L'economista francese agli Stati generali della sostenibilità in corso a Firenze. "Molti economisti considerano la crisi come se fosse una parentesi, chiusa la quale si dovrebbe continuare come prima. Invece dobbiamo riconoscere che abbiamo sbagliato, che eravamo di fronte alla grande bugia di un sistema finanziario che prometteva a tutti rendimenti più alti di quelli medi e dobbiamo far crescere l'economia reale e non quella finanziaria"
«All'origine della più grave crisi dagli anni Trenta ad oggi, ci sono le disuguaglianze e gli squilibri sociali di un mondo in cui il 99% della popolazione è in grave difficoltà e l'1% sta accumulando fortune incredibili. Il Prodotto interno lordo dell'unione europea nel 2009 diminuirà del 3% rispetto al 2008 e nel 2010 se ne prevede un'ulteriore diminuzione dello 0,3%. Siamo in mezzo alla crisi e nessuno sa cosa accadrà domani. Per questo c'è grande necessità di interventi pubblici e realtà come la Toscana da sole non possono fare nulla, ma se vi metterete alla testa del gruppo di Regioni europee si potranno dare risposte in grado di incidere sulla crisi, ma se non si raggiunge un'intesa a livello europeo non sarà possibile fare nulla».
Sono questi alcuni dei passaggi chiave della lectio magistralis dal titolo "La sostenibilità è il nuovo motore dell'economia" che l'economista francese Jean Paul Fitoussi ha tenuto oggi nel corso della prima sessione degli Stati Generali della sostenibilità organizzati dalla Regione Toscana e in corso di svolgimento alla Fortezza da Basso di Firenze.
"I governi hanno fatto bene a salvare le banche, ma hanno dimenticato di fissare le condizioni. Il contribuente ha pagato per salvare le banche, ma non capisce perché. Dopo essere state salvate ora le banche fanno profitti enormi", ha proseguito il presidente dell'Osservatorio francese delle congiunture economiche.
Fitoussi ha sottolineato che le banche "distribuiscono bonus e i governi non si preoccupano più della disoccupazione. Oggi si parla di debito pubblico". Da questo punto di vista, ha poi spiegato l'economista, "pesa il deficit di governo politico dell'Ue". "L'Europa - ha aggiunto - è il Paese più grande del mondo, perché ha il Pil più grande: in confronto la Cina è piccola. L'Europa però non si vede come un grande Paese. L'Europa - ha concluso - è la sola regione del mondo che non ha un governo e stiamo pagando il costo economico dell'assenza di un governo politico".
«Molti economisti - ha aggiunto Fitoussi - considerano la crisi come se fosse una parentesi, chiusa la quale si dovrebbe continuare come prima. Invece dobbiamo riconoscere che abbiamo sbagliato, che eravamo di fronte alla grande bugia di un sistema finanziario che prometteva a tutti rendimenti più alti di quelli medi e dobbiamo far crescere l'economia reale e non quella finanziaria».
Dopo aver osservato che la crisi economica e quella ambientale hanno le stesse origini, ha sottolineato come le disuguaglianze mondiali nell'ultimo quarto di secolo si siano accentuate perché eravamo in pieno "fondamentalismo di mercato".
Fitoussi ha concluso la sua lezione ammonendo che «se cresce il malessere sociale non ci sarà sostenibilità, ma che sarà possibile raggiungerla soltanto se saremo in grado di puntare al progresso sociale».
Red
Fonte: www.aprileonline.info
Link. http://www.aprileonline.info/notizia.php?id=13616
Crisi: Fitoussi, all'origine disuguaglianze e squilibri sociali
Se il governo crea moral hazard... (Prima parte)
di antonio mele (rabbi), 26 Novembre 2009
L'amministrazione Obama ha creato, e sta ancora creando, enorme moral hazard con i provvedimenti presi (o non presi) in reazione alla crisi finanziaria. Sembra decisamente intenzionata a proseguire sulla medesima strada. È facile vedere, e prevedere, che tale politica economica ha e avrà conseguenze disastrose per l'economia americana e mondiale.
Una massiccia creazione di incentivi distorti sta peggiorando la situazione sui mercati finanziari e creditizi, rendendo convenienti comportamenti opportunistici pericolosi per il sistema. Nel frattempo, il governo americano spende enormi somme per lo stimolo fiscale che cura i sintomi ma non le cause della crisi. La verità è che non vuole curare le cause, ha oramai deciso di salvare i responsabili della catastrofe finanziaria con una lenta e poco trasparente infusione di denaro pubblico, a scapito dell'economia reale, e dimenticandosi delle riforme che sarebbero necessarie per rendere il sistema finanziario più stabile.
Le conseguenze che possiamo già vedere sono la creazione di bolle su strumenti finanziari rischiosi grazie al dollaro debole e alla politica monetaria della liquidità a valanga; l'enorme aumento del debito pubblico per far fronte alla subdola ricapitalizzazione delle istituzioni finanziarie, all'inutile quanto colossale stimolo fiscale, ed alla futura disastrosa riforma sanitaria. Vediamo, soprattutto, una diffusa paralisi dell'economia americana che si riflette nella stentata ripresa e nella disoccupazione stellare. Obama rischia di passare alla storia come colui che condannò l'America (e il mondo intero?) a un decennio perduto in salsa sushi.
In questo pezzo, mi soffermo sulle istituzioni finanziarie, e cerco di argomentare sulle conseguenze dei provvedimenti (quelli varati e quelli omessi) dell'amministrazione Obama. Prossimamente analizzerò il lato delle famiglie.
Riassuntino della prima parte per i pigri
Faccio un riassuntino qui all'inizio per quelli che hanno fretta. La mia tesi sui mercati finanziari si divide in due sottoargomenti:
- Il governo USA ha creato (addizionale ed) enorme moral hazard nel sistema finanziario, salvando le maggiori istituzioni finanziarie americane. Per fare questo, il governo americano ha organizzato una colossale operazione di trasferimento di soldi dalle tasche del contribuente alle casse delle maggiori banche. In questo modo, il governo continua a dare gli incentivi sbagliati per la ricapitalizzazione delle banche, rendendo per loro superfluo cercare finanziatori o compratori privati (cosa che implicherebbe un risultato decisamente punitivo per le banche in difficoltà, e per il loro management). La lenta e poco trasparente infusione di denaro pubblico tramite FED e Treasury rende il processo di ricapitalizzazione lento ed inefficiente.
- Le proposte di riforma della regolamentazione dei mercati finanziari e creditizi sono poco incisive e populiste, nonchè gattopardesche. Il segnale mandato al mercato è: la pacchia non è finita. E il mercato, ovviamente, risponde come da manuale: continua a prendere rischi in eccesso. Non solo, ma il ruolo che Goldman Sachs sta avendo nelle manovre semi-segrete del Treasury e della FED è sempre meno trasparente.
Questi incentivi a prendere rischi eccessivi si stanno palesando nei movimenti recenti delle borse mondiali, di cui scrive Roubini sul FT di qualche settimana fa. Oltre a questo, il fatto di essere assicurati da Zio Sam genera mostri, dove il rischio è accollato al taxpayer e il profitto (se arriva) va alla banca.
Too big to fail, banche e ricapitalizzazione
Questo è argomento stranoto, ma val la pena ripeterlo: salvare dalla bancarotta le maggiori banche americane, AIG, varie compagnie automobilistiche e altre entità finanziarie ha dato incentivi perversi a chi gestisce tali istituzioni.
Perché si fanno questi salvataggi? La giustificazione è la dottrina del too big to fail: queste istituzioni, andando in fallimento, trascinerebbero con loro tutto il resto del sistema finanziario. Inoltre, queste entità sono complicate e sarebbe difficile farle fallire come una banca qualsiasi. Se fossero banche di dimensioni modeste, in caso di estrema sofferenza, l’organo preposto (FDIC) le prenderebbe in temporanea consegna un venerdi sera, e arrangerebbe la vendita ad un’altra banca nel fine settimana, cosi che il lunedi la stessa banca fallita aprirebbe sotto nuove insegne. Le grandi banche sono entità molto più complicate, e non si può pensare di risolvere il problema dal venerdi al lunedi successivo: c’è bisogno di tempo, e i mercati finanziari non possono aspettare.
Il governo americano attuale, e quello precedente, hanno seguito la strada del salvataggio generalizzato. Quali le conseguenze, a due anni dall'inizio della crisi? Principalmente quattro: la ricapitalizzazione delle grandi banche avviene in modo poco trasparente e lento, mantenendo in vita delle entità zombie che non sono in grado di far prestiti; il problema delle grandi banche che pongono un rischio sistemico è peggiorato; delle riforme che dovrebbero garantire una maggiore stabilità al sistema finanziario non si parla più; si sta creando una nuova bolla finanziaria.
Le banche che erano too big to fail l'anno scorso, ora lo sono ancora più big. Nel frattempo, non è stata sviluppata nessuna procedura per farle fallire ordinatamente, nel caso fosse necessario. Questa situazione di mercato oligopolistico continua ad essere causa di rischio sistemico.
Il problema maggiore per l'economia reale, però, continua ad essere il fatto che le banche hanno perso molto capitale e vanno ricapitalizzate in modo da poter funzionare normalmente. Qualche mese fa Michele discuteva delle possibili soluzioni. Quella che Michele suggeriva, correggetemi se sbaglio, era abbastanza lineare: temporanea presa in consegna delle istituzioni in crisi da parte del governo, procedura di bancarotta, ricapitalizzazione possibilmente tramite mercato, e rivendita delle istituzioni a spezzatino (dividendo quindi le banche grosse in entità più piccole che non possano creare problemi sistemici). In particolare, ci sono tante entità finanziarie che potrebbero tranquillamente comprare parti delle maggiori banche americane e rimetterle in piena efficienza entro breve: private equity funds, sovereign funds, consorzi di banche locali, ecc. Cosa è successo invece? Niente di tutto ciò, la ricapitalizzazione sta avvendendo in maniera subdola e poco trasparente.
Il governo americano e la FED hanno istituito vari programmi che essenzialmente servono a comprare securities da istituzioni finanziarie in sofferenza. Ovviamente non li hanno chiamati "Programma per salvare il culo a Citi e BofA", ma essenzialmente quello fanno. Esempio: la FED è diventata estremamente attiva sui mercati finanziari. La politica monetaria del qualitative easing (non chiamatelo quantitative easing che poi i miei amici alla FED si arrabbiano, anche se non so bene perché) ha fatto sì che lo stato patrimoniale della FED sia cambiato drasticamente dall'inizio della crisi. La FED ha comprato qualsiasi titolo le venisse proposto sul mercato, per dirla in parole povere. Che titoli venivano offerti sul mercato? Ovviamente, quelli più rischiosi e più illiquidi, che la FED prontamente comprava. Se si va a guardare lo stato patrimoniale della banca centrale americana (vedere i grafici aggiornati a fine settembre in questo post di Hamilton), si vede chiaramente cosa sta succedendo: la banca centrale americana ha rastrellato qualsiasi schifezza ci fosse nella pancia delle istituzioni finanziarie.
La FED riteneva di ottenere due risultati: primo, immettere liquidità nei mercati per far ripartire le attività di prestito delle banche e, secondo e più importante, movimentare i mercati finanziari bloccati. Ho i miei dubbi sul raggiungimento del primo obiettivo, il lending continua a scendere pesantemente, e le banche continuano a praticare il giochino che Michele ci descriveva qualche mese fa: tenersi le riserve in saccoccia, prestare poco e a condizioni molto punitive, e cercare di attirare depositi nuovi. Perfettamente in linea con quello che avrebbe previsto la teoria economica: le banche devono riassorbire le perdite e creare riserve per le perdite future attese.
Il secondo obiettivo, però, è stato ottenuto: immaginate di essere un fruttivendolo e che ci sia un compratore (la FED nel nostro caso) che compra qualsiasi mela gli offriate, comprese quelle coi vermi o marce, a prezzi ai quali non riuscireste mai a vendere a nessun altro; ovvio che il mercato bloccato si sblocca. L'argomento per questo tipo di interventi, compreso il PPIP del Treasury Department, è quello di Jeremy Stein, economista ad Harvard e consulente del Tesoro americano: i prezzi degli assets sono molto sottovalutati, perchè la gente è stata presa dal panico, e se qualcuno interviene sui mercati per far risalire questi prezzi darà di nuovo fiducia agli investitori che torneranno a comprare in massa. Gli assets comprati dal governo a basso prezzo saranno poi rivenduti più tardi, quando i prezzi saranno di nuovo alti.
Questa analisi fa acqua da tutte le parti. Quanto è durato questo "panico"? Un "panico" è tale se dura qualche settimana, o mese. Se continua per più di un anno allora, forse, non è panico ma comincia ad assomigliare ad una valutazione "realistica", ossia basata sulle informazioni ed i calcoli che il mercato fa a mente fredda nella nuova situazione. Questo implica, però, che si sono comprate e si stanno ancora comprando attività a prezzi di favore, operando quindi un trasferimento di risorse dal taxpayer (da cui in ultima istanza la FED dipende e viene finanziata) alle istituzioni bancarie. Insomma, questi schemi sono forme subdole di sussidi alle istituzioni finanziarie. Così sta avvenendo la ricapitalizzazione silenziosa delle banche americane. Credo da discussioni precedenti che ci sia accordo su questo e posso confermare che nei "circoli accademici" (i.e., i pubs dove gli economisti vanno bere birra e discutere di economia :-) ) questa è oramai un'idea che gira da tempo e viene data per scontata.
Se è vero che non è il panico a guidare i prezzi degli assets al ribasso, e sotto ci sono cause strutturali ben più importanti - il mercato immobiliare, il trend di foreclosures che non si ferma, ecc. - il problema è più grave. L’analisi del Treasury e della FED presuppone che le istituzioni bancarie siano solo illiquide, ovvero abbiano problemi temporanei di liquidità perché i loro assets sono valutati troppo poco dal mercato. La mia analisi dice invece che le istituzioni bancarie sono insolventi, e si torna al problema di farle fallire ordinatamente di cui si parlava prima.
Qui torniamo al punto di partenza: con questo schema di ricapitalizzazione si genera solo una sacca di moral hazard per le banche. L'incentivo che si dà non è quello di cercare compratori e/o nuovi investitori, ma di mantenere lo status quo di zombie bank e aspettare che la situazione migliori grazie ai soldini del taxpayer. Queste zombie banks sono ancora tali dopo oltre un anno dai primi interventi post-Lehman, ma il governo americano ha deciso che va bene così e che le farà lentamente resuscitare. Esattamente la scelta del governo Giapponese quindici anni orsono. Nel frattempo, le banche che non appartengono al circolo buono vengono sistematicamente ignorate. Il risultato di questa scelta è sotto gli occhi di tutti, e non è un buon risultato.
Riforme della regolamentazione
Le proposte di riforma dei mercati finanziari (qui quella del governo, qui quella di Dodd con un commento avvelenato) sono per ora delle belle foglie di fico. Sono bacate alla radice sia dalla regulatory capture che dall'atteggiamento di onnipotenza del governo. Come già detto, mancano importanti temi, ma anche quelli affrontati lo sono in modo carente. Per esempio, la proposta di regolamentazione dei compensi dei managers delle banche è più un elenco di norme di buon senso che una vera e propria regolamentazione e, ovviamente, istituisce due nuovi organi di controllo degli schemi di retribuzione dei managers. Si dà molta enfasi al tema "salari dei managers" perchè è un tema molto sentito dall'opinione pubblica. L'impressione è la seguente: facciamo molto fumo sul tema salari, una volta archiviata la pratica di prendere a ceffoni i managers, la gente non romperà più le scatole su una riforma più attenta ai contenuti.
Leggendo le proposte di riforma salta all'occhio che tutto sembra una questione di quantità: più supervisione, più capital requirements, più disclosure, più agenzie governative... Questo è il modo migliore per non cambiare niente e non entrare nel merito delle questioni spinose: quanto grande può essere una banca senza creare rischio sistemico? Come dobbiamo regolamentare i mercati di titoli derivati? Come dobbiamo regolamentare i mortgage brokers? E via di seguito.
Per fare un esempio di questione spinosa: le agenzie di rating sono state completamente dimenticate dalle proposte di riforma. Come noto, molti analisti ritengono che le agenzie di rating abbiano prodotto giudizi troppo accondiscendenti perché i soldi arrivavano dagli emissori e non dagli acquirenti. Una riforma dovrebbe cercare di riallineare gli interessi delle agenzie di rating con quelli di chi compra prodotti finanziari. Se andate a leggere le proposte di riforma, questo obiettivo non sembra più essere nell'agenda di nessuno. Nel frattempo continuano a venire alla luce dei particolari poco edificanti. Il rischio è che, grazie a questa persistente sacca di moral hazard nel mercato dei ratings, si ripeta l'orgia di AAA-rating che ha prodotto la catastrofe nel mercato MBS.
Oltre a tutto ciò, la regulatory capture sembra essere peggiorata: non solo il governo americano e la FED sembrano agire segretamente quando non dovrebbero/potrebbero, ma stanno anche dando ad alcuni players (in realtà: a uno solo) praticamente carta bianca. Il fatto che il precedente segretario del Tesoro fosse un ex CEO di Goldman, e che l'attuale sia l'ex Governatore della FED-NY (che, nei piani alti, è una succursale di G&S) fa ritenere la cosa abbastanza sospetta. Le menti complottiste si stanno chiedendo come mai G&S sia l'unica ad aver avuto mesi di guadagni ininterrotti sul trading. La classica domanda su chi lavora per chi nella relazione fra G&S ed il governo USA è di rigore.
Visto che vivo in Inghilterra, a me risultano evidenti le differenze col modo di procedere del governo inglese: dopo lungo tergiversare, e pur continuando a riversare soldi pubblici nelle maggiori banche nazionalizzate, ha deciso di optare per una soluzione seria. La discussione pubblica verte, finalmente, sul COME fare un bello spezzatino delle banche più grosse per promuovere maggiore competizione nel settore e risolvere il problema della bancarotta delle banche molto grandi. Ci sono vari opzioni sul tappeto e la discussione andrà avanti per qualche tempo, ma si muove nella direzione giusta. Il Governor della Bank of England è sicuramente uno dei promotori del dibattito, e sostiene l’opzione spezzatino in modo deciso: le banche nazionalizzate vanno divise in entità più piccole e rivendute al mercato.
Per quanto riguarda il problema del fallimento di banche a rischio sistemico, in UK si dibatte dei cosidetti living wills delle banche: uno strumento per gestire la bancarotta con il quale la banca dichiara cosa succede alle sue attività nel momento in cui è insolvente (una proposta simile è contenuta anche nel draft di Dodd). Questa proposta secondo me non ha molto futuro, ma questo è secondario. Ciò che salta all’occhio è la differenza sostanziale col governo americano: quello inglese è cosciente che la situazione deve cambiare, con nuove regole e nuovi attori che creino maggiore competizione e riducano il rischi sistemico. Le autorità competenti stanno portando avanti il dibattito sul come, ma l'obiettivo è chiaro. Negli USA, niente di tutto questo.
Nuove bolle?
La conseguenza immediata più grave delle politiche economiche di Obama si osserva nei mercati finanziari. La crisi attuale deriva da una bolla immobiliare, generata nei modi e nei tempi indicati da Michele nei suoi articoli sulla crisi. Questo non ha insegnato nulla ai policymakers: come diceva Roubini qualche giorno fa, sempre col suo tono da apocalisse imminente, il governo americano con le sue politiche economiche sta pavimentando la strada verso un altro disastro. Dollaro debole e interessi zero stanno creando le condizioni per un'altra mostruosa bolla pronta ad esplodere. Qui non ho chiara la situazione, a me sembra una specie di enorme "gambling on resurrection" (ovvero, istituzioni sull'orlo del fallimento fanno investimenti rischiosi che se vanno a buon fine daranno la sopravvivenza, sennò causerebbero comunque la bancarotta che già si intravede) di tante istituzioni finanziarie. Oppure potrebbe semplicemente essere il caso che i mercati finanziari hanno capito che la pacchia è tornata: liquidità cheap (anzi a interessi negativi visto il crollo del dollaro) e investimenti rischiosi a gogò, tanto se collassa tutto c'è lo Zio Sam di nuovo. Per riassumere: moral hazard fatto in casa, anzi Casa Bianca, con conseguenze da manuale del piccolo economista.
Conclusioni
Il governo americano ha optato per ritornare alla situazione pre-crisi . Lo sta segnalando da mesi ed i mercati ne traggono le conseguenze. Probabilmente hanno ragione Alberto e Brighella, a dire che Tim Geithner non ha ancora capito cosa sia il moral hazard. O, per chi crede ai complotti, forse lo ha capito troppo bene. Auguroni.
http://www.noisefromamerika.org/index.php/articles/Se_il_governo_crea_moral_hazard..._(Prima_parte)
Termini Imerese: chiudere o no?
Scritto da Il Legno Storto
giovedì 26 novembre 2009
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Botta e risposta tra Scajola e Marchionne.Pubblichiamo da Chicago blog un intervento di Stefano Feltri
Ma c’è qualcuno che ha il coraggio di suggerire che forse Termini Imerese deve chiudere? Il ministro Claudio Scajola parla di “follia”. Il Partito democratico non è molto presente nel dibattito, assai più occupato a nominare la segreteria formale e quella ombra. Ma parlando con la nuova squadra economica di Bersani, sono tutti d’accordo: la fabbrica non deve chiudere. Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat, ha già spiegato perché quella fabbrica non serve: costa troppo, ogni auto nasce con una tassa da 1000 euro incorporata. E visto che il gruppo cerca di concentrare la produzione e diminuire l’eccessiva capacità produttiva installata, taglia lo stabilimento meno efficiente (o meglio, smette di produrci automobili, cosa ci farà resta un mistero).
A questo punto ci sono due opzioni di politica industriale: si costringe la Fiat a tenere aperto la stabilimento scaricando, di fatto, sulla fiscalità generale i costi in eccesso in cambio della garanzia che i 1500 posti di lavoro sopravviveranno. Oppure si lascia che la Fiat faccia quello che vuole, usando i soldi pubblici per gli ammortizzatori sociali e per immaginare una politica industriale post-grande industria, per salvare il tessuto economico che sta davvero collassando, quello delle piccole imprese e dei professionisti. Non c’è una soluzione giusta e una sbagliata, ma sono due opzioni da valutare. Invece, su questo dossier, sembra che non ci sia alcuna differenza tra maggioranza e opposizione: il governo è soltanto più esplicito nel dire che la Fiat è in debito perché ha ricevuto gli incentivi alla rottamazione. A una distorsione del mercato, pur legittimata in parte da distorsioni analoghe di cui beneficiavano i concorrenti, si risponde pretendendone un’altra.
Eppure si dovrebbe discutere di cosa succederebbe se la Fiat agisse soltanto con logiche di mercato, delocalizzando e producendo a costi competitivi in Serbia invece che a Termini o a Pomigliano, vendendo auto che costerebbero meno (sia nella produzione che in termini di sussidio pubblico).
Siamo sicuri che l’Italia, nel complesso, ne soffrirebbe? Ci sono i lavoratori, si obietta. Certo: e infatti di loro deve occuparsi lo Stato, sostenendo chi perde il posto, operazione forse più economica di mantenere aperto un intero stabilimento.
http://www.legnostorto.com/index.php?option=com_content&task=view&id=26765
SCIENZIATO REITERA LA PROPRIA DENUNCIA IN UNO STUDIO PUBBLICATO:
Data: Giovedì, 26 novembre @ 17:10:00 CST
Argomento: Informazione
IL VIRUS DELL'INFLUENZA SUINA È SFUGGITO AI CONTROLLI DI LABORATORIO
DI SIMEON BENNETT
bloomberg.com
Adrian Gibbs, il virologo che nello scorso Maggio aveva detto che il virus dell'influenza suina poteva essere sfuggito al controllo di un laboratorio, ha pubblicato oggi le sue scoperte, riaprendo la discussione sulle origini del virus pandemico.
Il nuovo ceppo dell'H1N1 , che è stato scoperto in Messico e negli Stati Uniti in Aprile, potrebbe essere il prodotto di ceppi provenienti da tre continenti che sarebbero stati geneticamente modificati in laboratorio o in un impianto di produzione dei vaccini, così hanno scritto Gibbs e altri scienziati australiani suoi collaboratori sul Virology Journal. Gli autori hanno analizzato la composizione genetica dei virus e hanno trovato che le sue origini potrebbero essere spiegate molto più semplicemente da un coinvolgimento umano che da una coincidenza naturale.
Il loro studio, pubblicato su un giornale gratuito online, è stato revisionato da altri scienziati e segue il dibattito tra ricercatori apertosi sei mesi fa, quando Gibbs stesso chiese all'Organizzazione Mondiale della Sanità di considerare queste ipotesi. Dopo aver esaminato il primo articolo di Gibbs di tre pagine, l'OMS e altre organizzazioni avevano concluso che il ceppo pandemico era un virus di origini naturali e non un prodotto di laboratorio.
"È importante che venga identificata l'origine del nuovo virus se vogliamo impedire future pandemie piuttosto che limitarci a minimizzare le conseguenze una volta che sono apparse", dicono Gibbs e i colleghi John Armstrong e Jean Downie nel loro lavoro odierno di otto pagine.
Gibbs e Armstrong sono professori emeriti presso l'Università Nazionale Australiana a Canberra e Downie è affiliato presso il Centro di Malatte Infettive e i Laboratori di Microbiologia del Westmead Hospital di Sydney, in base all'articolo.
Sebbene l'esatta origine del nuovo ceppo dell'H1N1 sia ancora un mistero, la loro ricerca ha "sollevato molte nuove domande", dicono. Gli autori hanno confrontato le mappe genetiche dei ceppi di virus dell'influenza contenuti nell'archivio pubblico Genbank e hanno scoperto che i progenitori più vicini al virus pandemico sono diffusi tra i suini.
'La spiegazione più semplice'
Mentre gli uccelli migratori possono aver agito come canale per la confluenza dei virus, il coinvolgimento umano nel farli combinare insieme è "al momento la spiegazione più semplice", ha detto oggi Gibbs in un'intervista telefonica.
Gibbs ha scritto o collaborato alla stesura di più di 250 pubblicazioni scientifiche sui virus, principalmente riguardanti il mondo vegetale, durante i suoi 39 anni di carriera all'Università Nazionale Australiana, secondo quanto scritto nelle informazioni biografiche sul sito web dell'Università.
"Conoscendo Adrian Gibbs, deve averci riflettuto in modo piuttosto razionale e deve essere arrivato a quella conclusione", ha detto in un'intervista telefonica Lance Jennings, un virologo clinico dei Laboratori Sanitari di Canterbury a Christchurch, in Nuova Zelanda. "Ora è compito di qualcun altro provare a confermarlo o confutarlo".
Simeon Bennett (sbennett9@bloomberg.net)
Fonte: www.bloomberg.com
Link: http://www.bloomberg.com/apps/news?pid=20601124&sid=ajw2AS.d1wK8
24.11.2009
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ELISA NICHELLI
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Non ci sono più gli sceicchi di una volta
Pensate a una carriere nella Finanza? “Puntate su Dubai”. Volete diventare architetti di grido? E dove volete andare se non tra le “realtà urbane avveneristiche” di Dubai? E se vi interessate di Turismo, poi, beh andate comunque a Dubai. Vedrete che occasioni. E vedrete che ridere. Parole e musica - ovvero sviolinate - del nostrano “Corriere della Sera”. Che, come un sacco e una sporta di altri giornali, al miracolo Dubai - perla del Golfo Persico e città-Stato, parte degli esotici Emirati Arabi Uniti - aveva dedicato fior fior di articoli. Tutti - fino a un annetto e mezzo fa - inevitabilmente elogiativi.
Già. Peccato che giusto ieri la favola di Dubai si sia interrotta. E abbia fatto capolino una realtà ben diversa. L’emirato - dopo mesi di crisi - ha fatto quello che ha tutta l’aria di un silenzioso default. Cioè un bel crac. Che per dimensioni sarebbe secondo - osserva l’agenzia di stampa americana Bloomberg - solo a quello dell’Argentina del 2001.
Che è stato? Semplice. E’ stato che - così scriveva Newsweek a febbraio 2009 - fino a 20 anni fa Dubai era un pezzo di deserto affacciato sul mare. Poi un paio di sceicchi col bernoccolo degli affari - Maktum bin Rashid Al Maktum, e il suo successore e attuale sceicco Mohammed bin Rashid Al Maktum - ebbero un’idea meravigliosa. Usare i danari del petrolio per trasformare la città-Stato in un giardino. Anzi: in una selva di palazzi e appartamenti da mille una notte. Compreso uno dei grattacieli più alti del mondo. E un arcipelago artificiale disseminato di case da sogno. L’obiettivo, insomma, era trasformare Dubai in un tempio del turismo per ricchi e ricchissimi, e in un grande centro finanziario per tutto il medioriente. A qualunque costo.
E i costi - negli anni - sono lievitati parecchio. Forse, pure troppo.
Oggi come oggi: secondo il “Financial Times“, Dubai ha debiti verso l’estero per 80 miliardi di dollari. E la sola Dubai World - holding controllata dallo Stato, che sta costruendo il famoso arcipelago in mezzo al mare e le mani in pasta ovunque - deve restituire in giro per il mondo circa 22 miliardi di dollari. Domanda: ma tanto lo sceicco non è ricco che più ricco non si può? Non proprio: il suo patrimonio personale - secondo l’agenzia di stampa americana Bloomberg - vale “solo” 12 miliardi di dollari. Tra l’altro: 6 miliardi di dollari in meno - causa cattivi investimenti - di un anno fa.
E dire che tutto sarebbe andato bene, anzi benone. I prezzi delle case - nel primo trimestre del 2008, prima del fallimento di Lehman Brothers e l’inizio della crisi - erano aumentati del 43%. Ma dopo il ciclone dei mutui subprime, nulla è stato più lo stesso. Neppure per lo sceicco e la sua città da favola. Il valore di quegli stessi immobili che prima tutti volevano comprare, ha preso a scendere a capofitto (facendo segnare, nei primi 11 mesi di quest’anno, un secco -47%; secondo il Sole 24 ore). E anche il prezzo del petrolio - vera miniera d’oro (nero) di Dubai - è crollato. Risultato: prima si sono fermate le gru. Ora si sono fermati i pagamenti. Ieri - spiazzando tutti gli investitori - la Dubai World ha chiesto ai suoi creditori di pazientare. Perchè Mohammed bin Rashid Al Maktum sarebbe un tantino in difficoltà. E, per lo meno per i prossimi sei mesi, non avrebbe intenzione di cacciare il quattrino per pagare tutti i prestiti che stanno andando a scadenza. Una decisione unilaterale (cioè non concordata con i creditori) che - se non stessimo parlando di uno Stato, ma di un’azienda vera e propria - avrebbe appunto già significato la fine dei giochi. E l’inizio del default.
Scorrere la lista dei beffati dal ricco emiro, comunque, lascia abbagliati. Perchè si tratta di una parata di stelle. Della Finanza e non solo. Tra gli altri - come ha osservato il blog del Financial Times - spiccano nomi noti e notissimi del jet set. Come i calciatori inglesi David Beckham e Micheal Owen; la premiata ditta Brad Pitt e Angelina Jolie; il (fu) Micheal Jackson; la modella Naomi Campbel e l’attore americano Denzel Washington. Tutti assieme - assai poco appassionatamente - si erano fatti sedurre dallo charme dello sceicco. Charme che aveva colpito al cuore anche alcune delle principali banche del Pianeta, che negli Emirati arabi uniti avevano investito palate di danaro. Ovvero - sempre secondo il blog del Financial Times - Hsbc (17 miliardi di dollari), Barclays (3,6 miliardi di dollari), Royal Bank of Scotland (2,2 miliardi di dollari), Citigroup (1,9 miliardi di dollari), Bnp Paribas (1,7 miliardi di dollari), Lloyds (1,6 miliardi di dollari).
E ora? E ora - per usare le parole di Roula Khalaf, columnist del Financial Times ed esperta di Medio Oriente - Dubai ha molto da spiegare. Soprattutto su quando, come e chi intende pagare. Nell’attesa rimane una certezza. Meno male - come scriveva tempo fa sempre il Corriere (e un buon numero di altri giornali italioti) - che la “Finanza islamica” era diversa e non tirava sòle come quella targata Usa o Europa. E meno male che la stragrande maggioranza degli italiani, i giornali proprio non li legge.
Dubai bye bye?
giovedì 26 novembre 2009
Crollo delle borse europee sulle voci di un default dell'emirato arabo. Una prima stima quantifica in 40 miliardi l'esposizione delle banche europee. Esposte anche numerose società italiane (lista alla quale va aggiunta anche la Impregilo). E pensare che solo pochi giorni fa il nostro premier in persona si era mosso alla volta di Dubai City accompagnato dal fido Scajola per sottoscrivere importanti accordi commerciali e trovare finanziatori per il suo Milan.....
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Virtus in medium est?
Tra chi teorizza più stimoli e quindi più spesa pubblica (come Paul Krugman) per non cadere in una ripresa senza occupazione (anticamera di una nuova e più profonda recessione) e chi terrorizza la gente con l'incubo del deficit pubblico e dell'inflazione e afferma la necessità da subito di una "exit strategy", si colloca l'economista ed editorialista del Financial Times, Martin Wolf.
Il primo prende lo spunto dai verbali del board dei governatori della Federal Reserve in cui viene prevista una discesa della disoccupazione molto lenta — ancora sopra il 9% alla fine del 2010, sopra l' 8% alla fine del 2011, intorno al 7% alla fine del 2012. L'inflazione nel frattempo viene prevista considerevolmente sotto il target della Fed, cioè sotto il 2%. Secondo Krugman quindi tra tre anni a partire da ora noi saremo ancora nella trappola della liquidità, con nessuna ragione per alzare i tassi sopra lo zero e la necessità di continuare una politica di quantitative easing e di espansione fiscale.
Martin Wolf non nasconde che un debito fuori controllo rappresenti un grave problema e che occorrerà fare qualcosa. Nondimeno ridurre nettamente i deficit adesso sarebbe sbagliato. È estremamente probabile infatti che farlo possa voler dire respingere le economie nella recessione, come accadde in Giappone negli anni 90. Cosa occorre fare allora? Continua a leggerlo qui.
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Acqua ai privati: la Sicilia scende in piazza
Giovedì 26 Novembre 2009 – 9:02 – Andrea Angelini
Dopo aver varato la legge che entro il 2011 affiderà ai privati la gestione e la distribuzione di un bene pubblico essenziale come l’acqua, che a nostro avviso non può essere assolutamente ridotta a merce, il governo sta pensando anche ad una Autorità che regoli e vigili sulla attuazione pratica della liberalizzazione, in altre parole sui metodi con i quali funzionari pubblici come i sindaci saranno obbligati a trasferire strutture pubbliche alla voracità dei privati. Strutture che, pur tra manchevolezze e sprechi, svolgono però una funzione essenziale e sociale. Nessuno ci garantisce infatti che un privato, proprio perché privato, pensi a tutelare in primo luogo l’interesse pubblico e non punti esclusivamente a fare gli interessi propri e dei suoi soci. Un sospetto più che legittimo se solo si pensa che le spese di manutenzione degli acquedotti sul territorio nazionale resteranno in carico al soggetto pubblico, lasciando ai privati l’occasione di pensare solo ai profitti.
Il ministro degli Affari regionali, Raffaele Fitto, ha ventilato l’istituzione della nuova Autorità ma l’iniziativa ha lasciato decisamente perplesso il presidente dell’Antitrust, Antonio Catricalà che se dipendesse da lui sfrutterebbe invece la situazione esistente affidando la verifica puntuale del contratto di servizio alle autonomie locali. Catricalà, da liberista dichiarato, ha spiegato di temere un nuovo carrozzone pubblico che da Roma controlli ad esempio il servizio idrico di Canicattì in Sicilia.
Una regione
tra autonomia e protesta
E proprio dalla Sicilia, sono arrivate le più veementi proteste contro la privatizzazione dell’acqua da parte di circa un centinaio di sindaci, consiglieri comunali e assessori siciliani che hanno manifestato a Palermo davanti a Palazzo dei Normanni, sede della Regione, chiedendo all’Assemblea regionale la rapida approvazione del progetto di legge già presentato da Giovanni Panepinto (Pd) che prevede il ritorno alla gestione pubblica delle reti idriche. Il decreto legge Ronchi, sulla privatizzazione dell’acqua e di altri servizi pubblici locali di rilevanza economica, è infatti intervenuto a peggiorare le cose prevedendo che la quota azionaria pubblica della società che gestisce il servizio di distribuzione scenda sotto il 30%, lasciando di fatto via libera ai privati. In Sicilia, in applicazione della legge Galli sulle acque, è una società regionale a gestire l’acqua.
Ma la quota in mano pubblica è molto più bassa. Siciliacque è solo al 25% delle Regione, mentre il 75% è di un socio industriale come la Sorical, di cui il 53% è della Regione e il 47% del gruppo francese Veolia. Ma la gestione lascia molto a desiderare ed è concreta la minaccia di un rincaro delle tariffe.
Il decreto Ronchi ha posto ostacoli insormontabili al progetto di legge per il ritorno alla gestione pubblica tanto che Antonello Cracolici, presidente del gruppo PD ha sottolineato che esso mortifica la autonomia siciliana e che si registra il paradosso di un partito, il Popolo delle Libertà, che continua a recitare due parti in una commedia. In Sicilia dice di essere al fianco dei sindaci, mentre a Roma ha fatto il contrario, votando la fiducia al decreto. Da qui l’altra richiesta al Presidente siciliano Raffaele Lombardo, di impugnare davanti alla Corte Costituzionale l’art. 15 del decreto legge Ronchi.
http://www.rinascita.info/cc/RQ_Economia/EkVAkFyAFVDvaWrIIl.shtml
Petrolio e prodotto interno lordo.
Nov 0926
Pubblicato da Debora Billi alle 12:37 in Scenari
Interessantissima questa recente affermazione dell'ex Presidente della Saudi Aramco, Sadad Al Husseini:
Se arrivi, ad esempio, a 90 dollari al barile, vuol dire che stai usando il 4,5% dell'economia globale per il petrolio. Ciò è di per sé un limite insuperabile - non si può andare avanti indefinitamente e in più usare costose alternative senza distruggere l'economia e la domanda. Così, abbiamo questo limite sui prezzi e su quanti carburanti alternativi possiamo immettere sul mercato.
Un commentatore australiano si prende la briga di analizzare l'interessantissima questione. Ad esempio, nota che la maggior parte delle recessioni a partire dal 1970 seguono un periodo di grande aumento dei prezzi del greggio: l'economia non può evidentemente tollerare una spesa petrolifera superiore al 5/6% del PIL. Di conseguenza, si pensa che il record di 147$ al barile raggiunto lo scorso anno possa rappresentare una sorta di prezzo peak, che non sarà mai più raggiunto perché fisiologicamente uccide la domanda.
Quello che mi piace di più di questa teoria è che finalmente il concetto di "demand destruction" è ricondotto in termini più logici di quanto fatto finora, ovvero la semplice equazione meno soldi in giro=meno benzina nei serbatoi o meno prodotti petroliferi per l'industria. Tale equazione ha condotto a infinite diatribe, a discussioni sul filo dello zero virgola, e spesso persino a tentativi di smentita del peak sulla base di assurdità quali i chilometri percorsi dai vacanzieri disoccupati.
Il collegamento tra crisi e petrolio è così in una prospettiva completamente diversa. Ed accettando questo filo logico, potremmo usare il limite del 5% del PIL mondiale per prevedere agevolmente i prossimi aumenti/ribassi di prezzo del barile e persino le prossime recessioni. Che giochino interessante...
http://petrolio.blogosfere.it/2009/11/petrolio-e-prodotto-interno-lordo.html
FINANZA/ L'allarme del Financial Times: l'economia è troppo drogata
giovedì 26 novembre 2009
Mentre in Italia i giornali sono costretti a dare conto delle baruffe chiozzotte tra Giulio Tremonti e Renato Brunetta - come se il paese non avesse necessità più impellenti che assistere a uno scontro di ego al governo - finalmente all'estero si comincia a guardare in faccia la realtà di questa nuova fase della crisi e ci si comincia a porre delle domande.
Ad esempio, questa: «Continuare con l'eroina o passare al metadone? Oppure smettere in tronco con qualunque sostanza?». Poco urbana e all'insegna delle terminologia utilizzata sugli stupefacenti e sulla disintossicazione, è infatti la lettura del Financial Times sul dibattito mondiale in merito a tempi e modalità di uscita dalle misure anti-crisi. E «mentre le autorità somministrano sedativi, gli investitori passano alle anfetamine: asset a rischio e oro». Ciò che ilsussidiario.net scrive da almeno quattro settimane.
E ancora, sempre dalle pagine del quotidiano finanziario della City, il presidente della Banca mondiale Robert Zoellick mette in guardia dai rischi che si creino nuove bolle speculative, in particolare nei mercati asiatici. Anche questa una minaccia già denunciata da tempo. Per il Ft le misure anti-crisi, che sono inevitabilmente temporanee, stanno aggravando i bilanci dei vari paesi che le hanno adottate e nessuno pensa che possano restare all'opera in maniera indefinita.
Ma sul quanto a lungo vadano ancora mantenute non c'è concordia. Da un lato ci sono i politici, dice sempre l'Ft, «tra cui va incluso il direttore del Fondo monetario internazionale, Dominique Strauss-Kahn», che vogliono evitare di iniziare le exit strategies, affermando che ora sono premature. «È la classica posizione dei politici: sono riluttanti a prendere decisioni irreversibili che hanno conseguenze imprevedibili, e allora rimettono la palla al centro».
Dall'altro, prosegue un articolo della Lex Column, il caustico focus di ultima pagina, «ci sono policy maker più coscienziosi dei problemi tecnici, come i governatori della Banca centrale europea. Ritengono che mantenere gli stimoli potrebbe creare le prossime crisi. E stanno lentamente portando il paziente verso il metadone. Ma intanto gli investitori stanno scegliendo le loro personali exit strategies: comprano asset a rischio e oro. Mentre i policy maker somministrano sedativi - conclude l'Ft - loro optano per le anfetamine».
Non ho mai usato terminologie farmacologiche legata alla tossicodipendenza ma da settimane dico le stesse cose: non è un vanto, ma un motivo di ulteriore preoccupazione. Se c'è arrivato un signor nessuno come il sottoscritto, gli altri che favola stavano leggendo nel frattempo? Soprattutto, più che tra i giornalisti, tra i politici e i banchieri.
È il vecchio adagio: la finanza e i mercati sganciati dalla realtà, il “muro di liquidità” che porta la gente a speculare sull'oro come sui futures petroliferi e vede qualche milione di americani disoccupati, non in grado di pagare il mutuo e in default sulla carta di credito. Magari dopo che la denuncia è arrivata dal Ft, qualcuno potrebbe prendere sul serio la situazione.
I numeri, infatti, parlano di una situazione di dubbia lettura. Quindi, molto pericolosa a livello di diagnosi e potenziale cura. Partiamo dagli Usa. Il numero di lavoratori che per la prima volta ha fatto richiesta di sussidi di disoccupazione negli Stati Uniti la settimana scorsa è sceso al livello minimo in oltre un anno e allo stesso tempo le spese per consumi di ottobre sono aumentate più del previsto: insomma, buone notizie.
Il dipartimento del Lavoro americano ha comunicato che le richieste di sussidi di disoccupazione sono diminuite di 35mila unità nella settimana conclusasi il 21 novembre, a 466mila unità. La settimana scorsa il livello era a 501mila (rivisto al ribasso dalle 505mila inizialmente rilevate): gli economisti avevano previsto un calo molto inferiore, pari a 500mila unità. Si tratta della cifra più bassa dal 13 settembre 2008 ed è la prima volta che il livello scende sotto le 500mila unità dallo scorso gennaio.
Ma buone notizie, come anticipato, arrivano anche dal dipartimento del Commercio, che ha rilevato un aumento dello 0,7% delle spese per consumi il mese scorso, contro un calo dello 0,6% di settembre. I redditi personali degli americani al tempo stesso sono cresciuti dello 0,2% e per il secondo mese consecutivo: in questo caso gli analisti avevano previsto un aumento dello 0,6% delle spese e dello 0,1% dei redditi.
Ma il dato più importante, quello che ha messo le ali a Wall Street dopo un avvio piatto, è stato il 6,2% in più in un mese per quanto riguarda la vendita di nuove case negli States, un qualcosa di insperato anche dagli analisti più ottimisti. Ultimo dato, gli ordini di beni durevoli negli Usa sono scesi dello 0,6% a ottobre, contro un aumento dello 0,2% a settembre (dato rivisto dall'iniziale +1,4%): gli analisti si aspettavano un rialzo dello 0,5%.
Insomma, un dato negativo ma nel complesso il quadro macro uscito ieri dagli Usa appare incoraggiante anche se pronto a inversione repentine. Come già detto, una situazione tutta da decodificare. Chi invece ci spiattella in faccia con teutonica chiarezza la sua situazione tutt'altro che rosea è appunto la Germania, segnale questo che dovrebbe accendere la sirena dall'allarme per tutta l'eurozona.
Il governo tedesco ha deciso, infatti, di prorogare a tutto il 2010 lo scheda di sostegno pubblico all'occupazione, che vede lo Stato farsi temporaneamente carico di una consistente quota delle buste paga, mentre le aziende riducono le ore lavorate evitando però tagli occupazionali. Allo stesso tempo Berlino ha però accorciato da due anni a 18 mesi il tempo massimo in cui le imprese possono sfruttare questi aiuti.
«Mantenere i posti di lavoro resterà una sfida nel 2010», ha avvertito il ministro del Lavoro, Franz Josef annunciando la proroga: e proprio ieri l'indagine mensile dell'istituto Gfk ha rilevato che i timori in merito alla crescente disoccupazione hanno determinato un indebolimento della fiducia delle famiglie tedesche a novembre.
Lo schema di sovvenzione pubblica tedesco al lavoro parziale punta a assistere le imprese durante la fase di riduzione della produzione legata alla crisi: lo Stato copre fino al 67% del reddito dei lavoratori che si vedono ridurre l'orario e nel secondo trimestre 1,4 milioni di addetti hanno ricevuto sovvenzioni sulla base di questo sistema. Insomma, si cerca di rianimare l'economia e i consumi ma il debito sale.
E continua a salire visto che sempre il governo tedesco ha deciso di intervenire con una iniezione di liquidità d'emergenza a favore di WestLB, uno dei maggiori istituti regionali tedeschi con una decisione che segnala la persistente fragilità di un comparto creditizio che sta ancora lottando per ripulire le attività “tossiche” dai suoi libri contabili.
Lo rivelava ieri mattina sempre il Financial Times che, citando fonti vicine all'operazione, segnalava come secondo le bozze preliminari d'intesa Berlino fornirà un'iniezione di capitale iniziale da 3 miliardi di euro con la possibilità di fornire un ulteriore miliardo in seguito: i fondi erogati da Berlino potranno essere successivamente convertiti in quote azionarie fino al 49% del capitale dell'istituto. Per lo stato tedesco si tratta del maggiore intervento nel travagliato comparto delle Landesbank, che fino a oggi durante la crisi sono state sostenute dai rispettivi “padroni” regionali.
Germania, assets tossici non ripuliti e pronti ad esplodere come una bomba, la famosa bad bank che non nasce, il debito che schizza all'in su per la locomotiva d'Europa: anche queste cose non suonano nuove a ilsussidiario.net. Ora, però, i regolatori, i banchieri e i politici la smettano di fare come Tremonti e Brunetta e si rimbocchino le maniche: il tempo sta scadendo, la prima bolla da eccesso di liquidità potrebbe esplodere tra gennaio e febbraio. E allora, sì, saranno guai.
Party’s over: anche i ricchi piangono…
Dubai in default? Sembrava una cosa impossibile. Invece ora sta diventando realtà.
26 Novembre 2009, ore 15:15
Sembra veramente incredibile. I signori del petrolio in crisi, affossati dai debiti ed ora a rischio fallimento, o defalut se preferite. Questa à una giusta lezione verso coloro che credevano di poter comandare il mondo. La società statale Dubai World è alle prese con 59 miliardi di dollari di passività e ha chiesto ai creditori una moratoria sul debito.
“Dubai World intende chiedere a tutti i fornitori di finanziamenti a Dubai World e Nakheel una moratoria e di estendere le scadenze almeno fino al 30 maggio 2010″, ha detto il governo in una nota. La società sta anche cercando di rinegoziare un bond islamico da 3,52 miliardi della controllata Nakheel, l’operatore immobiliare delle isole a forma di palma, in scadenza il 14 dicembre.
La notizia ha fatto schizzare al rialzo il credit default swap, i costi per assicurare il debito di Dubai contro il rischio default e ha fatto precipitare i prezzi dei bond.
A Nakheel fa capo anche un debito da circa 980 milioni di dollari in scadenza il 13 maggio 2010, mentre il fondo di Dubai World, Limitless, ha un bond islamico da 1,2 miliardi di dollari in scadenza il prossimo 31 marzo. (fonte swissinfo )
Dubai World è la grande holding statale che praticamente …controlla tutto nel piccolo principato degli Emirati Arabi. Dai trasporti all’editoria, dall’edilizia all’energia.
La richiesta di moratoria,ovvero il congelamento del debito è il sintomatico segnale che si era fatto il passo più lungo della gamba. E subito (tardivo, come sempre) è arrivato il declassamento di S&P.
Finalmente un po’ di giustizia. Il Paese dei Balocchi ha subito un brutto risveglio. La festa è finita, signori, mi spiace. E per una volta, anche coloro che credevano di tutto potere e di tutto comprare, ora capiranno che alla fine sono degli esseri viventi come noi, presenti nello stesso mondo. E che magari ora potrebbero versare anche lacrime amare.
STAY TUNED!
http://intermarketandmore.investireoggi.it/party-over-anche-i-ricchi-piangono-8268.html
Il terrorista Noordin Top progettava un attacco “più devastante” di quello dell’11 settembre
MALAYSIA – INDONESIA
È quanto emerge dai file contenuti nel computer del terrorista malaysiano. Egli stava allestendo una cellula di al Qaeda con base in Indonesia e aveva raccolto “uomini e mezzi” per attentati più gravi di quello al World Trade Center. I fondi per finanziare attentati raccolti in Arabia Saudita.
Jakarta (AsiaNews/Agenzie) – Noordin Muhammad Top, morto lo scorso settembre durante un raid della polizia indonesiana, stava allestendo una cellula di al Qaeda nella regione e progettava un attacco “ancora più catastrofico di quello dell’11 settembre” a New York. È quanto emerge dall’analisi dei file presenti nel computer del terrorista malaysiano, rinvenuto nella sua abitazione a Solo (Java Centrale). Egli aveva già raccolto diverse adesioni fra i fondamentalisti locali e aveva organizzato una raccolta fondi per finanziare la campagna del terrore.
La polizia indonesiana conferma che l’organizzazione legata a Noordin aveva numerosi sostenitori nell’ala estremista malaysiana e poteva contare su ingenti somme di denaro. La morte del terrorista ha solo “rallentato” il reclutamento di volontari per il Jihad – la guerra santa – ma la minaccia rimane “concreta”.
I rilievi della scientifica sul computer di Noordin hanno evidenziato legami fra i seguaci del terrorista e non meglio precisati “personaggi” in Arabia Saudita, dediti alla raccolta di denaro per finanziare attentati. Le somme venivano portate in Indonesia dal saudita Ali Abdullah, il corriere dell’organizzazione, arrestato dalla polizia nel corso delle indagini sugli attacchi agli hotel Marriot e Ritz Carlton, a Jakarta, del 17 luglio scorso.
http://www.asianews.it/index.php?l=it&art=16964&size=ACOBRAF
- Quello Dell'oro è un Crash, ma Verso l'alto
- 20:24 26/11/09
- Non è una bolla e lo dimostra anche il grafico di oggi con il Petrolio (grafico) che perde -2%, le borse che perdono -3%, l'Euro (grafico) e tutte le valute che perdono contro dollaro e l'Oro (grafico) che rimane ai massimi
Nel 2008 l'Oro è sceso assieme alle borse e alle materie prime e alle valute perchè i governi non stavano ancora stampando moneta e aprendo tutti i rubinetti del credito e del deficit
Nell'ultimo anno i governi e le banche centrali hanno alluvionato di liquidità il mondo e aumentato nel caso dell'america del 300% il deficit, nel caso della Cina il credito del +200% e il Giappone ha un deficit intorno al 180%, la Grecia sta per saltare, persino il Dubai oggi lo hanno dovuto congelare perchè ha troppi debiti e a forza di pompare il debito sempre poi succede come in Argentina
Il petrolio se non lo usi come benzina non vale niente, l'oro da cinquemila anni è ricchezza finanziaria, lasci dell'oro ai figli, non del petrolio, fino alla guerra la gente ha nascosto monete d'oro nei tempi di crisi. In Argentina nel 2002 quando hanno congelato i conti correnti e svalutato del -80% chi aveva oro non aveva problemi
La Cina che per 2mila anni ha avuto l'Argento come moneta cioè monete di argento questa settimana per la prima volta dalla presa del potere di Mao nel 1949 ha legalizzato il commercio al dettaglio di Argento (grafico).
L'unico problema con l'Oro e l'Argento è che non è un "mercato toro", ma un crash, un crash delle valute cartacee e l'Oro esplode in su riflettendo un crash delle valute per cui è un andamento (rovesciato in su invece che in giù) da crash. Immagina un crash come quello dell'anno scorso in borsa o del 2002 per Tiscali, uno che andava al ribasso faceva fatica perchè era sempre più rapido in discesa e non smetteva mai di cedere
Per l'Oro è la stessa cosa, ma verso l'alto per cui diventa difficile comprare mentre sale im modo impazzito ma può arrivare a 1.600 in fretta e può raggiungere 4.000 dollari se le cose peggiorano veramente. Bisogna ricordare che John Paulson quello che ha guadagnato 8 miliardi con 2 miliardi investiti nel 2008 andando al ribasso sui mutui ha comprato oro e auriferi per quasi 3 miliardi nel suo fondo hedge e inaugura un nuovo fondo in cui ha messo 250 milioni suoi il 1 gennaio che contiene solo oro
- Le Notizie Sull'oro ed Argento Sono Drammatich
- 18:52 26/11/09
- Le notizie sull'Oro ed Argento sono drammatiche, l'unico rischio è che esplodano in su troppo presto prima di fare in tempo a comprarli, Sinclair ha predetto due giorni fa Oro (grafico) a 1.270 entro natale e 1.600 dollari entro qualche mese. Merril Lynch il 20 novembre ha indicato 1.500 dollari l'oncia entro poco
Ascolta l'ultima intervista ieri di Jim Sinclair, quello che un anno fa ha annunciato pubblicamente che avrebbe scommesso un milione di dollari che l'Oro sarebbe arrivato a 1.600 dollari l'oncia entro la fine del 2010. Nessuno ha accettato la scommessa nel mondo, allora l'oro era sui 940 e oggi ha sfiorato 1.200$. Sinclair fu il guru del mercato dell'oro del 1979-1982 comprò sul minimo e vendette il massimo esatto e poi si ritirò
1) Ci sono rumors di transazioni in cui JP Morgan e altre "bullion banks" (cioè che hanno la custodia fisica dell'oro) per consegnare i lingotti hanno dovuto chiedere ai clienti di aspettare e andare forse a cercarlo da qualche parte forse chiedendo in segreto alle banche centrali. Sempre più gente si aspetta che ad una scadenza del future di colpo si presenti molta gente a chiedere la consegna dell'oro fisico, invece di saldare perdite e guadagni senza muovere lingotti dai depositi e questo faccia saltare il banco, Gente come Sinclair hanno in atto una campagna chiedendo a tutti di chiedere la consegna di oro fisico e chiamare il bluff delle "bullion banks", cioè il bluff che hanno l'oro che dicono di avere quando emettono certificati ed ETF
2) India e Sri Lanka hanno comprato oro dal Fondo Monetario che doveva venderne e la Russia ieri ha annunciato che ne comprerà ancora, si assume che l'India abbia bruciato sul tempo la Cina che ha solo il 3% delle sue riserve valutarie in oro controun 35% dell'Italia ad esempi. In media le banche centrali occidentali hanno il 39% delle riserve in oro e quelle emergenti il 2% !!!!. Ma le banche centrali emergenti hanno ora 5 volte più riserve in valuta delle occidentali per cui se solo aumentato la quota di oro al 10% mandano in orbita il prezzo
3) la zecca americana ha sospeso fino a Natale le vendite di monete d'oro al pubblico "causa eccessiva domanda" perchè non non hanno oro al momento sottomano. I Kruger Rand al momento non sono più disponibili in Sudafrica. Per l'argento una notizia simile sulla moneta più popolare in america in argento
4) in Vietnam è scoppiata una mini-crisi valutaria, hanno svalutato il Dong nonostante un deficit estero enorme ed è inizia la corsa del pubblico ad accaparrarsi oro, sembra che questa settimana l'oro a Saigon venga venduto sopra i 1.300 dollari l'oncia
http://www.bloomberg.com
5) l'amministratore delegato di NEM la maggiore società mineraria del settore ha detto che la produzione sta calando a livello mondiale per l'oro
- La Fed Stampa e il Denaro Esce Dall'america
- 15:16 26/11/09
- L'inflazione tedesca era nei beni di consumo, questa è negli asset e la cosa perversa è che con i soldi che stampa la FED si comprano azioni, bonds e materie prime in tutto il mondo, per cui è un inflazione sui mercati finanziari globali, ma non in America. Questo perchè il denaro che stampa la FED fluisce immediatamente in tutto il mondo uscendo dal dollaro ma resta solo sui mercati finanziari, è solo denaro per banche e investitori non per il pubblico che spende
L'iperinflazione tedesca del 1923 fu dovuta essenzialmente alle riparazioni di guerra che imponevano alla Germania di pagare 80 miliardi di marchi di allora e poi al caos politico totale, c'erano stati una mezza rivoluzione, due tentativi di colpo di stato da parte sia dei comunisti che dei nazionalsocialisti, ministri assassinati, violenza per strada
Non avevano modo di pagare e si misero letteralmente a stampare moneta e peggio andavano le cose e più stampavano e però erano soldi che entravano subito in circolazione.
In America la FED ha stampato circa 1.300 miliardi di dollari, ma per ora ha finanziato con questi soldi solo acquisti di bonds sia indirettamente da parte delle banche che direttamente. In questo modo hanno compensato in parte la distruzione di credito avvenuta nel 2008, ma se guardi le banche americane tengono ora in cash, soldi fermi investiti in buoni del tesoro, circa 800-900 miliardi di dollari per cui buona parte di questa moneta non è in circolazione
Inoltre ieri sul Ft.com mostravano che il dollaro cede perchè con questi soldi e con i tassi di interesse a zero ora ci si approvvigiona in America e poi si comprano asset in valute diverse dal dollaro, guarda qui il boom del Commercial Paper in dollari, carta commerciale a breve che viene usata per finanziarsi in America e poi comprare in altre valute. L'inflazione è questa: quella sui mercati finanziari
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- La Lobby, Wall Street, Obama
- 03:28 26/11/09
- Al momento l'America vive una specie di tregua nonostante i 7 MILIONI di posti di lavoro persi perchè i mercati finanziari sono saliti di continuo (non solo la borsa, anche i bonds, dai junk ai titoli di stato a quelli cartolarizzati per i mutui che fanno scendere il costo dei mutui) e questo rialzo consente di dire in TV e sui giornali che "i mercati vedono una ripresa in arrivo"
Ma l'esplosione dell'Oro (grafico) da 1.100 a 1.300 dollari l'oncia in un mese e il dollaro che frana e tocca dei minimi ormai vicini a quelli del 2007 stanno ricreando tensione perchè anche il Dollaro e l'Oro e non solo l'S&P 500 "vedono" qualcosa: vedono inflazione e una crisi finanziaria e valutaria (mentre l'S&P vede una bella ripresa)
Intanto il paese si polarizza semopre di più con Obama che è sceso al 39% di approvazione tra i bianch, mentre resta al 73% di approvazione tra neri, ispanici, indiani ed asiatici ed ebrei
Questa settimana Sara Palin è uscita con il suo libro vendendone 300mila copie il primo giorno e 700mila la prima settimana che per un libro di politica è un record e e come sondaggi se si votasse oggi sarebbe già testa a testa con Obama. I media (che in genere la disprezzano) sottolineano che attira folle notevoli, ma solo di un colore
Bisogna tenere presente che Obama è "il prodotto politico" di in termini di finanziamenti delle due famiglie di miliardari di Chicago che lo hanno sostenuto fin dall'inizio, i Crowns quelli di Maytag e i Pritzkers, e come strategia elettorale e organizzazione dei veterani di partito David Axelrod e Rahm Emanuel che sono ora appunto alla Casa Bianca come suoi top consiglieri assieme a Larry Summers (che era segretario del tesoro con Clinton). E che da quando è alla Casa Bianca Obama ha incontrato quattro volte George Soros, (che l'ultima volta che ho guardato è sostanzialmente uno speculatore per cui chissà perchè il Presidente lo vede spesso), ma Soros ha speso per eleggere Obama più di ogni altro
Tutti questi personaggi sono ebrei militanti cioè attivi e impegnati nella lobby. E grazie anche al crac finanziario è stato eletto a sorpresa un giovanotto senza esperienza essenzialmente ad opera della lobby che in America ha un peso politico dominante ((questo invece qualcuno che lo sottolinea c'è come Philip Weiss che rompe la solidarietà di gruppo etnico). Bisogna ricordare che Obama ha raccolto più del doppio come finanziamenti elettorali del suo avversario McCain, uno squilibrio mai successo nelle elezioni americane dove in genere entrambi raccolgono cifre simili per la Presidenza
E così oggi se scorri la lista dello staff dei ministri e della Casa Bianca incontri molti ebrei, poi mulatti come Obama, ispanici (portoriciani ad esempio), asiatici e non ci sono praticamente bianchi "gentili" con un paio di eccezioni come Biden e Geithner (il che è curioso visto se questi costituiscono ancora un 57% della popolazione americana). Può sembrare rozzo e disdicevole fare questi commenti, ma è un fenomeno talmente macroscopico che ignorarlo sempre non ha senso
Per capire infatti quello che è successo con la crisi e soprattutto con i salvataggi successivi sul lato Wall Street e finanza devi guardare al potere a Washington, Casa Bianca e Congresso e poi ai media. E anche se nessuno può dirlo è ovvio che la finanza di Wall Street specie formato Lehman, Bear Sterns, Goldman Sachs, JP Morgan, Morgan Stanley, AIG (cioè non le banche commerciali ma i broker-dealer) hanno tutti in comune un fatto etnico e così i personaggi chiave da Greenspan a Bernanke ai vari capi delle SEC, NY FED e altre posizioni chiave.
Sono "teorie del complotto" ?: No, solo convergenza di interessi su una base etnica collaudata. Ad esempio la Clinton avrebbe vinto probabilmente se fosse stata la candidata democratica, ma era più ingombrante, McCain aveva forse una chance contro Obama, ma non contro la Hillary. Ma grazoe ad una magistrale campagna mediatica che ha trasformato un giovane mulatto appena eletto e sconosciuto in una specie di Ghandi e grazie al crac improvviso di Lehman un mese prima dell'elezione ecc... e è stato eletto Presidente degli Stati Uniti Barak Hussein Obama, uno che era stato eletto alla sua prima carica pubblica nel 2003
Essendo il nuovo Presidente inesperto e non avendo un suo entourage e una sua base di potere come i Clinton o i Bush succede ora che tutti quelli intorno al Presidente provengano dalla network di cui si parla
Il risultato è che l'elite finanziaria e mediatica, che in America è all'80% proveniente da un gruppo etnico che è solo il 2% della popolazione, ha al vertice i suoi personaggi (Summers, Axelrod, Emanuel...), con Obama in mezzo e un contorno ovviamente di altri asiatici, messicani e neri. L'amministrazione del Presidente nero, che ispira i media di tutto il mondo come Mandela, ha una una base elettorale che (se guardi il voto e i sondaggi) è essenzialmente composta da tutte le "minoranze" (tra le quali rimane molto popolare) e però al vertice ha quasi solo appartenenti al gruppo che domina i media e la finanza
Nessuno accenna a questo fenomeno sui media americani se non in modi molto indiretti, vedi gli attacchi a Goldman Sachs, ma della gente comincia vagamente ad intuirlo, vedendo ora che tutta la valanga di miliardi che stanno rovesciando Obama e i democratici vanno soprattutto alle banche al sistema finanziario e poi ai settori in cui sono più presenti le "minoranze" (che ormai sono il 40% però) e le tasse ricadono sulla classe media, Il risultato sono appunto questi sondaggi ora per cui Obama cala ora di colpo ma solo tra i bianchi e le migliaia di manifestazioni dei "Tea Parties" contro le tasse e ora per Sara Palin affollate come malignano i giornalisti solo di bianchi (i giornalisti ed editors sono di un gruppo etnico diverso dai manifestanti)
(per un esposizione dettagliata e ricca di esempi di come funziona la più potente lobby e network di potere che esiste in America vedi qui, la fonte è un intellettuale ebreo noto molto bravo. Per coincidenza questo mese su Channel 4 in Inghilterra è uscita, credo per la prima volta dal dopoguerra, una serie di 4 puntate "Inside the Israeli Lobby" che si concentra solo sul rapporto della lobby con Israele e non tocca la finanza e l'economia, ma lo stesso ha provocato reazioni pesanti dai media americani (in cui tutti i direttori e la maggior parte dei commentatori non hanno antennati cristiani) . Tra l'altro il documentario accenna a come mai il leader del Partito Conservatore inglese sia oggi David Cameron e non più William Hague (Hague ha critica Israele, i finanziamnenti al partito so sono dimezzati e hanno messo Cameron...)
Questo nesso tra questa super-lobby a cui fanno riferimento almeno un terzo dei miliardari americani e quasi tutti i proprietari di media a Washington , dove fornisce la maggioranza del denaro delle campagne elettorali, dai senatori a quella presidenziale, la stessa super-lobby etnica nei media e poi a Wall Street spiega a mio avviso cose che altrimenti risultano confuse. E' vero che se parli della politica USA verso Israele ci sono per la verità ebrei controcorrente che ne trattano come il terribile Jeffrey Blankfort, ma in America nessuno arriva ad applicare lo stesso discorso alla finanza ed economia
Ovviamente è impossibile che tu ne senta parlare anche su Repubblica, Corriere o anche sul Giornale (è un tabù bipartisan, se solo ne accenni resuscita adolf hitler), ma dato che il mondo reale funziona a volte così ogni tanto va accennato. Sia che parli della guerra in Iraq e Afganistan che Obama promette di cessare sotto le elezioni e che ora la manda avanti per altri anni, della famosa "minaccia dell'Iran", che della Crisi finanziaria e della Globalizzazione e delocalizzazione ecc... non capisci molto se non tiene presente la network al vertice del potere finanziario e dei media oggi in America