«Lo strano caso dei bond greci: penalizzati di piú i titoli a breve»
I greci ricordano la frase di due sole parole pronunciata da Harílaos Trikúpis (Χαρίλαος Τρικούπης) al parlamento ateniese il 10 dicembre 1893: “Distihós eptohéfsamen” (Δυστυχώς επτωχεύσαμεν) che significa “Purtroppo siamo falliti”. Così infatti, senza mezzi termini, l’allora primo ministro comunicò l’insolvenza dello stato.
È vero che un precedente così remoto non significa quasi nulla. A rigor di termini l’Italia non è mai stata insolvente, mentre di fatto la Germania sì, come conseguenza della riforma monetaria del 20 giugno 1948. Ma non per questo lo stato tedesco è ora ritenuto meno affidabile di quello italiano.
Comunque gli stessi greci non prendono alla leggera la situazione finanziaria del proprio paese, come testimoniano i commenti sulle testate più autorevoli, quale la Kathimerinì (Kαθημερινή). Si può infatti convenire che un crac della Grecia è improbabile soprattutto per motivi politici internazionali (leggi: implicazioni su euro e Unione Europea), ma come si fa a definirlo impossibile?
Tuttavia, esaminando con attenzione come si sono mossi i prezzi dei titoli di stato greci negli ultimi mesi, c’è qualcosa che sorprende. Da un debitore meno affidabile, società o stato che sia, è normale pretendere rendimenti più alti come compenso per il maggiore rischio. Logico quindi che una crisi di fiducia si ripercuota sui titoli con un calo delle quotazioni, che è l’altra faccia dell’aumento dei rendimenti.
Ma chi ritiene troppo aumentato il rischio di default, si disfa di tutte le emissioni e anzi soprattutto delle più lunghe. Lo stato ellenico potrebbe riuscire a far fronte ai suoi impegni finanziari ancora per un po’, ma poi non farcela più.
Invece negli ultimi mesi sono risultati penalizzati i titoli brevi o medio-brevi, mentre quelli lunghi sono apparsi tetragoni a ogni cattivo presagio (vedi la tabella in basso). I casi estremi sono i titoli a un anno che hanno evidenziato perdite anche del 2,5% mentre il prestito con scadenza nel 2040 è tuttora ai livelli di metà dicembre scorso.
Dunque i timori di insolvenza non bastano a spiegare i cali di molti titoli. Le cause possono essere anche altre e sono da ricercare piuttosto nel comportamento di alcuni investitori istituzionali nella gestione di portafogli di fondi hedge, tesorerie di banche, assicurazioni ecc..
Nei mesi scorsi alcuni gestori hanno infatti messo in piedi operazioni cosiddette di carry trade, indebitandosi per comprare titoli greci. Il vantaggio appariva notevole, finanziandosi per esempio all’1,3% per comprare titoli biennali o triennali che rendevano il 4,2%.
Arrivata però sulle prime pagine dei giornali la precaria situazione finanziaria della Grecia, costoro si sono spaventati o sono stati messi alle strette da chi li aveva finanziati; e hanno chiuso le operazioni, vendendo in gran quantità le emissioni comprate.
Molto raramente operazioni simili vengono invece messe in piedi con titoli lunghi, i cui possessori non risulta abbiano manifestato turbamenti. Sapevano di avere titoli adatti a chi non fa uso di tranquillanti e non gli è parso che nella sostanza fosse cambiato molto.
Se questa interpretazione è vera, sono proprio i titoli sui 4-5 anni a apparire più interessanti per puntare su un qualche intervento di salvataggio della Grecia. Mentre sul lungo periodo merita segnalare due indicizzati all’inflazione europea: uno che scade nel 2025 quotato alla Borsa Italiana nel segmento Euromot e uno con rimborso (salvo cattive sorprese...) nel 2030, trattato sull’euromercato oltre che ovviamente alla Borsa di Atene.
Beppe Scienza ( la Repubblica dell'22-2-2010 (Affari & Finanza, p. 20).
Fonte: www. www.beppescienza.it/
22.02.2010
Ha collaborato Alessandra Barbarigo da Atene
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