Nigeria: Henry Okah.

Gen 1014

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Pubblicato da Debora Billi alle 13:34 in Current Affairs

okah.jpgCome immaginate voi il capo dei ribelli del Delta del Niger? Sicuramente non così. Di Henry Okah non si è mai saputo nulla qui da noi, non se ne conosceva neppure l'esistenza, e in ogni caso un leader dei ribelli nigeriani lo si sarebbe immaginato con la lancia e e lo sguardo assetato di sangue. D'altronde, la stampa locale li descrive tutti come criminali e trafficanti.

Invece Okah, leader del MEND, è un normalissimo ingegnere navale. Chi lo avrebbe mai detto.

Potete leggere la sua incredibile e difficile storia qui (ha anche subìto la tortura), un eroe che non ha nulla da invidiare, appunto, a quelli di Avatar. Grazie a Sandro Kensan e al suo link nel post di ieri.

http://petrolio.blogosfere.it/2010/01/nigeria-henry-okah.html

Chiedi e ti sarà dato

Inchiestadi Luca Conforti
pubblicato il 14 gennaio 2010 alle 10:30 dallo stesso autore - torna alla home

Anno nuovo, vita nuova? Nemmeno per idea. In Borsa si continua a giocare coi soldi dei risparmiatori che sembrano sempre più contenti di farsi spennare.

Una sintesi della filosofia con cui le imprese arrivano e vivono la propria filosofia in borsa in Italia, non bisogna cercarla nelle massime di Warren Buffet e nemmeno negli strali di Galbraith contro le moderne società per azioni. Basta, più modestamente, citare il rapper Frankie Hi Nrg e il ritornello della sua canzone Chiedi Chiedi.

NEWS 1246297342 borsa Chiedi e ti sarà datoIERI E DOMANI – Nel 2009 la società quotate hanno chiesto come non mai, tra ristrutturazioni e aumenti di capitale, tutto a carico di azionisti vecchi e nuovi: 18,5 miliardi di euro è il computo totale delle ricapitalizzazioni nell’anno appena trascorso, divise tra 28 gruppi/società. Le 6 operazioni già deliberate per gennaio-febbraio 2010, guidate dai 4 miliardi del nuovo aumento di Unicredit, dimostrano che si potrebbe persino battere il record. Le iniezioni di nuovo capitale valgono 1,5% del Pil nazionale, di gran lunga il più importante sostegno all’imprenditoria realizzato durante questa recessione: tutti soldi privati e direttamente dalle tasche dei risparmiatori. La spiegazione più ovvia è sostanzialmente falsa: sarebbe bello scoprire che proprio dal mercato azionario sono arrivati i capitali più a buon mercato per sostenere le aziende trovatesi prive di una quota importante del loro fatturato e della disponibilità delle banche a concedere credito. Questo significherebbe che il valore creato dalla ripresa tornerà nelle tasche di chi ha rischiato e dato fiducia alle Spa in difficoltà. La recessione 2008-2009, e ancor prima il crollo dei mercati immobiliare e finanziario, è stata l’occasione per reiterare le care vecchie. La musica è sempre la stessa.

WE ARE THE CHAMPIONS – A smontare l’idea che la richiesta dei capitali sia un segnale dell’utilità del mercato azionario nel dare flessibilità al sistema economico nei momenti di crisi basta la considerazione che le due operazioni più importanti Enel (8 miliardi) e Snam (3,5) ci sarebbero state comunque. Entrambe sono dettarisparmiare sullenergia elettrica Chiedi e ti sarà datote dalle strategie di crescita delle capogruppo coinvolte, mai messe in discussione dall’azionista pubblico, sempre disposto ad assecondare le richieste dei propri campioni nazionali anche quando è evidente che ci rimetterà del denaro come qualsiasi altro socio. Enel ha finanziato così la sua costosissima campagna di crescita internazionale, Eni invece ha trasformato in moneta sonante alcuni asset (Italgas e Stogit), difficilmente vendibili a chiunque, spostandoli alla controllata Snam Rete Gas. In pratica Snam ha chiesto soldi al mercato per l’acquisto e ha girato il tutto alla capogruppo. L’ad di Eni, Paolo Scaroni, peraltro si prepara a incassare due volte visto che potrebbe anche vendere un parte del 50% posseduto di questa “nuova” Snam. Gli azionisti Eni ed Enel invece hanno dovuto contabilizzare un calo del valore dei loro titoli per effetto dell’aumento della carta in circolazione e la prospettiva (certa nel caso di Enel, probabile nel caso di Eni) di una riduzione dei generosi dividendi percepiti finora.

ANCORA TU? – Un’altra pattuglia di ricapitalizzazioni “patologiche” è quella delle società in crisi da molti anni e che vivacchiano tra quasi-fallimenti, rinascite, piani disperati e salvataggi improbabili. A questa categoria appartengono Seat Pagine Gialle, Tiscali, Camfin, Pininfarina e Chl: paradossalmente per costoro la difficoltà generalizzata dei settori in cui operano si è rivelata utile nell’ottenere dal mercato un’ennesima possibilità senza che le loro deludenti performance del passato spiccassero rispetto alla solidità dei concorrenti. Naturalmente le storie aziendali differiscono, così come i demeriti dei manager e dei proprietari, ma non c’è dubbio che Seat o Tiscali avevano bisogno di nuovo denaro già nel 2007 e nel 2009 sono riuscite ad ottenerlo con sorprendente facilità.

L BALLO DEL MATTONE – Più scontato trovare ben 6 società immobiliari (Ipi, Pirelli Re, Gabetti, Uniland, Aedes, Risanamento per 900 milioni complessivi) costrette a presentarsi con il cappello in mano a Piazza Affari. Ricapitalizzazione rischiose per chi vi ha aderito visto che sono tutti gruppi molto indebitati i cui attivi (gli immobili 347czkk Chiedi e ti sarà datoposseduti) hanno perso di valore e lo recupereranno molto lentamente. Eppure tranne alcune situazioni molto compromesse (Ipi e Risanamento su tutte) queste operazioni sono tra le più lineari dell’anno: molti soci, specie banche, hanno contestualmente svalutato i crediti vantati sulle società aumentandone le possibilità di sopravvivenza. Per le immobiliari i partecipanti alla ricapitalizzazione sono in larga parte soci preesistenti, imbarcatisi in un’avventura rischiosa e che ora cercano di limitare i danni.

MONEY FOR NOTHING – Infine le banche (Unicredit, Bpm, Ubi banca, Bpm, Popolare di Spoleto, Banca Profilo,Credito Valtellinese, Banca Profilo) che in 13 mesi (gennaio 2009 – febbraio 2010) si porteranno a casa più di 10 miliardi, cifra che quasi si raddoppia considerando i vari strumenti di raccolta del risparmio (prestiti convertibili, obbligazioni perpetue, etc) non considerabile come debito a tutti gli effetti. È evidente che il capitale di rischio (che costa zero o poco più), è stato di gran lunga preferito ai Tremonti Bond (a cui va corrisposto un interesse superiore all’8%). Anche qui vanno fatte delle distinzioni: l’iniezione di sostanze fresche chiesta da Banca Italease (1,2 miliardi) va senza dubbio assegnato alla categoria “Ancora tu” delle crisi preesistenti, mentre Banca Profilo (soli 30 milioni) ha chiesto i soldi per finanziarie la nuova avventura di Matteo Arpe. In generale però la grande facilità con cui proprio gli istituti di credito (il settore più colpito e dalla prospettive più incerte) riescono a ottenere capitale fa emergere il vero interrogativo: “Quale il ritorno che si devono aspettare gli azionisti e in quanti anni?”. La lunga lista di delusioni e perdite inflitte agli azionisti negli ultimi dieci anni, sia dalla borsa milanese in generale, sia dai molti dei titoli coinvolti in questa tornata di ricapitalizzazioni non sembra aver accresciuto la diffidenza dei risparmiatori o di chi amministra il loro denaro. Le crisi passano, il parco buoi resta.

http://www.giornalettismo.com/archives/46920/chiedi-e-ti-sara-dato/

USA. Senza lavoro otto volte di più di quelli ufficiali

Quando due mesi fa in Usa ci fu un calo statistico nella disoccupazione ufficiale alcuni giornali italiani titolarono che in America ripartiva il lavoro. Che facce di bronzo! Solo interessate alla propaganda come durante la guerra fredda, proprio perchè sanno benissimo che la crisi è di sistema. Gli ultimi dati statunitensi dicono che l'occupazione è ulteriormente calata di 85 mila persone lasciando inalterato al 10% il tasso di disoccupazione. Andando sul sito del US Bureau of Labor Statistics si constata invece che l'occupazione è calata di quasi 8 volte di più delle cifre comunicate alla stampa. Infatti nel mese di novembre la forza lavoro, cioè tutte le persone abili nell'età che va dai 16 ai 64 anni disposte a lavorare, ammontava a 153 milioni e 720 mila persone, mentre a dicembre se ne registravano 153 milioni e 59 mila, un calo di 661 mila persone. L'occupazione totale, compresa quella agricola, a dicembre era di 137 milioni e 792 mila persone che rappresenta una riduzione di 587 mila unità rispetto al mese precedente. La caduta dell'occupazione di 85 mila persone scaturisce dal fatto che nel calcolo viene escluso il settore rurale. Considerando anche quest'ultimo si osserva come la crisi colpisca sia i lavoratori dell'industria manufatturiera e delle costruzioni, che gli addetti all'agricoltura. Abbiamo quindi un quadro di effettiva grande depressione del lavoro. In un paese ove la popolazione cresce arrivando a 304 milioni il 31 dicembre, cala sia il tasso di partecipazione che il rapporto tra l'occupazione totale ed il tasso di partecipazione. A ciò si deve aggiungere che, sempre secondo il Bureau of Labor Statistics, in dicembre due milioni e mezzo di persone cadevano nella categoria di «marginalmente connesse alla forza lavoro», un incremento di 578 mila unità sul mese di novembre. Queste persone nota il Bureau of Labor non sono contabilizzate nella forza lavoro perchè nei dodici mesi precedenti non erano tra quelle che cercavano lavoro. Marginalmente connesse significa disoccupazione a tutti gli effetti. Dal lato del lavoro sia gli Usa che l'Unione europea sono nella seconda Grande Depressione della storia del capitalismo oligopolistico la cui gestione proprio nell'anno della crisi 2009 è diventata solo funzionale alle esigenze del capitale finanziario che ormai sintetizza il capitale globale. Joseph Halevi Fonte: www.ilmanifesto.it 14.01.2010

La Bolla cinese pesa sullo sviluppo

Anno nuovo, nuova tornata di critiche alla politica valutaria cinese che tiene il renminbi agganciato al dollaro. Mantenendo il tasso di cambio artificialmente basso, la Cina espande ancora di più il suo già enorme surplus delle partite correnti. Ciò impoverisce il resto del mondo e ostacola il processo di riequilibrio globale. Ecco un pronostico facile: il renminbi nel 2010 sì discosterà dal dollaro più che nel 2009 - difficilmente potrebbe muoversi di meno. Ecco invece un pronostico più azzardato: si muoverà di parecchio e potrebbe farlo in entrambe le direzioni. È tempo di crisi per la Cina. Non consentendo ora un sostanziale apprezzamento del renminbi, le autorità cinesi stanno correndo il rischio che in un secondo momento esso si deprezzi fortemente. Ora un apprezzamento contribuirebbe a raffreddare i surriscaldati mercati degli asset cinesi. Altrimenti la Cina rischia un collasso e un rallentamento dell´economia con una valuta più debole perché le esportazioni saranno l´unico gioco possibile. I mercati cinesi presentano tutti i sintomi di una bolla. Il perché non è un mistero: impedendo la fluttuazione del cambio, la Cina importa dall´estero condizioni monetarie accomodanti. Dei tassi d´interesse pari a zero possono essere giusti per un´Europa o per degli Usa ancora depressi, ma non lo sono per una Cina che marcia a pieno vapore e che assomiglia sempre di più a un motore surriscaldato. Gli eccessi sono visibili a occhio nudo. Nel 2009, sono triplicate le nuove costruzioni abitative; i prezzi degli appartamenti sono saliti del 25% a Shanghai e forse anche del 35% a Pechino solo nel secondo semestre. Date le limitate alternative, gli appartamenti sono diventati lo strumento principale della febbre speculativa che, ci è stato detto, pare stia cominciando a coinvolgere anche il mercato dell´aglio e quello dei peperoncini secchi, tutti segnali classici di un prossimo incidente. I funzionari cinesi si sono accontentati finora delle mezze misure, mentre per evitare che il fuoco che brucia già nel mercato immobiliare divampi ulteriormente, occorrono delle condizioni monetarie più stringenti. Lo scorso giovedì, la Banca Centrale ha finalmente alzato di poco i tassi d´interesse, a un livello tuttavia ancora pericolosamente basso per un´economia in pieno boom. Occorre che le autorità irrigidiscano ulteriormente la politica monetaria. L´unico modo per restringere in maniera efficace il credito è un sostanziale apprezzamento del renminbi. Finché esso resterà agganciato al dollaro, i tipi d´interesse alti non faranno altro che attrarre i capitali degli investitori cinesi di oltremare i quali, convinti che il renmimbi possa soltanto apprezzarsi, continueranno a superare i controlli. L´unica soluzione è una rivalutazione in un sol colpo. Con le mezze misure, il mercato immobiliare e l´economia continueranno a surriscaldarsi. Alla fine, la bolla scoppierà e ciò implicherà per la crescita un notevole rallentamento, anche superiore a quello compatibile con la stabilità sociale. Le autorità cinesi tentennano perché queste politiche hanno sostenitori influenti: gli esportatori, ma anche le società di costruzione che sono parte del boom immobiliare. Predire le crisi è facile, prevenirle è più difficile, in particolare quando ciò implica abbandonare delle politiche che, stando a tutte le apparenze, hanno funzionato così bene nel recente passato. Barry Eichengreen, (professore di economia e scienze politiche all´Università della California a Berkeley) Fonte: www.repubblica.it 14.01.2010 (Traduzione di Guiomar Parada)

Robert Reich - America dicoccupata

Barack Obama non deve cadere nella trappola di «deficit e debito» ma intervenire per creare nuovi posti di lavoro. E dare un futuro al paese, che richiede spesa pubblica, sussidi, rottamazione e aiuti alla piccola impresa... Il Dipartimento del Lavoro del governo federale degli Stati uniti riferisce che nel mese di dicembre sono andati perduti 85.000 posti di lavoro. Nonostante ciò, il tasso ufficiale di disoccupazione (che misura quante persone stanno cercando un lavoro) è rimasto fermo al 10%. Questo perché molte altre persone hanno smesso di cercare. Secondo i dati riportati, nel mese scorso 661.000 americani sono usciti dal mercato del lavoro, pensando di non aver alcuna speranza di trovare un'occupazione. Se avessero continuato a cercare, il tasso ufficiale di disoccupazione sarebbe stato del 10,4 per cento. Queste statistiche mascherano una realtà ancora più preoccupante. Da quando nel dicembre 2007 è iniziata la recessione, sono andati perduti circa 8 milioni di posti di lavoro. Ma questo dato non include tutte le persone che, in una popolazione nazionale in aumento, sarebbero entrate nel mercato del lavoro se per esse ci fosse stato un posto. Si stima che questi «mai entrati» siano 2,5 milioni di persone. Perciò in realtà l'economia nazionale ha perso 10,6 milioni di posti di lavoro. Per anni sarà impossibile recuperare. La verità politica più dolorosa per i democratici è che probabilmente la nazione non uscirà da questa situazione entro le elezioni presidenziali del 2012, anche se la ripresa dovesse essere vigorosa. Facciamo qualche conto. Per uscire da questa situazione servirebbe un incremento mensile medio di 400.000 posti di lavoro, fino ad allora. Ma anche al picco del boom dell'occupazione registrato negli anni '90 il massimo che abbiamo mai raggiunto è stato di 280.000 posti di lavoro al mese. Al picco dell'ultima ripresa, nel 2005, non abbiamo superato i 212.000 posti di lavoro al mese. Risultato: Obama dovrà affrontare l'anno delle elezioni con il livello totale di disoccupazione più alto dalla Grande Recessione. Egli dovrà sostenere che senza le sue politiche la situazione sarebbe peggiore. Argomento che non fa una gran figura sugli adesivi incollati ai paraurti delle automobili. Quasi il 40% degli attuali disoccupati non lavora da oltre sei mesi. È un record. Le persone che sono state senza occupazione per più di sei mesi incontrano particolari difficoltà a rientrare nel mondo del lavoro. Molte non ci rientrano più. Quello che più mi preoccupa è il trend. Se stessimo uscendo da una recessione con una qualunque forza potenziale nel mercato del lavoro, osserveremmo almeno una crescita della lunghezza della settimana lavorativa media. Ma non c'è alcun segno di crescita. Nel mese di dicembre la settimana lavorativa media è rimasta ferma a 33,2 ore. I datori di lavoro non danno nemmeno più ore ai loro dipendenti. Le grandi aziende americane se la passano meglio, questo è certo. Ma c'è un forte scollamento tra redditività e occupazione. Le aziende stanno aumentando i profitti tagliando i costi (compresi quelli per il personale), esternalizzando più posti di lavoro all'estero, e vendendo di più all'estero. Ma i lavoratori americani - e, quindi, i consumatori americani - sono ancora impantanati in una profonda recessione. Solo due cose stanno impedendo alla disoccupazione di aumentare ancora: il pacchetto di stimolo, che si sta avvicinando al suo picco di spesa, e la Federal Reserve, che continua a tenere le briglie sciolte sull'offerta di denaro e a rastrellare obbligazioni ipotecarie. Dopo lo scoraggiante rapporto sul lavoro di dicembre, non aspettatevi presto un giro di vite da parte della Federal Reserve - probabilmente non lo farà fino a dopo la metà del 2010, al più presto. E per quanto riguarda la politica economica? Un secondo stimolo? Sì, in questi termini: i democratici dovranno vedersela con un'elezione di medio termine che non sarà carina, per usare un eufemismo. Alla Camera dei rappresentanti, Pelosi ha assolutamente bisogno di 40 seggi. Al Senato, la partenza di Dodd e di Dorgan pone un problema enorme. Senza 60 voti su cui poter fare affidamento, i democratici al Senato non potranno fare molto. Raramente nella storia i repubblicani sono stati così saldamente uniti in entrambe le Camere. Il quadro deprimente sull'occupazione fa venire l'acquolina in bocca ai repubblicani per il 2010 e il 2012. I democratici sanno di dover fare qualcosa per mostrare agli elettori che hanno a cuore l'occupazione. Una vittoria sul sistema sanitario non risolverà il problema. Perciò aspettiamoci che i democratici si orientino verso una maggiore spesa: più sussidi di disoccupazione, più fondi per gli incentivi alla rottamazione delle automobili, più aiuti per la piccola impresa, forse un nuovo credito fiscale per accrescere l'occupazione. Un maggiore stanziamento per la difesa farà anch'esso parte dello stimolo. Ma non aspettiamoci che queste cose siano presentate come un «secondo pacchetto di stimolo». Ciò darebbe ai repubblicani il destro per attaccare i democratici accusandoli di spendere troppo, cercando di focalizzare l'attenzione della popolazione sull'aumento del deficit e sulla crescita del debito federale. La verità, naturalmente, è che il principale indicatore economico è il rapporto tra debito e Pil. E la questione più importante è quanto in fretta l'America potrà riavere i posti di lavoro e la crescita del Pil. Una maggiore spesa nel breve periodo è l'unico modo per accelerare una ripresa dell'occupazione, riducendo il rapporto debito-Pil nel lungo periodo. In altre parole, un maggiore indebitamento pubblico è una misura positiva da adottare adesso, ma sarebbe una misura negativa se adottata fra tre, quattro o cinque anni, quando l'economia sarà tornata alla normalità. (A questo punto devo ammettere che non penso torneremo mai alla «normalità», perché credo che la «normalità» ci abbia portato nei pasticci in cui ci troviamo adesso, ma di questo mi occuperò un'altra volta.) Tuttavia nei prossimi mesi i repubblicani faranno molta demagogia sul deficit e sul debito. Spero che il Presidente non abbocchi all'amo e non inizi a parlare di deficit e di debito, quando dovrebbe parlare solo di nuovi posti di lavoro. Il modo di presentare le cose fa tutta la differenza. Robert Reich* Fonte: www.ilmanifesto.it 14.01.2010 *Robert Reich, economista, è professore alla University of California a Berkeley. E' stato il Segretario al lavoro durante l'amministrazione di Bill Clinton. Il suo ultimo libro è Supercapitalism.

FINANZA/ Il “vulcano” Germania è pronto a bruciare l’Europa

giovedì 14 gennaio 2010

Lo tsunami sta per arrivare, la stagione delle trimestrali è alle porte e già domani i conti di JP Morgan Chase, attesa in crescita dagli analisti e invece quasi certamente all'insegna di nuove, pesanti svalutazioni, scuoteranno i mercati internazionali.

Nel frattempo, sono i dati macro ad anticipare in negativo i rendiconto degli istituti bancari. L'economia della Germania nel 2009 ha infatti attraversato la sua peggiore recessione dalla fine della Seconda Guerra Mondiale perdendo il 5%, stando ai dati che sono stati diffusi dall'Ufficio federale di statistica a Wiesbaden.

Il Prodotto interno lordo (Pil) aveva registrato una crescita positiva dell’1,3% nel 2008 e del 2,5% nel 2007. Per il 2010, gli economisti si aspettano una crescita del Pil ancora una volta, tra l’1,6% e il 2,3%. Il disavanzo pubblico tedesco l'anno scorso ha raggiunto 77,2 miliardi di euro, pari al 3,2% del Pil. In questo modo, la Germania è tornata a superare per la prima volta dal 2005, il tetto del 3% fissato nel Patto di stabilità e crescita dell'Unione europea.

Per quanto riguarda il Pil va notato che nel 2009 l'export tedesco è sceso del 14,7%, mentre le importazioni sono calate dell'8,9% e i consumi privati sono cresciuti l'anno scorso dello 0,4%, come nel 2008. Ma questo non basta. Per i titoli pubblici, ma anche per le obbligazioni societarie, intanto, sempre gennaio si preannuncia come un mese di fuoco.

E l'attenzione del mercato si concentra proprio sulla Germania visto che il governo di Berlino ha programmato quattro aste per un totale di 22 miliardi di euro, oltre un decimo dell'ammontare in emissione per l'intero 2010, escludendo i titoli indicizzati all'inflazione. La Germania si candida a essere uno dei protagonisti del mercato, considerando che l'ammontare nominale complessivo delle emissioni programmate per il prossimo anno sarà superiore del 35% rispetto all'anno in corso a causa dell'esigenza di copertura del maxi-piano di spesa pubblica a sostegno dell'economia, prima che venga iniziata l'opera di rientro del deficit.

Insomma, Berlino tenta la carta della maxi-emissione perché sa che - come diciamo da mesi su ilsussidiario.net - o si dà vita entro marzo alla bad bank o il sistema bancario - con a cascata quello assicurativo - salterà come un tappo di spumante a Capodanno sotto il peso di circa 300 miliardi di euro di titoli tossici da scaricare. Ma non solo, un'altra bomba è all'orizzonte. Ovvero, prestiti e fidi che le banche dovranno scrivere nei loro libri contabili come inesigibili.

A quanto ammontano? Da 70 a 90 miliardi di euro, un livello di svalutazioni che sia negli Usa che in Europa toccheranno relativamente il 12% e il 13% del totale. A fare paura è il fatto che una componente molto grande della futura messe di perdite sarà ancora legata ai Cdo, ovvero i subprime che le banche millantavano di non avere in pancia o di avere eliminato e che invece porteranno con sé qualcosa come altri 16 miliardi di dollari di perdite nel primo trimestre.

Nonostante non lo si voglia ammettere, ad esempio, Commerzbank, Hsh Nordbank e Bayern Lb - tutte banche tedesche - sono a forte rischio di nazionalizzazione già entro il primo semestre del prossimo anno, lo ha ammesso la stessa Bundesbank che ha chiaramente fatto capire che la strada maestra sarà quella che portò pochi giorni fa al salvataggio di WestLB, scherzetto costato quattro miliardi di euro ai contribuenti tedeschi. La grandeur teutonica è al suo capolinea e il dato di ieri, in base al quale il governo non ha più la fiducia della maggioranza degli elettori, parla molto chiaro.

Semaforo verde, invece, per l'Italia. Almeno, sulla carta. «L'Italia è esperta e capace di sostenere la combinazione di un alto debito pubblico abbinato a una crescita moderata. Non presenta squilibri importanti come quelli che si stanno verificando in altre economie europee, come in Spagna e Irlanda, cresciute con la distorsione del mercato immobiliare e dell'elevato debito privato». È quanto affermava Alexander Kockerbeck, analista di Moody's responsabile per la valutazione del rischio-Italia, in un'intervista a Il Sole 24 Ore. «L'Italia ha vulnerabilità e fragilità di sempre - continuava Kockerbeck - che sono già incluse nel rating Aa2, e non presenta nuovi rischi di instabilità che vediamo in altri Stati europei: l'Italia è al contrario relativamente stabile e bilanciata. E non prevedo che farà peggio di altri».

Però, «l'Italia non ha lo spazio per abbassare la tasse nei prossimi due anni, come in Germania. E c'è meno spazio per aiutare le banche ma non ne ha avuto bisogno. E non è realistico aspettarsi che possa “crescere fuori dal debito” in tempi brevi. Il governo tuttavia con lo scudo fiscale e la lotta all'evasione fiscale ha trovato il modo di praticare un'iniezione di capitale nel sistema e di allargare la base imponibile per aumentare le entrate in un momento di calo del Pil e di riduzione di queste entrate. E questo è stato un modo di reagire alla crisi».

Ecco il parere dell'analista di Moody's chiamato a occuparsi solo dell'Italia, di noi: un'accozzaglia di ovvietà spaventosa, calcolando che lo scudo fiscale è servito solo a evitare che da febbraio stipendi e pensioni dei dipendenti pubblici non venissero più erogate. L'allargamento della base imponibile, poi, è una vera barzelletta: con una “multa” del 5%, infatti, ci si compra l'anonimato e comunque non è affatto detto che i capitali rientrati siano da un lato la totalità del denunciato e dall'altro qualcosa di tracciabile in maniera sicura. Basti pensare ai paradisi off-shore dove molte banche e finanziarie altro non sono che una stanzetta vuota con un fax e un telefono che squilla a vuoto.

Se l'Italia deve avere meno paura degli altri - e questo è vero - è perché abbassare il nostro rating, magari facendo aprire una bella procedura all'Ue, significherebbe liberarci da un bel giogo. Un eventuale default italiano potrebbe inficiare il valore dell’euro, al massimo, per l’entità complessiva della partecipazione italiana alla Bce, ovvero il 14%: escluso, quindi, un effetto Argentina.

Nel caso estremo di uscita dall’eurozona, infatti, l’Italia potrebbe reagire al default svalutando la moneta per rendere conveniente l’export: non avendo più debiti per via del fallimento, sarebbe tecnicamente persino possibile una svalutazione del 50%. Il che rappresenterebbe un incubo per tutti i concorrenti europei poiché, disponendo il nostro paese di imprese in grande quantità e di grande qualità, la svalutazione shock di un’eventuale nuova lira produrrebbe la distruzione del settore manifatturiero di tutti i paesi mediterranei, Spagna , Francia e Turchia incluse, a favore dell’Italia.

Inoltre il 50% del nostro debito pubblico è in mani straniere, il che significa che immediatamente i governi inizierebbero a trattare per avere una restituzione anche parziale del credito: poiché esso viene usato principalmente ai fini pensionistici, diversi governi sarebbero disposti a fare di tutto perché almeno il 30% del debito sia pagato, come nel caso argentino. Solo il 15% dei Bot è realmente in mano a investitori italiani individuali, una fetta di cittadini per cui comunque sarebbe possibile approntare una sorta di rete di salvataggio.

Non è questione di maggior abitudine a gestire le emergenze, è che colpire l'Italia significherebbe far male a tutti tranne che a noi. Le “tre sorelle” non fanno sconti, semplicemente sanno dove, chi e quando colpire. Per ora, i bersagli sono altri: Irlanda, Grecia, Spagna e Islanda. Ma, guarda caso, del vulcano tedesco che rischia di far esplodere tutto, nessuno parla. Nemmeno quei geni straordinari delle agenzie di rating. L’attesa, però, sta per finire.

http://www.ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2010/1/14/FINANZA-Il-vulcano-Germania-e-pronto-a-bruciare-l-Europa/61089/

Cina, i temi del 2010

di Mario Seminerio

Nella giornata di martedì 12 gennaio la Cina ha aumentato l’importo che le banche devono accantonare a riserva, in un segno evidente che la banca centrale sta cercando di stringere le condizioni monetarie, tra crescenti preoccupazioni di surriscaldamento economico ed l’inflazione causate del boom di credito.

Sempre martedì 12 la banca centrale cinese ha anche aumentato lievemente i tassi di interesse nel mercato interbancario per la seconda volta in meno di una settimana, nel tentativo di frenare l’ascesa del credito. La decisione, piuttosto inattesa, ha causato un brusco ribasso delle quotazioni azionarie, suscitando timori soprattutto sui titoli bancari ed immobiliari, quelli più esposti ad una stretta creditizia.

Gli economisti ritengono che gli annunci di martedì siano stati un avvertimento contro l’aggressiva espansione creditizia praticata dalle banche commerciali. Gli obblighi di riserva sono stati aumentati di 0,5 punti percentuali, al 16 per cento, mentre il tasso sui titoli a un anno è aumentato dello 0,08 per cento e quello a tre mesi dello 0,04 per cento. La mossa sottolinea il compito sempre più delicato della banca centrale cinese, che deve gestire le conseguenze della forte crescita del credito, passato dai 4200 miliardi di yuan nel 2008 agli oltre 9000 miliardi dello scorso anno.

Non è tuttavia chiaro se la posizione della banca centrale sia sostenuta dalla maggioranza dei vertici del Partito Comunista cinese, ove alcuni alti dirigenti sembrano favorevoli a mantenere una politica monetaria espansiva per garantire una crescita elevata. Secondo alcuni osservatori le recenti mosse potrebbero quindi riflettere una spaccatura tra la People’s Bank of China, che si concentra sul controllo dell’inflazione, e altri organismi di governo, che spingono per la prosecuzione di una politica creditizia aggressiva.

La banca centrale sta affrontando una serie di preoccupanti segnali di pressioni inflazionistiche, compresa una rapida espansione della massa monetaria M1, in aumento del 34,6 per cento nel dicembre rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. I prezzi delle case sono aumentati rapidamente in molte città e l’afflusso di capitali sembra essere molto sostenuto, sulle aspettative che la valuta cinese riprenderà una percorso di rivalutazione nel corso di quest’anno. Secondo due economisti dell’Accademia Cinese delle Scienze Sociali, il paese potrebbe crescere quest’anno di ben il 16 per cento, in assenza del ritiro di parte dello stimolo, causando un notevole surriscaldamento dell’economia.

Il dato di bilancia commerciale cinese di dicembre, pubblicato giorni addietro, ha evidenziato una crescita delle esportazioni del 17,7 per cento su base annuale, mentre le importazioni sono schizzate del 55,9 per cento. Prosegue quindi la robusta crescita della domanda domestica, segno dell’orientamento delle autorità cinesi a modificare il modello di sviluppo del paese, finora centrato sulle esportazioni.

Ma le frizioni commerciali tra Cina e resto del mondo non sono destinate a placarsi. Il 30 dicembre scorso la International Trade Commission statunitense ha approvato nuove tariffe sulle importazioni di tubi d’acciaio cinesi, considerati sussidiati in violazione delle norme del commercio internazionale. Il 22 dicembre i governi dell’Unione europea hanno deciso di estendere per altri 15 mesi i dazi anti-dumping sulle scarpe cinesi.

La Cina sta attivamente stimolando la crescita dell’area Asia Pacifico, oltre che aver finora contribuito alla correzione degli squilibri globali grazie allo stimolo alla domanda interna (che guida la crescita dell’import), come testimoniato dalla costante riduzione del suo surplus delle partite correnti, ma al contempo è riuscita a sottrarre quote di mercato nell’export globale agli altri paesi, anche e soprattutto durante la “gelata” del commercio mondiale. Da qui le crescenti richieste di rivalutazione dello yuan, che rischiano di sfociare in guerra commerciale conclamata.

Per la Cina sarà quindi un altro anno di opportunità e rischi, nella sua ascesa al rango di potenza economica mondiale.

http://epistemes.org/2010/01/14/cina-i-temi-del-2010/

Mercati del credito 14 Gennaio 2009 – Tragedia greca

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Terza giornata di debolezza sul mercato del credito, dove alle preoccupazioni dei giorni scorsi si aggiungono quelle derivanti dai problemi di bilancio della Grecia.

Il CDS sul debito della nazione ellenica ha toccato il livello record di 330 basis point sul 5 anni, segnalando il forte disagio degli investitori sulla credibilità dei piani di rientro dal debito che vengono dibattuti in questi giorni ed i timori sulla tempistica e le modalità di una eventuale operazione di sostegno da parte degli altri paesi membri dell’unione monetaria. Ricordiamo infatti che i trattati all’origine dell’Euro e vietano espressamente alla banca centrare il salvataggio di uno dei paesi dell’area.

Il resto del mercato sui CDS sovrani mostra segni di tensione, con il CDS di nazioni deboli come Spagna , Portogallo e Irlanda sotto notevole pressione, insieme all’Italia anche se in misura minore; il nostro paese non pare a rischio di una crisi immediata, ma rimane la nazione più indebitata fra quelle di maggiori dimensioni.Per la prima volta, anche i contratti su nazioni considerate sicure, come la Finlandia, mostrano segnali di preoccupazione fra gli investitori.

Il mercato corporate continua a vedere un flusso rilevante di nuove emissioni; mentre l’abbondante liquidità regalata dalla Banca Centrale mantiene viva la necessità degli investitori di trovare impieghi redditizi, il rally dei giorni scorsi ha convinto molti partecipanti a prendere profitto sulle vecchie posizioni, aspettando tempi più tranquilli per rientrare.

Itraxx S12 Levels Nota: Gli indici di credito sono quotati in spread (rendimento), come i tassi d’interesse. Un segno negativo equivale ad un miglioramento delle valutazioni del mercato, equivalente ad una salita degli indici di Borsa. Un cambiamento positivo è un segnale di peggioramento delle condizioni, equivalente al calo di un indice di Borsa.
Livello Var.ne da ieri
Main 72.25 +2.8
HiVol 100 +2.0
Crossover 413 +11.5
Quotazioni del CDS a 5 anni di alcuni emittenti italiani
bps (0,01%) all’anno
Acea 60/80
AEM 60/80
Atlantia 46/50
CIR SpA 325/345
Edison 74/78
Enel 70/73
ENI 38/42
Fiat SpA 260/270
Terna 50/55
Telecom Italia 100/104
FIAT 260/270

Written by John Christian Falkenberg

Thursday, 14 January, 2010 at 12:41

Arrestato stanotte in Canada Weizhen Tang, il “Warren Buffett cinese”

14 gennaio 2010
Arrestato stanotte in Canada Weizhen Tang, il “Warren Buffett cinese” Weizhen Tang, manager di fondi che opera a Toronto, autodefinitosi il “Warren Buffett cinese”, ha passato la scorsa notte in viaggio dal suo Paese di origine al Canada...

Weizhen Tang, manager di fondi che opera a Toronto, autodefinitosi il “Warren Buffett cinese”, ha passato la scorsa notte in viaggio dal suo Paese di origine al Canada. Consapevole del fatto che, all’arrivo all’aeroporto, alle 19 ora locale, avrebbe trovato un paio di manette ad attenderlo. La polizia canadese ha annunciato il suo arresto quando il finanziere era ancora imbarcato sul volo della Air Canada partito da Shanghai, dopo che lo stesso Tang aveva dichiarato, lo scorso 29 dicembre, di volersi costituire.

L’uomo, che si è anche paragonato a Donald Trump sul proprio sito web, deve rispondere di undici capi d’accusa, oltreché di frode, nell’ambito delle sue attività di business. In particolare, ad essere finiti nel mirino degli inquirenti canadesi ci sono l’Oversea Chinese Fund e la Weizhen Tang Corp., attraverso le quali il manager avrebbe raggirato più di 100 investitori. A questi ultimi, infatti, Tang ha raccontato che i suoi fondi avevano investito in azioni, valute straniere, futures, opzioni negli Stati Uniti, e in titoli azionari in Cina e ad Hong Kong. Strumenti finanziari piuttosto tranquilli. Ma Tang aveva promesso un ritorno economico “impossibile”, pari all’1% a settimana.

Le indagini sono condotte dai giudici della Corte superiore di giustizia dell’Ontario.

http://www.valori.it/italian/finanza-globale.php?idnews=1935

OPTION ARM: OPZIONE ZERO!

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Non manca poi molto all'alba di una nuova realtà, una realtà fondamentale che nessuno potrà fermare. Si puo al limite continuare a rimandare il momento nel quale la morte dell'economia reale porterà con se la finanza, ma sino a quando il sistema continuerà a privilegiare la finanza rispetto all'economia reale, allora sarà solo questione di tempo.

L'autoproclamatosi banchiere di Dio, la mano di Dio, il signor Blankfein, capo supremo di Goldman Sachs, secondo l' ANSA ha riferito che le banche Usa si sono "ritrovate involontariamente" nel bel mezzo dello scoppio della bolla finanziaria.

Robert Reich sul FinancialTimes suggerisce ad Obama di stare attento alle conseguenze della presa di potere di Wall Street sulla politica americana.

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Money is powerful, il denaro è potente....ma la pazienza ha un limite. Reich suggerisce di aiutare gli americani a comprendere il legame tra le perdite di posti di lavoro diffuse e l'irresponsabilità di Wall Street. Il lavoro delle lobbies per bloccare qualsiasi riforma del sistema finanziario, è continuo, certosino. Pochi americani sanno cosa gli abitanti di Wall Street fanno tutto il giorno, continua Reich, ancora meno sanno di CDO o CDS.

Societè generale invece gli conosce bene i CDO, al punto tale che ...

«Tenuto conto dei segnali contrastanti sul mercato immobiliare residenziale Usa - indica una nota - il gruppo ha deciso di correggere significativamente le ipotesi di valorizzazione dei Cdo sui crediti immobiliari». Societé Generale nel quarto trimestre ha aumentato le stime sui tassi di perdita a maturità dei Cdo e Rmbs classificati a trading e provveduto ad accantonamenti su quelli classificati tra prestiti e crediti, a cui si dovrebbe aggiungere un effetto negativo di circa 100 milioni sulla valutazione marked to market dei Cds e sulla rivalutazione delle passività finanziarie. (Sole24Ore)

Secondo un recente rapporto di Fitch, le insolvenze nel settore commerciale, CMBS, sono aumentate del 2 %, la più alta percentuale dal 2001. Alcuni prestiti commerciali si sono basati in maniera decisamente errata su ottimistiche previsioni di reddito, non sulla realtà e sulle entrate da locazioni, molti dei quali decisamente ad ammortamento negativo, ovvero quando si paga una rata che non copre nemmeno gli interessi.

Inutile ricordare che se l'economia non cresce, nessuno apre nuove attività e quindi ha bisogno di nuovi locali.

Calculatedrisk riporta una analisi della Amherst Securities, secondo la quale i mutuatari Option ARM erano una sorta di gruppo autoselezionatosi e l'opzione ARM era diventata una sorta di ultima opzione, opzione zero.

Un'opzione di rimborso mutui, la cui tipologia, il tasso cumulativo di default, ovvero di insolvenza e fallimento è stata superiore ad ogni altra categoria, compreso il fenomeno subprime. Per il 2006, nelle cartolarizzazioni dei mutui subprimesi è raggiunto un tasso di default del 61 %, il 49 % nella opzione ARM, il 39 % in quella intermedia degli Alt-A sino all'11 % dei cosidetti mutui prime, l'eccellenza.

Attualmente gli option ARMs non hanno una lunga esperienza di ammortamento negativo a causa di bassi tassi e dell'incremento annuale nel pagamento. I due problemi fondamentali per gli Option ARMs,come abbiamo spesso visto,sono relativi al "negative equity" ovvero il mutuo residuo superiore al valore patrimoniale della casa e il cosidetto "Payment Shock" ovvero quando all'improvviso a scadenza, termina la possibilità di onorare rate di mutuo spesso decisamente inferiori al necessario per coprire non solo la quota interesse ma anche capitale e il mutuo torna ad essere decisamente oneroso.

I pagamenti shock della dinamica subprime come abbiamo visto mille volte nei grafici sono in via di esaurimento mentre quelli ARMs e Alt-A stanno incominciando proprio ora a vivere il loro incubo.

Qui sotto avete un ulteriore riferimento sempre della Amherst Securities

[AmherstOptionARM.jpg]

La relazione in questione prevede un raddoppio della nuova rata del mutuo anche se alcune stime alternative prevedono una dinamica meno agressiva. Tale impatto è ancora in discussione, ma le ricadute ARM Option colpiranno le aree medio alte del mercato immobiliare, in quanto anche in questo caso sono i mutui sono stati sottoscritti da coloro che pur con redditi elevati, mai avrebbero potuto permettersi residenze di lusso.

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La "filosofia" di Icebergfinanza resta e resterà sempre gratuitamente a disposizione di tutti nella sua "forma artigianale", un momento di condivisione nella tempesta di questi tempi, lascio alla Vostra libertà, il compito di valutare se Icebergfinanza va sostenuto nella sua navigazione attraverso le onde di questo cambiamento epocale!

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Postato da: icebergfinanza a gennaio 14, 2010 07:23 | link | commenti (9)

http://icebergfinanza.splinder.com/post/22046019/OPTION+ARM%3A+OPZIONE+ZERO%21

2 COBRAF

  • La Vera Soluzione
  • 04:28 14/01/10
  • Conveniva emigrare (in America e per gli europei) finora Gli italiani sono circa 58 milioni, hanno un Pil in dollari di 1.500 miliardi e quindi hanno un reddito medio procapite sui 30mila dollari Gli italo-americani sono circa 17 milioni e dato che in USA hanno statistiche su tutto specie per gruppo etnico si può calcolare che gli italo-americani hanno un reddito medio procapite sui 53 mila dollari, un 56% più alto degli italiani! A pari condizioni, cioè tutti cittadini americani, siamo esattamente pari a francesi e tedeschi in USA, nonostante la maggioranza degli italo-americani vengano dal mezzogiorno il che proverebbe che il potenziale (una volta messo il governo in mano a qualcun altro). Notare come i greci immigrati in America guadagnino più di tedeschi e svedesi, i greci hanno un forte senso del business come i libanesi e gli ebrei, ma in casa propria hanno uno dei governi più corrotti del mondo per cui languono. Questa tabella mostra che i problemi dell'italia si risolvono facilmente: basta riservare tutte le cariche politiche e i posti pubblici a dei nordici, vietare agli italiani l'impiego pubblico e la carriera politica e poi il reddito sale del 50%. L'America è la dimostrazione, gli italiani sono arrivati in un paese in cui governavano gli anglo-sassoni e hanno fatto fortuna raggiungendoli anche come reddito. L'idea dell'Unione Europea sarebbe giusta, ma solo se la interpreti nel senso che affidi il governo e i posti pubblici rilevanti (tipo giudici, dirigenti, poliziotti,...) in Italia a tedeschi, austriaci, scozzesi e finlandesi. In cambio magari per riequilibrare fai emigrare italiani da loro ma escludendoli per legge dallo stato, tipo apartheid in sudafrica di una volta. La regola deve essere chiara: niente italiani, greci o portogheri nei posti pubblici e nel governo e poi tutto funziona, il settore privato perchè ci sono gli italiani e quello pubblico perchè ci sono gli austriaci, basta dividersi i compiti e capire chi può fare cosa (notare il dato anomalo degli austriaci, svizzeri e belgi che hanno reddito medio molto più alto, penso perchè sono molto pochi e forse ci sono dei miliardari in mezzo, sono comunque stime per cui fanno pià fatica a confrontare gruppi poco numerosi, quando invece si tratta di italiani o tedeschi e svedesi che sono emigrati in massa è attendibile. Notare che il confronto tra europei non tiene conto del diverso costo della vita ed esagera quindi le differenze in termini reali)
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  • Siamo sempre a -20%
  • 02:20 14/01/10
  • La situazione della produzione industriale oggi rispetto a due anni fa, quando ancora la crisi non era scoppiata è riassunta qui sotto. Ora in borsa tutti parlano di incrementi e dati postivi perchè i dati sono sempre ANNUALI, per cui confrontano ora dicembre 2009 con dicembre 2008 ad esempio. Dato che dicembre 2008 era un momento di panico e di paralisi del commercio internazionale il confronto ora da un incremento. Ma il confronto vero lo devi fare con il 2008, quando ancora le cose erano normali. La situazione della produzione industriale oggi rispetto a due anni fa è: USA -11% UK, Francia e Germania sui -15% Italia e Giappone sui -20% 1) La cosa impressionante è che ora l'italia è ultima, anche il Giapppone che aveva un crollo terrificante del -37% ora mostra un calo minore di noi. Sono passati due anni e la produzione industriale italiana è a -20% rispetto ai livelli di inizio 2008 2) è una situazione tragica per un paese come il nostro che vive di export e indica che in questi due anni abbiamo perso anche quota di mercato perchè gli altri perdono meno e stanno migliorando un poco di più di noi. L'euro a 1.45 per l'Italia è una palla al collo con cui le industrie esportatrici affondano. Notare anche che le variazioni sono ora leggermente positive rispetto ai mesi precedenti, ma in pratica negli ultimi tre mesi siamo piatti, ci siamo solo stabilizzati a livelli bassi Ieri c'era sul Wall Street Journal un pezzo sulla situazione che resta debole per le piccole imprese, cioè tutti i miglioramenti sono sul versante banche e grande imprese e fiducia e spese dei consumatori, in parte, ma le piccole europee sono sempre a terra. Portava quattro esempi di imprese piccole europee con l'acqua alla gola in Europa. Tre su quattro erano in Italia
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http://www.cobraf.com/forum/topic.php?topic_id=4740&reply_id=209552

SERBIA: DINARO DEBOLE, CONTRASTI GOVERNO-BANCA CENTRALE

(ANSA) - BELGRADO, 14 GEN - Il premier serbo Mirko Cvetkovic e il Governatore della Banca centrale (Nbs) Radovan Jelasic si sono accusati a vicenda per la debolezza del dinaro, la valuta nazionale serba che nelle ultime settimane ha perso notevolmente terreno nei confronti dell'euro. Secondo Cvetkovic la politica di bilancio del governo e le misure varate tra la fine del 2009 e l'inizio del nuovo anno non sono in alcun modo responsabili della perdita di valore del dinaro. Responsabile del corso della moneta nazionale e' la politica della Banca centrale. Il premier ha in tal modo risposto a quanto sostenuto da Jelasic secondo il quale il progressivo indebolimento del dinaro e' stato il risultato dell'eccessiva spesa statale, superiore alle capacita' effettive del paese. Un euro vale oggi poco piu' di 97 dinari, rispetto ai 93-94 di qualche settimana fa. ''Quando l'euro valeva 94 dinari tutti cercavano di rivendicare il merito di tale valore, ora che si e' indebolito a 97 a uno nessuno vuole avere a che fare con tale questione'', ha affermato il Governatore Jelasic, per il quale dire che il corso del dinaro e' esclusivamente legato alle decisioni della Banca centrale e non ha nulla a che vedere con le misure del governo significa ''vivere in un altro mondo''. Secondo alcuni a favorire l'indebolimento del dinaro sarebbe stato anche l'ammontare minore delle rimesse degli emigrati serbi che, a causa della crisi, hanno portato dai paesi di residenza meno denaro del previsto. (ANSA).