Non ci sono più gli sceicchi di una volta

 

Pensate a una carriere nella Finanza? “Puntate su Dubai”. Volete diventare architetti di grido? E dove volete andare se non tra le “realtà urbane avveneristiche” di Dubai? E se vi interessate di Turismo, poi, beh andate comunque a Dubai. Vedrete che occasioni. E vedrete che ridere. Parole e musica - ovvero sviolinate - del nostrano “Corriere della Sera”. Che, come un sacco e una sporta di altri giornali, al miracolo Dubai - perla del Golfo Persico e città-Stato, parte degli esotici Emirati Arabi Uniti - aveva dedicato fior fior di articoli. Tutti - fino a un annetto e mezzo fa - inevitabilmente elogiativi.

Già. Peccato che giusto ieri la favola di Dubai si sia interrotta. E abbia fatto capolino una realtà ben diversa. L’emirato - dopo mesi di crisi - ha fatto quello che ha tutta l’aria di un silenzioso default. Cioè un bel crac. Che per dimensioni sarebbe secondo - osserva l’agenzia di stampa americana Bloomberg - solo a quello dell’Argentina del 2001.

Che è stato? Semplice. E’ stato che - così scriveva Newsweek a febbraio 2009 - fino a 20 anni fa Dubai era un pezzo di deserto affacciato sul mare. Poi un paio di sceicchi col bernoccolo degli affari - Maktum bin Rashid Al Maktum, e il suo successore e attuale sceicco Mohammed bin Rashid Al Maktum - ebbero un’idea meravigliosa. Usare i danari del petrolio per trasformare la città-Stato in un giardino. Anzi: in una selva di palazzi e appartamenti da mille una notte. Compreso uno dei grattacieli più alti del mondo. E un arcipelago artificiale disseminato di case da sogno. L’obiettivo, insomma, era trasformare Dubai in un tempio del turismo per ricchi e ricchissimi, e in un grande centro finanziario per tutto il medioriente. A qualunque costo.

E i costi - negli anni - sono lievitati parecchio. Forse, pure troppo.

Oggi come oggi: secondo il “Financial Times, Dubai ha debiti verso l’estero per 80 miliardi di dollari. E la sola Dubai World - holding controllata dallo Stato, che sta costruendo il famoso arcipelago in mezzo al mare e le mani in pasta ovunque - deve restituire in giro per il mondo circa 22 miliardi di dollari. Domanda: ma tanto lo sceicco non è ricco che più ricco non si può? Non proprio: il suo patrimonio personale - secondo l’agenzia di stampa americana Bloomberg - vale “solo” 12 miliardi di dollari. Tra l’altro: 6 miliardi di dollari in meno - causa cattivi investimenti - di un anno fa.

E dire che tutto sarebbe andato bene, anzi benone. I prezzi delle case - nel primo trimestre del 2008, prima del fallimento di Lehman Brothers e l’inizio della crisi - erano aumentati del 43%. Ma dopo il ciclone dei mutui subprime, nulla è stato più lo stesso. Neppure per lo sceicco e la sua città da favola. Il valore di quegli stessi immobili che prima tutti volevano comprare, ha preso a scendere a capofitto (facendo segnare, nei primi 11 mesi di quest’anno, un secco -47%; secondo il Sole 24 ore). E anche il prezzo del petrolio - vera miniera d’oro (nero) di Dubai - è crollato. Risultato: prima si sono fermate le gru. Ora si sono fermati i pagamenti. Ieri - spiazzando tutti gli investitori - la Dubai World ha chiesto ai suoi creditori di pazientare. Perchè Mohammed bin Rashid Al Maktum sarebbe un tantino in difficoltà. E, per lo meno per i prossimi sei mesi, non avrebbe intenzione di cacciare il quattrino per pagare tutti i prestiti che stanno andando a scadenza. Una decisione unilaterale (cioè non concordata con i creditori) che - se non stessimo parlando di uno Stato, ma di un’azienda vera e propria - avrebbe appunto già significato la fine dei giochi. E l’inizio del default.

Scorrere la lista dei beffati dal ricco emiro, comunque, lascia abbagliati. Perchè si tratta di una parata di stelle. Della Finanza e non solo. Tra gli altri - come ha osservato il blog del Financial Times - spiccano nomi noti e notissimi del jet set. Come i calciatori inglesi David Beckham e Micheal Owen; la premiata ditta Brad Pitt e Angelina Jolie; il (fu) Micheal Jackson; la modella Naomi Campbel e l’attore americano Denzel Washington. Tutti assieme - assai poco appassionatamente - si erano fatti sedurre dallo charme dello sceicco. Charme che aveva colpito al cuore anche alcune delle principali banche del Pianeta, che negli Emirati arabi uniti avevano investito palate di danaro. Ovvero - sempre secondo il blog del Financial Times - Hsbc (17 miliardi di dollari), Barclays (3,6 miliardi di dollari), Royal Bank of Scotland (2,2 miliardi di dollari), Citigroup (1,9 miliardi di dollari), Bnp Paribas (1,7 miliardi di dollari), Lloyds (1,6 miliardi di dollari).

E ora? E ora - per usare le parole di Roula Khalaf, columnist del Financial Times ed esperta di Medio Oriente - Dubai ha molto da spiegare. Soprattutto su quando, come e chi intende pagare. Nell’attesa rimane una certezza. Meno male - come scriveva tempo fa sempre il Corriere (e un buon numero di altri giornali italioti) - che la “Finanza islamica” era diversa e non tirava sòle come quella targata Usa o Europa. E meno male che la stragrande maggioranza degli italiani, i giornali proprio non li legge.

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