FINANZA/ Dall’Islanda alla Grecia, l’Ue rischia di esplodere

giovedì 7 gennaio 2010

L'Ue non aiuterà la Grecia a risanare i conti. A chiarirlo è Jurgen Stark, componente del board della Banca Centrale Europea in un'intervista a Il Sole 24 Ore nella quale afferma che «i mercati si illudono se pensano che alla fine i Paesi membri dell'Ue metteranno mano al portafoglio di Atene». Le difficoltà della Grecia, aggiunge, non dipendono dalla crisi ma «sono state create in casa».

Stark mette anche in guardia sul rally delle borse: gli aiuti all'economia rischiano di gonfiarne la crescita. Per questo, grazie anche alla tenuta dell'inflazione, «l'indicazione è che i tassi rimarranno fermi». Insomma, la Befana ci ha finalmente portato una voce chiara da Francoforte: la si attendeva da mesi, a dire il vero, ma meglio tardi che mai.

Non sarà certo contento il governo greco ma nessuno, ad Atene, in cuor suo sperava veramente in un bail-out in grande stile: o si faranno riforme draconiano, con il fortissimo rischio di instabilità sociale oppure si andrà verso il default, seppur controllato. Ma gli scricchiolii sulla tenuta della cosiddetta eurozona sono tutt'altro che conclusi.

L'Islanda è infatti nella bufera dopo la decisione del presidente della Repubblica, Olafur Ragnar Grimsson, di porre il veto alla legge con cui l'isola ratificava gli accordi con Gran Bretagna e Olanda per rimborsare i correntisti europei della Icesave, fallita nel 2008. Ed è di ieri la notizia che la Standard and Poor's ha messo sotto credit watch negativo il debito del paese, decisione che segue quella di Fitch che ha già declassato il debito di Reykjavik a BB+, con un outlook negativo.

Rientro dalle vacanze anticipato, quindi, per i deputati islandesi che si riuniranno domani (invece che il 26 gennaio, come inizialmente previsto): il Parlamento dovrà infatti votare e decidere se indire il referendum per il prossimo 20 febbraio sulla legge che autorizza l'uso di fondi pubblici per rimborsare per 3,4 miliardi di euro gli istituti di credito britannici e islandesi rimasti invischiati nel crac dell'ex stella del banking online nordico, la già citata Icesave: decisione non semplice poiché circa 60 mila persone, un quarto dell'elettorato, ha presentato per protesta una petizione contro la legge, invocando peraltro il referendum.

Immediate, ovviamente, le proteste di Gran Bretagna e Olanda che puntavano a recuperare quanto perso dai loro connazionali quando, in seguito alla bancarotta, i conti correnti sul web sono stati bloccati e per 400mila investitori, britannici e olandesi appunto, non c'è stato nulla da fare. I cittadini islandesi si sono subito salvati grazie alla garanzia totale dei depositi. Qualora si decidesse di rimborsare anche gli investitori stranieri, ogni islandese si troverebbe a dover saldare un debito di 13 mila euro.

Nel frattempo, ovviamente, è partito il balletto dei cds. Il costo di protezione contro il rischio di default sul debito dell'Islanda è cresciuto: gli swaps a cinque anni sono saliti a 466 punti base, dai precedenti 444 della chiusura Usa di martedì. Ma non solo. Il “caso” Icesave e le modalità con cui verrà gestito da Reijkyavik verrà preso in considerazione nell'accogliere o meno la richiesta dell'isola di aderire all'Unione Europea: la Commissione sta preparando un'indagine ai 27 paesi membri su quando l'Islanda potrà fare il suo ingresso.

Le cose potrebbero complicarsi, visto che il Ministro inglese alle finanze Paul Myners ha già fatto sapere che la controversia sul debito da 3,8 miliardi di euro potrebbe avere un effetto sul supporto britannico all'ingresso dell'Islanda nella Ue: e vista la nazionalità del nuovo Mister - anzi, Mrs - Pesc europeo, c'è da credergli. Ci sono arrivati, il nodo è al pettine. Peccato che, ad occhio e croce, ora sia l'Islanda a ben guardarsi dall'ingresso nella Ue.

Ecco cosa scrivevo il 28 luglio scorso: «Non ho mai detto - il testo del mio ultimo articolo ne è la prova - che a mio avviso esiste un problema storico-etnico-culturale per l’ingresso dell’Islanda dell’Ue. Non lo penso affatto, soprattutto alla luce di chi abbiamo fatto allegramente entrare finora e di chi sta per farlo. Detto questo, se anche la Bei ha fatto l’errore di indicizzare obbligazioni in corona islandese ora inesigibili (che dire dei regolatori dormienti quando mezza Europa operava sul forex scommettendo anche la moglie sul cross tra euro e corona danese?), nessuno mi toglierà dalla testa che prima di gettarsi in un investimento bisognerebbe informarsi: e il fatto che le tre banche islandesi fossero esposte a liabilities pari a 11 volte il Pil del paese lo sapevano tutti, erano il più grosso hedge fund del mondo. Se uno vuole rischiare va benissimo, non si lamenti però poi se picchia la faccia contro il muro…

Non sarà l’Ue a dover pagare dazio, sarà l’Islanda a riprendersi prima del previsto e dire “no grazie” al nodo scorsoio dell’agganciamento all’euro che sta devastando, ad esempio, la Lettonia. Qualche cifra. I disoccupati, nonostante il default globale dell’economia del paese, sono il 9,1% e tendono a scendere in maniera rapida mentre la media dell’eurozona è il 9,5% e tende a salire in maniera devastante. Quest’anno la contrazione dell’economia sarà del 7%, sempre meglio del 9,8% dell’Irlanda. Inoltre, parola di chi è appena tornato da lassù, non si era mai visto un boom del genere del turismo - soprattutto giapponese ben fornito di yen - e di vita notturna, soprattutto di europei: qualcuno comincia a parlare di “Ibiza artica”.

Il perché è presto detto: la corona islandese ha perso metà del suo valore rispetto all’euro dopo il crollo delle sue banche, la vecchia cara svalutazione che attrae. Insomma, tra due-tre anni quando gli islandesi saranno chiamati a dire sì o no all’adesione Ue, si troveranno di fronte a un’economia nazionale già in netta ripresa, mentre dall’altra parte la bomba a orologeria della disoccupazione sarà già esplosa. Il problema vero è l’economia reale, non la finanza. Già oggi la disoccupazione giovanile è al 34% in Spagna, al 28% in Lettonia, al 25% in Italia e al 24% in Grecia e continua a salire».

Scusate ma partendo da queste cifre, come faranno a Bruxelles a vendergli la favoletta della protezione garantita dall’euro, soprattutto se questa garanzia comporta il pagamento di 3,8 miliardi di euro a Gran Bretagna e Olanda? In effetti, poi, l’Islanda sarà già in surplus da quest'anno dopo aver toccato un picco di deficit del 25% del Pil: messi male, certo, ma certamente meglio di Irlanda e Lettonia. Per non parlare, ora, della Grecia. E l'Austria, se non risolve in fretta la grana delle esposizioni a Est delle sue banche ormai semi-nazionalizzate, è destinata a fare la stessa fine.

La Befana, quindi, ci ha portato finalmente chiarezza da Francoforte. Ma anche un sospetto che sa ogni giorno di più di sentenza: l'Europa che si continua ad allargare, spesso artificialmente, quest'anno rischia l'implosione. O un ridimensionamento di dimensioni sostanziali. Tanto più che oltre alla Grecia, anche Italia, Germania e Francia devono rifinanziare il proprio debito in scadenza quest'anno: ci sarà da ridere, con l'aria che tira sui mercati e le svalutazioni bancarie tedesche alle porte. Ridere. Più che altro piangere.

http://www.ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2010/1/7/FINANZA-Dall-Islanda-alla-Grecia-l-Ue-rischia-di-esplodere/59833/

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