Come le banche hanno salvato la pelle. Ce lo spiega Luciano Vasapollo Nel gioco di specchi in cui il capitalismo occulta il suo reale funzionamento, il primo grosso deficit di conoscenza riguarda proprio le cause della attuale crisi economica e finanziaria. La paradossale confusione di diagnosi e relative prescrizioni a cui stiamo assistendo da mesi non solo avvelena il libero confronto democratico e la stessa convivenza civile, ma getta gli individui in uno stato di incertezza assoluta. Risultato, l'effetto è ancora più negativo rispetto alla necessità di creare un clima di fiducia basilare rispetto alla ripresa. In buona sostanza, non essendo riusciti a stabilire l'esatta entità complessiva del movimento speculativo finanziario legato ai mutui subprime le istituzioni economiche internazionali, governi compresi, si trovano ora completamente scoperti rispetto alla gestione delle sue conseguenze, una delle quali è rappresentata sicuramente dal dramma della disoccupazione. Pensavano di cavarsela con il "penso positivo". E invece si sono ritrovati davanti un "muro di guai" proprio perché non c'è nessuna reale intenzione di ritornare alle cause vere della crisi. Ora il nuovo gioco è quello del cerino in mano, tra Usa, Europa, Cina e paesi asiatici. Fuori da ogni appello rimangono le banche, che appaiono sempre di più come le vere vincitrici di questa carneficina. Non solo sono state il "motore mobile" della crisi ma si sono aperte una via di fuga con in mano il coltello del ricatto ottenendo alla fine più del necessario. Del resto, come chiarisce Luciano Vasapollo, nel suo "compendio di economia applicata" La crisi del capitale (Jaca Book, pp 439, euro 38,00), è proprio in quella direzione che va cercata se non la causa - perché la causa ultima rimane sempre lo sfruttamento capitalistico - uno dei nodi della fase attuale del capitalismo. Nel libro di Vasapollo, che da anni studia con attenzione la valorizzazione del capitale e le crisi cui da luogo, vengono chiariti tutti i passaggi e le relative conseguenze. Una è sicuramente quella del profit State , ovvero di uno Stato che non solo si mette al servizio del capitalismo nella sua fase speculativa, ma che pratica la dissoluzione del "vincolo di cittadinanza" come passaggio necessario alla conquista di nuovi territori da dare in pasto alla valorizzazione. In realtà quello a cui assistiamo, e su questo punto La crisi del capitale è fin troppo chiaro, è uno spostamento lungo l'asse del tempo delle "soluzioni" alla crisi strutturale di sovraproduzione. Ed ogni passo è uno stadio ancora più deciso e violento verso l'imposizione di un modello sociale meno libero e più alienato. Viene propagandata come "modernizzazione" e "futuro", ma in realtà è una netta separazione tra condizione degli uomini e delle donne di questo pianeta e progettualità reale (da qui l'insuperabile lezione del socialismo). «La crisi è quindi una regolarità distruttrice necessaria - si legge nel saggio - per tentare una nuova fase di crescita economica ricostruendo ciò che era stato distrutto in precedenza e realizzando il saggio di profitto desiderato, ovviamente,attraverso la disoccupazione, la precarietà, le terre di nessuno ma anche distruggendo imprese, effettuando fusioni, concentrazioni, distruggendo capacità tecnico produttive e distruggendo capitale fittizio». Se dopo la crisi del 1929-1933 la soluzione del "keynesismo" aveva aperto nuove soluzioni, oggi i nuovi terreni sono appunto il profit State , "l'economia della conoscenza", "l'informazione". Ma questo non vuol dire più sapere e più consapevolezza, ovviamente. Ad alcune parti in cui non viene che riproposta la teoria marxista classica, Vasapollo nel suo saggio unisce alcuni pregevoli capitoli come quello sui rapporti tra occidente e paesi in via di sviluppo, segnato da una infinita spoliazione, quello sul profit State e infine, le parti dedicate all'economia della conoscenza. |
Crisi economica, colpevoli in fuga con il bottino
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