Servire la collettività, cioè lo stato

asinoLunedì prossimo, il 22 di Marzo, un vecchio e ancora carissimo amico presenta il suo ultimo libro nella Sala della Pace della Provincia di Roma, in via IV Novembre 119 (questo palazzo qui, con davanti le statue di Botero).

Il libro s’intitola “Servire lo stato: il mestiere del bravo burocrate” e lui Alessandro Messina, uno dei pochi disadattati che in Italia, pur occupando per anni un ruolo che gli avrebbe consentito di farlo, non ha rubato mai nulla. Ecco già questo, che è forse lo scoop del secolo in divenire, varrebbe la pena. In più con lui discuteranno Carlo Donolo, dell’Università di Roma, Maria Teresa Petrangolini, di Cittadinanza Attiva e il presidente dell’Istat Giovanninì.

Questa è la recensione che ha scritto Ugo Ripamonti per Altreconomia di Febbraio.

“Esiste qualcosa di più fastidioso e dannoso del qualunquismo? Forse la domanda non è così retorica, ovviamente qualcosa di peggio esiste, ma in ogni caso il qualunquismo è uno dei tic da italiano medio che meno sopporto. E tra il vasto frasario in dotazione al qualunquista medio (scusate la tautologia), le affermazioni che meno tollero sono quelle sui politici e sulle loro incapacità. E per questo, non lo nego, che mi è scappato uno sbuffo d’insofferenza quando a pagina 28 del libro di Alessandro Messina “Servire lo stato” (edizioni dell’Asino, 12 euro) ho letto la frase: “Tra i politici italiani l’incompetenza regna sovrana”. Capirai che novità. Poi proseguendo la lettura il libro di Messina mi ha svelato un altro punto di vista, la sua indagine sulla burocrazia italiana, o meglio sui burocrati italiani, mi ha fatto sentire ancor più impreparato e qualunquista.

Messina coglie un fatto fondamentale: il problema principale degli amministratori pubblici italiani non è tanto la loro malafede o la mancanza di etica, quanto la loro spaventosa impreparazione. Gli amministratori sono incapaci, non hanno la preparazione congrua al ruolo che ricoprono: Messina ci spiega che storicamente la maggior parte dei manager pubblici ha formazione giuridica, mentre lo stesso ruolo nel settore privato è prevalentemente in mano a uomini di formazione tecnico scientifica. È un retaggio storico/geografico che affonda le sue radici nel periodo giolittiano, ma che ha gravi ripercussioni sul mondo di oggi, nel quale la tecnologia e la capacità di cogliere i cambiamenti degli scenari umani è fondamentale. Messina cita un dato del quale io stesso sono stato vittima quando lavoravo in un ufficio parastatale (l’Aci, nel mio caso): la formazione professionale. Quando un manager italiano fa un corso di formazione non impara mai Linux o l’inglese tecnico: impara il teatro, ti insegnano improvvisazione teatrale o a parlare a una platea o a saltare in un cerchio di fuoco. Il libro è gustoso perché adotta un artificio narrativo accattivante: mischia il romanzo all’inchiesta. Raccontando le sue (vere) storie di impiegato e poi amministratore pubblico, Messina spiega come la scalata alla Cosa pubblica sia fatta di gironi colmi di ignavi, farabutti, ignoranti e corrotti. Ma accompagna le grottesche descrizioni di impiegati camperisti (in orario d’ufficio) e corruttori in Mercedes con dati statistici e riportando analisi di sociologia del lavoro, mostrando insomma quella preparazione tecnica di cui l’amministratore italiano è cronicamente privo, dando ragione, ma con dati alla mano, all’uomo della strada quando afferma che “il pesce puzza dalla testa”

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