giovedì 10 dicembre 2009
Una decina di giorni fa il mondo è stato scosso dalla notizia del potenziale default tecnico di Dubai sul proprio debito, un qualcosa che pareva impossibile fino a pochi giorni prima. Non è così e ilsussidiario.net è in grado di provarlo.
Il quattro novembre scorso, infatti, Barclays Capital in una nota di ricerca agli investitori definiva la situazione debitoria dello stato «altamente attrattiva» e addirittura un dipartimento dello stesso istituto invitava a scommettere long sulla sua capacità di ripagare il debito contratto nella messe folle di investimenti fatti in questi anni di boom.
Insomma, le banche d’affari - non solo Barclays, la quale ha avuto la sfortuna di essere colta sul fatto - conoscevano perfettamente la situazione reale di Dubai ma nonostante questo hanno cercato di introitare il più possibile - quasi un’operazione di copertura emergenziale della propria esposizione, oltre ovviamente al fatto che guadagna una percentuale sulle transazioni operate - inviando al mercato nella migliore delle ipotesi erronee, nella peggiore ma non così peregrina, false valutazioni di quanto in realtà stava accadendo.
In quel periodo le operazioni di investimento sul debito di Dubai sono cresciute del 90%, ma qualcosa fa pensare che la strategia messa in atto dalle banche fosse scientificamente partita anche prima, visto che in ottobre l’aumento dello stesso tipo di investimenti era del 52% su base mensile. BarCap, insomma, aveva preso a pretesto il downgrading di Moody’s rispetto a Dubai - giunto a fine ottobre - come potenziale arma per un grande investimento a basso prezzo di acquisto.
La scorsa settimana, nel marasma totale dei mercati, una nuova nota avvertiva la clientela di «un radicale e totale cambiamento di visione rispetto all’investimento in questione». Troppo tardi, ma qualcosa di ancora più inaccettabile è accaduto attorno a quest’ultima appendice della crisi finanziaria mondiale: nel primo semestre di quest’anno, infatti, Dubai World aveva già perso 2,2 miliardi di dollari, tamponati da un salvataggio statale operato in gran segreto - ma che ilsussidiario.net può confermare - che interpretato alla luce di quanto accaduto la scorsa settimana spiega il perché del “no” a ulteriori operazioni di rifinanziamento del buco di bilancio da parte del governo dell’emirato.
Ma non è tutto: altri 1,3 miliardi di dollari sono stati pompati prima dell’estate attraverso il Dubai Financial Support Fund, ma la decisione si rivelò inutile. I mercati, ovviamente, sapevano tutto. E infatti le variazioni grafiche rispetto ai cds ma anche alle operazioni sul debito parlano chiaro: magicamente, i volumi aumentavano in concomitanza degli interventi macro. Anche - e soprattutto - quando questi venivano compiuti in segreto e senza annunci che potessero turbare le piazze finanziarie: qualcuno, però, lo sapeva.
E il fatto che le quattro principali banche britanniche, tra cui la seminazionalizzata Royal Bank of Scotland, abbia giocato questa partita la dice lunga su come la crisi non abbia insegnato niente: i default di Dubai è stata una scommessa sbagliata ma qualcuno ci ha guadagnato molto. Il grafico dell’andamento del valore dei cds che vedete allegato lo dimostra, la crescita è esponenziale ma costante come le voci di crollo imminente: solo che le banche da un lato scommettevano contro e dall’altro consigliavano ai clienti di fare il contrario, ovvero andare long sull’ipotesi di rifinanziamento del debito ritenuto più che probabile visti i buoni indicatori macro che arrivavano dal settore immobiliare e turistico di Dubai. Dati fatti circolare a mani basse per silenziare invece quello devastante sul debito. Hedging totale dal rischio ma alle spalle di tutti: quanto accaduto la scorsa settimana era non solo atteso ma risaputo e messo in conto, solo che invece di inviare segnali e informazioni si è ben pensato di operare per speculare sul breve finché la spazzatura poteva ancora essere nascosta sotto il tappeto. La stessa cosa sta accedendo per la Grecia, colpita al cuore dalla crisi del debito e ieri declassata nel rating: l’ombrello Ue potrebbe non essere sufficiente allo stato ellenico per evitare un drastico ridimensionamento, lo stesso primo ministro ha infatti parlato di sovranità a rischio. Ecco cosa avevamo scritto la scorsa settimana, esattamente il 3 dicembre, nel silenzio generale: «In compenso l'Europa, quella reale, scricchiola: i cds dell'Irlanda stanno risalendo in maniera preoccupante e la Grecia è ormai sull'orlo del default tecnico dopo aver disatteso la promessa fatta a Bruxelles di varare misure concrete antideficit entro ottobre. La “forbice” (spread) fra i BOT greci e quelli tedeschi a 10 anni è saltata a 178 punti-base: il che significa che il governo di Atene, per farsi prestare denaro dai mercati, deve offrire quasi il 2% di interessi in più di Berlino sui suoi titoli di debito pubblico. Il rincaro del debito è rovinoso per un Paese economicamente debole, nel pieno di una crisi mondiale dove i debiti pubblici più potenti (vedi gli Usa) faranno una concorrenza spietata: 18 miliardi di euro di debito pubblico greco stanno per andare a scadenza e andranno rinnovati nel secondo trimestre del 2010. Quale strada per il governo socialista greco se non quella dei tagli sanguinosi, i quali però porteranno ulteriore tensione sociale in un paese già pervaso da forti pressioni interne. Non si può svalutare, né stampare moneta: si può, però, svendere gli assets del paese all'estero visto che un deficit di budget del 13% sul Pil non consente molti margini di manovra. E sta già accadendo: la Cina, di fatto, è pronta a comprarsi la Grecia a prezzo di saldo: i porti del Pireo sono ormai della Cosco, pronta a creare un hub cargo verso il Mar Nero. Pechino non comprerà bond governativi greci come spera il Pasok al governo, vuole gli assets e li vuole pagando poco, roba da take-away». Le notizie di ieri non necessitano che si aggiunga altro. A essere pessimisti si fa peccato. Ma ci si azzecca quasi sempre in questo periodo.
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