In guerra tutto è permesso

E ora che si fa?

E ora che si fa?

Più che di una vera guerra si tratta di una gara, e siamo ai nastri di partenza: è la gara degli emittenti. Altrove potrete leggere ciò che è successo (dopo che sarà successo), qui vorrei provare a raccontarvi cosa sta per accadere. Questo post tira le fila di molti discorsi che si sono susseguiti negli ultimi mesi, in apparenza in modo disorganico, ma come vedrete (aprendo i link) erano tutti pezzi dello stesso mosaico.

Qualche tempo fa vi ho parlato della situazione greca e dei suoi effetti sul rapporto euro-dollaro, erano i prodromi di ciò che accade oggi: dopo la firma del trattato di Lisbona, in UK hanno smarrito qualunque forma di influenza sulla BCE e sull’euro. E questo è un importante pezzo del puzzle. Infatti la situazione oggi è la seguente: enormi masse di debito pubblico necessitano di sottoscrittori e ciascun Stato (e le imprese) deve cercare di convincere i risparmiatori a sottoscrivere le sue obbligazioni, e non quelle della “concorrenza”. I risparmi interni di ciascun Paese non sono sufficienti a coprire l’esigenza di finanziamento, occorrono anche denari stranieri e questo complica le cose (sarebbe facile dirottare per legge i capitali dei propri cittadini sul proprio debito, chiudendosi in una perniciosa autarchia). La forma più cruenta e brutale della concorrenza degli emittenti obbligazionari è quella sui tassi: immaginate gli Stati che, come delle banche online, si strappano ‘clienti’ offrendo tassi via via crescenti. E’ però un gioco molto pericoloso: pagare elevati interessi per quei Paesi che hanno masse rilevanti di debito potrebbe comportare l’impossibilità di rientro dalla situazione di emergenza o addirittura l’allargamento del debito perché gli interessi superano le entrate, portando lo Stato in deficit finanziario ed in una spirale irreversibile. Dunque prima di arrivare alla fase cruenta e pericolosa si intraprende un’altra strada, ovvero quella che sta iniziando ora: anziché offrire sempre di più ai sottoscrittori si tenta di screditare gli altri offerenti, ispirandosi ad un vecchio B-movie italiano “Lui è peggio di me”. Ed eccoci qui, con -fino a qualche settimana fa- USA e UK che affondano nei debiti e con valute strutturalmente deboli, in declino, in svalutazione progressiva, mentre dell’euro si parla insistentemente come dell’unica concreta alternativa al dollaro quale moneta universalmente riconosciuta per gli scambi internazionali. Con l’aiuto dei CDS e di una buona campagna mediatica USA e UK hanno iniziato a spostare la pubblica preoccupazione sull’euro, facendoci discutere sulla sua tenuta, sulla sua solidità, sulla possibile disgregazione dell’area, sul default di Grecia o Spagna (e ancora nessuno parla dell’Italia che per dimensione del PIL e parametri sballati rappresenta un’ottima carta per chi vuole speculare contro l’euro) ecc.. al mercato le incertezze non piacciono e così il denaro si sposta dalle obbligazioni in euro a quelle in dollari. Con il recupero del dollaro si dà anche un messaggio ai grandi detentori di debito americano: ‘i vostri investimenti non si svalutano, continuate a comprare i nostri titoli’. Inoltre la difficile gestione della politica economica comunitaria, con una moneta unica e 27 ministri dell’economia, lascia parecchie perplessità sulle forme dell’intervento di aiuto alla Grecia, offrendo il fianco alla subdolo gioco anglosassone: invitare al tavolo della BCE il FMI, che è un organismo internazionale, ma di fatto sotto il controllo anglosassone. In questo modo potrebbero mettere il becco nelle decisioni del “concorrenza”. L’Europa per ora dà risposte deboli, limitandosi a rassicurare i mercati sul fatto che -Grecia a parte- non ci sono pericoli di contagi o effetto domino. L’arrivo del FMI è uno “spettro” che aleggia da tempo. Mentre Dubai, dopo il presunto “salvataggio” di novembre, è giunta alle corde chiedendo ai propri creditori un accordo di taglio del debito (default tecnico) occorre evitare che i mercati puntino la speculazione su uno dei PIIGS: l’impennata dei CDS farebbe aumentare il costo della protezione per chi sottoscrive le obbligazioni, costringendo l’emittente ad aumentare il tasso offerto per compensare il maggior costo della copertura, portando la situazione su una brutta china. Gli USA nel 2010 hanno 2000 miliardi$ di titoli in scadenza da riemettere più 1500 miliardi$ di deficit da coprire, i loro cittadini hanno iniziato a risparmiare qualcosa ma la loro capacità non arriva a coprire un terzo di quelle esigenze, dunque è necessario continuare a richiamare il denaro cinese (che sta calando drasticamente), giapponese (il nuovo governo ha annunciato che interromperà gli acquisti di treasury americani), russo (anche qui è stato annunciato lo stop) e dei sempre più importanti paesi OPEC. Altrove, in proporzioni diverse, c’è il medesimo problema: tutti gli stati vogliono denaro per coprire i loro debiti, ma non c’è in circolazione denaro sufficiente per tutti. Conseguenze: altro denaro verrà stampato (portando inflazione a venire, vedremo in che forma), qualche default distruggerà debito sul mercato, le altre forme di investimento verranno ordinatamente disincentivate per indurre la maggior massa possibile di denaro verso i titoli governativi, le grandi imprese che -a differenza delle PMI- hanno aggirato il credit crunch emettendo pesantemente obbligazioni corporate nel 2008-2009 dovranno togliere il disturbo e tornare a chiedere i soldi alle banche invece che al mercato, aprendo un fronte che diverrà caldo, finché le banche non riprenderanno ad erogare credito, e le banche potranno farlo solo ritirando dal mercato la liquidità che vi hanno dirottato (e che era stata fornita loro per sostenere l’economia…). In tutta questa grossissima partita che si sta giocando sul nostro futuro, e che per ora si svolge a colpi di fango gettato gli uni sugli altri, i Paesi con poco debito e comunque al di fuori di questi giochi vedranno le loro valute rivalutarsi. Finché il titolo di Stato nell’opinione comune rappresenterà un bene rifugio è piuttosto probabile che venga indotta una nuova fase di avversione al rischio, funzionale a diversi degli aspetti sopracitati, dunque potrebbe avere ulteriori fiammate a rialzo anche l’oro. Stiamo probabilmente per entrare nella fase più difficile, soprattutto se la debole semi-convinzione de “la crisi è finita e stiamo ripartendo” dovesse caracollare.

http://bimboalieno.altervista.org/?p=502

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