FINANZA/ Dalla Grecia al Portogallo, l’euro rischia di implodere

venerdì 26 marzo 2010

Notizie confortanti da Bruxelles. Ieri mattina, in attesa dell’inizio del vertice dei capi di Stato e di governo chiamati a dare una risposta alla crisi greca, il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, ha tenuto un discorso all’Europarlamento riguardo la situazione ellenica ma, più in generale, lo stato di salute economica dell’Europa.

Sapete quanti europarlamentari erano in aula? Meno di venti. Complimenti agli eletti, italiani e non, e ai loro lauti stipendi. Peccato, perché alzandosi dal letto un po’ prima e ascoltando Trichet, lorsignori avrebbe scoperto che la crisi è ben lungi dall’essere passata e che, per evitare potenziali effetti domino da un’insolvenza greca, la Bce prolungherà il suo programma di “easier collateral”, ovvero accettare - a fronte della richiesa di denaro - anche assets, in questo caso bonds, che come per la Grecia sono al di sotto del rating richiesto dai vincoli, ovvero fino a BBB-.

Detto fatto, la richiesta di bond greci a 10 anni è crollata rispetto al benchmark con i Bund tedeschi dopo l’annuncio di Trichet: parafrasando Ricucci, è facile fare i soldi con i tassi d’interesse degli altri. Inoltre, dal gennaio 2011 verranno introdotti nuovi margini di rischio, o “haircuts”, sugli assets, a protezione del cosiddetto “eurosistema”. Notizie serie, importanti: che gli eurodeputati, oltre 700 gli eletti, leggeranno forse domani nella rassegna stampa.

Il forse è d’obbligo, però. Non leggeranno, però, che le scommesse contro l’euro sono salite del 30% negli ultimi due giorni, spinte dalla debolezza della divisa comunitaria causata proprio dal balletto sulla crisi greca e dal downgrade dei conti portoghesi operato da Fitch. Al 30 di South Hawker Drive a Chicago, sede del Chicago Mercantile Exchange, la piazza che meglio indica gli appetiti della speculazione internazionale, si fregano le mani: i fondi puntano miliardi contro l’euro e anche il mercato otc - over-the-counter, circuiti elettronici non regolamentati - dei cds sul debito sovrano vanno a ruba.

No leverage, no party: come ai vecchi tempi. Ci si copre dal rischio di insolvenza e si spera che questa arrivi a tempo debito: più che vietare il naked short sui cds sovrano, andrebbe vietata l’elezione di quegli eurodeputati che ieri non hanno sentito il bisogno di ascoltare il governatore della loro Banca centrale. In compenso sarebbe interessante capire perché i nostri amati regolatori e censori del mercato non si mettono finalmente in testa di fare le uniche due riforme davvero necessarie per eliminare la speculazione vera e propria, quella che davvero punta alla logica della rapina in banca.

Ovvero, chiedere come Ue l’introduzione dell’obbligo di delivery per i futures petroliferi, troppo facili da comprare con solo il 5% di deposito all’atto dell’acquisto e poi destinati agli squeezes e ai corners dei furbetti, tipo quelli che operano all’Ice di Londra o altrove su circuiti otc: comprano più diritti di quanti barili è possibile consegnare alla controparte e se questi non vengono trovati - tanto poi non verranno mai consegnati davvero fisicamente, ve lo vedete uno speculatore in grisaglia che impila in giardino i barili? - si deve pagare la penale per inadempienza.

Questo fa salire, in parte, il prezzo del petrolio a dispetto dei fondamentali e costringe invece chi dei futures sul petrolio ne beneficia davvero, tipo le linee aeree, a scaricare sui passeggeri attraverso l’aumento dei prezzi degli biglietti, i rialzi artificiali del prezzo del greggio. Avete sentito qualcuno proporlo? No. Avete anche ragione quando, intuitivamente, pensate tra voi e voi che chiunque si azzardi a fare un ragionamento del genere farebbe la fine di Mattei o Ambrosoli in una settimana, ma tant’è.

Seconda riforma: rompere una volta per tutte lo strapotere delle “tre sorelle” e creare una società di rating europea che faccia da contraltare alle stilettate a orologeria di Moody’s, Standard&Poor’s e Fitch, nei fatti nulla più che emanazioni di banche e grandi multinazionali che siedono a vari titoli nei rispetti consiglio di amministrazione. Il caso portoghese dovrebbe far riflettere anche gli europarlamentari. Subito dopo il declassamento operato da Fitch, il ministro delle Finanze porttoghese, Teixeira Dos Santos, ha lanciato un chiaro grido d’allarme: «Farò di tutto affinché il Portogallo non soccomba in una crisi come quella che sta strozzando la Grecia. La preoccupazione è reale perché spesso i mercati sbagliano la mira. Il rischio esiste, non si può ignorare». Evviva, la prossima vittima è servita.

Ciò che stupisce, però, è il fatto che Fitch abbia operato il downgrading non solo rispetto ai conti del 2009, ma anche sulle prospettive del 2010, definendo il piano di austerity del governo portoghese «credibile ma insufficiente nel controllo del debito crescente». Definizione un po’ fumosa - un altro termine, meno fine, sarebbe più efficace - per giustificare una tale scelta in un momento del genere: guarda caso, l’euro crolla e le scommesse contro la moneta unica schizzano alle stelle ovunque, dagli otc fino a chi opera in Forex con cfd, sia clienti retail che fondi.

D’altronde, Fitch si muove quando sa che occorre farlo. Non è un mistero per chi lavoro nella finanza a Londra che da qualche giorno stia circolando un report di Ubs intitolato, che tatto, “Come rompere un’unione monetaria”. Eccone un passo: «È relativamente chiaro che l’euro non sta funzionando. Ovvero, parti dell’eurozona starebbe meglio economicamente se non vi avessero aderito».

E, si arriva a dire, che la Grecia potrebbe scegliere, come minore dei mali se l’impasse portasse a un deterioramento ulteriore della situazione, la strada del default all’interno dell’Uniome Monetaria Europea piuttosto che essere costretta ad abbandonare l’euro e finire tout-court nelle mani del Fmi, incapace di erogare ad Atene la cifra di cui ha bisogno entro giugno per rifinanziare il debito e, soprattutto, pronto a chiedere come contropartita tagli e interventi ancor più drastici di quelli imposti da Bruxelles, portando la Grecia sull’orlo della rivolta sociale e preda di takeover stranieri (a Pechino stanno già stipando i soldi nelle valigette per dar vita a un altro colpaccio come la svendita dell’ente portuale del Pireo).

Insomma, Ubs punta contro l’euro. Non solo nei report. Chi invece dimostra come l’asse franco-tedesco sia definitivamente tramontato e tradisce nervosismo è il centro studi di Bnp Paribas, secondo cui «le condizioni imposte dalla Germania porteranno in Grecia e in altri paesi dell’eurozona uno shock deflazionario». E secondo voi, cosa voleva Berlino se non questo? Commerzbank, sì proprio l’istituto il cui sedere giace su 101 miliardi di assets tossici e che compra cds greci e portoghesi a manbassa mentre la Merkel straparla contro gli hedge funds, è arrivata a dichiarare attraverso il suo management «che la Bce ha completamente perso la bussola quando dichiara che un prestito di emergenza alla Grecia non sarebbe paragonabile a un salvataggio. La signora Merkel tenga duro e non molli la posizione».

Comunque vada a finire il vertice europeo iniziato ieri, come per Sanremo, sarà un successo: vedrete che tutti ne usciranno vincitori, tutti definiranno risolutivo il loro ruolo nelle trattative, tutti avranno un motivo per cui sorridere. Di certo li hanno i mercati: con la volatilità così bassa, il Vix è sotto 20 punti base, fare soldi con i guai dei governi è un piacere e un’ottima forma di hedging rispetto al piattume dell’azionario.

Con governi e banchieri centrali (per non parlare degli europarlamentari assenteisti, nostri rappresentanti) così, poi, ancora di più. Come si dice a Wall Street, “piece of cake”, un gioco da ragazzi. Aspettiamo fiduciosi di scoprire quale tra Spagna e Irlanda andrà, entro brevissimo, a fare compagnia a Grecia e Portogallo nella lista dei cattivi delle agenzie di rating e dei mercati. L’Italia? Ne parleremo. Ma siamo messi molto meglio di altri.

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