La Grecia accusa: «I tedeschi speculano contro di noi»

La Grecia accusa: «I tedeschi speculano contro di noi» La Germania sta permettendo alle sue banche di «speculare contro le obbligazioni greche»...

La Germania sta permettendo alle sue banche di «speculare contro le obbligazioni greche». A lanciare l’accusa è stato ieri ad Atene il vice primo ministro Theodoros Pangalos, nel corso di un forum incentrato sulle strategie d’investimento. Secondo il membro dell’esecutivo greco, Berlino «sta speculando contro i bond di un Paese partner ed amico, permettendo agli istituti finanziari di partecipare a questo gioco miserabile. E consentendo loro di guadagnarci ingenti somme di denaro».

Mentre i Paesi del Sud dell’Europa, ha proseguito Pangalos, «soffrono a causa della scarsa tenuta della moneta unica, gli esportatori tedeschi approfittano del cambio favorevole». Al di là della polemica specifica, i rapporti tra Grecia e Germania sembrano ormai incrinati, soprattutto dopo la scelta del governo guidato da Angela Merkel di opporsi ad un aiuto europeo per far uscire Atene dalla crisi. Proprio ieri, tuttavia, Berlino si è detta disponibile a discutere insieme agli altri Paesi membri dell’Ue possibili misure di sostegno, coinvolgendo anche il Fondo monetario internazionale. Una posizione di compromesso, alla quale la Merkel è stata in qualche modo costretta anche dall’opinione pubblica tedesca, nettamente contraria ad un coinvolgimento diretto della Germania nella vicenda. Ad alimentare gli attriti c’è poi la stampa tedesca, che si è recentemente scagliata contro la Grecia a più riprese (in testa il quotidiano Bild), etichettandola come spendacciona, corrotta e poco competitiva.

http://www.valori.it/italian/finanza-globale.php?idnews=2173

La Grecia, l’Europa e il salvataggio che non si può fare

Economiadi Alessandro D'Amato (Gregorj)
pubblicato il 22 marzo 2010 alle 17:22 dallo stesso autore - torna alla home

Papandreu adotta un piano di rientro estremo per tentare di salvare il Paese, che però non basterà: senza l’intervento di Bonn il default della penisola ellenica rischia di far crollare anche molti altri membri dell’UE.

Mittente: l’ Arcivescovo di Atene e del paese, Ieronymos; Destinatario: il primo ministro Papandreou. Oggetto: “La nostra pazienza è ormai esaurita”. papandreou gracia web  400x300 La Grecia, lEuropa e il salvataggio che non si può fareAnche la Chiesa, in Grecia, si sta innervosendo per la politica di ferrea austerity a cui il paese è costretto dai piani di rientro da debito e deficit. In una intervista rilasciata al settimanale ateniese Real News, Ieronymos ha sostenuto che la tassa del 20% che il governo greco ha deciso di applicare sul totale delle entrate della Chiesa è incostituzionale e avverte che farà ricorso ai tribunali greci ed europei se il progetto di legge sarà approvato dal parlamento. La Chiesa, ha spiegato il Primate, è disposta a pagare le tasse grazie ad un calcolo logico basato sulle entrate e sulle spese, pagando la tassa del 20% sul reddito netto e ha aggiunto che intende incontrare il Primo Ministro per discutere con lui del problema.

PAROLA D’ORDINE TAGLIARE TUTTO - E parliamo solo dell’ultima forza sociale che ha protestato ad alta voce con Papandreu. Scioperi, blocchi, manifestazioni bloccano un paese che non ha digerito per niente, nonostante le rassicurazioni dei politici locali all’Europa, le scelte del governo greco. Dodici manifestanti arrestati e due poliziotti feriti nell’ultima manifestazione, con le forze dell’ordine che hanno dovuto usare idranti e granate stordenti per rispondere all’assalto delle molotov, con Atene e Salonicco paralizzate. Sul banco degli imputati il piano del governo: l’esecutivo intende tagliare il deficit-Pil quest’anno del 4% dal 12,7% all’8,7%; le misure di austerity prevedono l’aumento dell’Iva dal 19% al 21%, tagli dal 30% al 60% ai bonus percepiti dai lavoratori del settore pubblico a Natale, Pasqua e in agosto (tredicesime e quattordicesime). Aumentano anche le imposte su alcool (+20%), sigarette (+65%), benzina (8 cents in più al litro), gasolio (3 cents) e beni di lusso (fra cui yacht, auto di grossa cilindrata, gioielli). I provvedimenti colpiranno anche le pensioni del settore privato, fino ad ora mai toccate dal governo, che rimarranno congelate per tutto il 2010.

NESSUNO CI SCOMMETTE SOPRA - Un piano mostruoso e con sicuri risultati shock sul bilancio, ma potrebbe non bastare, visto che pegrecia01g La Grecia, lEuropa e il salvataggio che non si può farer far tornare i conti prevede un calo del Pil solo dello 0,8% contro i pronostici del mercato oscillano tra -3% e -4%. La situazione è tutt’altro che rassicurante per la Grecia, che tra rimborsi di titoli di stato in scadenza, interessi sul debito e deficit deve raccogliere circa 55 miliardi di euro pari al 20% del Pil. E i mercati non ci credono, o, per meglio dire, scommettono che Papandreu non ce la farà: lo spread di rendimento tra titoli greci e tedeschi si è allargato bruscamente in avvio di settimana. Il differenziale di tasso tra i decennali di Grecia e Germania è arrivato a 338 punti base, ai massimi dal primo marzo, allargandosi di ben 10 punti base dai livelli di chiusura di venerdì. “A differenza della scorsa settimana, gli spread greci sembrano tornati sensibili agli sviluppi e si muovono nella direzione prevedibile dopo gli eventi del week end,” commenta Marc Ostwald, di Monument Securities. In rialzo anche il costo di assicurare il debito greco contro l’ipotesi di insolvenza. Il credit default swap è arrivato a 337,5 punti base da 330,1 venerdì alla chiusura a New York.

CROLLA IL CASTELLO DI CARTE EUROPEO? - Insomma, con queste premesse in teoria ci sarebbe poco da fare: in campo europeo bisogna intervenire per salvare la Grecia, oppure prepararsi ad affrontare un probabile default del paese. Con tutte le conseguenze che potrebbero derivare. La seconda ipotesi, in particolare, meriterebbe di essere studiata a lungo: ad esempio, dicono i più apocalittici, anche l’inizio della fine della zona euro per come oggi la conosciamo. C’è chi pronostica un effetto-domino che dal paese ellenico potrebbe propagarsi fino ai confini delle colonne d’Ercole, coinvolgendo a vario titolo Spagna, Portogallo, Inghilterra e (c’è chi dice) Italia. Il fallimento nella messa a punto di un piano di bail out potrebbe costituire “la Stalingrado delle istituzioni Ue”, con la Germania che uccide il sogno di un superstato europeo, scrive il Daily Telegraph, che si scaglia contro i banchieri tedeschi che vorrebbero lasciare la Grecia all’insolvenza: “Un default greco avrebbe due volte le dimensioni del default combinati dia Argentina e Russia. Il contagio attraverso il Club Med provocherebbe immediatamente una seconda crisi bancaria”.

E BONN SI GIRA DALL’ALTRA PARTE - Una catastrofe economica di vastissime dimensioni, anche se non è certo che le conseguenze sarebbero così npapa2 La Grecia, lEuropa e il salvataggio che non si può fareere, sia nel breve che nel medio periodo. In ogni caso, si capisce perché c’è chi tifa per il Cavaliere Bianco che salvi la principessa mediterranea. Ma in questo caso il problema è la nazionalità del Cavaliere. La Germania fa presente che un aiuto europeo è vietato dal patto di stabilità, mentre i sondaggi tra i tedeschi scoraggiano qualunque impegno economico nei confronti dello “straniero”. Andrebbe riformato il patto, dicono da Bonn, per intervenire. Mentre a Francoforte i falchi tifano per fare come Ponzio Pilato. Da parte sua, la Grecia Il Primo Ministro George Papandreou ha avuto ieri l’ennesimo colloquio telefonico con il cancelliere tedesco, Angela Merkel, parlando, secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa Ana-Mpa, della situazione nella zona dell’ euro, nonché delle sfide specifiche che la Grecia deve affrontare per far fronte ai suoi problemi economici. Papandreou ha ribadito, sempre secondo l’ agenzia Ana-Mpa, che la Grecia non ha chiesto il sostegno finanziario dei partner europei e ha esposto le posizioni di Atene su come l’Ue può rafforzare la stabilità della moneta comune.

ARRIVA L’FMI – L’aiuto potrebbe arrivare dal Fondo Monetario Internazionale, dicono i greci: un cavaliere americano salverebbe la principessa mediterranea, e questo a molti non piace. Per ragioni politiche, anche se la leadership Usa nell’Fmi è dovuta al fatto che Washington è il suo maggiore contributore, ma soltanto perché la liquidità inviata dai paesi Ue è contata per testa, invece che rapportata alla sua interezza. “Dobbiamo sostenere gli amici greci”, dice il ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner. “La presidenza spagnola della Ue lavorerà perché il principio di un aiuto finanziario alla Grecia sia fatto proprio dal Vertice Ue di giovedì e venerdì prossimi”, ha detto il ministro degli esteri Miguel Moratinos. Barroso fa sapere di essere fiducioso di un accordo al vertice, mentre il responsabile della Farnesina Franco Frattini fa sapere che “L’Italia è pronta a fare la sua parte, ed è in gioco la credibilità europea”.

MORITURI TE SALUTANT - Vero, probabilmente. Così come è vero che anche la banca centrale greca ha previsto un pil in calo del 2% nel 2010: questo costringerà Papandreou a rivedere i suoi piani, se vuole davvero rientrare. Ma il governo greco è sicuro che più di così non può chiedere al suo popolo. I tedeschi invece sono convinti di sì, o meglio: che sia comunque necessario farlo, se vuole avere prestiti dalla Ue. Il nodo è qui: uno dei due prima o poi cederà. Entro la fine della settimana l’Unione Europea dovrà decidere: pollice su, oppure all’ingiù. Nel futuro, comunque finirà questa storia, Bruxelles dovrebbe dotarsi di meccanismi per la risoluzione delle crisi, un supervisor comune bancario e una procedura di intervento sugli squilibri interni. Sempre che abbia voglia di diventare davvero una “nazione”.

http://www.giornalettismo.com/archives/56352/crisi-grecia-senza-laiuto-della/

Perché i megaricchi stanno distruggendo il pianeta

di Roberto Sestito - 23/03/2010 Fonte: cpeurasia

Riflessioni intorno al libro di Hervé Kempf

Se decido di scavare nei miei libri di storia che vanno dall’impero romano ai nostri giorni mi pare di ricordare che un impero succedeva al precedente, quando il precedente era divenuto “vecchio”e decadente ed il “nuovo” si affermava in base al concetto che aveva qualcosa di nuovo o di più “moderno” da dire e da proporre.
Non ricordo un sistema o un impero che succedesse al precedente col fermo proposito di fare un passo indietro o un ritorno al passato: i conservatori sono stati sempre battuti dai progressisti.
Su questo ragionamento che mi passa per la testa baso la mia convinzione che la catastrofe annunciata nel libro che ho appena finito di leggere (Hervé Kempf – Perché i megaricchi stanno distruggendo il pianeta – Garzanti, 2009) sia inevitabile. È inevitabile perché i popoli e i governi che li guidano non sono minimamente disposti a fare un passo indietro, a rivedere i loro modelli di sviluppo basati sul progresso indefinito e sui consumi illimitati.
Quando leggo che governi e istituti di statistica dei paesi cosiddetti emergenti si rincorrono a suon di percentuali di crescita, di numero di veicoli immatricolati, di aumenti complessivi di consumi, senza dare la minima importanza a fenomeni atmosferici catastrofici come tre mesi continui di pioggia battente in grandi capitali come San Paolo e disastri di questo genere (per non parlare dei terremoti che oltre a spostare città alterano l’asse terrestre), credo proprio che la catastrofe annunciata sia prossima, anzi è già in corso.
Provate però ad interrogare l’uomo della strada di Città del Messico o di Seul o di Mosca e vi risponderà che anche lui ha diritto, come l’uomo di Londra e di New York alla sua autovettura, alla sua coca-cola, alla sua birra e... alla sua dose di cocaina da usare i sabato sera nelle nottate di sballo collettivo. Come vedete siamo alla frutta: una intera umanità sotto il giogo di un modello economico globalizzato che sta portando alla catastrofe.
Qualcuno, per esempio gli ecologisti o i socialisti che in altri tempi predicavano la giustizia sociale e la distribuzione equa della ricchezza, sarà in grado non solo di frenare questo modello ma di cambiarlo? Non fatemi ridere!
Lasciate stare i governi, guidati dai vari Obama, Lula, Putin, Berlusconi coi loro rispettivi bagagli di buone intenzioni e di tante promesse: ma chi butta giù dai loro scranni di potere i veri padroni del mondo, seduti nei grandi centri dove si decide il valore di una moneta o le quotazioni di borsa e gli scambi finanziari e che sono i grandi responsabili dello sfruttamento delle risorse della terra e dell’ingiustizia sociale? Chi sarà in grado – questo si che sarebbe un passo indietro in senso politico e un grande passo in avanti in senso sociale ed ecologico nella coniugazione auspicata dall’autore del libro – di restituire potere e sovranità ai popoli e alle nazioni?
Io non lo vedo né oggi e né farsi largo all’orizzonte, né tra gli ambientalisti e nemmeno tra i socialisti: di conseguenza, la catastrofe annunciata sarà una catastrofe reale. E a dire il vero tutto ciò, magra consolazione, combina con tutte le profezie antiche e moderne.
D’altra parte, dov’è scritto e dov’è stabilito che la razza umana debba vivere in eterno? Potrebbe vivere se avesse almeno il buon senso di organizzarsi in una forma di vita onesta e rispettosa dell’ambiente, ma se tutti i suoi comportamenti ed azioni vanno in direzione totalmente opposta al buon senso, per non dire al resto, per quale ragione deve sopravvivere, me lo sapete dire?
Faccio un solo esempio: da oltre quarant’anni, un piccolo popolo che si considera predestinato da Dio seguace di un libro fra i più pubblicati al mondo, tortura ed opprime al fine di distruggerlo il legittimo proprietario di un piccolo territorio, e questo avviene tra l’indifferenza dei cosiddetti “grandi” della terra e dell’ONU pomposamente ritenuta l’assise più rappresentativa del pianeta.
Di fronte ad una così palese ed eclatante ingiustizia, cosa volete che facciano gli altri? Dovrebbero reagire invece di recitare il rosario, ma poiché recitano il rosario e non reagiscono, il destino della razza umana è ormai segnato. Infatti, l’avete capito o no che la globalizzazione è stata inventata solo per asservire i popoli e non per liberarli da antiche e nuove schiavitù?
Ho fatto un esempio, tra i tanti che si potrebbero fare. Il caso della Grecia: scioperi e cortei non servono più a nulla, sono strumenti del passato, come non serve andare in giro per il mondo con il cappello in mano. Il parlamento ellenico deve emettere un decreto composto da un solo articolo: NON PAGHIAMO I DEBITI, RITORNIAMO ALLA SOVRANITA’ MONETARIA E CHE I VARI SOROS E COMPAGNIA VADANO ALL’INFERNO!
Voglio dire, parafrasando l’autore del libro, che problemi come quello palestinese o greco, non vanno più lasciati unicamente alla sfera politica ma vanno integrati come problemi ambientali, geografici, nel senso che comportamenti come quelli dei sionisti o del capitalismo finanziario non fanno più solo danni politici, ma ambientali e quindi vanno classificati come armi di distruzione di massa, peggiori dell’arma atomica perché provocheranno la distruzione dell’umanità.
“La sinistra, – scrive Kempf a pag. 42 – ossia quelli per cui la questione sociale – la giustizia – resta al primo posto. Vestita con quel che resta del marxismo, ripete incessantemente le parole d’ordine del XIX secolo, in cui s’inabissa nel “realismo” del “liberismo moderato”. Così, l’emergenza sociale – segnata dall’aumento dell’ingiustizia e dalla dissoluzione dei legami di solidarietà sia privati che collettivi – che sembra ricoprire l’emergenza ecologica, serve de facto a eliminare quest’ultima dal campo.”
Alla sinistra, perciò, non resta da fare altro che un passo indietro nel tempo e nella storia, ripescare negli ideali di una sinistra nazionale libera dalle ideologie del materialismo storico e dall’utopia marxista, ma forte della saggezza popolare che nei momenti più cruciali della storia le fornì l’impeto giusto, il coraggio di reagire di fronte ai grandi soprusi e alle grandi violenze dei potentati economici.
L’autore del libro aggiunge: “Ci si imbatte dunque in ecologisti naif – l’ecologia senza il sociale - , una sinistra incollata al 1936 o al 1981 – il sociale senza l’ecologia, e in capitalisti soddisfatti: “Discutete, brava gente, e soprattutto continuate a pensarla diversamente”.
Noi, sembrano dire, siamo più bravi di voi, siamo i migliori e continueremo regolarmente a mettervelo in quel posto... mentre voi continuate a discutere e a sfilare nei cortei.
È ora quindi che la sinistra ritrovi la sua vera unitaria anima nazionale e guerriera ed anche se la guerra non dovesse vincerla e la catastrofe non potesse evitarla, almeno potrebbe dire di avere combattuto con dignità e ove necessario di essere caduta sul campo con l’onore delle armi.
Il libro va letto e meditato con calma: ma è bene far precedere la lettura da una buona camomilla perché le molte e documentate informazioni accompagnate da opportuni commenti critici potrebbero farvi imbestialire e farvi venire pericolosi istinti aggressivi... Buona lettura!
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Crisi greca e dintorni

di Gianni Duchini - 23/03/2010 Fonte: Conflitti e strategie [scheda fonte]

http://www.ansa.it/webimages/mida/medium/2010/2/24/3ceb9dfb7440ee42df4d12520cc649c8_325150.jpg

Il default del debito pubblico greco viene presentato come un problema di un paese, la Grecia, che non tocca minimamente Il Fmi (Fondo monetario Internazionale), semmai l’Unione europea, come se tutti i paesi europei non facessero parte dello stesso sistema occidentale a guida Usa. Un semplice, e scontato, occultamento dei reali interessi del dominio Usa che ha saputo scaricare, nella recente grande crisi finanziaria, le proprie insolvenze dei mutui ipotecari sul sistema Europa, attraverso le mascherature delle ingegnerie finanziarie (derivati, subprime..). Grazie, soprattutto, al giogo imposto dal predominio politico Usa fin dalla II Guerra Mondiale e che a tutt’oggi, si è ramificato nel “vincolo (del debito pubblico) di Maastricht” entro cui in l’Unione europea fu confinata, dalla sua costituzione, quale recettore finale di uno scarico finanziario degli Usa, similmente ad una pattumiera, divenuta tale per i mastodontici e dispendiosi organismi Istituzionali e finanziari europei, privi di reale autonomia politica. Così il Vecchio Continente non è in grado di contrastare la Fed (Banca Federale Usa), né, di intervenire con una certa efficacia nei recenti accordi (alquanto surreali) del “G20” tra i paesi delle maggiori macroeconomie mondiali. In questi ultimi accordi si è convenuto di attuare politiche “non convenzionali” di crescita monetaria a bassi tassi dell’interesse e di massicci interventi pubblici finanziati con emissione di titoli pubblici. Una proposta che ripete lo scenario dei primi anni Duemila, “quando per rimediare allo scoppio della bolla del Nasdaq, la Fed tenne bassi i tassi e questo pose le premesse di una nuova bolla scoppiata tra il 2007 e il 2008” con un finale da panico, all’insegna di una crescita continua di debito pubblico e di disoccupazione. Su tutto questo aleggia il peso di una colpa sconveniente per la Grecia, come intendono attribuirla alcuni paesi, quali la Germania, legata alla preoccupazione, come paese trainante dell’Europa, di caricarsi di cotanta zavorra greca. Ed anche qui qualcosa non quadra o non funziona, nel complesso sistema dell’Unione Europea: la Grecia ha effettuato le operazioni sul debito pubblico, di cui non ha registrato gli effetti sui contipubblici, perché le regole europee lo consentivano e sono state cambiate solo dopo l’attuazione. Lo stesso trattato di Maastricht trovava la propria ispirazione da un’idea centrale in linea col paese dominante (Usa), secondo cui “il trasferimento delle sovranità monetarie nazionali alla Banca Centrale Europea (Bce) escludeva ogni condivisione dell’idea di unione politica.” Un’idea espressa chiaramente dai “padri promotori” (vedi il nostro salvatore della patria, Ciampi) secondo cui l’unificazione monetaria, tramite l’Euro, doveva realizzare a sua volta, con effetto di trascinamento monetario, il completamento dell’unificazione politica. Da ultimo, il nostro ineffabile governatore di Bankitalia Draghi, in risposta alle accuse rivolte da più parti di aver contribuito al dissesto greco, truccandone i conti del bilancio pubblico, nella sua qualità di rappresentante della Goldmann Sachs, risponde in modo sornione, non allontanando tale sospetto ma, al contrario, riconfermandolo nella sostanza, quando afferma, che non fece alcuna operazione con il governo greco, perché era troppo impegnato a rilevare aziende e società private, per conto della propria banca d’affari “con governi e funzionari governativi di vari paesi e sarebbe stato molto imbarazzante chiedere loro di entrare in affari con la Goldmann Sachs”. Niente di nuovo per il governatore di Bankitalia che nel ’92, già massimo dirigente in Europa della banca d’affari Usa, concordò con Prodi presidente dell’Iri (sul noto piroscafo “Britannia”), la liquidazione di un intero sistema industriale pubblico italiano.

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SCENARIO/ Pelanda: così l’Ue può evitare di morire insieme alla Grecia

martedì 23 marzo 2010

Anche in questa settimana il caso greco sarà alla ribalta delle cronache. Tre punti critici: (a) a breve termine, Atene ha difficoltà nel rifinanziare il proprio debito pubblico perché il mercato non crede che potrà ripagarlo; (b) a medio, la disciplina di bilancio richiesta per ricostruire la credibilità finanziaria della Grecia implica tagli di spesa pubblica tali da rischiare una sommossa sociale; (c) a lungo termine, l’adozione dell’euro, moneta forte in quanto calibrata sulle prestazioni del modello tedesco ad altissima produttività, è insostenibile in un’economia poco industrializzata e produttiva come quella greca. In settimana, giovedì, dovrà prendere concretezza una soluzione del primo problema, sotto il peso degli altri due, sistemici.

È utile chiarire che Atene ha un’opzione di soluzione catastrofica, ma soluzione: non ripagare il debito, uscire dall’euro, adottando una nuova dracma svalutata. Il vantaggio sarebbe quello di ottenere subito un impulso alla crescita del Pil attraverso competitività valutaria, in particolare un aumento stellare del turismo che è volano economico per il piccolo Paese. Gli svantaggi sarebbero molto pesanti: crisi bancaria interna, rischio di megainflazione, ecc. Ma se Atene riuscisse a tenere sotto controllo l’inflazione, alla fine la mossa porterebbe più benefici che svantaggi nazionali. In particolare, la moneta sarebbe adeguata al tipo di economia, cosa che con l’euro non è.

Il punto: non bisogna sottostimare la possibilità del governo greco di praticare l’opzione estrema. Cosa farebbe la Ue in questo caso? I trattati vietano l’uscita dall’euro, ma non prevedono misure per costringere una nazione a restarvi. Una Grecia supercompetitiva sul piano valutario ridurrebbe i flussi turistici in Italia e Spagna e inonderebbe il mercato europeo con i suoi prodotti. Dovrebbe la Ue reagire mettendo dazi? Atene ha diritto di veto nella Ue. Se fosse tolto salterebbe la Ue stessa. In sintesi, non è possibile far uscire la Grecia dall’euro senza mettere a rischio sia l’euro sia, perfino, la Ue.

Inoltre il sistema bancario europeo, soprattutto tedesco è carico di titoli di debito greci che se andassero in insolvenza produrrebbero una crisi finanziaria nel continente. Ma i trattati impediscono aiuti d’emergenza della Ue, e della Bce, a un Paese nei guai. Le popolazioni delle euro-nazioni più ricche, in particolare quella tedesca, sono ostili all’uso di denari pubblici nazionali per salvare altri. In sintesi: bisogna salvare la Grecia, ma manca il mezzo istituzionale per farlo.

La soluzione a breve, infatti, sarà informale. Le banche europee più a rischio compreranno i nuovi titoli del debito greco, con una qualche garanzia indiretta dei governi. Ma il problema di un euro che non è sostenibile da economie deboli e poco produttive, con effetto impoverente e di controreazioni sociali, resterà aperto. Il mercato percepirà un rischio crescente di dissoluzione dell’eurozona fino a che non vedrà una soluzione sistemica definitiva. Ma questa richiede la formazione di una vera Unione europea con governo integrato dell’economia. Non tira aria. Ciò spiega il clima di quasi isteria che osservate nei summit europei.

Cosa fare? Suggerisco una soluzione pragmatica: congelare il caso greco, calmare le acque senza tentare cose ora impossibili. Poi capire che l’unica soluzione efficace a breve-medio termine è di svalutare l’euro per dare ossigeno (crescita export e del turismo) alle sue nazioni più deboli, accettando un pelo in più di inflazione. È un rischio, ma è il minore nello scenario.

www.carlopelanda.com

http://www.ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2010/3/23/SCENARIO-Pelanda-cosi-l-Ue-puo-evitare-di-morire-insieme-alla-Grecia/74552/

Quanta polvere c’è sotto il tappeto dei fratelli Lehman

04054_2Non è certamente ancora chiaro se, quando e con quali modalità l’attuale crisi sarà in qualche modo superata, ma appaiono comunque in sempre maggiore evidenza i diversi suoi strascichi, certamente non piacevoli, in particolare a livello di comportamento dei vari attori - finanziari e non - presenti sulla scena; questo a parte il caso dello scandalo Madoff, che non toccavano peraltro il comportamento delle istituzioni più importanti del sistema finanziario.

Abbiamo accennato in un altro articolo al caso della Goldmann Sachs e di altre istituzioni finanziarie e al loro apparentemente pessimo comportamento durante tutto lo svolgimento della crisi greca; daremo notizie anche in merito a quello della Bank of America. Ma oggi vogliamo parlare della banca di investimento Lehman Brothers, il cui caso è stato definito a suo tempo da alcuni come il più importante fallimento di tutta la storia economica americana e che ha innescato la fase più acuta della crisi che stiamo ancora per molti aspetti vivendo.

Si può intanto dire che le cose che stanno uscendo fuori stanno cogliendo di sorpresa anche gli stessi esperti statunitensi della materia. C’è voluto un anno di studi e ricerche all’esperto nominato dal tribunale, un certo signor Valukas, per stendere un rapporto di ben 2200 pagine sulla questione. Sembrano implicati nella vicenda sia quattro tra i più importanti dirigenti della banca all’epoca dei fatti che hanno portato al fallimento della società, compreso il principale responsabile dell’istituto, che anche la società di revisione contabile Ernst & Young, che uno studio legale britannico. Per i caratteri dell’episodio di cui si sta discutendo, viene in qualche modo alla memoria una rilevante analogia con il caso Enron; gli accadimenti recenti sembrano mostrare alla fine in ogni caso che, nonostante le riforme regolamentari che la crisi di allora aveva a suo tempo contribuito ad avviare, in particolare con l’approvazione del Sarbanes-Auxley Act, tutto continua tranquillamente come prima.

Dalla relazione di Valukas esce nella sostanza fuori che la società, nei mesi che precedettero il fallimento, aveva pubblicato dei conti manipolati, molto migliori di quelli reali, usando tra l’altro una tecnica simile in qualche modo alle nostre operazioni pronti contro temine. La Lehman, subito prima della data di scadenza dei conti trimestrali - che negli Stati Uniti tutte le società quotate in borsa sono obbligate a presentare - si è fatta prestare per pochi giorni dei soldi sul mercato dando in garanzia dei beni aziendali, in gran parte peraltro rappresentati da titoli tossici; il prestito avrebbe dovuto essere restituito dopo qualche tempo, con il contemporaneo ritorno in suo possesso dei beni dati in garanzia. In sé, queste transazioni non sono certo illegali, ma appaiono di uso corrente, negli Stati Uniti come in Italia, quando un operatore ha bisogno di liquidità per un periodo di tempo limitato. Il problema sta nell’avere nascosta e mascherata la vera natura delle transazioni in oggetto.

In effetti la società, invece di indicare nei suoi conti l’operazione nella sua realtà, ha fatto finta, secondo il rapporto Valukas, che si trattasse di una vendita di beni, non inserendo in bilancio il debito relativo e non esponendo nell’attivo la presenza di titoli tossici e presentando così i suoi conti come molto migliori di quanto fossero nella realtà e il livello di indebitamento invece come molto inferiore al vero. Il punto più grave della vicenda è forse quello che non si trattava di piccole somme, ma di ben 50 miliardi di dollari, almeno per quanto riguarda l’ultimo bilancio trimestrale pubblicato; la Lehman ha usato peraltro questa tecnica, che valori che toccavano molte decine di miliardi di dollari, non una sola volta, ma almeno per ben tre trimestri di seguito. Nessuno studio legale americano, stante le leggi attuali del paese, avrebbe mai apparentemente osato controfirmare quella pratica e così la banca si è rivolta ad una società britannica, la Linklaters, uno degli studi legali più reputati della City, che invece sembra non avere avuto problemi a farlo e a certificare che in effetti si trattava di una vendita. Da sottolineare, di passaggio, che il rapporto di Valukas sottolinea anche un altro problema, se vogliamo di dimensioni minori rispetto a quello precedente; la Lehman avrebbe sistematicamente gonfiato sulla carta il livello delle liquidità disponibili, anche in questo caso attraverso vari trucchi contabili.

La Lehman ha avuto apparentemente, nelle sue operazioni, come risulta dal rapporto Valukas, anche il sostegno della Ernst & Young, che a suo tempo ha certificato i conti della società nonostante che qualcuno, sembra un vicepresidente della stessa Lehman, la avesse avvertita di nascosto dei trucchi che erano stati utilizzati dall’azienda. Per inciso, la società di revisione ha incassato dalla banca di investimento statunitense per la sola revisione del bilancio del 2007 ben 31 milioni di dollari. Sia i quattro dirigenti dell’istituto newyorkese, che la società di revisione dei bilanci, che lo studio legale britannico sopra citato, negano con decisione ogni addebito, affermando di essere stati all’oscuro dei problemi legali di cui si parla.

Sulla base del rapporto dell’esperto, ci si attende ora che vengano eventualmente avviate delle procedure penali e anche civili da parte delle istituzioni e degli investitori interessati; sembra che molti tra questi ultimi stiano preparando delle denunce contro tutti gli attori coinvolti nella vicenda. Contemporaneamente, si avanza da qualche parte il dubbio che altre società coinvolte nella crisi abbiano utilizzato gli stessi trucchi della Lehman. In ogni modo, la SEC ha lanciato a suo tempo delle indagini anche in altre direzioni, apparentemente senza esito sino a questo momento. Ma le investigazioni in proposito sono molto complesse e impegnative ed esse richiedono molto tempo per essere svolte adeguatamente. Incidentalmente, l’inchiesta dell’esperto statunitense ha anche trovato tracce del fatto che la banca britannica Barclays, che ha acquistato dopo il fallimento le attività statunitensi dell’istituto newyorchese, si sarebbe impadronita illegalmente di attività dell’istituto fallito per un valore di 10 milioni di dollari. Un’inezia.

http://www.finansol.it/?p=3581