamentalmente i 1100 punti di S&P500 raggiunti a novembre corrispondono secondo noi ad una sopravalutazione del mercato. La prossima dovuta sostanziale correzione ci dirà a quale punto si trova la congiuntura mondiale.

Richiedete informazioni a analisi_tecnica@longshortinvest.com Non rispondiamo a mails anonime.

Bernasconi Consult, gestione patrimoniale e consulenza finanziaria Zollikerstrasse 1, CH-8702 Zollikon Tel. +41 43 499 63 84 EMail: bernasconi@longshortinvest.com http://www.longshortinvest.com/4603.html

Gb, tasse sui bonus: fatta la legge, trovato l’inganno

Gb, tasse sui bonus: fatta la legge, trovato l’inganno Il piano del governo inglese, e soprattutto le previsioni di flussi di capitali derivanti dall’introduzione di una maxi-tassa sui bonus dei banchieri, potrebbero non funzionare...

Il piano del governo inglese, e soprattutto le previsioni di flussi di capitali derivanti dall’introduzione di una maxi-tassa sui bonus dei banchieri, potrebbero non funzionare. Almeno nei termini ipotizzati dall’esecutivo di Londra. Secondo gli analisti, infatti, gli introiti potrebbero risultare pari a meno della metà dei 550 milioni di sterline stimati. Il motivo? Disarmante nella sua semplicità: le compagnie finanziarie potrebbero decidere di ritardare i pagamenti ai propri dipendenti, in modo da farli rientrare in una arco temporale sottoposto a diversa tassazione.

Fatta la legge, trovato l’inganno, insomma. La norma, che è stata annunciata due giorni fa dal Cancelliere allo Scacchiere inglese Alistair Darling, introduce un’imposizione fiscale pari al 50% sui bonus discrezionali riconosciuti ai top manager, superiori alle 25 mila sterline. Si tratta dei pagamenti che saranno corrisposti entro la fine dell’anno fiscale, che si concluderà il prossimo 5 aprile. Ma, spiega in un’intervista all’agenzia Bloomberg John Whiting, del Chartered Institute of Taxation, «il messaggio implicito che sta dando il governo è di procrastinare i premi. Per questo il Tesoro potrà raccogliere tramite una simile manovra un paio di centinaia di milioni di sterline, ma faticherà molto a raggiungere le cifre ipotizzate». Dello stesso parere Michael Wistow, dello studio legale Berwin Leighton Paisner, secondo il quale i bonus verranno posticipati o, al più, ne verrà modificata la struttura, per aggirare il fisco inglese.

Nel frattempo, il presidente francese Nicolas Sarkozy ha annunciato di voler seguire la strada inglese, tassando in modo simile i banchieri del suo Paese. Ma il rischio, commenta il quotidiano Le Monde, è che tutto si trasformi in un’enorme mossa mediatica: «Le grand show de la taxation»...

http://www.valori.it/italian/index.php

IL LUNGO INVERNO DELL'ECONOMIA MONDIALE!

viaggio lapponia

Che Babbo Natale esiste, ormai non vi è alcun dubbio, ma che prima della fine di questa crisi, potessi assistere addirittura ad una sua sonora strigliata al branco di renne che ha portato la slitta dell'economia mondiale a sfracellarsi contro una serie di iceberg disseminati nell'oceano della finanza mondiale, questo era una sogno di una notte in attesa dell'alba.

Chi se non il grande Paul Volcker, poteva assumere le vesti proverbiali di un Babbo Natale che si prende il lusso di ricordare le proprie responsabilità, al "branco" di top manager finanziari, intervenuto in Inghilterra, a pochi passi dal polo nord, proverbiale dimora di Babbo Natale. Un incontro per condividere nel confessionale della "Future of Finance Initiative", organizzato dal Wall Street Journal, una riflessione sulle cause che hanno portato a questa crisi e sugli eventuali rimedi

"Innovate quanto volete, care renne, trovate tutte le migliori rotte del cielo, ma evitate d'ora in poi di mettere a rischio l'economia reale, di mettere a rischio l'arrivo a destinazione dei regali di Babbo Natale." ha suggerito Babbo Natale Paul!

Capitalizzazione del sistema bancario, poteri al Financial Stability Board e gestione del rischio, questi sono stati le riflessioni preminenti delle renne finanziarie mondiali, dimenticando l'eccesso di fantasia che Volcker non ha lesinato a ricordare:

«Cds e cdo (collateralized debt obligations) hanno portato il mondo sul ciglio del disastro. Innovate fin che volete dice ai partecipanti ma senza mettere l'economia mondiale a rischio. Vorrei che uno di voi potesse darmi l'esempio di un solo prodotto finanziario cosiddetto innovativo che abbia dato benefici allo sviluppo economico. Mi dispiace, ma le risposte che avete offerto mi paiono inadeguate». ( SOLE 24 ORE ).

Per Paul Volcker non esistono prodotti finanziari che abbiano dato benefici allo sviluppo economico, basti pensare all'imponente massa di demenze apparse in questa crisi a partire dal mercato immobiliare sino a confezionare un sintetico e irreale trasferimento del rischio.

Addirittura, uno dei più spregiudicati finanzieri d'assalto della storia, un autentico pirata, ha ricarato la dose sottolineando come trattare i credit default swaps, sia come rifilare un'assicurazione, riservandosi la licenza di uccidere!

Purtroppo, ancora oggi sono in molti coloro che si improvvisano James Bond, agenti 007 segreti che non vogliono assolutamente rinunciare all'utilizzo indiscriminato di queste armi di distruzione di massa. E' interessante notare come Bank of America e Citigroup, abbiano cercato disperatamente di restituire tutti gli aiuti del contribuente americano, per cercare di riacquistare la libertà perduta.

Ve l'ha mai raccontato nessuno, che nell'ultimo trimestrie, almeno nove decimi degli utili sfornati dalla leggenda della ripresa economica americana sono sostanzialmente derivati dal settore finanziario, relegando la stessa economia reale in un angolino sperduto del polo nord di questa crisi in attesa che anche per lei arrivi Babbo Natale.

Una riflessione immensa, va fatta sull'ultimo, ennesimo e tardivo, intervento governativo per sostenre le piccole e medie imprese, spina dorsale dell'economia americana e del nostro paese.

Avrei preferito in questa crisi assistere ad una assunzione di responsabilità generale per non assistere alla morte dell'economia di mercato, ad un mercato dove esistono oneri e onori, senza distinzione, senza distorsioni di alcun genere. Invece abbiamo dovuto assistere ad un indiscriminato e intimidatorio, presunto rischio sistemico finanziario, abbandonando al suo destino l'economia reale, abbandonando "sott'acqua" innumerevoli famiglie americane che si trovano con il mutuo residuo abbondantemente superiore al valore della propria abitazione e che attendono la prossima ondata, decisamente "options ARMs", ovvero mutui con formule di rimborso creative che contemplano l'ammortamento negativo, la massima flessibilità nelle opzioni ma non hanno scontato l'oceano di disoccupazione che si è abbattuto anche nei quartieri alti dell'economia americana.

Siamo sicuri che questi due imponenti giganti finanziari di argilla, Citigroup e Bank of America, non equivalgano al famoso tallone di Achille dell'intero sistema finanziario mondiale, siamo sicuri che il loro ritrovato vigore "creativo" finanziario, troppo grandi e fragili per essere lasciati fallire , non rappresenti un'appuntamento con il prossimo rischio sistemico.

Nel frattempo, lontani dalla virtualità di un mondo, quello finanziario che si ostina a cercare di creare una sorta di fornace inflattiva per sciogliere la deflazione glaciale dell'economia reale, su Bloomberg, scopriamo infatti che Chief executive offiicers, suppply managers e small business leaders delle aziende americane hanno sussurato che un eventuale aumento delle vendite non comporterà una automatica ripresa delle assunzioni.

Un sondaggio recente da parte dell' Institute for Supply Management ha evidenziato come le società di servizi che sembrano contare ormai per il 90 % dell'economia americana prevedano tagli aggiuntivi per il 2010. Tralasciando la pessima performance delle vendite natalizie, secondo la Business Roundtable, per il 68 % dei Ceo delle imprese in questione, nei prossimi sei mesi, le vendite aumenteranno, ma solo il 19 % prevede un contestuale aumento della forza lavoro, rispetto al 31 % che prevede una continua diminuzione.

Nell'indagine dell ISM invece solo il 15 % degli inervistati prevede un aumento del 15 % della forza lavoro, rispetto al 27 % che prevede tagli e al 58 % che continua a credere in una immutata situazione del mercato del lavoro.

Inutile ricordare a Voi tutti l'incredibile sequenza di pessimi dati macroeconomici comunicati in settimana, dall' Europa al Giappone, dati talvolta ampiamente sotto le più incredibili aspettative, la grande illusione sta per trasformarsi in un lungo inverno dell'economia mondiale.

Al di la delle previsioni e delle considerazioni accademiche su una futura ripresa dell'occupazione, come abbiamo già visto, serviranno almeno 200.000/250.000 nuovi posti di lavoro al mese per almeno un decennio, per recuperare la dignità dell'oceano di disperazione che questa crisi è riuscita a creare.

A parte il 1999, anno di grazia sulla scia della new economy, mai negli ultimi dieci anni, l'economia americana è stata in grado di creare 250.000 posti di lavoro in media al mese e in un prossimo futuro non ci sara probabilmente alcuna creatività macroeconomica come internet o l'illusione immobiliare e del debito in grado di sostenere uno strutturale ed epocale cambiamento del mercato del lavoro mondiale.

L'ordierno aggiornamento sui sussidi di disoccupazione è compatibile con almeno altri sei mesi di perdite reali di occupazione in America al di la della favola che ci racconta mensilmente il BLS, senza contare che la maggior parte delle assunzioni recenti hanno carattere di assoluta temporaneità, favorite da imponenti stimoli governativi nei settori manifatturieri e immobiliare.

Inoltre se non vi saranno sorprese o leggende metropolitane raccontate ad uso e consumo degli ammiratori di Babbo Natale, alcuni sondaggi anticipatori evidenziano la possibilità di un pessimo dato relativo alle vendite al dettaglio in uscita domani nei mercati americani.

Date un'occhiata a questo ultimo lavoro del BLS dal titolo Near Record Low Labor Turnover ci sono alcune tendenze nascoste che a molti sono sfuggite.

Tornando a noi, che Babbo Natale Bernanke, stia ancora girando smarrito nella nebbia della Madre di tutte le crisi, non vi era alcun dubbio, le sue parole pronunciate in occasione del suo disperato tentativo di arrivare sano e salvo all'obiettivo della riconferma, lo testimoniano:

" Anche se abbiamo cominciato a vedere qualche miglioramento nell'attività economica, abbiamo ancora molta strada da fare prima che possiamo essere certi che il recupero sarà autosufficiente .E' inoltre in dubbio, che il recupero sarà abbastanza forte da creare il gran numero di posti di lavoro che sono necessari per abbattere significativamente il tasso di disoccupazione. Le previsioni economiche sono oggetto di grande incertezza, ma la mia ipotesi migliore a questo punto è che noi continueremo a vedere una modesta crescita economica il prossimo anno, sufficiente a ridurre il tasso di disoccupazione, ma ad un ritmo più lento di quanto vorremmo.

Strane parole davvero, quasi un segnale esplicito in riferimento ad un lungo periodo di permanenza dei tassi a basso livello, un chiaro segnale che il mercato sembra non aver ancora recepito in maniera chiara. Alcuni di Voi ad Assisi, nei commenti e nelle mail private, ha continuato a chiedermi cosa ne pensassi in riferimento al dollaro.

Il mio pensiero è sempre stato chiaro, nessuna possibilità di assistere ad un crollo della moneta americana, ma ad una lenta discesa progressiva, non prima di aver assistito ad un ritorno di fiamma, in seguito alla seconda ondata della crisi, prevista dalle mie mappe nautiche per il prossimo anno. L'ultimo segnale è chiaro, il dollaro non ha alcuna intenzione di abbandonare lo scettro di moneta rifugio. Basterebbe dare un'occhiata all'imponente volume di transazioni commerciali e finanziarie regolate ancora in dollari per comprendere come alcune recenti considerazioni si sono basate sostanzialmente sulle paure di debiti pubblici fuori controllo.

Non mi stancherò mai di ripetere che la "Lost decade" giapponese è una mappa importante per il nostro viaggio, non è la sola, la probabilmente quella principale.

Studiando e navigando tra le crisi del passato, come abbiamo già visto, grazie anche agli splendidi lavori di Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, ma in particolare rivivendo grazie alla mia passione storica ogni istante delle crisi da quella dei tulipani sino alla Madre di tutte le crisi, non c''è ciclo economico che non abbia risentito in maniera sensibile dall'esplosione di una crisi finanziaria.

Non mesi o anni sono stati necessari per uscire dalle crisi storiche, ma lustri o decenni, spesso decenni perduti e questa è una crisi GLOBALE nella quale non vi sono isole reali di prosperità!

Le ultime vicende relative all'illusione araba e alla favola spagnola contornate da quel vulcano addormentato che sembra essere sempre stata la Grecia, ci invitano a guardare all'orizzonte, con il realismo di coloro che hanno compreso che questa crisi in fondo è un imponente cambiamento strutturale di un mondo sovradimensionato, che vuole continuare a nascondere la Realtà!

Per sostenere ICEBERGFINANZA clicca qui sotto

Icebergfinanza come un cantastorie che si esibisce nelle strade e nelle piazze delle città!

La "filosofia" di Icebergfinanza resta e resterà sempre gratuitamente a disposizione di tutti nella sua "forma artigianale", un momento di condivisione nella tempesta di questi tempi, lascio alla Vostra libertà, il compito di valutare se Icebergfinanza va sostenuto nella sua navigazione attraverso le onde di questo cambiamento epocale!

Non solo e sempre economia e finanza, ma anche alternative reali da scoprire e ricercare insieme cliccando qui sotto in ..........

Postato da: icebergfinanza a dicembre 11, 2009 02:46 | link | commenti (14)

http://icebergfinanza.splinder.com/post/21856516/IL+LUNGO+INVERNO+DELL%27ECONOMIA

La Crisi Finanziaria Spiegata Partendo da Viale Monza

  • 01:45 11/12/09
  • Questi articoli inseriti qui sotto tipo "Condomini in rosso con le spese, è boom di decreti ingiuntivi" sono utilissimi per capire la crisi finanziaria americana Quello che comincia a succedere da noi qui in questi condomini a Milano ad esempio descritti dal Corriere in cui abitano in maggioranza immigrati in America avviene su una scala 10 o 20 volte maggiore, sia per la percentuale di popolazione originaria del terzo mondo che è il 35% circa che per gli incentivi ad indebitarsi e non pagare che sono molto più estesi che da noi. Una grossa parte della crisi finanziaria ha funzionato così: pensa un attimo se oggi qualcuno prendesse i debiti accumulati da questi immigrati che a Milano non pagano da 3 anni spese di luce, acqua, gas, condominio e via dicendo e mischiandoli ad altri crediti li reimpacchettasse sotto forma di derivati esotici sul debitoe li rivendesse tramite Barclay's a Londra In America a Wall Street è successo questo ! Hanno trovato il modo negli ultimi 15 anni di sfruttare questo indebitamento cronico con i noti strumenti finanziari esotici e usando la buona reputazione degli "americani" hanno oscurato la semplice realtà: dietro ai derivati esotici sul debito venduti in tutto il mondo su mutui, credito al consumo e altro debito c'era in buona parte gente come quella descritta qui dal Corriere in Via Crespi a Milano che per una serie di motivi fa debiti che non paga. In aggiunta a Wall Street hanno avuto la complicità dei politici che volevano i voti e quindi predicavano il "diritto al mutuo" e "l'accesso al credito" senza discrimazioni (contro chi ad esempio non paga le rate!) e hanno montato una macchina complessa che ha spinto ad indebitarsi e rimandare i pagamenti con tante formule ingegnose e ovviamente l'esempio è contagioso, una volta che impari che si può non pagare ed indebitarsi lo fanno anche altri che finora non ci avevano mai pensato. Ad esempio l'Hera qui da noi non taglia più luce, acqua e gas anche se non paghi per 2 anni e accumuli 4mila euro di arretrati per famiglia, si limitano a rateizzare il debito e negoziare man mano saldi parziali e sperano forse che non si sparga la voce e si mettano a farlo anche gli italiani. Il motivo è infatti che se tagliassero luce e gas quando non paghi avrebbero ora 2 mila casi con gli immigrati, verso cui devono usare criteri elastici In più a differenza dell'Italia nessuno ha mai osato ed osa scrivere articoli come questi del corriere di quest settimana che gettano una luce negativa su immigrati e non-italiani. Sul New York Times gli articoli sui debiti cronici che accumulano in particolare gli immigrati messicani, haitiani, portoricani e altri immigrati nonchè afro-americani e indiani sono sempre centrati sui loro problemi e mai sui problemi che creano In questo modo in America la bolla del debito si è gonfiata a livelli assurdi per anni e a Wall Street ci hanno guadagnato sopra miliardi con intermediazione, commissioni, interessi, bonus e simili. E quando poi tutto come è ovvio è saltato per aria i politici e l'elite finanziaria di Wall Steet sono riusciti (Per Ora) a tappare l'enorme buco manipolando i media e ottenendo l'intervento dello stato, indebitando il bilancio pubblico e stampando moneta
    Clicca sull'immagine per ingrandirla Clicca qui per ingrandire Clicca sull'immagine per ingrandirla
http://www.cobraf.com/forum/topic.php?topic_id=2104&reply_id=205379