Storia di Barry l’“abbronzato”
Le 25 notizie più censurate del 2009.
Pubblicato da Debora Billi alle 15:11 in Mass media
Come ogni anno, Project Censored pubblica le 25 notizie più censurate dai media negli ultimi 12 mesi. Qui la lista. Nuovimondimedia pubblica il libro, con tutti gli approfondimenti. Ecco un'anticipazione:
Ancora oggi nel mondo esistono 27 milioni di schiavi. Globalizzazione, povertà, violenza e avidità facilitano la crescita di nuove forme di schiavitù, non solo nel Terzo Mondo ma anche nei paesi sviluppati. Dietro la facciata di una qualsiasi capitale o città del mondo, esiste un fiorente commercio di esseri umani; un commercio che tiene testa a quello di droga o di armi. Finora le Nazioni Unite, i cui principi fondanti richiamano alla lotta alla schiavitù in ogni sua forma, hanno fatto ben poco per combattere tali forme di schiavitù moderna.
Naturalmente, sarebbe interessante anche preparare un elenco delle 25 notizie più censurate dai media nostrani riguardo al BelPaese...
http://crisis.blogosfere.it/2009/12/le-25-notizie-piu-censurate-del-2009.html
Bamboccioni e neo-mamme chiedono aiuto al governo
Ieri l’Istat ha pubblicato un rapporto che mette in evidenza la difficoltà dei giovani italiani ad uscire dalla casa dei genitori e le criticità che incontrano le giovani mamme nei loro percorsi di vita.
L’accusa di essere dei “bamboccioni”, lanciata ai giovani italiani dall’ex-ministro dell’economia Padoa Schioppa, sembra ormai essersi consolidata anche negli studi dell’istituto nazionale di statistica. Infatti ieri l’ISTAT ha pubblicato un’analisi in cui vengono messi in evidenza due fra i temi più critici che dovrebbero affrontare i nostri governanti: la prolungata permanenza dei giovani nella famiglia d’origine e le difficoltà lavorative e assistenziali a cui vanno incontro le neo-mamme italiane dopo la nascita del primo figlio. Il rapporto, pubblicato il 28 dicembre, si riferisce ad un campione di 10000 persone fra i 18 e i 64 anni, monitorate dall’ISTAT dal 2003 al 2007 in modo da rendere possibile un raffronto fra le intenzioni e le speranze sul futuro espresse durante la prima intervista e la condizione effettiva della rilevazione più recente.
GIOVANI SVOGLIATI? - Il primo tema che l’ISTAT mette in evidenza è la permanenza dei giovani nelle famiglie d’origine: fra il 2003 e il 2007, nella fascia d’età fra i 18 e i 39 anni, solo il 20% degli intervistati ha lasciato effettivamente la famiglia d’origine, a fronte di una dichiarata intenzione di lasciare l’innominabile condizione di “bamboccione”. Non si può proprio definire una “forzata permanenza”, infatti se il 47% degli intervistati ritiene che i problemi economici siano l’ostacolo più grande alla ricerca di una indipendenza abitativa, ben il 44% sostiene invece di rimanere nella casa dei genitori perché “sta bene così e mantiene comunque la sua libertà”. Anche i meno giovani sembrano amare la casa dei genitori, infatti fra gli intervistati ultra trentaquattrenni si riscontra l’intenzione più bassa ad abbandonare l’attuale condizione abitativa: questo fa ritenere ai ricercatori che se la decisione di rendersi indipendenti non matura entro una certa età subentra la rinuncia, con il conseguente risultato di individui quarantenni che vivono ancora con papà e mamma.
MAMME POCO ATTIVE? - Anche la condizione delle giovani mamme non è delle migliori, a giudicare dal rapporto dell’istituto di statistica. Le donne italiane sembrano non riuscire a conciliare bene il lavoro con la nascita di un figlio: fra le donne occupate nel 2003 che hanno avuto un figlio nei tre anni successivi, ben il 20% ha infatti perso il posto di lavoro diventando casalinga a tempo pieno. Ma la causa della perdita del posto non è da ricercarsi nella scarsa forza di volontà delle giovani mamme: la difficoltà a mantenersi attive pare invece da ricondursi all’elevata mobilità del mercato del lavoro e alla scarsa attenzione dei nostri governi per le politiche sociali. Fra il 2003 e il 2007 infatti ben il 48% delle neo-mamme dichiara di non aver ricevuto per il nuovo nato un aiuto da parte delle istituzioni, né di averlo richiesto a delle strutture private.
IL MONITO - Il rapporto dell’ISTAT pare quasi un monito a chi ci governa: che il partito dell’amore e quello dell’odio collaborino per rendere meno ardua la strada che conduce i giovani italiani a diventare adulti, attivando in tempi brevi delle politiche sociali che rendano un po’ più roseo il loro sguardo verso il futuro.
http://www.giornalettismo.com/archives/45560/bamboccioni-neo-mamme-chiedono/
NON E’ TUTTO ORO QUEL CHE LUCCICA
FINANZA/ La nuova crisi europea del 2010
mercoledì 30 dicembre 2009
La guerra, ora, è quella contro il debito. E se da un lato il 2010 sarà l'annus horribilis del corporate debt, ovvero aziende che subiranno ristrutturazioni feroci tali da cambiare la loro fisionomia e che già nella City vengono appellate come “zombie firms”, saranno gli Stati a mettere in campo le mosse principali da qui al prossimo mese di aprile, quando in molti temono che i ricaschi sociali della crisi economica toccheranno un po' dappertutto il punto più critico.
Nel silenzio generale, dovuto anche alla nuova emergenza terrorismo negli Usa che ha silenziato ogni altra decisione, il Senato statunitense ha rialzato di altri 290 miliardi di dollari il tetto di indebitamento del governo, portandolo a 12.394 miliardi di dollari: hanno votato a favore di tale mossa 60 senatori e contro in 39.
Cosa significhi questo è presto detto: l'iniziativa consentirà infatti al governo di emettere altre obbligazioni sul debito e avere due ulteriori mesi di operatività. Siamo, cioè, all'emergenza bella e buona. Segnale che negli Usa, a differenza che in Europa, la politica sta guardando in faccia la realtà e non sta nascondendosi dietro il dito del “ormai si vede la luce in fondo al tunnel”: ricordatevi, infatti, che con ogni probabilità quelle luci sono di un treno in arrivo.
Di più. Sempre nel silenzio la Federal Reserve ha messo in campo una mossa strategica nella lotta a quello che sarà il potenziale nemico del domani, ovvero l'inflazione, creando il “term deposit facility”, un meccanismo con il quale si è in grado di prelevare denaro dal sistema bancario in caso la politica decida per una rafforzamento della politica monetaria.
Attraverso questo, le banche potranno guadagnare interessi sui prestiti basati su maturities lunghe e si vedranno accordato un interesse anche sulle riserve overnight. Insomma, le riserve bancarie, la liquidità degli istituti diviene un nuovo strumento per la Fed al fine di supportare un'implementazione effettiva della politica monetaria. Ovviamente, le somme prestate alla Banca Centrale non possono essere ritirate dagli istituti se non sui tempi voluti dallo schema.
Insomma, se Francoforte dorme il sonno degli incoscienti, Washington lavora e si prepara alla ripresa evitando che l'ormai prossimo rialzo dei tassi d'interesse si trasformi in una trappola iper-inflattiva ingestibile in una tale situazione di debolezza e instabilità dell'economia. Questo, inoltre, pone rimedio al problema delle riserve in eccesso, una sorta di bolla creata negli anni che ha portato a un esubero di credito verso il sistema bancario di 2,2 trilioni di dollari: come trasformare un problema, in una soluzione.
E l'Italia, costretta a muoversi tra le tenaglie dell'Ue e la cronica mancanza di fondi per intervenire, si lancia ancora sul mercato. È infatti italiana l'ultima emissione di titoli pubblici del 2009 nella zona euro. L'asta di oggi dei titoli a medio lungo termine della Repubblica - il maggior emittente di Eurolandia - cade in un momento di nervosismo del mercato internazionale per la grave situazione finanziaria di un Paese ad alto debito come la Grecia, non certamente nostro gemello ma non molto dissimile se prendiamo il puro dato del rapporto di indebitamento, almeno quello percepito.
Peccato che la percezione, così come i giudizi delle agenzie di rating, spesso siano fallaci. Il nervosismo imperante nell'eurozona - come sottolineava l'altro giorno il Wall Street Journal - non si infatti è riversato sull'Italia anche perché quest'anno il deficit pubblico del Paese è stimato a circa il 5% del Pil contro l'oltre 12% previsto per la Grecia. L'asta italiana riguarderà i Btp e i Cct con gli ammontari indicativi e le caratteristiche dei titoli che saranno pubblicati nell'ultimo giorno lavorativo pieno dell'anno. Ma l'asta non sarà - segnalava il quotidiano statunitense - pienamente indicativa di come i mercati accolgano il debito pubblico italiano a causa del probabile basso volume in emissione. Per i titoli pubblici ma anche per le obbligazioni societarie, intanto, gennaio si preannuncia come un mese di fuoco. L'attenzione del mercato si concentra sulla Germania visto che il governo di Berlino ha programmato quattro aste per un totale di 22 miliardi di euro, oltre un decimo dell'ammontare in emissione per l'intero 2010 escludendo i titoli indicizzati all'inflazione. E la Germania si candida a essere uno dei protagonisti del mercato, considerando che l'ammontare nominale complessivo delle emissioni programmate per il prossimo anno sarà superiore del 35% rispetto all'anno in corso a causa dell'esigenza di copertura del maxi-piano di spesa pubblica a sostegno dell'economia, prima che venga iniziata l'opera di rientro del deficit. Insomma, Berlino tenta la carta della maxi-emissione perché sa che - come diciamo da mesi su ilsussidiario.net - o si dà vita entro marzo alla bad bank o il sistema bancario - con a cascata quello assicurativo - salterà come un tappo di spumante a Capodanno. Meno chiaro è se la Grecia tenterà di testare i mercati con nuove imminenti emissioni in asta. Le previsioni infatti indicano il ricorso a consorzi di collocamento bancari senza, dunque, calendari prefissati: negli ultimi giorni i titoli della Repubblica ellenica sono stati sommersi dalle vendite dopo il doppio declassamento subito da Fitch lo scorso 8 dicembre a BBB-plus e successivamente da Standard & Poors. Mosse che, però, hanno fatto festeggiare la Borsa di Atene con un rialzo di quasi il 5%: miracoli del mercato e degli avvoltoi che già si aggirano sopra i cieli del Pireo. In generale, per quest'anno le emissioni complessive di titoli pubblici di Eurolandia dovrebbero toccare il record di 920 miliardi di euro, 50 miliardi in più dell'anno scorso secondo le stime della banca tedesca WestLb. Stime che prevedono comunque una buona accoglienza da parte del mercato anche grazie all'opera della Banca Centrale Europea che sta assicurando una sufficiente liquidità al mercato: speriamo, poiché WestLB è tecnicamente fallita e potrà salvarsi solo se parzialmente nazionalizzata - quindi i suoi giudizi potrebbero essere, diciamo così, un po' orientate ed eterodiretti da uno Stato che, come già detto, si prepara ad emissioni record per il 2010 - e la politica monetaria della Bce non appare sufficientemente strutturata per garantire un flusso sia costante che pienamente votato a una politica che cerchi di salvare tutti o quantomeno evitare sacrifici statali per salvare i figli e non i figliastri. La lezione di interventismo della politica Usa e della Fed dovrebbe insegnarci qualcosa. Purtroppo, non lo farà.
HOME SWEET HOME!
Come ho sottolineato più volte, questo viaggio non sarebbe mai stato possibile senza l'aiuto di fonti di primissima importanza, di esperti e autentici fuoriclasse dell'analisi non solo finanziaria ma soprattutto economica.
Certo di esperti ed "illuminati" ve ne sono per sempre nei mercati finanziari, nell'immobiliare, in ogni singola attività economica, ma la differenza sta alle volte nell'andare a cercare di comprendere sino in fondo il loro ragionamento, le loro visioni, la natura stessa delle loro sensazioni, delle loro analisi, delle loro motivazioni.
Inutile ricordare a tutti come questo mondo, sia intriso in ogni ambiente, da un latente e talvolta evidente, conflitto di interesse, che indirizza spesso in via esclusiva verso quelle assimmetrie informative che sostengono in maniera evidente un sistema che oltre che essere autoreferenziale si è dimostrato in grado di sequestrare la vita economica e sociale, di distruggere il vero capitalismo e mettere a repentaglio la democrazia.
L' asimmetria informativa è una condizione in cui un'informazione non è condivisa integralmente fra gli individui facenti parte del processo economico, dunque una parte degli agenti interessati ha maggiori informazioni rispetto al resto dei partecipanti e può trarre un vantaggio da questa configurazione. ( Wikipedia)
Come ho già scritto .... Suppongo che per i " capitalisti flessibili ", sia affascinante continuare ad assaporare il gusto del successo senza dovere sopportare il dolore del fallimento, utilizzando il contribuente ... come metadone.
Ma torniamo al nostro argomento!
"Non siamo mai sicuri, in una certa misura siamo sempre ignari!
"La nostra conoscenza del modo in cui funzionano le cose, nella società o nella natura, è avvolta nella nebbia della vaghezza. Grandi mali sono derivati dalla fede nella certezza." (...) Le nostre vite abbondano di numeri, ma a volte ci dimentichiamo che i numeri sono soltanto strumenti. Pur non avendo un'anima, possono diventare dei feticci. Molte decisioni cruciali sono prese dai computer, strani congegni che divorano numeri, come mostri voraci, e che chiedono di essere nutriti con quantità sempre maggiori di cifre da masticare, digerire e risputare." Kenneth Arrows nobel all'Economia.
Uno dei punti di forza di questo viaggio è stato quello di conoscere queste fonti e condividerle con i lettori, lasciando loro il compito di comprendere se queste fonti fossero degne di essere studiate e comprese, fonte di ulteriore consapevolezza. Ovviamente il tutto è stato accompagnato da una serie di analisi decisamente soggettive, che dal punto di vista macroeconomico si sono rivelate assolutamente adeguate e continuano ad esserlo tuttora.
Certo chi vive di breve termine, e in questo sistema, praticamente tutti, non ama attendere, vuole risultati a breve termine a tutti i costi.
Inutile ricordare a tutti, che la favola del breve termine è una delle maggiori responsabili della " Madre di tutte le crisi" il cui racconto ha prodotto una spasmodica fantasia e creatività finanziaria che ha, nella sostanza, distrutto le dinamiche dell'economia reale.
Oggi, nonostante tutto, si vive ancora di breve termine, anche perchè come diceva il grande J.K.Galbraith, nella sua proverbiale ironia... La salvezza a lunga scadenza non è mai stata apprezzata dagli uomini d'affari se essa comporta adesso una perturbazione nel normale andamento della vita e nel proprio utile. Cosi si auspicherà l'inazione al presente anche se essa significa gravi guai nel futuro.
Una di queste fonti è sempre stata quella del professor Robert J. Shiller sin dai tempi del suo libro " Euforia Irrazionale " un autentico professionista in grado di osservare le dinamiche dei mercati, sopratutto dal punto di vista emozionale, comportamentale oltre che ovviamente tecnico ed analitico-
L'economia comportamentale dovrà assolutamente essere uno dei punti fondamentali per la ricostruzione del tessuto universitario, insieme ad altre materie di derivazione umanistica, senza assolutamente dimenticare la STORIA!
Ebbene nel 2003, Robert, scrisse su Project-syndicate.org... Is There a Bubble in Home Prices? In tutto il mondo, il giornali urlano la notizia che una bolla "edilizia" è sul punto di scoppiare; sono tali timori giustificati, comefacciamo a sapere se il mercato è in una bolla...scriveva Shiller. La cattiva notizia è che tutto ciò significa che molte famiglie saranno lasciate con un passivo superiore al valore stesso delle loro abitazioni, con un conseguente aumento dei fallimenti.
Decisamente profetico, non c'è che dire. Più volte negli ultimi anni mi sono trovato a dover difendere la mia visione negativa di un mercato immobiliare che stava continuando a salire ben oltre i fondamentali, sia con amici che con clienti, ma in fondo non si trattava altro che delle solite leggende metropolitane.
I prezzi delle case non possono che salire, non esiste nulla di più sicuro e redditizio del mattone, questa volta è diverso, da noi è diverso, da noi non capiterà mai!
Inutile ricordare quanto è accaduto ed inutile è ricordare come nella sostanza in Italia le dinamiche siano state completamente diverse, sostenute da un sistema meno innovativo e per fortuna più tradizionale e dal risparmio privato, vero e proprio fiore all'occhiello della nostra cara Italia.
Ma tutto ciò non vuole dire nulla! La complessità delle dinamiche immobiliari, dipende da moltissimi fattori, come abbiamo visto più volte, come abbiamo visto in altre analisi e oggi uno dei fattori determinanti sono le condizioni economiche e il rapporto tra redditi e prezzo delle abitazioni, la fiducia, oltre che naturalmente alle singole aspettative.
Altrettanto interessante è questa analisi apparsa sul SOLE24ORE sempre di Robert Shiller che spiega nella sostanza come in fondo un immobile, il suo valore non è altro che la percezione del momento che spesso non ha nulla a che vedere con il suo effettivo valore, di cui vi propongo alcuni pezzi:
(...)I prezzi delle case salgono e scendono di continuo; dare un senso compiuto ai loro spostamenti forse è un'impresa impossibile e ci dovremo accontentare di comprendere questa loro volatilità. In un mercato speculativo volatile, dove la gente compra e vende in previsione di ulteriori movimenti dei prezzi, la storia conferma che è difficile spiegare tali movimenti, anche a posteriori: questo perché i saliscendi dei prezzi riflettono i mutamenti della psicologia dell'investitore, un fattore difficile da individuare, e le nuove informazioni, che possono essere indistinte e ambigue. Questa impennata della volatilità sembra riflettere un atteggiamento nuovo e differente verso le case intese come patrimonio, un atteggiamento che si è diffuso in gran parte del mondo. Prima pensavamo che le case appartenessero alla stessa categoria delle automobili, cioè beni che si deprezzano e diventano obsoleti col tempo, sono costosi da mantenere e passano di moda, fino a quando non vengono rottamate e sostituite. Ora le concepiamo come la proprietà di una risorsa sempre più scarsa in un mondo in rapida crescita, con i prezzi che ogni giorno potenzialmente si impennano.
(...) Ma probabilmente è più esatto interpretare i saliscendi dei mercati immobiliari di tutto il mondo come un riflesso del nostro nuovo approccio alla casa come investimento. Se è così, significa che la volatilità dei prezzi delle case dal 2000 in poi è stata il risultato di concezioni errate, non degli effetti della crescita economica globale, che prosegue da decenni a ritmi relativamente omogenei. Queste concezioni errate, a loro volta, hanno incoraggiato gli erogatori di mutui ad adottare pratiche approssimative e hanno spinto le Banche centrali a non prendere nessuna misura contro le bolle immobiliari che si stavano sviluppando.
Nel 2009, i governi di molti paesi hanno reagito allo scoppio delle bolle immobiliari istituendo politiche mirate a sostenere questi mercati speculativi. Il risultato, però, è stato quello di spingere la gente ad aggiungere un'altra componente, politica questa volta, alla valutazione dei prezzi delle case, svincolandoli ancora di più dai fondamentali dell'economia. C'è un dato di fondo di cui spesso ci si dimentica. La moderna industria delle costruzioni è in grado di realizzare enormi quantità di case moderne di qualità, tra cui appartamenti in grandi condomini, a costi di gran lunga inferiori ai prezzi che hanno raggiunto oggi le case in molte aree urbane. Questo dovrebbe mettere fine alla lunga escalation dei prezzi degli immobili. Gli speculatori immobiliari spesso sembrano scommettere sull'equilibrio politico che limita l'offerta di case e sul prolungamento a tempo indefinito dei puntelli artificiali introdotti in occasione di questa crisi finanziaria. (...)
Conclude il suo intervento Shiller sottolinenando come...
(...)Ecco perché sembra più verosimile, per il 2010, attendersi un'elevata volatilità dei prezzi delle case piuttosto che un incremento.
Nessuno sa cosa ci attende nel 2010, ma una cosa è certa; senza sostegni governativi in America i prezzi torneranno a scendere, badate bene a scendere e non crollare, anche perchè nella sostanza questa depressione immobiliare sembra poter raggiungere alla fine del 2010, massimo nel 2011 un punto di equilibrio.
L'indice S&P Case Shiller ha testimoniato ieri un punto di massimo raggiunto grazie agli incentivi governativi, da ora in poi i prezzi torneranno a fluttuare liberamente, senza dimenticare che come abbiamo visto in un paio di analisi dedicate, il fattore locazioni, il prezzo delle locazioni in sensibile calo, non mancherà di continuare ad esercitare un decisa pressione al ribasso sul valore delle stesse abitazioni oltre che sulla dinamica dell'inflazione nel prossimo anno.
Colgo l'occasione per augurare a Voi Tutti, un Anno pieno di Serenità, nelle cose che nella vita contano, spesso invisibili agli occhi!!
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Icebergfinanza come un cantastorie che si esibisce nelle strade e nelle piazze delle città!
La "filosofia" di Icebergfinanza resta e resterà sempre gratuitamente a disposizione di tutti nella sua "forma artigianale", un momento di condivisione nella tempesta di questi tempi, lascio alla Vostra libertà, il compito di valutare se Icebergfinanza va sostenuto nella sua navigazione attraverso le onde di questo cambiamento epocale!
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Postato da: icebergfinanza a dicembre 30, 2009 06:24 | link | commenti (9)
mercato immobiliare, mercato immobiliare italiano, assimetrie informative
http://icebergfinanza.splinder.com/post/21962039/HOME+SWEET+HOME%21
Per continuare a crescere, la Cina non rivaluterà lo yuan
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – La Cina dice che nel 2010 intende contenere l’inflazione a livelli “ragionevoli”, anche frenando i prezzi immobiliari in rapido aumento e “resistendo” alle pressioni per rivalutare lo yuan. Così ha spiegato il premier Wen Jiabao in un’intervista online con l’agenzia ufficiale statale Xinhua il 27 dicembre. Intanto Zhong Shan, viceministro al commercio, stima “probabile” che nel 2009 la Cina sia stato il maggior esportatore mondiale superando la Germania.
Wen ha manifestato preoccupazione soprattutto per i rapidi aumenti degli immobili “in alcune zone” e ha annunciato l’intento di “stabilizzarli” soprattutto con interventi “sulle imposte e sugli interessi per i finanziamenti”, ma anche con la costruzione di alloggi popolari a basso prezzo, al fine di contrastare manovre speculative rendendo meno vantaggiosi gli investimenti.
A novembre i prezzi immobiliari nelle 70 maggiori città sono cresciuti del 5,7% rispetto al novembre 2008, aumento record dal luglio 2008. Gli esperti ritengono esserci una vera bolla speculativa.
Il Paese teme il ritorno di una forte inflazione, annunciata dagli aumenti dei prezzi delle materie prime, e a novembre i prezzi al consumo sono aumentati dello 0,6%, dopo 9 mesi di deflazione. Anche per questo Wen ha detto che “mancano ancora del tutto” le condizioni per rivalutare lo yuan. Stati Uniti e Unione Europea accusano Pechino di tenere la valuta bassa in modo artificioso, per favorire la vendita delle sue merci a danno di quelle degli altri Paesi. Ma Wen ha insistito che “uno yuan stabile ha dato un importante contributo” alla stabilità dell’economia mondiale. Da sempre la Cina insiste che i bassi prezzi dei suoi prodotti sono un grande aiuto per le economie delle famiglie degli altri Paesi.
Il premier ha aggiunto che sarebbe “un errore” togliere con troppa rapidità i robusti finanziamenti statali erogati alle imprese. Nei primi 11 mesi del 2009 Pechino ha erogato finanziamenti per 9.200 miliardi di yuan (oltre 920 miliardi di euro) per sostenere le imprese in crisi, anche a seguito del crollo delle esportazioni. Zhong ha indicato come “probabile” che “la Cina abbia superato la Germania come maggior Paese esportatore”, seppure le sue vendite all’estero sono diminuite del 18,8% secondo dati ufficiali, massimo declino da almeno 30 anni. L’Ufficio nazionale di statistica dice che i profitti per le imprese industriali sono comunque saliti del 7,8% nel novembre 2009 rispetto a un anno prima. Anche se questi dati suscitano perplessità tra gli esperti, considerato che da gennaio ad agosto l’Uns aveva indicato una perdita del 10,6%.
Altri esperti osservano che questi dati statistici non sono verificabili e che la Cina, per combattere la crisi globale, dovrebbe affrontare importanti cambiamenti nel proprio sistema interno, con un minor spazio per le imprese statali e maggior trasparenza amministrativa. Ieri l’Ufficio centrale investigativo ha detto che nel 2009 i pubblici funzionari hanno sottratto o utilizzato in modo improprio 234,7 miliardi di yuan (circa 23,5 miliardi di euro). Ogni anno l’Ufficio ispettivo annuncia di avere individuato decine di funzionari disonesti e il governo proclama tolleranza zero contro la corruzione. Ma la situazione non appare migliorare e l’ispettore capo Liu Jiayi ha detto ieri, in una conferenza, che “nonostante alcuni miglioramenti, negli uffici centrali ancora esistono sottrazione di fondi, sprechi e falsificazioni di dati fiscali”.
Peraltro l’Ufficio ispettivo non ha indicato i nomi dei responsabili, che spesso Pechino preferisce processare in segreto e senza dare notizie all’opinione pubblica.
Allarme rosso: é in arrivo la seconda ondata dello tsunami finanziari
L’onda sta acquistando forza e potrebbe abbattersi tra il primo e il secondo quarto del 2010
A partire dall’ultimo quadrimestre del 2008, si è scatenata una guerra monetaria senza quartiere, tra le economie chiave a livello globale, e durante questo scontro, anche quelle che prima non lo erano, si sono trasformate in forze antagoniste, perché le differenze tra loro risultano inconciliabili. Le sue conseguenze sull’economia mondiale saranno devastanti e per le persone comuni, una disoccupazione di massa e una forte insicurezza sociale saranno inevitabili. I politici di questi paesi, che si trovano di fronte al collasso totale dell’architettura finanziaria internazionale, hanno concluso che l’unica soluzione possibile sia una massiccia “iniezione di denaro” per salvare le banche “troppo grandi per fallire” e dare una boccata d’ossigeno alle loro economie in depressione. Questo atteggiamento si riflette perfettamente nell’affermazione di Bernanke, secondo la quale «il governo degli Stati Uniti possiede la tecnologia, chiamata “capacità di emissione” (oppure oggi, la sua equivalente elettronica), che ci permette di mettere in circolazione la quantità di dollari che desideriamo, praticamente a costo zero”.
Questo è il cuore del problema!
Le differenze inconciliabili
Circa due decenni fa, venne deciso, dalle elite finanziarie globali, che le caratteristiche del sistema economico globale, fossero le seguenti:
1) Un sistema finanziario basato sugli strumenti derivati, controllato dalla Federal Reserve, e dalle sue banche associate, situate nei paesi sviluppati; 2) La rilocalizzazione in Oriente, a discapito dell’Occidente, della produzione di beni, in particolar modo in Cina e in India, per “alimentare” le economie di quei paesi.
Venne basato l’intero sistema su un’unica base; cioè, sulla riserva di moneta gestita dalla FED, la quale avrebbe guidato la crescita dell’economia globale. Di fatto, questa è l’idea base dell’imperialismo economico. Una volta appurata questa semplice verità, l’affermazione di Bernanke, «gli Stati Uniti possono mettere in circolazione tutti i dollari che vogliono, praticamente a costo zero», assume un altro aspetto. Ho parlato con moltissimi economisti e quando ho chiesto loro quale fosse il cuore dell’attuale crisi finanziaria, tutti mi hanno risposto all’unisono che «si tratta dello squilibrio globale…l’Occidente consuma troppo; mentre, l’Oriente risparmia troppo, senza consumare a sufficienza». Questo concetto appare chiaro se si guarda all’enorme deficit nella bilancia commerciale degli Stati Uniti, da una parte, e al gigantesco surplus della Cina, dall’altro. Tutti citano questa massima, ripetendola all’infinito, come un mantra. Le conclusioni del recente vertice APEC non sono state molto differenti. Insieme a questo, un altro mantra viene recitato all’infinito: maggiore liberalizzazione degli scambi commerciali tra le varie nazioni. Si tratta di un’enorme bufala. Tutti i leaders dei principali paesi del mondo sono corrotti fino al midollo, e per questo non hanno alcuna intenzione di chiamare le cose col loro nome, e di smascherare le contraddizioni insite nell’attuale sistema finanziario globale. I tentativi di creare un sistema geopolitico multipolare sono inutili, se l’intero sistema finanziario globale rimane basato sulla riserva monetaria unipolare di dollari statunitensi. Questa è la vera contraddizione interna all’attuale sistema, e i problemi che ne derivano non possono essere risolti con i Diritti Speciali di Prelievo del Fondo Monetario Internazionale, come auspicato da diversi Paesi. Tale progetto è nato morto. I leaders della Cina, del Giappone, e dei Paesi produttori di petrolio del Medio Oriente maledicono continuamente l’attuale situazione; ma, non hanno il coraggio di spiegare ai propri cittadini che sono stati truffati dagli stregoni finanziari della FED, i quali agiscono secondo le direttive della Goldman Sachs. Ditemi quale leader politico ammetterebbe mai di aver svenduto la ricchezza della propria nazione, in cambio di carta igienica? Così, la pantomima della carta igienica spacciata per denaro continua… Attualmente, ci troviamo in una situazione di tregua, nella guerra monetaria globale, non molto diversa da quella in cui eravamo durante la Guerra Fredda, tra i paesi della NATO e quelli del Patto di Varsavia. Entrambe le parti in causa erano terrorizzate dalla MAD (Paura della Distruzione Reciproca), figlia della minaccia di una guerra nucleare. I costi per entrambi erano enormi e fu solo dopo che l’Unione Sovietica non fu più in grado di sostenere i costi necessari a rappresentare un deterrente nucleare, e finì in bancarotta, che l’equilibrio si spezzò a favore dei paesi della NATO. In realtà, si trattò di una vittoria di Pirro, per gli Stati Uniti e i loro alleati. Quello che ha consentito loro di mantenere il predominio militare ed economico sull’Unione Sovietica, è stato il diritto di stampare “moneta- carta igienica”, e l’accettazione da parte degli alleati di Washington del dollaro come valuta di riserva globale. Ma la domanda è: perché questi paesi hanno accettato lo status quo, durante la Guerra Fredda? La risposta è semplice! Sono tutti stati ingannati dalla propaganda che diceva loro che senza la protezione del Grande Fratello, e della sua potenza militare, sarebbero stati distrutti dalla minaccia comunista; così, sono stati ammaliati dalla melodia suonata da Washington. La grande domanda successiva è: come mai i cosiddetti paesi “liberati” dall’ex alleato sovietico, sono saliti sul carro del vincitore? La risposta è altrettanto semplice! Hanno tutti creduto all’illusione, creata dalle grandi banche internazionali, con la Goldman Sachs in prima linea, secondo la quale, scambiando le proprie merci e i propri servizi, in cambio della “valuta di riserva-carta igienica” statunitense, si sarebbero assicurati una ricchezza e una prosperità senza precedenti. La mossa strategica più importante si è, però, svolta in Asia. Il Giappone, dopo un decennio di recessione, a seguito dell’esplosione della bolla immobiliare, non era in grado di competere al nuovo gioco, come era stato previsto dagli strateghi finanziari della Goldman Sachs. La maggiore beneficiaria di tale situazione fu la Cina. Il gruppo dirigente della Goldman Sachs negoziò un accordo segreto con i leader cinesi, per il quale, in cambio della maggiore iniezione di dollari e una gigantesca rilocalizzazione di produzione di beni industriali, Pechino avrebbe investito il suo consistente surplus finanziario in “valuta-carta igienica” statunitense, in forma di fondi pensionistici e di altri strumenti del debito americani. Questa è stata la necessaria condizione per la creazione del casinò finanziario globale, che ha portato il gioco a un livello superiore. Perché?
Il Nuovo Gioco
Gli strateghi finanziari della Goldman Sachs avevano un progetto ambizioso – assumere il controllo del sistema finanziario mondiale. Lo strumento utilizzato per ottenere questo enorme potere finanziario è stato il “Sistema Bancario Ombra”, che ha dato vita al mercato degli strumenti finanziari derivati e la cartolarizzazione degli assetes, reali o virtuali. I guadagni ottenuti in questa maniera furono enormi, stimabili in centinaia di trilioni di dollari, e il modo in cui i mercati vennero trasformati fu possibile solamente alzando il livello del gioco, in tutti i settori finanziari. Il fatto è che esiste un fattore di debolezza insito in questo progetto - la minaccia di inflazione, più precisamente dell’iperinflazione. Questa enorme quantità di liquidità nel sistema, causa inevitabilmente la svalutazione della riserva monetaria, e di conseguenza, fa crollare la fiducia nell’intero sistema. Di qui, la necessità di ideare un metodo per tenere sotto controllo l’inflazione dei prezzi e creare l’illusione che sia possibile continuare a mantenere saldo il potere d’acquisto della “valuta- carta igienica” di riserva. E’ qui che entra in gioco Cina; una volta che essa è diventata la “fabbrica del mondo”, il problema è risolto. Quando per produrre una giacca prima era necessario spendere 600 dollari, ora bastano meno di 100 dollari, e un paio di scarpe meno di 5 dollari, i registi occulti conclusero che non vi erano più ostacoli alla più grossa speculazione finanziaria della storia. La Cina acconsentì allo scambio, avendo miliardi di bocche da sfamare e centinaia di milioni di posti di lavoro da trovare, per far sì che il sistema potesse reggere. La differenza è che Pechino è stata abbastanza pragmatica da creare due “sistemi economici” – uno interno basato sullo yuan e uno per le esportazioni basato sul dollaro – con la speranza che i profitti e i benefici ottenuti dall’economia per l’esportazione avrebbe permesso di trasformare il mercato interno, rendendo stabile, in modo che, nel tempo, possa sostituire un’economia ormai totalmente dipendente dalle esportazioni. Si trattò di un patto col diavolo; ma, in quel momento storico non vi erano alternative concrete; soprattutto, dopo il collasso dell’Unione Sovietica.
Il successivo livello del gioco
Il livello successivo del gioco coincise con la trasformazione della “riserva monetaria- carta igienica” in realtà letteralmente virtuale – attraverso un semplice click di un mouse dei computer delle banche internazionali. I grandi capi della Goldman Sachs, e delle altre grandi banche, erano ben contenti di lasciare il sistema precedente, degno di Las Vegas, per sposarne uno degno della mafia, e trasformare i loro miliardi in utili. Si trattò di una manovra finanziaria che andò ogni oltre ogni loro più audace desiderio. Tra di loro si autodefiniscono anche i “Signori dell’Universo”. Creare un’ enorme massa di debito fu il nuovo gioco, che permise a questi signori di aumentare i loro guadagni di oltre 40 volte. Gli assets vennero foraggiati da enormi quantità di liquidità. Il problema è che gli stregoni finanziari hanno fallito nel calcolare, o forse hanno sottostimato, i capitali necessari per partecipare a questo gioco. Hanno resuscitato l’ingegneria finanziaria – la cartolarizzazione dei capitali. E quando i capitali reali erano insufficienti, ne crearono dei virtuali. Molto presto, titoli tossici vennero considerati come strumenti legittimi per partecipare al gioco, tanto che diventò presto possibile utilizzarli, senza riuscire a risalire ai loro originali creatori. Per un certo periodo sembrò che gli stregoni finanziari avessero trovato il modo di finanziare adeguatamente il casinò finanziario globale. Purtroppo, la giostra si è fermata e la bolla è esplosa! E come si suol dire il resto è storia.
Il rimedio della Goldman Sachs
Quando le perdite sono calcolabili in trilioni di dollari, e quando i capitali rimasti ammontano invece a milioni di dollari, si ha un enorme problema – un buco nero finanziario. Il rimedio preferito dai padroni della Goldman Sachs fu quello di creare un’altra illusione – se le banche internazionali crollassero, causando il collasso dell’attuale sistema finanziario, ci sarà una vera e propria Apocalisse. Queste banche “troppo grandi per poter fallire” hanno avuto bisogno di ingenti iniezioni di denaro virtuale per ricapitolarizzarsi e per far scomparire i titoli tossici dai loro bilanci. Tutte le banche centrali dei principali paesi sviluppati si sono accodati al coro della Goldman Sachs, sostenendo qualunque teoria, pur di legittimare questo piano di salvataggio. In sostanza, quello che è accaduto è un semplice trasferimento di denaro dalla tasca sinistra a quella destra, con un’evidente torsione della realtà, cioè sostenendo che erano le banche in realtà a salvare i governi dalla crisi. La FED e le altre più importanti banche centrali, decisero di prestare “denaro virtuale” a queste banche “troppo grandi per fallire”, a tasso zero, o quasi zero, ottenendo in cambio che questi istituti lo depositassero presso i loro forzieri, a tassi concordati. Queste transazioni avvengono, ovviamente, puramente sulla carta. Altri “prestiti” da parte della FED e delle maggiori banche centrali (nuovamente a tasso zero, o quasi zero) sono stati elargiti a fronte dei debiti pubblici dei vari stati, i quali li hanno utilizzati da stimolo per rilanciare l’economia reale e creare posti di lavoro, a fronte di una disoccupazione in continua crescita. In sostanza, queste banche hanno prestato denaro, a costo zero, ai governi, a fronte di tassi concordati in precedenza, senza alcun rischio. E’ un inganno! Non si tratta di denaro “reale”; bensì, di movimenti virtuali. Quindi, quando la FED inietta nel sistema bancario trilioni di dollari, in realtà, non fa altro che addebitare tale cifra sui conti che queste banche “troppo grandi per fallire” hanno presso di essa. Quando questo sistema viene applicato al commercio internazionale, lo stesso avviene per pagare le merci che vengono prodotte in Cina, in Giappone, ecc. Per il resto del mondo, quando si acquistano beni commerciati in dollari, quei paesi devono produrre beni e servizi, venderli in cambio di dollari, allo scopo di poter acquistare materie necessarie alle loro economie; quindi, devono produrre beni concreti, per ottenere ciò di cui necessitano. Di contro, tutto quello che gli Stati Uniti devono fare è creare denaro dal nulla e utilizzarlo per pagare le loro importazioni. Washington può utilizzare tale strategia perché ha una capacità militare tale da poter creare e rafforzare tale inganno. Come affermato in precedenza, tale status quo è stato accettato passivamente, specialmente durante la Guerra Fredda, e con qualche riluttanza dopo il crollo dell’Unione Sovietica; ma con la previsione che gli Stati Uniti sarebbero diventati i “consumatori finali del mondo”. Questa idea era di conforto a molti paesi produttori; infatti, coloro che avevano venduto le loro merci agli Stati Uniti, sarebbero stati in grado di utilizzare i dollari così guadagnati per comprare altri beni dagli altri paesi, soprattutto per il fatto che l’ 80% delle merci mondiali viene commerciato in dollari, compreso il petrolio greggio, la linfa vitale del sistema economico globale. Con gli Stati Uniti in bancarotta, e i loro cittadini (i maggiori consumatori al mondo) incapaci di reperire ulteriore denaro per acquistare beni di consumo dalla Cina, dal Giappone, e dal resto del pianeta, la domanda di dollari è evaporata. Lo status di dollaro come valuta di riserva mondiale, e, di conseguenza, la sua indispensabilità, è stato seriamente messo in discussione.
La mano finale
Gli effetti dell’attuale crisi possono semplicemente essere così riassunti: Un Paese in bancarotta (gli Stati Uniti) dovrebbe essere in grado di utilizzare denaro creato dal nulla per pagare beni prodotti con sudore e lacrime da parte dei cittadini dei paesi esportatori? Aggiungendo il danno alla beffa, gli stessi dollari sono ora richiesti molto meno di prima; quindi, qual è a questo punto il vantaggio di venire pagati con valuta che si svaluta continuamente e a grande velocità? D’altra parte, gli Stati Uniti stanno dicendo al mondo, specialmente ai cinesi, che se non piace lo status quo, niente impedisce loro di vendere agli altri paesi, accettando le loro valute; ma, se vogliono vendere i loro beni agli statunitensi, devono per forza accettare la loro “valuta-carta igienica”, e il loro diritto a creare denaro dal nulla! Si tratta della mano di poker definitiva, al termine della quale i perdenti subiranno gravi perde e terribili conseguenze finanziarie. Ma chi ha in mano le carte vincenti? Sicuramente non gli Stati Uniti; ma, nemmeno la Cina le ha. Questa situazione commerciale a livello internazionale non potrà durare ancora a lungo; di conseguenza, qualunque carta, Washington o Pechino, mettano sul tavolo, per godere di vantaggi strategici, qualunque risultato otterranno, produrrà benefici solo sul breve periodo e sarà vano, in quanto, sul lungo periodo non saranno in grado di risolvere positivamente le contraddizioni sistemiche di fondo. Quando la sopravvivenza dell’intero sistema dipende dalla disponibilità del credito (cioè, dalla possibilità di accumulare sempre maggiori debiti) è solo una questione di tempo, prima che sia i creditori che i debitori giungano alla conclusione inevitabile che quel debito non potrà mai essere pagato; di conseguenza, se il creditore vuole incassare comunque il suo avere, deve obbligatoriamente ricorrere a strumenti drastici. Sarebbe curioso ritenere che gli Stati Uniti accettino senza fare una piega di essere esclusi dalla partita. Quando arriveremo a quel punto, la guerra mondiale sarà inevitabile, e gli schieramenti saranno: USA- Gran Bretagna- Israele contro il resto del mondo.
Il preludio alla partita finale
L’economia statunitense entrerà in una spirale fuori controllo, nei prossimi mesi, raggiungerà il punto critico alla fine del primo quadrimestre del 2010, per implodere nel secondo quadrimestre. Le iniezioni da trilioni di dollari hanno mancato l’obiettivo di rilanciare l’economia reale. Pur tenendo il paziente in vita, ci sono diversi segnali che molti organi vitali stanno smettendo di funzionare. Ci sarà un’altra ondata di sfratti e requisizioni di appartamenti e di attività commerciali, tra dicembre di quest’anno e l’inizio del 2010; inoltre, le proprietà espropriate nel 2009 faranno crollare il valore degli immobili, una volta messe all’asta. I bilanci delle banche segneranno pesanti deficit, che i “guadagni record” degli ultimi due quadrimestri del 2009 non riusciranno a coprire. Data questa situazione, la FED sarà in grato di continuare ad acquistare titoli garantiti da mutui, allo scopo di sostenere i mercati? La FED ha già speso trilioni di dollari per acquisire i mutui di Fannie Mae e di Freddie Mac, senza acquirenti potenziali all’orizzonte. Al momento, il suo bilancio contiene titoli “tossici”, proprio come quelli delle banche “troppo grandi per fallire”, che ha salvato. In questa situazione, non ha alcun senso affermare che il peggio è passato, e che l’economia globale è sulla strada per uscire dal tunnel. Il chiaro segnale che non stia andando tutto per il meglio, è rappresentato dal recente discorso del presidente della Federal Reserve di New York, William Dudley, tenuto a Princeton, nel New Jersey, nel corso del quale ha affermato che la FED fronteggerà il rischio futuro di mancanzad i liquidità, fornendo una “moratoria” per quelle aziende insolventi, che siano in grado di esibire sufficienti garanzie. Questo avvertimento, che è al contempo una rassicurazione, merita qualche riflessione. Primo, è un’evidente contraddizione affermare che aziende insolventi, con sufficienti garanzie, possano imbattersi in una crisi di liquidità tale da aver bisogno del soccorso della FED; infatti, rappresenta un’ammissione del fatto che le banche non sono sufficientemente capitalizzate, e che quando la seconda ondata dello tsunami finanziario le colpirà nuovamente, saranno incapaci di reagire. Dudley ha anche affermato che «la banca centrale potrebbe trasformarsi nel prestatore finale…(cosa che ridurrebbe) il rischio di diffusione del panico, che colpisce gli istituti di credito, a causa dell’incertezza di ciò in cui credono gli altri creditori». Per tradurre “alla brutta” queste parole, sta dicendo che la FED si adopererà per evitare nuovi episodi come il crollo della Bear Sterns, della Lehman Bros. e della AIG; inoltre, significa che le altre grandi banche sopravvissute sono in grossa difficoltà. E’ altresì da rilevare che un’indagine di Bloomberg riportava, a inizio novembre, che la Citigroup Inc. e la JP Morgan Chase hanno attivi di cassa. La prima ha quasi raddoppiato la propria liquidità di cassa, fino a 244,20 miliardi di dollari; per la seconda, la cifra è di 453,60 miliardi. Tuttavia, nonostante questo aumento di liquidità, da parte delle principali banche, la Federal Reserve di New York ha dovuto rassicurare la comunità finanziaria, circa il fatto che sarà pronta a iniettare liquidità in modo massiccio, per sostenere il sistema. A questo punto, non dovrebbe sorprendere il fatto che il dollaro si stia rapidamente svalutando. Quando una moneta si svaluta, la volatilità dei mercati cresce; ma, i guadagni non valgono i rischi, e coloro che sono ancora sul mercato, verranno spazzati via durante il primo quadrimestre del 2010. Il tasso S&P è effettivamente salito di oltre il 25%; ma, tale incremento è quasi interamente dovuto alla salita del prezzo dell’oro. I guadagni sono rimasti al di sotto dell’aumento del tasso di inflazione negli Stati Uniti; cioè, un rendimento al netto dell’inflazione, al di sotto del 25%. Quando Meredith Whitney osserva che «non capisco cosa stia succedendo sui mercati; tutto ciò non ha senso, secondo me», questo significa che è il momento di uscire rapidamente dai mercati. In un rapporto, inviato ai propri clienti, la Societè Generale ha avvertito che il debito pubblico sarà enorme, nei prossimi due anni – il 105% in Gran Bretagna, il 125% negli USA e in Europa, e il 270% in Giappone. Il debito globale raggiungerà l’impressionante cifra di 45 trilioni di dollari. Ad un certo punto, questo debito dovrà essere ripagato. Come sarà possibile? Se la strategia di Bernanke proseguirà, la soluzione sarà quella di stampare ulteriore “valuta-carta igienica” per ripagarlo. Come risultato, la svalutazione della moneta continuerà ad aumentare, e questo non farà altro che alimentare ulteriormente le tensioni tra le economie antagoniste, e quando i creditori saranno stanchi di accettare questa “spazzatura”, aspettatevi reazioni estremamente violente!
Fonte: www.globalresearch.ca Traduzione: Manuel Zanarini
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Il futuro frugale che ci aspetta
I sistemi economici non muoiono per malattie economiche, le Borse non possono continuare a cadere per sempre: dopo un certo periodo, la caduta produttiva si arresta e qualche forma di crescita riprende a seguito della pressione delle esigenze vitali della popolazione. Dopo le guerre e le più dure crisi finanziarie, i peggiori crolli di produzione e Borse sono stati nell’ordine del 40-50 per cento. Nella crisi attuale le autorità monetarie e di governo hanno fatto tesoro delle esperienze degli Anni Trenta e sono riuscite, «pompando» immani risorse nel sistema finanziario, ad arrestare, nella maggior parte dei Paesi avanzati, la contrazione del prodotto interno al 5-6 per cento e quella della produzione industriale al 15-25 per cento. Gli indici di Borsa, precipitati per un brevissimo periodo circa un anno fa, sono oggi di circa il 20-25 per cento sotto i massimi storici e continuano timidamente a risalire. Tutto ciò può sembrare un discorso consolatorio di fine anno sulla bravura di chi governa le principali economie mondiali, e invece proprio non lo è. Non c'è, infatti, molta relazione tra la bravura necessaria per tenere in vita il malato e quella per farlo guarire. Un medico bravo nel primo caso non è necessariamente bravo nel secondo e qualche segno di scarsa abilità nel gestire un rilancio credibile a livello mondiale sta cominciando ad affiorare. I più importanti di questi segni sono la scarsa attenzione, anche politica, al peso che potrà avere la disoccupazione e, per contro, l’eccessiva attenzione statistica al momento in cui la ripresa comincia a manifestarsi e la trascuratezza per le garanzie effettive che uno-due trimestri di ripresa molto pallida possano consolidarsi. Si è largamente sperato che, come altre volte in passato, una volta ripartita, la produzione rimbalzasse rapidamente all'insù come un elastico, secondo l'immagine usata da Friedman. Queste speranze per ora sono andate deluse. Almeno tre alternative oggi trascurate (apparentemente pessimistiche ma purtroppo realistiche) per l’evoluzione del prossimo anno vanno esaminate con serietà: la prima è che l’economia globale possa continuare a vegetare invece di tornare a crescere, portandosi dietro un numero crescente di affamati, oggi già più di un miliardo; la seconda è che le sue prospettive di crescita possano risultare stabilmente modificate in peggio dopo un ingannevole guizzo di ripresa; la terza è che la massa di risorse finanziarie messe in circolazione possa trasformarsi in altrettanto «veleno» e stimolare una grave inflazione planetaria. E ce n’è abbastanza per essere molto cauti. Per questo, in un finale d’anno ancora segnato dall’incertezza nonostante i progressi compiuti, oltre alla cautela è necessario un allargamento della visuale rappresentata dagli indici di Borsa di breve periodo. L’economista oggi non può chiudersi nel suo ufficio a macinare su un computer numeri - spesso di dubbia validità - né tanto meno lo può fare l’analista finanziario. Occorre invece ampliare il campo di osservazione estendendolo ai segnali extra-economici che possono interferire con l’economia. Nel cercare di fare previsioni, non possiamo chiudere gli occhi di fronte allo spettacolo di un’amplissima area, che va dall’Afghanistan e dal Pakistan fino alla Somalia, dove la globalizzazione è sulla difensiva e non sta certo accumulando vittorie né economiche né militari; il che proietta un’ombra sulla stabilità dei vitali rifornimenti di petrolio provenienti da quell’area e sul prezzo delle altre materie prime. E nascondiamo la testa nella sabbia se dimentichiamo che, in questo inverno duro e anomalo, i prezzi di molte materie prime agricole hanno già ripreso a salire fortemente: tè, cacao e zucchero fanno registrare record storici e tale tendenza potrebbe diventare generale sotto la spinta della crescente domanda dei Paesi emergenti e delle difficoltà, legate anche all’instabilità climatica, di espandere in maniera sensibile l’offerta. Un altro potente segnale di instabilità deriva dall’attentato a un aereo americano nel giorno di Natale. Per quanto fisicamente fallito, ha raggiunto l’obiettivo di far dirottare immediatamente ulteriori risorse dalla produzione alla sicurezza. Rispetto a una settimana fa, oggi viaggiare in aereo costa di più in termini di tempo (in America per ottemperare alle nuove misure l’aspirante passeggero deve arrivare all’aeroporto quattro ore prima della partenza) e sicuramente tra poche settimane l’aumento nei costi di prevenzione degli attentati si ripercuoterà sul prezzo dei biglietti. Si noti bene che accettiamo non solo di pagare di più ma anche di essere meno liberi: chi vuol volare in America deve acconsentire a farsi fiutare dai cani, essere disposto a togliersi le scarpe e quant’altro e i cittadini americani hanno già accettato che la loro corrispondenza elettronica possa essere legalmente letta dai servizi di sicurezza. Tutto ciò deve indurre a un atteggiamento più sobrio e più responsabile al posto di una fiducia quasi caricaturale in una ripresa indolore e con pochi problemi che ci riporti al precedente Regno di Bengodi. E’ degno di nota che alcuni operatori finanziari hanno prefigurato un «futuro frugale» (Merrill Lynch) e una «nuova normalità» (la Pimco, società di gestione di fondi), ossia un assetto sociale che sostanzialmente non può più permettersi le sicurezze e le opulenze di qualche anno fa. The Economist e altri periodici di grande influenza discutono in termini non certo trionfalistici su ciò che può avvenire dopo la tempesta. Tutto ciò trova un contrappunto in numerose, autorevoli voci non economiche che parlano di «sobrietà» necessaria nei Paesi ricchi e non solo in campo economico; in questo contesto occorre segnalare, tra le altre, le parole del Presidente della Repubblica e quelle del Pontefice. Insomma, non se ne può proprio più dell’attenzione spasmodica a listini azionari che rappresentano sempre meno la realtà dell’economia e a dati statistici destinati a essere corretti, in genere in peggio, nel giro di poche settimane. Si può però ragionevolmente sperare che il Nuovo Anno porti a nuove cautele e più ampi orizzonti, a nuovi progetti di crescita mondiale da attuarsi in tempi medio-lunghi, meno squilibrati di quelli di un passato recente. |
IL CASO/ Chi vincerà la guerra tra Ryanair ed Enac?
martedì 29 dicembre 2009
Nuove turbolenze nel mercato aeronautico italiano: Ryanair, primo vettore per passeggeri trasportati sulle rotte internazionali da/per l’Italia e secondo, dopo la nuova Alitalia, sulle rotte domestiche, ha comunicato la sospensione dal prossimo 23 gennaio di tutti i voli sulle rotte interne italiane in reazione alla richiesta dell’Enac, l’ente di regolazione tecnica del trasporto aereo, che impone a Ryanair di accettare una molteplicità di documenti per l’identificazione dei passeggeri al momento dell’imbarco.
La questione, in sintesi, è la seguente: Ryanair, che effettua check in solo online, richiede per l’imbarco su voli nazionali la stessa tipologia di documenti prevista a livello comunitario per quelli internazionali, cioè carta d’identità o passaporto, mentre l’Enac, applicando una norma nazionale che fu approvata con ben altri intenti (quello di semplificare i rapporti tra cittadino e P.A.), richiede che tutti i vettori accettino anche altre tipologie, quali ad esempio le patenti di guida, le patenti nautiche e, sembrerebbe, persino le licenza di pesca.
Ryanair si rifiuta, sostenendo che tali tipologie abbasserebbero gli standard di sicurezza, e ha conseguentemente sospeso tutti i suoi voli nazionali dal prossimo 23 gennaio, interrompendo le prenotazioni e comunicando la decisione ai passeggeri già prenotati. Ryanair ritiene illegittima la posizione di Enac ed è pur vero che accanto alla motivazione ufficiale vi è probabilmente anche il fatto che non intende accollarsi i costi per adeguare le sue procedure, ma si tratta di una posizione ragionevole per un vettore che ha fatto dei voli a prezzi stracciati il suo cavallo di battaglia e ha reso il trasporto aereo alla portata di tutte le tasche. L’Enac d’altra parte si affida alle norme italiane per giustificare la propria posizione.
Chi ha ragione? Da un punto di vista strettamente normativo sicuramente l’Enac, dato che se c’è una legge in tal senso va rispettata. Tuttavia non ci si può sottrarre a un esercizio di valutazione della norma: la legalità è il rispetto delle leggi, ma le leggi che vogliono farsi rispettare dai cittadini debbono anche essere eque e razionali, come già Aristotele aveva ben chiaro nell’Etica Nicomachea: “È giusto sia ciò che è legale sia ciò che è imparziale, è ingiusto sia ciò che è illegale sia ciò che è iniquo”.
Rispettare la legge è giusto, ma anche la legge che rispettiamo deve essere equa e razionale. Ci si attende quindi che se una legge ha contenuti non più attuali, perché divenuti nel tempo controproducenti o assurdi, dovrebbe essere cambiata al più presto e che un ente di regolazione dovrebbe, sulla base della sua competenza tecnica, chiedere con urgenza tali modifiche al legislatore anziché correre il rischio che l’applicazione delle norme generi effetti non previsti e non desiderati dallo stesso legislatore che le aveva emanate.
Nel caso specifico è lecito dubitare che il legislatore, abilitando una pluralità di documenti all’identificazione delle persone, avesse in mente di favorire la sicurezza dei voli nazionali dopo i tragici eventi dell’11/09/2001. Che i documenti “alternativi” prima ricordati abbiano una minore affidabilità è indubbio e quindi se sulla forma ha ragione Enac, sulla sostanza ha sicuramente ragione Ryanair. La stessa patente di guida è un documento che non permette il riconoscimento certo delle persone, dato che viene rinnovata ogni decennio tramite l’applicazione di un bollino ma conserva la foto applicata al momento dell’emissione. È quindi usuale che un adulto e perfino un anziano abbiano sulla loro patente una foto risalente all’epoca della loro maturità. Ci si sarebbe aspettato in conseguenza che l’Enac, istituzionalmente tenuto a garantire la massima sicurezza dei voli, chiedesse al legislatore di rimuovere tali documenti da quelli utilizzabili per l’imbarco anziché ostinarsi a esigere che i vettori li accettino. Perché non lo ha fatto? I passeggeri delusi dalla sospensione dei voli Ryanair e dalle mail di annullamento ricevute, tra i quali anche molti studenti che grazie ai vettori low cost si possono permettere l’Erasmus e fanno parte della prima vera generazione di cittadini europei, sospettano che sia l’ennesimo aiutino in favore di una nota compagnia nazionale, già pubblica e di bandiera. Intanto si iscrivono in massa al gruppo Facebook di protesta “Non chiudete Ryanair - Mobilitazione on-line” che ha superato in pochissimi giorni i 30 mila iscritti. Ma cosa prevede esattamente la controversa norma all’origine del duello Ryanair-Enac? Dovrebbe trattarsi (il condizionale è d’obbligo quando si pesca nel mare della normativa nazionale) dell’art. 35, comma 2, del D.P.R. 445/2000 (Testo unico sulla documentazione amministrativa), il quale così recita: “Sono equipollenti alla carta di identità il passaporto, la patente di guida, la patente nautica, il libretto di pensione, il patentino di abilitazione alla conduzione di impianti termici, il porto d’armi, le tessere di riconoscimento, purché munite di fotografia e di timbro o di altra segnatura equivalente, rilasciate da un’amministrazione dello Stato”. Come si può osservare, si tratta di un elenco non chiuso dato che qualsiasi amministrazione dello Stato può rilasciare tessere di riconoscimento. In conseguenza il vettore aereo, che è tenuto ad adempiervi per le sole rotte nazionali, dovrebbe conoscere tutte le possibili tipologie di documenti e accettarli per l’imbarco, consentendone l’inserimento online dei relativi dati. Dovrebbe ovviamente conoscere in via preliminare tutte le amministrazioni dello Stato e le caratteristiche di ogni possibile documento di riconoscimento da esse emesso. Cosa dovrebbe fare, inoltre, un vettore aereo nell’ipotesi che tutti o molti paesi dell’Unione godano di una “semplificazione amministrativa” simile alla nostra? Ci sembra pertanto ragionevole che O’Leary preferisca sospendere i voli della sua compagnia, con grave danno per i consumatori italiani, per il settore turistico e per il nostro Pil, piuttosto che trasformarsi in una sorta di Indiana Jones alle prese con la giungla della nostra burocrazia. La questione Ryanair-Enac sembra più una storia di ordinaria assurdità burocratica che un problema aeronautico. È ben strano un paese nel quale un provvedimento finalizzato alla semplificazione amministrativa anziché ridurre solo a 1-2 i documenti validi per l’identificazione, uniformandoli allo standard europeo, li moltiplica potenzialmente all’infinito come le scope nel cartoon di Topolino apprendista stregone. Non ci dobbiamo in conseguenza stupire del fatto che noi italiani ci salviamo da norme assurde semplicemente ignorandole e disapplicandole. Chi scrive non conosceva questa norma “pluralista” sui documenti e non l’ha mai applicata nell’identificare gli studenti agli appelli d’esame; fortunatamente neanche gli studenti la conoscevano (o forse sono dotati di maggiore razionalità del legislatore) e non si sono mai presentati muniti di licenza di pesca o porto d’armi (col rischio nel primo caso di far pensare a una presa per i fondelli e nel secondo a una forma di pressione). Non si comprende proprio perché si debba fare una guerra patriottica a Ryanair per difendere il diritto a imbarcarsi di un’esigua minoranza di cacciatori, pescatori, piloti nautici e addetti alla conduzione di impianti di riscaldamento dotati della rispettive patenti e tesserini ma privi di passaporto e carta d’identità. Almeno per una volta potremmo essere un po’ più seri.
I livelli della crisi
di Mario Seminerio
Nei giorni scorsi è stato pubblicato un Occasional Paper della Banca d’Italia, intitolato “La crisi internazionale e il sistema produttivo italiano: un’analisi su dati a livello di impresa“, di Matteo Bugamelli, Riccardo Cristadoro e Giordano Zevi. Il lavoro esamina le conseguenze per il sistema produttivo italiano della crisi economica e finanziaria internazionale iniziata nel 2007 con un approccio contemporaneamente macro e micro, utilizzando cioè sia dati aggregati di contabilità nazionale che informazioni a livello d’impresa desunte dall’indagine sulle imprese industriali e di servizi (Invind) condotta annualmente dalla Banca d’Italia. Tra le risultanze della ricerca, ne spicca soprattutto una: i livelli della produzione industriale italiana sono tornati indietro, a causa della crisi, di quasi 100 trimestri.
Come scrivono gli autori del paper,
Rispetto ai massimi toccati all’inizio del 2008, nel secondo trimestre dell’anno in corso l’indice della produzione ha segnato una diminuzione cumulata prossima al 25 per cento, con il risultato che, nella scorsa primavera, il volume delle merci prodotte si era riportato al livello della metà degli anni Ottanta. Nella media dell’area e nei suoi principali paesi, il calo, pur assai pronunciato, è stato inferiore.
Nello specifico, e rimandando il lettore alle tavole 1 e 2 del paper, il livello di produzione industriale italiana è tornato al secondo trimestre 1986, quello tedesco al quarto trimestre 1999, quello francese al primo trimestre 1994. Come si nota, quello italiano è un autentico crack, che conferma (se mai ce ne fosse stato bisogno) che affermare che il nostro paese ha navigato in questa crisi meglio dei nostri concorrenti è una fallacia assoluta. Dal lato più generale del Pil, l’Italia in questa crisi è tornata indietro di 34 trimestri, contro i 13 e 12 rispettivamente di Germania e Francia. Naturalmente la notizia è rimasta sepolta nella cronaca natalizia, e forse è meglio così, visto quanto è inquietante.
Uno degli errori più comuni commessi dalla stampa e dai commentatori politici è quello di considerare solo le variazioni di una grandezza, non i suoi livelli. In tal modo l’analisi finisce col perdere profondità prospettica. Sono ancora e sempre troppo pochi quelli che riescono a realizzare che, quando una grandezza perde il 50 per cento, necessiterà di una ripresa del 100 per cento solo per tornare al livello di partenza. Non sorridete, in questo paese abbiamo un disperato bisogno di partire dalle nozioni di base. Per una migliore comprensione della differenza esistente tra livelli e variazioni è utile leggere gli esempi fatti da Menzie Chinn e Paul Krugman.
E soprattutto è utile smettere di dire che l’Italia ne uscirà meglio di altri.