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Loretta Napoleoni
Un commando israeliano penetra nel cuore di Dubai assumendo l’identità di sette cittadini britannici, ai quali ha rubato i dati anagrafici, ed uccide a sangue freddo Mahmoud al Mabhouh, un leader di Hamas che si trovava nell’emirato per acquistare armi. Sembra la trama di uno nuovo giallo di Le Carrè o quella di un thriller hollywoddiano ed invece è tutto vero. Tra Londra e Tel Aviv scoppia la guerra diplomatica, ma ciò che colpisce in questa storia singolare non è tanto che Mossad, i servizi segreti israeliani, abbiano scippato l’indentatà di sette sudditi di Sua Maestà britannica, ma che questa triste storia si sia svolta a Dubai. Da quando la crisi del credito e la recessione hanno prosciugato i forzieri dell’emirato questa città-Stato ha iniziato a mostrare al mondo il suo lato oscuro. Ed i colpi di scena sono continui. Da una decina d’anni crocevia importante degli affari loschi delle mafie del centro Asia e di quella russa, data la vicinanza geografica con queste regioni, Dubai assomiglia sempre meno alla Wall Street della finanza islamica e sempre di più alla versione moderna della Beirut degli anni Settanta. Ci sorprende che le compravendite di armi per Hamas non avvengano più nelle capitali europee o in quelle medio - orientali, come appunto Beirut, ma a Dubai, a pochi passi dai palazzi di vetro della finanza mondiale e delle ville dei nababbi sauditi. Molti pensavano che a Dubai ci si andasse solo per divertirsi, giocare in borsa o per incontrare i banchieri occidentali e volti celebri. Ebbene non è mai stato così. Prima dell’11 Settembre Osama bin Laden si faceva curare nei moderni ospedali dell’emirato; parte dei soldi serviti per finanziare l’11 settembre sono partiti da conti cifrati di banche di Dubai e durante l’assedio di Kandahar i talebani hanno contrabbandato gran parte delle riserve d’oro afgane nell’emirato. Nessuno le ha più riviste. Eppure è l’assassinio di Mahmoud al Mabhouh a farci improvvisamente guardare a questa città-Stato come a uno dei centri mondiali del crimine e del terrorismo. E la tentazione è di circoscrivere questa realtà al suo status di paradisco fiscale nell’universo della finanza islamica. Queste considerazioni ci spingono a pensare che a casa nostra, in occidente, tutto ciò non potrebbe avvenire perché le nostre leggi sono migliori, ecco perché Hamas scegliere Dubai e non Londra, Berlino o Ginevra per la compravendita di armi. In parte è vero che negli ultimi dodici mesi una concomitanza di fattori, alcuni positivi altri negativi, hanno proiettato Dubai in cima all’Olimpo dell’illecito. Da una parte i rigidi controlli fiscali applicati dai Paesi dell’Unione Europea per far fronte ai deficit di bilancio creati dalla recessione ed quelli monetari imposti dal Patriot Act sul dollaro rendono sempre più difficile usare le capitali ed il sistema bancario occidentale senza essere intercettati. Dall’altra parte Dubai, che versa in gravi condizioni economiche, cerca di attirare ogni tipo di business senza far troppe domande. Ma è sbagliato accusare solo questo emirato. Nè l’occidente nè l’oriente hanno disegnato una regolamentazione che pur mantenendo in piedi alcuni pilastri del sistema bancario, quali il rapporto intimo tra banchiere e cliente, impedisca che questo sia contaminato dal crimine e dal terrorismo. Senza, tutti i centri finanziari internazionali sono a rischio di essere infiltrati dalla criminalità internazionale e dai servizi segreti. E questa triste storia potrebbe ripersi anche a casa nostra |
Spettro Dubai in Oriente e in Occidente
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