Colaninno e l'Oak Fund

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Scritto da Davide Giacalone
mercoledì 17 marzo 2010
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Roberto Colaninno s’è indignato, leggendo un mio pezzo dedicato a Telecom Italia ed all’Oak Found. Mi duole aver nuociuto alla sua serenità, che sarebbe stata meno scossa, però, se egli avesse letto il pezzo, anziché solo il titolo. Già, perché, nella sua articolata replica, egli risponde a quel che non c’è e tace su quel che c’è. Vediamo i diversi punti, seguendo l’ordine di quel che egli ha scritto.

1. Lamenta che la “cosiddetta analisi” contenga un’“ingente mole” d’affermazioni sbagliate e confuse. Non voglio alterare il suo stato d’animo, ma se avrà la pazienza di leggere “Razza Corsara”, pubblicato per i tipi di Rubbettino nel 2004, e poi rielaborato in “Il grande intrigo”, pubblicato da Libero nel 2006, troverà molte più cose, compresi dati, fatti e nomi. Talché potrà fornire ancor più interessanti chiarimenti.

2. Colaninno ricorda i successi di Telecom Italia, sotto la sua gestione, in campo internazionale. Devo rammentargli, però, che la presenza in Sud America data da epoca largamente precedente e che le gare per le privatizzazioni furono vinte sotto la gestione di Gian Mario Rossignolo. Successivamente, però, le avventure brasiliane si colorarono di inauditi ed inimagginabili sprechi, compresa la mai chiarita storia di Globo.com, che la gestione successiva, quella di Tronchetti Provera, fu costretta ad azzerare. A quegli anni, invece, si devono le gare in Grecia e Turchia. Approfondire quei conti e quelle storie è ancora un compito aperto. Di queste cose, comunque, il mio articolo non parlava.

3. Né ho scritto del debito. Colaninno s’indigna, ma non so con chi. Visto che ci tiene, però, è da ricordarsi che i debiti di Telecom, precedentemente alla scalata, erano irrisori, mentre le conseguenze delle lotte per il controllo, quindi non solo l’Opas lanciata da Colaninno, l’hanno ridotta assai male. In tal senso, Colaninno si rammarica di non avere avuto il tempo di completare le operazioni che aveva in mente, con le quali si sarebbe imbrigliato il debito. Solo che deve rammaricarsene con i suoi soci, che glielo impedirono.

4. E veniamo alle sponsorizzazioni politiche. Egli dice: non ne ho mai avute e subimmo controlli rigorosi, anche dalla Consob. Già, peccato che l’allora presidente del Consiglio annunciò l’iniziativa di “capitani coraggiosi” prima che il consiglio d’amministrazione di Olivetti deliberasse l’Opas. Peccato che Olivetti fu beccata a vendere azioni Telecom nel mentre annunciava di volerle comprare. Peccato che il presidente della Consob fu chiamato a rispondere, a Palazzo Chigi, dei rilievi mossi sulla regolarità dell’Opas. Peccato, insomma.

5. S’indigna, Colaninno, e smentisce di avere mai posseduto azioni di società lussemburghesi, come smentisce ogni coinvolgimento nell’Oak Fund, il Fondo Quercia. E dov’è che ho scritto il contrario? Questa è bella: l’articolo si basava proprio sulla dimostrazione che l’Oak Fund non era riconducibile a Massimo D’Alema (e ricordavo che ben si conoscono i beneficiari di quel fondo), e che ero stato io a far notare quanto avesse ragione Guido Rossi, nel sostenere che a Palazzo Chigi non parlavano l’inglese, altrimenti si sarebbero accorti di questo singolare fondo. Che c’entra Colaninno? O no? Quel che affermavo, invece, lo ripeto: la proprietà di Telecom Italia, dopo l’Opas, divenne lussemburghese, perché la società utilizzata, la Bell, era lussemburghese. Può smentire? A riprova di ciò citavo il successivo passaggio: Tronchetti Provera comperò e pagò all’estero, riportando in Italia la proprietà. E cito un altro dato, che avevo taciuto: la trasparenza era così assente che di alcuni cointeressati-mediatori-azionisti, come i capi della Unipol, si è saputo solo “accidentalmente”. E per Bacco.

6. Sono e resto un cliente dell’ingegner Roberto Colaninno, soddisfatto nell’utilizzare i prodotti della Piaggio, che conosco personalmente, e non per sentito dire. Sarei felice di averlo come cliente lettore, sperando, qualche volta, magari di rado, di raccogliere i suoi giudizi, anche severi. Ma alla stessa condizione: per cognizione diretta, non per sentito dire.

www.davidegiacalone.it

Pubblicato da Libero

Qui di seguito la lettera dell’ing. Roberto Colaninno, pubblicata il 16 marzo

Caro Direttore,

ho letto con indignazione la cosiddetta “analisi” di Davide Giacalone, pubblicata da Libero il 12 marzo scorso. L’ingente mole di affermazioni, ricostruzioni e valutazioni - contraddittorie e confuse - contenute nell’articolo impone alla mia coscienza di cittadino, prima ancora che alla razionalità dell’imprenditore, di ricostruire (ancora una volta) i fatti così come si sono realmente svolti, nonché i loro risultati industriali e finanziari.

L’OPAS lanciata da Olivetti su Telecom nel 1999 non rappresentò soltanto la più grande operazione di questo tipo mai realizzata in Italia e una delle principali effettuate a livello globale, ma anche lo strumento per realizzare uno straordinario progetto industriale nell’interesse di Olivetti, di Telecom Italia, del nostro Paese. Parlano i fatti: mi limito a ricordare che nel 2001 – al termine di un’avventura industriale complessa e appassionante – fui costretto a lasciare un’azienda totalmente diversa da come l’avevo trovata. In soli due anni l’azienda italiana di TCL era diventata un vero player internazionale, in virtù di una strategia di espansione sui mercati più promettenti del pianeta. Avevamo conquistato la maggioranza della società di telefonia mobile in Cile, sviluppato la rete di telefonia mobile e fissa in Brasile, razionalizzato Telecom Argentina, rafforzato la nostra presenza in Grecia, in Turchia e in tutta l’area del Mediterraneo orientale, risolti gravi contenziosi come quelli in Serbia e a Cuba nei riguardi degli Stati Uniti. Il profilo industriale di Telecom Italia nel 2001 spaziava dalla telefonia fissa a quella mobile, da Internet alla televisione, dalle comunicazioni satellitari ai sistemi informatici.

Sotto il profilo finanziario, l’OPAS del 1999 fu un’operazione di mercato così dirompente e trasparente da cogliere di sorpresa (e forse preoccupare) chi era abituato da decenni a considerare i “salotti buoni” del capitalismo italiano come l’unico terreno di gioco delle grandi operazioni industriali e finanziarie del Paese. A differenza di quanto è successo negli altri passaggi di proprietà del gruppo telefonico, l’offerta di Olivetti si rivolse infatti a tutti gli azionisti ordinari di Telecom Italia dando loro la possibilità di “incassare” un premio rilevante rispetto alle quotazioni del titolo.

Quanto al debito, desidero ribadire con forza che l’OPAS non portò indebitamento su Telecom Italia e sulle altre società operative: per realizzare l’operazione Olivetti utilizzò 20.000 miliardi di lire di liquidità propria, bond e strumenti finanziari di debito, che rimasero in carico alla società di Ivrea e che sarebbero stati quasi annullati se l’operazione – già accettata dal mercato - di conversione delle azioni di risparmio Telecom Italia in ordinarie ed il successivo buy back avessero trovato esecuzione nell’estate del 2001. Ma il dato fondamentale è un altro: il debito di Telecom, all’epoca, era largamente inferiore a quello dei grandi competitors europei ed era perfettamente sostenibile dalla cassa generata annualmente dal gruppo telefonico stesso.

E’ altrettanto importante inquadrare in modo corretto un altro aspetto dell’operazione su cui vengono riproposte ciclicamente teorie improbabili e calunniose, delle quali mi interesserebbe molto conoscere le vere motivazioni. Nessuno chiese ed ottenne “sponsorizzazioni” politiche o istituzionali. Non fanno parte della mia etica, sarebbero state contrarie alle regole del diritto nonché un’evidente contraddizione rispetto alla logica esclusivamente di mercato che caratterizzò l’intera operazione. All’epoca dei fatti le istituzioni competenti – in primis l’allora Presidente del Consiglio Massimo D’Alema, il Ministero del Tesoro, Consob e Borsa Italiana – controllarono severamente ogni dettaglio di questa operazione, garantendo il rigoroso rispetto delle leggi. Il modello di relazioni con tutti i rappresentanti del mondo istituzionale si basò sulla trasparenza e sulla tutela della neutralità: elementi richiesti – anzi pretesi – dal mercato, che fu in grado di stabilire l’esito dell’operazione al di fuori di ogni condizionamento esterno. L’opinione pubblica e il mondo finanziario e del risparmio furono informati quotidianamente dai media italiani e internazionali, che per la prima volta in Italia ebbero la possibilità di seguire, analizzare e valutare in ogni dettaglio un’Offerta di Pubblico Acquisto verso tutti gli azionisti di Telecom Italia, dalla sua nascita alla sua conclusione.

Voglio ribadire per l’ennesima volta, inoltre, che non ho mai posseduto nessuna azione di qualsivoglia società lussemburghese. I frutti di questa e di tutte le mie operazioni sono sempre rimasti integralmente in Italia e hanno generato ingenti imposte a favore dell’erario.

Per l’ultima volta mi auguro, dunque, di non leggere più illazioni circa un mio presunto coinvolgimento in OAK Fund. Rimando peraltro ad alcuni articoli di stampa che hanno chiarito in modo netto le realtà patrimoniali di questo fondo: rinvio in particolare ad un’intervista di Mario Gerevini a Giorgio Magnoni (pubblicata dal Corriere della Sera il 24 luglio 2008) in cui lo stesso Magnoni dichiara essere il gestore dell’OAK Fund, nonché a numerosi articoli pubblicati dai principali quotidiani (si veda, tra gli altri, l’articolo a firma Paolo Madron sul Sole 24 Ore del 23 luglio 2008) che hanno indicato l’ex azionista Campari Antonio Rossi come il sottoscrittore del fondo. Voglio sottolineare infine che - sempre nell’intervista rilasciata a Mario Gerevini - Giorgio Magnoni informa di aver inviato una lettera ufficiale al Ministero del Tesoro, nella quale chiariva chi aveva potere di gestione sullo stesso fondo.

In conclusione, ammetto di condividere la cosiddetta “analisi” di Giacalone soltanto in un punto. L’OPAS di Olivetti su Telecom e lo sviluppo industriale del gruppo telefonico nei due anni successivi sono una storia che varrebbe la pena insegnare nelle scuole. Ma come esempio di coraggio imprenditoriale, di rispetto delle regole, di esaltazione del mercato e della sua etica.

Roberto Colaninno

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