BCE Alla prova
La Grecia ha un disavanzo pubblico insostenibile al punto da mettere in dubbio la capacità del suo governo di procedere con regolarità a pagare gli interessi e rimborsare i titoli di Stato. La causa è una spesa pubblica fuori controllo e un gettito delle imposte diminuito dalla crisi economica. La crisi spiega anche in parte l’aumento eccessivo e improduttivo della spesa pubblica con cui si è cercato di attutire l’impatto della congiuntura sui redditi e l’occupazione. La credibilità del Paese sui mercati internazionali è poi ridotta dalle ripetute scorrettezze statistiche con cui è stata rappresentata la sua situazione macroeconomica.
Il problema ha radici lontane e una dimensione tale che non si può ripararlo d’un colpo. Servono anni di disciplina di bilancio e riforme strutturali. Se la Bce cominciasse a far risalire i tassi di interesse l’aggiustamento sarà ancor più difficile perché l’onere del debito greco aumenterà. D’altra parte, se il governo fosse in grado di fare un piano di riforme e di ripresa di controllo del bilancio graduale ma credibile, il miglioramento delle aspettative faciliterebbe subito le cose perché i mercati darebbero alla Grecia, a tassi meno punitivi, il credito necessario a superare il periodo di riordino.
La dimensione dell’economia greca, meno di un quinto dell’Italia, rende il suo problema gestibile nell’ambito dell’Ue. Ci sono però due difficoltà che, oltre a complicare la questione greca, la rendono più dannosa per l’area dell’euro nel suo insieme.
La prima è che, per ragioni e in misure solo in parte diverse, la situazione della finanza pubblica è difficile anche altrove nell’Ue, all’interno e appena fuori dall’area dell’euro. E’ inutile fare tanti esempi quando è ben noto che la crisi globale ha accresciuto l’indebitamento pubblico anche nei Paesi tradizionalmente più disciplinati e avendo sott’occhio il caso italiano dove, nonostante gli sforzi per contenere il disavanzo, il debito pubblico è, in rapporto al Pil, dell’ordine di grandezza di quello greco e, in assoluto, molto più grande e diffuso nel mondo.
Il punto cruciale è che nessun Paese europeo può «stampare» euro, cioè creare la moneta che, pur minacciando l’inflazione nel medio periodo, aiuterebbe subito a onorare il debito. Lo può fare solo la Bce che è indipendente dai governi ed è tenuta a regolare la quantità di moneta in modo da garantire la stabilità dei prezzi. Il fatto che molti governi abbiano contemporaneamente seri problemi di indebitamento mette però a dura prova l’indipendenza della Bce, soprattutto se le case di rating, che hanno già cominciato a declassare la Grecia, diffondono paure riconoscendo ufficialmente la minor qualità dei titoli di Stato di altri Paesi. La pressione a creare euro per aiutare la Grecia, e non solo la Grecia, diventa più forte e rende meno credibile la capacità della Bce di regolare la liquidità e i tassi di interesse in modo da non svalutare il potere d’acquisto interno dell’euro e il suo cambio con le altre valute. Le banche europee hanno già ricevuto dalla Bce finanziamenti abbondanti a tassi bassissimi che facilitano il loro acquisto di titoli governativi. La stessa Bce ha accettato come garanzia dei suoi finanziamenti titoli gradualmente più rischiosi. Se smarrissimo la disciplina monetaria su scala europea, aumenterebbe anche la fragilità delle banche e delle Borse e i primi a subire danni gravi sarebbero proprio i Paesi più deboli come la Grecia.
Meglio dunque mantenere la fiducia nell’indipendenza e nella capacità della Bce e sperare che i governi indebitati non vengano aiutati creando moneta la quale, fra l’altro, attenua il loro incentivo a correggere la finanza pubblica in modi più opportuni. Ma i modi opportuni sono le riforme strutturali necessarie per contrarre durevolmente i disavanzi. Riforme politicamente costose che, per un certo periodo, richiedono sacrifici senza risparmiare i gruppi sociali meno forti e fortunati. In Europa si è voluto finora difendere gelosamente l’autonomia dei governi nazionali nel decidere le politiche di bilancio. Ecco la seconda difficoltà, per la Grecia ma anche per noi: tagliare i disavanzi con misure decise a livello nazionale rende l’operazione più ardua. Più difficile da decidere in modo tempestivo e credibile, da coordinare e da sopportare.
Quando fu creato l’euro, togliendo il controllo della moneta ai singoli governi, si comprese che si sarebbero potute creare queste situazioni di debiti pubblici difficili da sopportare. E’ per questo che fu inventato il Patto di Stabilità: per aiutarsi vicendevolmente a controllare la quantità e la qualità dei disavanzi ma anche come primo passo verso un governo più condiviso e accentrato delle finanze pubbliche. Purtroppo il Patto ha avuto un’interpretazione limitativa e sembra aver perso credibilità e capacità di incidere sulla qualità delle politiche di bilancio dei Paesi europei. Eppure è nel funzionamento del Patto che anche la Grecia deve sperare: è all’interno di un risveglio orgoglioso del Patto che la Commissione e il Consiglio europei possono e debbono aiutare la Grecia a formulare, realizzare, garantire il progetto di aggiustamento che le serve.
Franco Bruni (franco.bruni@unibocconi.it )
Fonte: www.lastampa.it/
Link: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=6719&ID_sezione=&sezione=
10..12.2009
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