Le borse cinesi quest’anno hanno effettuato collocamenti (IPO, Initial Public Offering) per un importo doppio di quello piazzato sui mercati americani, nell’ennesimo segno dell’ascesa della regione asiatica nella finanza internazionale. La sola Hong Kong ha raccolto quest’anno 27,2 miliardi di IPO, contro i 26,5 miliardi degli Stati Uniti. Le borse della Mainland China hanno raccolto altri 24,4 miliardi di dollari. Dal 1996, primo anno di diffusione di tali classifiche, e con la sola eccezione del 2006 (quando il primo posto nei collocamenti andò al Regno Unito), gli Stati Uniti erano risultati i primi al mondo per nuovi placement azionari.
Poiché per ogni collocamento occorrono collocatori, che prendono ricche fees per il disturbo, le banche globali occidentali hanno beneficiato della bonanza cinese. In alcuni casi con risultati non particolarmente eclatanti. I prezzi di 11 compagnie cinesi collocate da UBS sono scesi il primo giorno di quotazione, e quattro di esse stanno ancora scambiando sotto il prezzo di emissione. Anche tre delle sei IPO piazzate da Bank of America sono scese al debutto. Piatto ricco, mi ci ficco. E la selettività va a farsi benedire, spingendo le banche a definire prezzi di collocamento spesso irrealistici, pur di acquisire il cliente. I cinesi sono ormai a pieno titolo nel grande gioco della finanza globale inclusi alcuni vizietti, noti pure a noi piccoli italici provinciali.
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