«I proventi del traffico di droga hanno contribuito in modo determinante al salvataggio di alcune banche nel mondo». A lanciare la clamorosa denuncia è stato, nei giorni scorsi, il capo dell’ufficio delle Nazioni Unite che si occupa di crimini e stupefacenti (UN Office on Drugs and Crime), Antonio Mario Costa. In un’intervista rilasciata all’Observer, il dirigente ha sottolineato infatti come siano riscontrabili segnali che lasciano intendere come alcuni istituti di credito abbiano potuto contare, per evitare il proprio collasso, su miliardi di dollari «originati dal commercio di droghe e da altre attività illecite».
Costa ha spiegato che il problema principale, nella seconda metà del 2008, per le banche, è stato legato ai mancati prestiti interbancari: una difficoltà che «ha paralizzato il sistema». La conseguenza è stata che quelli provenienti dalla criminalità organizzata fossero «gli unici capitali liquidi disponibili», anche se non ha voluto specificare quali Paesi o quali istituti di credito in particolare abbiano ricevuto flussi di denaro di provenienza illecita. Ma mantenendo uno sguardo ampio sulla vicenda, il dirigente delle Nazioni Unite ha spiegato come una fetta maggioritaria dei 352 miliardi di dollari di profitti ricavati dal traffico di stupefacenti nel mondo sia stato assorbito dal sistema economico, che li ha di fatto riciclati.
L’Observer ha pubblicato anche la replica della British Bankers' Association, che attraverso un suo portavoce ha spiegato che «non esiste alcuno studio dei regolatori che supporti una teoria di questo genere. È vero che c’è stata un’importante mancanza di liquidità, ma è stata compensata grazie all’intervento delle banche centrali».
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