NUOVE LIMITAZIONI ALLA SOVRANITA' EUROPEA
NUOVE LIMITAZIONI ALLA SOVRANITA' EUROPEA
L'occhio di Ivan, gli allocchi ed i gufi
Pubblicato da Pietro Cambi alle 17:11 in
E' curioso ma, da quando si è scatenato il babbo di tutti gli uragani, di tutte le tempeste finanziarie. gli uragani veri, quelli a cui si da un nome femminile, perchè all'inizio sono solo delle semplici tempeste tropicali, che poi "crescono", ma qualche volta anche maschili, si sono diradati in maniera anomala.
Resta il fatto che ogni uragano che si rispetti ha il suo vortice depressionario, alias Occhio del ciclone e che noialtre Cassandre siamo specializzate in chiamare cosi ogni momentaneo calo del vento.
Personalmente, voglio fare un poco di outing, ho gridato già due volte all'occhio del ciclone, vaticinando sconquassi successivi. Rileggendo quei due post, tuttavia, devo dire che NON erano del tutto sbagliati o esagerati.
Ponevano problemi reali, che in seguito si sono, almeno parzialmente, manifestati.
Solo che, con ogni probabilità, le cose sono sempre più complicate di quanto si possa descrivere in un post di un paio di migliaia di battute.
Inoltre, mi sembra normale, in ua situazione in cui la componente psicologica è diventata fondamentale ai fini della tenuta dle sistema, il pervasivo tam tam die media ha un influsso che probabilmente non aveva avuto nelle crisi precedenti.
Resta il fatto che ormai quelli che hanno il coraggio di chiamare il lupo con il suo nome non mancano, perfino nei più paludati media finanziari.
Pur non rivelandomi niente di nuovo, si veda i miei due vecchi post, mi ha in ogni caso colpito questo articolo del titolatissimo Wall Street Journal.
In quell'articolo si leggono cose che finora avevamo letto solo sui siti più "catastrofisti", con frasi che solo le Cassandre più invereconde avevano osato vergare.
Pare di capire che si attende l'arrivo di Ivan, il terribile e che siamo solo nell'occhio, per l'ennesima volta, di un ciclone.
Ad esempio "The exploding size of that burden suggests that, short of devaluing the dollar and taking a large bite out of the middle class through inflation and taxation, there is no way to ever pay down that bill."
"la dimensione esplosiva di quel fardello ( il Debito Pubblico, ndt) suggerisce che, a parte svalutare il dollaro e dare un grosso morso alla "middle class" attraveso l'inflazione e la tassazione, non c'e' alcun modo di ripagare quel Debito".
Ed ancora "As of Sept. 30, 2009, the national debt was almost $12 trillion and interest on that debt was $383 billion for the year"
"the 2009 budget deficit to be almost $1.4 trillion (about 10% of GDP). In August, the White House Office of Management and Budget (OMB) estimated total government revenues at about $2 trillion. The revenue estimate included $904 billion from individual income taxes. This means the cost of interest on the debt represented more than 40 cents of every dollar that came in from individual income taxes."
"A Settembre 2009 il debito pubblico era di quasi 12 triliardi di dollari e gli interessi su quel debito erano di 383 miliardi di dollari l'anno"
"Il deficit di bilancio 2009 è di quasi 1300 miliardi di dollari (circa il10 del PIL) nel 2009 (come avevo scritto in un post precedente, ndt), l'ufficio del bilancio e delle finanze ha stimato che gli introiti statali totali sono di circa 2000 miliardi di dollari l'anno, di cui 904 dalle tasse sui redditi"
"Questo vuol dire che il cost degli interessi sul debito rappresenta piiu' del 40% di ogni dollaro che arriva dalla tassazione dei redditi."
Si prevede che nei prossimi dieci anni il debito pubblico americani possa quasi raddoppiare arrivando a 23.000 miliardi di dollari, ovvero il 164% del PIL attuale e, FORSE il 150% del PIL di allora.
Gli USA, qundi, supereranno di slancio il NOSTRO indebitamento pubblico ed a questo sommeranno il loro IMMANE indebitamento privato, con la conseguenza che NON potranno essee i cittadini americani a finanziare lo Stato, a "comprare" il debito ma dovranno continuare a farlo investiotri stranieri.
Impossibile, imporbabile. Anche perchè, dice l'articolo, questa è una visione ROSEA, un "BEST CASE", visto che prevede una infalzione BASSA, che è, pe i motivi accennati, improbabile.
Si ricorda che in un caso con molte analogie con lattuale, sotto la Presidenza Carter, gli interessi sui titoli di stato arrivarono al 15% .
L'articolista prosegue dicendo che è ragionevole che gli attuali bassissimi interessi, sui cui si basano le stime, ariveranno facilmente a triplicare, con le conseguenze del caso.
Se gli americani non si daranno una mossa, ed in fretta, conclude, "In stark but simple terms, unless Americans are made aware of this financial crisis and demand accountability, the very fabric of our society will be destroyed"
"in termini brutali ma semplici, a meno che gli americani non acquisiscano consapevolezza di questa crisi finanziaria e delle richieste contabili future, la stessa struttura della nostra società sarà distrutta."
Il Debito, come un buco nero, si divorerà l'interezza degli introiti dello Stato, li distribuirà a chi ha investito in dollari, per la stragrande maggioranza stranieri e la sanità. l'assistenza sociale, l'educazione, le forze armate, andranno finanziati con ulteriori prestiti, in un circolo vizioso che può solo portare al default dello Stato, all'inflazione galoppante o a tutti e due, in uno scenario tiipo Weimar.
Infine, afferma l'autore, non basta sperare che gli elettori rimeterranno le cose a posto, bisogna impegarsi attivamente per rendere consapevoli tutti dell'urgenza di rimettere a posto ORA i conti pubblici.
Beh, che dire, un bel gufaccione all'attacco, non trovate?
Di che arruolare il WSJ nelle nostre sparute quanto agguerrite file di Cssandre, no?
Eh, si, certo, peccato che si rischi di fare la figura degli allocchi, piuttosto che quella dei gufi.
Infatti il vero nocciolo e motore primo non mosso dell'articolo sta in questa frase:
"It is against this background that Washington is now debating whether to create social programs it can't afford."
"E' contro questo background che Washington sta ora dibattendo se creare programmi sociali che non può permettersi"
Ahhh, ecco , te pareva ( direbbe Debb), tutta 'sta pappardella per tirare il crocione addosso a 'sto disgraziato di Presidente cripto-comunista...
Ma risparmiare due dollari, facendo a meno di qualche sommergibile nucleare e di qualche F 22, no, almeno "concettualmente"?
Per il WSJ no, evidentemente.
Sappiatelo o' Americani: se il mondo vi cade addosso la colpa è del "medi-care"
http://crisis.blogosfere.it/2009/12/locchio-di-ivan-gli-allocchi-ed-i-gufi.html
Fondi Fas, governo e regioni: se non c’è il trucco c’è l’inganno
L’ultima seduta del Cipe di ieri avrebbe dovuto sbloccare le risorse per il famoso Piano per il Sud, ma tutto è stato rinviato. Il ministero dello sviluppo economico rimanda l’assegnazione dei finanziamenti per il centro nord. Perché in cassa non c’è un euro
L’assassino torna sempre sul luogo del delitto. Il governo, sull’utilizzo del Fas (Fondo Aree sottoutilizzate, che in gran parte coincidono con il Mezzogiorno), uno strumento che deve finanziare le politiche regionali di sviluppo del sud e – in misura più limitata – del centro-nord non finisce mai di stupire. Dopo aver fatto, come è stato scritto qui qualche mese fa, il gioco delle tre carte, dopo aver dato l’illusione di essere pronto a varare un favoloso piano per il sud, di cui si son perse le tracce ecco l’ultimo gioco: la danza immobile.
IL SUD SCIPPATO – E’ una storia già raccontata, ma è bene ripeterla ed aggiornarla. Dal suo insediamento, il governo ha usato il Fas come un bancomat, finanziandoci di tutto e prosciugando così l’unica fonte finanziaria dedicata allo sviluppo regionale. Dai 63,3 miliardi di euro iniziali la dotazione del Fas è stata tagliata a 45 miliardi di euro: 18 per le amministrazioni centrali e 27 per le Regioni, più i residui 7,3 miliardi al Fondo Infrastrutture Strategiche (Fis). Per effetto di questi tagli e delle successive riassegnazioni, al Sud sono stati sottratti 12-13 miliardi di euro. Poi in estate è seguito il grande dibattito sul Piano per il Sud. Tante chiacchiere, la proposta del ministro Tremonti della banca, un regalo alla Sicilia e l’impegno – preso alla fine di ottobre – del ministro dello sviluppo economico Scajola di portare alla successiva riunione del Cipe i piani di Campania, Puglia, Calabria, Basilicata, Molise, Sardegna, Lazio e Veneto, bloccati da mesi. Invece, niente. La beffa finale proprio nell’ultima seduta del Cipe di ieri il 17 dicembre: niente approvazione dei piani delle regioni del Sud da finanziare con il Fas. Se ne riparlerà nel 2010.
IL CENTRO NORD PRESO IN GIRO – Se il Sud piange il Centro-nord non ride: anche le regioni del nord e del centro vengono da mesi prese per i fondelli dal governo. Sempre nella famigerata seduta del 6 marzo, oltre a scippare il Fas per il Sud, il Cipe ha fatto un’altra cosa: ha preso atto dei Programmi attuativi regionali per l’utilizzo del Fas 2007-2013 presentati da Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Toscana, Umbria, Valle d’Aosta e Provincia autonoma di Bolzano. Ma con un “trucco”: il Cipe ha formulato alcune osservazioni “tecniche” sui documenti, che hanno di fatto rinviato l’emanazione del Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico che è l’atto che consentirebbe l’avvio concreto del Programma, con la messa a disposizione delle relative risorse. Le osservazioni tecniche sono secondo alti funzionari del Mise “una vera e propria “melina” tecnica, volta solo a giustificare lo stallo politico del rinvio dell’atto di trasferimento dei fondi dallo Stato alle Regioni”. Ma non è finita. Dopo la clamorosa rottura delle regioni con il governo nazionale (avvenuta anche a causa del blocco del Fas) e dopo l’accordo tra Berlusconi e le Regioni del 3 dicembre scorso, Scajola avrebbe dovuto emanare finalmente il famoso decreto ministeriale. Non lo ha ancora fatto, ma i tecnici del Mise che lo stanno scrivendo parlano di un decreto che “assegnerà le risorse alle diverse regioni, subordinando però gli atti di effettivo trasferimento dei fondi al momento in cui ci sarà la disponibilità delle risorse nel bilancio dello Stato”.
UN PROGRAMMA CHE NON PARTIRA’ MAI – Significa che le regioni, se vorranno, potranno anche iscrivere i fondi statali nei loro bilanci, ma non avranno un soldo “fino a che non ci sarà disponibilità delle risorse nel bilancio dello Stato”. Cosa che potrebbe avvenire tra 6 mesi, tra un anno, tra due. Chissà. Quindi, un programma ambizioso che vale 4 leggi finanziarie, che potrebbe dare una vera spinta al rilancio dell’economia o almeno dare un contributo a risolvere alcune carenze infrastrutturali che frenano lo sviluppo economico del sud e anche del centro nord, che ha una durata che parte nel 2007 e dovrebbe concludersi nel 2013 è fermo da due anni e lo sarà ancora a lungo. Perché non ci sono i soldi, e ormai il governo lo scrive anche nei suoi provvedimenti (tanto nessuno li legge). E le regioni italiane sono di nuovo sul piede di guerra. Vasco Errani, a nome di tutti i Presidenti, ha detto ieri: “Lo sblocco dei fondi per le aree sottoutilizzare è un punto ormai dirimente nei rapporti Stato-Regioni. E’ gravissimo che il Governo finora non abbia rispettato gli accordi presi per il via libera da parte del Cipe dei piani regionali.” Nel frattempo, si spostano i soldi, si fanno Delibere Cipe, si creano Fondi nazionali come il Fondo sociale per l’occupazione e la formazione (Ministero del lavoro, salute e politiche sociali), il Fondo infrastrutture (Ministero delle infrastrutture e dei trasporti) e il Fondo strategico per il Paese a sostegno dell’economia reale (Presidenza del Consiglio dei Ministri). Chimaimola pure danza immobile, ma si tratta semplicemente di una colossale presa in giro per tutta l’Italia, da nord a sud.
http://www.giornalettismo.com/
Panico a Detroit: disoccupazione salita al 50%
Premiato per bancarotta
Se un ingegnere difendesse una teoria che fa crollare i ponti e fa ammazzare un sacco di persone, potrebbe non essere penalmente responsabile, ma perlomeno dovrebbe essere considerato tale intellettualmente. Se poi quell’ingegnere continuasse a dispensare consigli su come costruire ponti, e magari a provare a progettarne qualcuno, si dovrebbe pensare a fare qualcosa per fermarlo, come cacciarlo dall’Albo, perseguendolo in tribunale per i suoi progetti sistematicamente erronei, fargli pagare i risarcimenti per le vittime della sua incapacità. Qualsiasi cosa, purché lui e i suoi seguaci non progettino più ponti.
In economia no. In economia al progettista folle si dà il Premio Nobel proprio mentre il ponte sta crollando. Sto ovviamente parlando di Paul Krugman, che se non è il più self-righteous dei supposti salvatori della patria tramite debiti e inflazione (la palma spetta a Brad DeLong), non è in genere carente di arroganza, e ciò spero scusi il divertito tono di questo articoletto.Il 2 Agosto del 2002, mentre io festeggiavo 23 anni, Krugman in un articolo diceva che per difendere i consumatori americani occorreva creare una bolla immobiliare per sostituire quella azionaria che era appena esplosa. Scrive:
“Consumers kept spending as the Internet bubble collapsed; they kept spending despite terrorist attacks. Taking advantage of low interest rates, they refinanced their houses and took the proceeds to the shopping malls.”
Ci si dovrebbe aspettare un responsabile “Fermiamo questa follia finché siamo in tempo”. E invece no:
“The basic point is that the recession of 2001 wasn’t a typical postwar slump, brought on when an inflation-fighting Fed raises interest rates and easily ended by a snapback in housing and consumer spending when the Fed brings rates back down again. This was a prewar-style recession, a morning after brought on by irrational exuberance. To fight this recession the Fed needs more than a snapback; it needs soaring household spending to offset moribund business investment. And to do that, as Paul McCulley of Pimco put it, Alan Greenspan needs to create a housing bubble to replace the Nasdaq bubble.”
Per Krugman ogni recessione ha qualcosa di “non-tipico” che richiede interventi particolari, parrebbe. In ogni caso, il dubbio è che stia scherzando: per uscire dalla crisi bisogna creare bolle, quindi teniamocela la crisi, altrimenti la bolla diventerà un buco nero.
Stava scherzando? No:
“Who, exactly, is about to start spending a lot more?”
In questa intervista del 2001 è ancora più chiaro (devo dire che forse l’intervista non è credibile, è una traduzione dal tedesco e non mi fiderei della fedeltà al testo, perché magari la fonte non è onesta: ma Krugman è sempre così):
“During phases of weak growth there are always those who say that lower interest rates will not help. They overlook the fact that low interest rates act through several channels. For instance, more housing is built, which expands the building sector. You must ask the opposite question: why in the world shouldn’t you lower interest rates? In Europe, growth stagnates, prices fall – everything suggests that part of Euroland’s economy is not active. Why shouldn’t the ECB try to stop the drift into deflation?”
E anche qui non scherza, nel 2001:
“Will the Fed cut interest rates enough? Will long-term rates fall enough to get the consumer, get the housing sector there in time? We don’t know.”
La bolla che ha fatto collassare i mercati finanziari è stata creata da Greenspan e sostenuta da Bernanke. I cheerleader intellettuali di questa follia sono state persone come Krugman, che forse dovrebbero riflettere sulle loro responsabilità invece che dare lezioni nel difendere gli interventi più irresponsabili che un policymaker possa concepire.
L’attuale crisi è un fallimento della discrezionalità e dell’interventismo monetari. Se avessimo avuto regole monetarie precise e politiche monetarie rigide, che non lasciavano adito ad aspettative di intervento, probabilmente non sarebbe successo nulla. Abbiamo bisogno di politiche monetarie e fiscali serie, al limite vere e proprie “non-politiche”, alla Mises, Friedman, Prescott: qualsiasi cosa ma non il fine tuning anticiclico degli apprendisti stregoni keynesiani.
Il fatto che più si fallisce più si ha successo dimostra che la politica, come processo di selezione delle scelte collettive, non funziona per niente. L’economia è una cosa troppo seria per lasciarla ai politici. E anche a certi economisti.
PS Mi aspetto una miriade di citazioni semanticamente identiche da molti altri economisti, come Stiglitz. Se qualcuno ha link, potrebbe esserci di che divertirsi.
http://www.chicago-blog.it/FINANZA/ I fondi avvoltoi pronti a far razzia in Europa
venerdì 18 dicembre 2009
Il numero di lavoratori che la scorsa settimana ha fatto richiesta di sussidi di disoccupazione negli Stati Uniti è aumentato inaspettatamente. Il dipartimento del Lavoro americano ha comunicato che le richieste iniziali di sussidi di disoccupazione sono cresciute di 7.000 unità, a 480.000 unità, nella settimana conclusasi il 12 dicembre, mentre gli analisti avevano previsto un calo di 9.000 unità.
Anche il numero di richieste che durano più di una settimana è aumentato, attestandosi a 5.186.000 con una crescita di 5.000 unità. Unico segnale positivo il fatto che la media delle quattro settimane, che riduce la volatilità del dato, è scesa a 467.500 unità, il 15esimo calo consecutivo: la media è ora al suo livello minimo dal settembre 2008.
Una notizia, questa, che ha immediatamente bloccato il corso di rafforzamento del dollaro iniziato martedì grazie alla decisione del Fed di accorciare i tempi rispetto alle politiche monetarie di emergenza - nei fatti, un segnale di aumento dei tassi nel breve termine - e alle cattive notizie che giungevano dall’Europa e facevano precipitare l’euro rispetto al biglietto verde.
Quali fossero queste brutte nuove dal vecchio Continente è noto: la crisi del debito greco che ieri ha visto il premier del paese invocare misure drastiche «a ogni costo» e l’annuncio della nazionalizzazione dell’istituto Hypo-Alpe Adra Bank International da parte del governo austriaco, la seconda operazione di salvataggio statale operata nel paese alpino.
Spiace dirlo ma ilsussidiario.net aveva parlato di questo rischio il 23 marzo scorso, utilizzando queste parole: «Johann Sebastian Bach, come tutti i grandi geni, non ha potuto godere della rivalutazione del suo talento: per decenni, infatti, le sue “Variazioni Goldberg” furono viste come un mero esercizio tecnico.
Solo nel XX secolo fu resa giustizia allo straordinario contenuto emotivo dell’opera… Di certo c’è, invece, l’aggiornamento dei cds sul default del debito dei paesi europei: a parte l’Islanda ormai fallita, che presenta qualcosa come 1037 punti base per assicurarsi contro il default del debito a cinque anni, la classifica dei “vivi” (per quanto, ancora, non si sa) vede al primo posto l’Irlanda con 347,4 punti base, seguita dalla Grecia con 259,5 punti base, dall’Austria con 255,4 punti base, dall’Italia con 196 punti base, dalla Gran Bretagna con 155 e dalla Spagna con 146 punti base. Non stupisce visto che le banche di Vienna hanno prestato all’insolvente Est europeo il 70% del Pil austriaco e ora rischiano di non vederselo rimborsato.
Se va in default l’Austria, arrivederci all’Est e alla stessa tenuta dell’area euro: non servirà più sottoporre a referendum in Irlanda il Trattato di Lisbona, l’Europa sarebbe morta e sepolta. E casualmente si è parlato, dopo la “variazione Bernhardt”, di Irlanda e Grecia guardandosi bene dal citare il caso austriaco, molto sentito dai vicini tedeschi autori del siparietto. I quali, dal canto loro, devono fare i conti con una previsione di contrazione dell’economia del 4-5% e un crollo dell’export dell’11%». I rischi per l’Europa, conviene dirlo chiaramente, sono oggi più gravi di allora. Non esiste un piano di contrasto per il default greco così come per quello irlandese, la Germania stenta nel far decollare il piano per la famosa bad bank che dovrebbe scaricare dagli assets delle proprie banche i miliardi di titoli tossici presenti, l’Austria deve sperare che la nazionalizzazione di Hypo Alpe Adra Bank International sia l’ultima a cui dover far fronte poiché la danza dei cds sul rischio di default sul debito è già partita e il Fondo Monetario Internazionale difficilmente potrà intervenire ancora sui mercati dell’Est pompando soldi virtuali e non al fine di evitare collassi a catena in Ucraina, Lettonia, Estonia e Lituania. La politica, insomma, traccheggia. Non lo fanno gli analisti, quelli che sul mercato ci operano e quasi sempre vedono in anticipo quanto accade poiché solo muovendosi in questo modo si può investire: per Steve Barrow, della Standard Bank di Londra, «Irlanda e Grecia rischiano seriamente l’uscita dall’euro, nonostante i loro due governi continuino a negare questa possibilità. Le loro difficoltà attuali sono intollerabili per i mercati». I problemi reali sono due, ora: primo, i mercati potrebbero a breve stancarsi di prestare soldi ai governi, visto lo stato di salute di molte economie europee. Secondo, le scelte delle agenzie di rating. Le quali, come si sa, possono fare il bello e cattivo tempo, scegliendo i timing migliori per il downgrading e innescando corse all’investimento speculativo sui cds. È, ad esempio, il caso della Spagna che la scorsa settimana ha visto trasformare il proprio outlook in “negative” da parte di Standard&Poor’s a causa «di un pronunciato e persistente deterioramento delle finanze pubbliche che richiederebbe forti azioni politiche per ora non poste in essere». Con un tasso di disoccupazione al 20%, José Luis Zapatero ha poco da sorridere. Difficilmente soffriranno un downgrading Gran Bretagna e Usa - anche se lo meriterebbero - mentre la catene delle bocciature potrebbe colpire la già citata Austria e l’Italia del nuovo debito pubblico record, un qualcosa di insostenibile nell’area euro. Se a questo uniamo il caos bancario che sta per scoppiare in tutto il vecchio continente, capite il motivo del pessimismo rispetto alla già non rosea previsione del marzo scorso: ieri in Borsa tutti i titoli del comparto crollavano, a Milano come a Londra come a Francoforte e Parigi. Le prossime trimestrali, forse, cominceranno a dare un primo segnale di verità rispetto alla vera esposizione dei vari istituti alla bomba dei titoli tossici, visto che senza stress tests in molti hanno ceduto alla tentazione di porre off balance molte liabilities in modo da presentarsi lindi e profittevoli al mercato: questo spiega i guadagni dei titoli nei mesi scorsi e il rally artificiale delle Borse, gonfiate da denaro pubblico e ora in fase di contrazione per l’esangue illiquidità di alcuni book. Resta da capire come i governi potranno intervenire in caso di salvataggi d’emergenza, visto che i debiti pubblici stanno per esplodere e denaro per nazionalizzazioni non ci sarà: partirà, allora, il cannibalismo, ovvero una sorta di privatizzazione di massa degli assets più fruttevoli di molti Stati in difficoltà, la logica dei vulture funds abbandonerà le razzie sui debiti dei paesi africani comprati alle banche o poi incassati a prezzo raddoppiato e si lancerà sulle parti nobili di paesi che fanno parte del G20, di alcune delle cinque, sei prime democrazie al mondo. Sarà, nei fatti, il trionfo del capitalismo globale sul principio di sovranità nazionale, con le agenzie di rating nel ruolo di direttore d’orchestra per fornire il timing giusto alle operazioni di scalata: il grande supermarket globale sta per aprirsi, la crisi alla fine verrà ricordata per il modo in cui cambierà i profili delle democrazie esistenti e dell’ordine occidentale più che per gli scatoloni dei dipendenti di Lehman Brothers. Diciassette anni dopo torna la stessa logica ma su scala globale. Prepariamoci a un 2010 denso di sorprese e cambiamenti: occhio ai cds, ci saranno sorprese già dal mese di gennaio. Qualcuno fluttuerà ma riuscirà a salvare la pelle, qualcuno invece cadrà. In tanti, invece, stanno già guadagnandoci sopra. Pesantemente. È il mercato, bellezza. http://www.ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2009/12/18/FINANZA-I-fondi-avvoltoi-pronti-a-far-razzia-in-Europa/56591/
FINANZA/ I fondi avvoltoi pronti a far razzia in Europa
venerdì 18 dicembre 2009
Il numero di lavoratori che la scorsa settimana ha fatto richiesta di sussidi di disoccupazione negli Stati Uniti è aumentato inaspettatamente. Il dipartimento del Lavoro americano ha comunicato che le richieste iniziali di sussidi di disoccupazione sono cresciute di 7.000 unità, a 480.000 unità, nella settimana conclusasi il 12 dicembre, mentre gli analisti avevano previsto un calo di 9.000 unità.
Anche il numero di richieste che durano più di una settimana è aumentato, attestandosi a 5.186.000 con una crescita di 5.000 unità. Unico segnale positivo il fatto che la media delle quattro settimane, che riduce la volatilità del dato, è scesa a 467.500 unità, il 15esimo calo consecutivo: la media è ora al suo livello minimo dal settembre 2008.
Una notizia, questa, che ha immediatamente bloccato il corso di rafforzamento del dollaro iniziato martedì grazie alla decisione del Fed di accorciare i tempi rispetto alle politiche monetarie di emergenza - nei fatti, un segnale di aumento dei tassi nel breve termine - e alle cattive notizie che giungevano dall’Europa e facevano precipitare l’euro rispetto al biglietto verde.
Quali fossero queste brutte nuove dal vecchio Continente è noto: la crisi del debito greco che ieri ha visto il premier del paese invocare misure drastiche «a ogni costo» e l’annuncio della nazionalizzazione dell’istituto Hypo-Alpe Adra Bank International da parte del governo austriaco, la seconda operazione di salvataggio statale operata nel paese alpino.
Spiace dirlo ma ilsussidiario.net aveva parlato di questo rischio il 23 marzo scorso, utilizzando queste parole: «Johann Sebastian Bach, come tutti i grandi geni, non ha potuto godere della rivalutazione del suo talento: per decenni, infatti, le sue “Variazioni Goldberg” furono viste come un mero esercizio tecnico.
Solo nel XX secolo fu resa giustizia allo straordinario contenuto emotivo dell’opera… Di certo c’è, invece, l’aggiornamento dei cds sul default del debito dei paesi europei: a parte l’Islanda ormai fallita, che presenta qualcosa come 1037 punti base per assicurarsi contro il default del debito a cinque anni, la classifica dei “vivi” (per quanto, ancora, non si sa) vede al primo posto l’Irlanda con 347,4 punti base, seguita dalla Grecia con 259,5 punti base, dall’Austria con 255,4 punti base, dall’Italia con 196 punti base, dalla Gran Bretagna con 155 e dalla Spagna con 146 punti base. Non stupisce visto che le banche di Vienna hanno prestato all’insolvente Est europeo il 70% del Pil austriaco e ora rischiano di non vederselo rimborsato.
Se va in default l’Austria, arrivederci all’Est e alla stessa tenuta dell’area euro: non servirà più sottoporre a referendum in Irlanda il Trattato di Lisbona, l’Europa sarebbe morta e sepolta. E casualmente si è parlato, dopo la “variazione Bernhardt”, di Irlanda e Grecia guardandosi bene dal citare il caso austriaco, molto sentito dai vicini tedeschi autori del siparietto. I quali, dal canto loro, devono fare i conti con una previsione di contrazione dell’economia del 4-5% e un crollo dell’export dell’11%». I rischi per l’Europa, conviene dirlo chiaramente, sono oggi più gravi di allora. Non esiste un piano di contrasto per il default greco così come per quello irlandese, la Germania stenta nel far decollare il piano per la famosa bad bank che dovrebbe scaricare dagli assets delle proprie banche i miliardi di titoli tossici presenti, l’Austria deve sperare che la nazionalizzazione di Hypo Alpe Adra Bank International sia l’ultima a cui dover far fronte poiché la danza dei cds sul rischio di default sul debito è già partita e il Fondo Monetario Internazionale difficilmente potrà intervenire ancora sui mercati dell’Est pompando soldi virtuali e non al fine di evitare collassi a catena in Ucraina, Lettonia, Estonia e Lituania. La politica, insomma, traccheggia. Non lo fanno gli analisti, quelli che sul mercato ci operano e quasi sempre vedono in anticipo quanto accade poiché solo muovendosi in questo modo si può investire: per Steve Barrow, della Standard Bank di Londra, «Irlanda e Grecia rischiano seriamente l’uscita dall’euro, nonostante i loro due governi continuino a negare questa possibilità. Le loro difficoltà attuali sono intollerabili per i mercati». I problemi reali sono due, ora: primo, i mercati potrebbero a breve stancarsi di prestare soldi ai governi, visto lo stato di salute di molte economie europee. Secondo, le scelte delle agenzie di rating. Le quali, come si sa, possono fare il bello e cattivo tempo, scegliendo i timing migliori per il downgrading e innescando corse all’investimento speculativo sui cds. È, ad esempio, il caso della Spagna che la scorsa settimana ha visto trasformare il proprio outlook in “negative” da parte di Standard&Poor’s a causa «di un pronunciato e persistente deterioramento delle finanze pubbliche che richiederebbe forti azioni politiche per ora non poste in essere». Con un tasso di disoccupazione al 20%, José Luis Zapatero ha poco da sorridere. Difficilmente soffriranno un downgrading Gran Bretagna e Usa - anche se lo meriterebbero - mentre la catene delle bocciature potrebbe colpire la già citata Austria e l’Italia del nuovo debito pubblico record, un qualcosa di insostenibile nell’area euro. Se a questo uniamo il caos bancario che sta per scoppiare in tutto il vecchio continente, capite il motivo del pessimismo rispetto alla già non rosea previsione del marzo scorso: ieri in Borsa tutti i titoli del comparto crollavano, a Milano come a Londra come a Francoforte e Parigi. Le prossime trimestrali, forse, cominceranno a dare un primo segnale di verità rispetto alla vera esposizione dei vari istituti alla bomba dei titoli tossici, visto che senza stress tests in molti hanno ceduto alla tentazione di porre off balance molte liabilities in modo da presentarsi lindi e profittevoli al mercato: questo spiega i guadagni dei titoli nei mesi scorsi e il rally artificiale delle Borse, gonfiate da denaro pubblico e ora in fase di contrazione per l’esangue illiquidità di alcuni book. Resta da capire come i governi potranno intervenire in caso di salvataggi d’emergenza, visto che i debiti pubblici stanno per esplodere e denaro per nazionalizzazioni non ci sarà: partirà, allora, il cannibalismo, ovvero una sorta di privatizzazione di massa degli assets più fruttevoli di molti Stati in difficoltà, la logica dei vulture funds abbandonerà le razzie sui debiti dei paesi africani comprati alle banche o poi incassati a prezzo raddoppiato e si lancerà sulle parti nobili di paesi che fanno parte del G20, di alcune delle cinque, sei prime democrazie al mondo. Sarà, nei fatti, il trionfo del capitalismo globale sul principio di sovranità nazionale, con le agenzie di rating nel ruolo di direttore d’orchestra per fornire il timing giusto alle operazioni di scalata: il grande supermarket globale sta per aprirsi, la crisi alla fine verrà ricordata per il modo in cui cambierà i profili delle democrazie esistenti e dell’ordine occidentale più che per gli scatoloni dei dipendenti di Lehman Brothers. Diciassette anni dopo torna la stessa logica ma su scala globale. Prepariamoci a un 2010 denso di sorprese e cambiamenti: occhio ai cds, ci saranno sorprese già dal mese di gennaio. Qualcuno fluttuerà ma riuscirà a salvare la pelle, qualcuno invece cadrà. In tanti, invece, stanno già guadagnandoci sopra. Pesantemente. È il mercato, bellezza. http://www.ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2009/12/18/FINANZA-I-fondi-avvoltoi-pronti-a-far-razzia-in-Europa/56591/
BERNASCONI
Gli uccelli si avventurano sul ghiaccio sottile che dovrebbe reggere il loro peso ridotto. Ieri gli indici azionari sono caduti dopo i parziali nuovi massimi annuali del giorno precedente. I mercati restano in un'equilibrio instabile minato da un dollaro forte. Il trend positivo dovrebbe reggere fino a gennaio dell'anno prossimo ma attenzione - il ghiaccio é sottile...
Ieri sono state le prese di beneficio a dominare gli avvenimenti. Il dollaro forte e le difficoltà di Citigroup a raccogliere capitali hanno spinto gli investitori a vendite sporadiche. In vicinanza della scadenza odierna di opzioni e futures é logico che la volatilità aumenti e molte transazioni siano causate solo da aspetti tecnici piuttosto che da riflessioni fondamentali. Il risultato é stato un calo generale degli indici di circa l'1%. Peccato poiché dopo i nuovi massimi del giorno precedente avremmo sperato in una conferma del trend positivo sotto forma di un'accelerazione al rialzo. Tendenzialmente restiamo positivi e conoscete le nostre ragioni: "In mancanza di segnali decisamente negativi é quindi più probabile che il trend rialzista iniziato a marzo trovi un completamente con un breve balzo verso la fine dell'anno." e "Al momento attuale però l'analisi grafica non ci offre nessuno spunto per una previsione attendibile e dobbiamo aspettare che una rottura nell'una o nell'altra direzione ci indichi la via da seguire. L'alternativa sarebbe un miglioramento o un deterioramento della situazione strutturale - per ora non si delinea nessuna delle due variati. L'ultimo aspetto da considerare é quello stagionale. In un'anno come questo, statisticamente le ultime settimane di contrattazioni e la prima settimana di gennaio si concludono positivamente. Un rally di fine d'anno é più probabile che una correzione." Il problema restano le borse americane che non mostrano nessuna intenzione di voler uscire dal trading range delle ultime settimane. Ieri abbiamo avuto un'ulteriore calo generale dell'1% con il settore bancario (indice BKX) graficamente a rischio di ribasso. L'S&P500 ha chiuso a 1096 punti (-1.18%) scendendo sotto la barriera psicologica dei 1100 punti e nella parte inferiore del trading range 1085 - 1120. Malgrado ciò i rapporti NH e NL restano costruttivi. A 20 giorni abbiamo 596 nuovi massimi contro 721 nuovi minimi - considerando che adesso l'indice é a 10 punti del supporto l'espansione dei nuovi minimi é limitata. Ripetiamo la considerazione conclusiva di ieri che si rivela finora corretta: "Naturalmente se l'S&P500 non riesce a superare i 1120 punti é impossibile che il rialzo europeo continui. Crediamo però che questa volta siano i mercati europei a mostrare la strada giusta e l'America seguirà. Non aspettiamoci molto. Il nostro obiettivo si situa a 1140-1150 punti di S&P500 per la prima settimana di gennaio 2010. Questo corrisponde a circa 3000 punti sull'Eurostoxx50." Oggi é una giornata da dimenticare. Gli avvenimenti saranno dominati dalle scadenze tecniche dei derivati - prevediamo volatilità ma per saldo pochi cambiamenti sostanziali.
Ieri l'USD Index é balzato a 77.69 punti (+0.91%) con un massimo a 77.94. Il cambio EUR/USD stamattina é sceso a 1.4380. Nella fase di rialzo delle borse il dollaro era strettamente correlato agli indici azionari. Dollaro debole corrispondeva a borse forti. Ora l'USD Index ha superato di slancio la forte ed importante resistenza a 76.50-77 punti confermando che il trend sul dollaro é cambiato e la moneta americana ha iniziato l'attesa fase di rivalutazione. Questo fatto non é però al momento in grado di scatenare una correzione sulle borse. Per ora il rialzo degli indici azionari americani si é bloccato ma la correlazione dollaro-borse non sembra funzionare bene nella direzione opposta. Abbiamo invece l'impressione che le borse europee potrebbero approfittare della debolezza dell'Euro. L'oro é logicamente caduto fino a 1095 USD/oncia per recuperare stamattina a 1106 USD/l'oncia - la correzione dai massimi continua ed ha il potenziale di far ridiscendere il valore del metallo giallo sotto i 1000 USD. Per quel che riguarda la correlazione tra USD e borse leggete il nostro articolo d'analisi fondamentale dal titolo "Carry Trade".
Passiamo ora ad esaminare la situazione (charts a sei mesi) sui singoli mercati.
L'S&P500 (-1.18% a 1096 punti) é nuovamente caduto sotto la barriera dei 1100 USD. Preoccupa la mancanza di reazione durante la seduta e la chiusura sul minimo. L'indice rimane bloccato nel conosciuto trading range 1085-1120 ed ora potrebbe seguire un serio test del supporto. Il massimo discendente di inizio settimana costituisce una struttura grafica preoccupante ma fino a quando non vediamo un tentativo verso il basso preferiamo non esternare pessimismo. Lunedì abbiamo concluso con questa frase: "Fino a quando l'indice non esce (o fa un serio tentativo in questo senso) da questo range non é possibile dire in quale direzione si svilupperà." Malgrado il calo di ieri, dovuto forse a fattori tecnici legati alle scadenze odierne, manteniamo quindi l'ottimismo: "L'indice sale verso la resistenza e sembra sostenuto da trasporti e aziende elettriche (utilities). Il dollaro non vuole frenare il movimento. A questo punto abbiamo l'impressione che nelle prossime settimane un nuovo massimo marginale é possibile (1140-1150 punti) - non abbiamo però ancora nessuna conferma tecnica."
Il Nasdaq100 (-1.25% a 1778 punti) é stato respinto verso il basso dopo che ieri aveva toccato nuovamente la resistenza e massimo annuale a 1815 punti. Conoscete la nostra valutazione: "Un superamento dell'ovvia resistenza a 1815 punti aprirebbe la strada ad una continuazione moderata del rialzo. Un ritorno sotto i 1740 punti unito ad un'ulteriore rafforzamento dell'USD potrebbe far ridiscendere l'indice sui 1650 punti." Ripetiamo la nostra previsione di inizio settimana: "Finora eravamo piuttosto negativi basandoci su considerazioni legate al dollaro. Ora però pensiamo che l'aspetto stagionale diventa più importante e prevediamo che per fine anno un nuovo massimo annuale sia possibile." A corto termine il trend é rialzista ma ora la fascia di supporto a 1740-1760 punti diventa molto importante. A questo livello si riuniscono il supporto statico a 1740, la linea di trend e la media mobile a 50 giorni.
L'Eurostoxx50 (-1.19% a 2891 punti) ha perso il guadagno del giorno precedente tornando tristemente sotto i 2900 punti. Speravamo in un'accelerazione al rialzo ed in un'attacco del massimo annuale ma così siamo ritornati indietro di alcuni giorni: "Tecnicamente non vediamo ragioni per un forte movimento in una o nell'altra direzione (trading range tra i 2800 ed i 2900 punti). Viste le nostre considerazioni riguardanti gli indici americani e la buona reazione di ieri é però possibile che nelle prossime settimane l'Eurostoxx50 riesca a muoversi sopra il massimo annuale a 2962 punti e toccare i 3000 punti." Stamattina l'Eurostoxx50 riparte da 2895 punti. Speriamo in una chiusura sui 2900 punti e mantenamo lo scenario rialzista: "....fino alla prima settimana di gennaio il trend dovrebbe rimanere positivo ma non aspettatevi troppo (obiettivo a 3000 punti)."
Il DAX (-1.00% a 5844 punti) é stato respinto verso il basso dopo il nuovo massimo annuale del giorno precedente (5903). L'indice é rimasto sopra i 5820 punti e tecnicamente in una posizione forte. Vi ricordiamo a questo proposito quanto scritto alcuni giorni fà: "L'indice oscilla da settimane tra i 5600 ed i 5800 (5820) punti senza una tendenza e senza che rialzisti o ribassisti riescano definitivamente ad imporsi. (...) se riuscisse finalmente ad allontanarsi verso l'alto da questo livello, il massimo annuale a 5888 punti potrebbe venir raggiunto e superato nel corso della settimana." Stamattina l'indice apre leggermente meglio sui 5854 punti. Manteniamo la nostra opinione positiva: "Pensiamo però che adesso il trend dovrebbe restare rialzista fino alla prima settimana di gennaio 2010 - ovvio obiettivo a 6000 punti."
L'SMI (-0.66% a 6489 punti) ha perso meno che gli altri indici europei ma é tornato sotto i 6500 punti lasciando aperta la possibilità di una falsa rottura al rialzo. Non scartiamo quindi ancora lo scenario che ci segue ormai da settimane: "Cominciamo a sentirci ridicoli a dover parlare di ribasso o rialzo guardando il grafico di un'indice che praticamente non si muove da due mesi. Fino a quando l'SMI non esce con decisione dal range 6200 - 6470 (6505) preferiamo stare zitti e lasciare l'indice oscillare lateralmente senza tendenza." Manteniamo la nostra opinione costruttiva malgado la mancanzo di conferme tecniche: "Come per le altre piazze finanziarie prevediamo ora un test della resistenza - nuovi massimi per fine anno, rispettivamente per la tradizionalmente positiva prima settimana di gennaio sono possibili."
Scenario fine 2009 - 2010 Per i prossimi mesi prevediamo una sostanziale correzione. Il minimo a 666 punti di S&P500 raggiunti il 6 di marzo deve essere confermato. Un nuovo minimo sotto questo livello é ormai da escludere. Probabilmento l'S&P500 toccherà nel corso dell'anno prossimo un minimo ascendente tra i 740 ed i 820 punti. Gli analisti fondamentali stanno continuamente rivedendo le stime degli utili delle società. Ad un certo momento erano scesi fin sotto i 30 USD. Ora che la recessione sembra alle nostre spalle, le stime ufficiali per il 2009 (al 3 novembre 2009) sono risalite a 56.22 USD. Quelle per il 2010 sono addirittura al'incredibile livello di 74.99 USD. Capitalizzando gli utili 2009 con un P/E normale di 15/16 si arriva ad un valore teorico dell'S&P500 di 900 punti. In questi dati é però scontato un recupero marcato dell'economia ed un forte aumento degli utili delle imprese. Ricordiamoci che gli utili operativi 2008 delle società dell'S&P500 sono stati di 15.09 USD. Debitiamo inoltre che i dati relativi al 2010 siano realistici. Di conseguenze stimare ora correttamente gli utili delle società e determinare un giusto rapporto P/E per capitalizzare questo valore é un'impresa ardua. Troppe sono le variabili e le incognite. Se gli utili risalissero solo a 50 USD e la ripresa fosse anemica (come ritiene una buona parte degli economisti), un P/E di 12 sarebbe più adeguato portando il valore teorico dell'S&P500 a 600 USD. Riassumendo, tecnicamente e fondamentalmente i 1100 punti di S&P500 raggiunti a novembre corrispondono secondo noi ad una sopravalutazione del mercato. La prossima dovuta sostanziale correzione ci dirà a quale punto si trova la congiuntura mondiale.
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