AURORE BOREALI...STRANI EFFETTI OTTICI!

Spesso in questo blog si è evidenziata in passato l'incongruenza di dati macroeconomici soggetti a revisioni sensibili in grado di travolgere la realtà, di modificarne nel tempo le dinamiche principali, che si tratti di occupazione o di vendite al dettaglio, di inflazione piuttosto che di prodotto interno lordo, spesso le revisioni mettono a nudo la debolezza strutturale di questi sistemi di rilevazione. Che lo dica Icebergfinanza è un conto, ma che lo sostenga pure, Jan Hatzius, Chief US Economist di Goldman Sachs è tutto un programma.

Come scrive John Mauldin nel suo ultimo report,THOUGHTS FROM THE FRONTLINE, dagli anni 50 agli anni 80, l'eccesso di magazzino ha portato a una dinamica di licenziamenti che si è prontamenta riequilibrata con la ripresa dell'economia, la quale ha ripreso a crescere a ritmi sostenuti. Poi nelle due ultime recessioni, quelle degli anni 90 e del 2001 la conversione dell'economia americana dal settore manifatturiero a quello terziario, dei servizi ha sostenuto una ripresa che come abbiamo visto ben si evidenzia nella dinamica del 1999 dove l'occupazione sali ad un ritmo di circa 264.000 posti di lavoro mensili aggiungo io.

Da quell'anno in poi, l'economia americana, non fu più in grado di riprodurre una simile dinamica e il saldo è zero posti creati in dieci anni, un nuovo decennio perduto dell'occupazione.

Alcuni di Voi certamente ricorderanno in uno dei miei ultimi post "dedicati" quale fu la dinamica che segui la doppia recessione degli anni '90, l'impressionant rimbalzo a cui assistette l'economia americana con punte di crescita tra il 6 e il 7 %.

Oggi discutiamo di una crescita tra il 2 e il 3 % supportata in maniera totalizzante dagli stimoli governativi, discutiamo dell'uscita da una sostanziale depressione anche se ci piace giocare con i numeri, perchè in fondo non sono quelli della Grande depressione e chiamarla Grande Recessione. Dimentichiamo forse che le dinamiche di quella depressione, non si crearono nei primi anni, ma si svilupparono in seguito ad una serie di errori di politica economica e oggi anche se abbiamo evitato alcuni di quegli errori ne stiamo creando di nuovi, legati ad enormi conflitti di interesse.

Sarà interessante osservare l'economia americana, muoversi senza stimoli governativi!

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Come ricorda Mauldin, nella sostanza negli ultimi anni in America è esplosa la produttività, ma produttività significa necessarimente maggiore produzione con anche il minor numero di occupazione, necessaria a sostenere la stessa. Secondo alcune stime sembra che ben due milioni degli ultimi 8 persi nella Grande Recessione, si posano ormai considerare permanenti. Inoltre è abbastanza chiaro che questa strategia di riduzione sistematica dei costi riducendo il personale e tagliando gli investimenti in ricerca e sviluppo non è affatto sostenibile nel medio e lungo periodo e contribuisce a frenare la crescita.

La sempre puntuale Caroline Baum in Job Lost in Great Recession May Be Gone Forever evidenzia come il vero problema è se la perdita attuale di posti di lavoro è temporanea, se le aziende stanno tagliando gli organici in maniera permanente.

A novembre, una parte record di circa il 55 % dei tagli è stata classificata come permanente secondo il BLS. La stessa durata media della disoccupazione ha raggiunto l'ennesimo record a 28,5 settimane il massimo dalla seconda guerra mondiale. Inoltre il 38,3 % dei disoccupati è rimasto senza lavoro per almeno 27 settimane.

Anche la Baum ricorda come nelle crisi degli anni '70 e '80, un ritmo rapido nei licenziamenti temporanei fu seguito da una ripresa altrettanto rapida di assunzioni già nelle prime fasi della ripresa economica.

Io invece ci tengo a precisare che, la proiezione strutturale di una eventuale ripresa del mercato del lavoro, non sembra affatto ripercorrere alcuna delle riprese degli ultimi quaranta anni e che la fusione del sistema finanziario e il deleveraging in atto, oltre all'eccesso di produzione di questi anni sistematica rappresentano un possibile ostacolo ad una ripresa sostanziale del mercato del lavoro.

Inoltre secondo Carmen Reinhart, la triste e verà eredità di questa crisi, delle crisi in generale è un eccesso di debito, un debito elevato si associa ad una crescita più lenta e quindi se ci preoccupiamo per la crescita, dobbiamo preoccuparci anche per il deficit. Parallelamente, se i posti di lavoro in teoria aumentano con l'aumento del PIL, di conseguenza sono soggetti al rischio di un debito crescente, debito che a sua volta verrebbe alimentato dall'aumento della spesa a sostegno dell'occupazione.

Se il cavallo privato "non beve" aggiungo io, quello pubblico, rischia di "scoppiare" anche se potrebbe essere in realtà un cammello!

Secondo John Mauldin, ci vorranno 15 milioni di nuovi posti di lavoro nei prossimi 5 anni, per riuscire a cancellare la Grande Recessione, ovvero almeno 250.000 posti di lavoro al mese nei prossimi cinque anni a aprtire da ora come abbiamo già visto recentemente.

Quello che facciamo qui su Icebergfinanza è di cercare di ragionare in maniera empirica attraverso i numeri del presente e del futuro cercando di aiutarci con le dinamiche del passato, ma avendo ben presente che si tratta della Madre di tutte le crisi finanziarie della Storia.

Paul Krugman, addirittura rincara la dose, esagerandone le prospettive sul NYT sostenendo che non sono poi molte le persone che hanno la reale percezione di quanti posti di lavoro occorra creare per uscire da questa sorta di buco nero dell'economia. Recentemente ho scritto nell'ultiomo post dedicato e in altri post che per ammortizzare la crescita demografica e la pressione migratoria, l' America ha bisogno di almeno altri 120.000 posti di lavoro al mese e Krugman parla di "soli" 100.000, aggiungendone ben 200.000 per poter ritrovare la piena occupazione nei prossimi anni, ovvero 300.000 posti in più al mese, mai registrati nell'ultimo decennio e probabilmente negli ultimi cinqie lustri.

Una recente stima del BLS ci dice che l'economia americana creerà nella migliore delle ipotesi secondo il sottoscritto, 15,3 milioni di nuovi posti di lavoro nei prossimi dieci anni, una media di 125.000 posti al mese.

Comprendo la necessità dell'ottimismo, ma credo che siamo di fronte ad un cambiamento strutturale e che potrebbe essere un errore confidare sempre e solo nelle capacità dei cicli economici di salire all'infinito. Abbiamo bisogno di una pausa di riflessione, per riproporre nuova fondamenta all'economia, quelle attuali in larga parte sono state terremotate.

Proseguendo è riagganciandoci all'inizio del post, troppo spesso, noi siamo portati a pensare che la matematica dei dati è semplice e disegnata sulle fonti degli stessi dati sottostanti quando spesso la reltà è un'altra come evidenziato da Dennis Gartman nella sua news letter. Il problema chiave è la raccolta dei dati!

Un problema che sembra essere stato discusso recentemente a Washington, un problema che sembra modificare in maniera sensibile la realtà dell'economia americana.

Date un'occhiata qui sotto ad una di quelle che sembrano essere alcune delle dinamiche nascoste di un processo di rilevazione dei dati perlomeno superficiale.

Ad esempio se si importa un componente dalla Cina per la realizzazione di un'auto americana, qualcosa che accade sempre più spesso magari in maniera strutturale, il valore di quel componente viene calcolato nella misura di crescita del PIL, in quanto la progettazione dell'auto avviene in America, senza calcolare invece che questo stesso componente importato significa minor lavoro per l'economia americana e di coseguenza aumento della disoccupazione.

Ciò significa che una minore manodopera per un prodotto che in realtà è costruito in un'altro paese fa apparire la produttività in un'altra dimensione che in realtà non è la sua, ovvero migliore.

Secondo un economista presente ai lavori, oggi, non abbiamo la possibilità di calcolare in realtà la vera produttività, continuando ad escludere le dinamiche dell' Outsorcing, "esternalizzazione del lavoro".

Nel 1975, la percentuale delle importazioni americane era del 5 %, mentre oggi siamo al 12 % e questo modifica in maniera sostanziale la favola della produttività.

Qulcuno sarebbe portato a minimizzare la portata di tale dinamica in quanto ormai l'industria manifatturiera conta un po come il due di picche nell'economia americana, ma il discorso vale anche per l'economia dei servizi.

Ad esempio se uno studio di commercialisti affida per un problema di costi la gestione di una parte dell'attività ad una società in India, il lavoro viene fatto all'estero da personale estero, ma fatturato in America, ai clienti americani, aggiungendosi quindi al PIL americano. E' ovvio che il lavoro scompare in America e quindi la produttività aumenta.

Un'altra realtà è quella che circonda i sussidi di disoccupazione, in maniera particolare nelle richieste continuative che sembrano essere calate ma in realtà beneficiano solo di una rotazione verso programmi di sussidio che si estendono, non certo perchè si è creato lavoro. In alcuni stati, e questa è una novità, è possibile usuffruire di un massimo di 99 mesi di assicurazione contro la disoccupazione sussidiata dal governo federale.

Come abbiamo già visto prima con la Baum, oggi siamo ben oltre le 26 settimane di sussidi, la media si avvicina ormai alle 33 settimane.

Inoltre come abbiamo spesso osservato in passato se non si cerca lavoro nelle ultime quattro settimane si è considerati lavoratori scoraggiati, ma non si è considerati nelle statistiche ufficiali ma in quelle alternative e se questo lavoro non lo si è cercato per almeno 12 mesi si scompare nel buco nero dell'economia americana.

Non appena queste anime si rimetteranno in cerca di lavoro attratti da una possibile ripresa, inevitabilmente aumenteranno la percentuale della disoccupazione. Sembra che abbiamo bisogno di almeno 100.000 posti di lavoro al mese il prossimo anno per tenere il tasso di disoccupazione al 10 %, impresa titanica.

Un'altra realtà è quella che riguarda le piccole e medie imprese che danno lavoro ad oltre 85 % della popolazione americana e che non sono rappresentate dai vari indici ISM, che secondo un'indagine della loro associazione di settore, pur notando un miglioramento, il 72 % testimonia come i loro profitti siano scesi nelgi ultimi tre mesi e cosi per tutto l'anno. Oltre la metà pensa che la situazione migliorerà, ma pur migliorando oltre il 50 % non ha intenzione di assumere il prossimo anno.

Nessuna pressione salariale e prezzi reali di beni e servizi e dei materiali acquistati in caduta media ( DEFLAZIONE nell'economia reale! ) con inventari scesi precipitosamente che testimoniano una speranza per le assunzioni future, una speranza che è racchiusa nelle statistiche che vi invito a leggere QUI

Come a detto recentemente Paul Volcker, confermando le mie visioni, abbiamo assistito ad una fusione finanziaria in cima ad uno squilibrio economico; troppi consumi e pochi investimenti, troppo debito, non abbiamo percorso un ciclo sostenibile e questa dinamica deve essere cambiata. Se ricorreremo di nuovo alla favola del consumatore americano la prossima crisi è domani, ma questi adeguamenti non avvengono in trimestri o anni, sono processi che richiedono lustri o decenni, ma sono in molti con zero memoria storica a voler dimenticare e tornare al "business as usual" alle vecchie illusioni di breve respiro.

Alcuni lettori quando scrivono privatamente ad Icebergfinanza, parlano come se si rivolgessero ad un team, ma Icebergfinanza è unico, una sola persona sta al timone di questo veliero, Andrea. Non vi è alcun team dietro questo lavoro, se non il sostegno di un oceano di stima. Ecco perchè dovete avere pazienza! Questo non è il mio lavoro, ho un lavoro normale come ognuno di Voi. Non è semplice, aggiornarsi, studiare, tradurre, scrivere, commentare e rispondere alle mail tutto spesso nello spazio di un istante. Grazie comunque della Vostra stima e della Vostra pazienza!

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Postato da: icebergfinanza a dicembre 13, 2009 17:29 | link | commenti (2)

dati macroeconomici, deficit di bilancio, mercato del lavoro occupazione, outsorcing

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