ELEZIONI/ 2. I liberal di Clegg fanno tremare Borsa e sterlina

lunedì 10 maggio 2010

Londra. Le Borse europee come il Labour: crollati in un venerdì che merita davvero l’appellativo di “black Friday”. La prima vittima dell’instabilità generata dalle elezioni britanniche di giovedì scorso non è infatti la democrazia britannica, ferita nel suo dna bipolare, ma la sterlina, finita sulle montagne russe fin dalle prime assegnazioni di seggi la notte scorsa.

I mercati, infatti, temono che un possibile governo di coalizione tra Labour e LibDem, l’opzione lanciata da Gordon Brown, non faccia altro che dilazionare i tempi per una stagione di tagli e austerità. E, infatti, non appena il primo ministro “uscente” ha aperto la porta a Nick Clegg nel tentativo di bloccare un governo conservatore, il pound è immediatamente sceso nei confronti del dollaro mentre due ore prima, quando il leader dei LibDem, aveva ammesso che i Conservatori avevano il diritto di provare a formare un governo, la divisa britannica si era ripresa sensibilmente nei confronti del biglietto verde.

Il listino Ftse 100 della Borsa di Londra, in apertura di conrattazioni, ha toccato il suo minimo da tre mesi, per scendere fino al -4% e assestarsi al -2% in chiusura, segnale chiaro di un nervosismo che si è riverberato anche sui titoli di Stato britannici, normalmente “sensibili” all’inflazione e questa volta, invece, colpiti dall’instabilità politica che ha visto lo spread con i Bund tedeschi toccare livelli poche volte conosciuti in tempi recenti.

Anche i cds sul debito sovrano, ovvero i contratti di assicurazione sul rischio di default, hanno subito un’impennata nelle trattative over-the-counter, cioè non regolamentate e questo appare un chiaro segnale di sfiducia nei confronti di un possibile arroccamento di Gordon Brown: l’altra notte, quando i primi tre seggi assegnati vedevano il Labour mantenere il controllo degli stessi, la flessione sui mercati valutari è stata netta.

Nella City la speranza è quella che le pressioni politiche sul primo ministro, non ultime quelle auspicate della Regina, pongano fine a questo andamento “flip-flop” della sterlina, fino a oggi garantita sui mercati dalla debolezza dell’euro ma, di fatto, messa ufficialmente nei portafogli di investimento dei fondi speculativi nella lista “short”, ovvero contro cui scommettere avendo toccato venerdì mattina il suo minimo da un anno.

Gli operatori del valutario operavano sulla sterlina in modalità “high-speed”, ovvero con la massima priorità e la massima volatilità visto che ogni minima parola, ogni minima dichiarazione politica faceva oscillare in alto o in basso la valuta. «Brown, per il bene del paese, dovrebbe liberare al più presto la scrivania», si fa sfuggire un trader della City e la netta, chiarissima proposta di coalizione offerta da Cameron a Clegg parla questa lingua: prima cosa, sfrattare il premier.

Il problema è che i mercati, alla notizia di una possibile alleanza giallo-blu, non hanno affatto festeggiato. Anzi, l’ipotesi di un’influenza LibDem sul governo viene valutata come un freno all’azione di contenimento e riduzione del debito pubblico e i cds hanno cominciato ad essere trattati con un certo volume: un brutto segnale, soprattutto per chi deve rifinanziare un debito da 890 miliardi di sterline.

Unica nota positiva, per ora, è giunta da due agenzie di rating, Fitch e Standard&Poor’s, secondo cui l’ipotesi di hung parliament non comporterà un automatica apertura della procedura di downgrade del paese, attualmente giudicato AAA, ovvero solidissimo. Vista però la polemica che sta investendo queste istituzioni, con cotè di accuse speculative, la City non pare particolarmente tranquillizzata: serve stabilità e nessuno, ora, pare poterla garantire. Tantomeno un governo di coalizione Tories-LibDem.

Dio salvi la sterlina. A parlare chiaramente questa lingua è quanto accaduta all’indice secondario della Borsa di Londra, l’Ftse 250, protagonista di una svendita di titoli selvaggia nel pomeriggio di venerdì: essendo questo indice direttamente legato alle prospettive dell’economia interna, il segnale è di quelli davvero poco confortanti.

Di più, per Philip Isherwood della Evolution Securities, «i titoli di Stato e la sterlina, a causa del risultato di questo voto, stanno per perdere il loro tradizionale ruolo di bene rifugio per gli investitori». Il rendimento dei bond inglesi è schizzato di 16,8 punti base raggiungendo un interesse del 3,96%, mentre il titolo peggiore, in Borsa, è stato quello di Royal Bank of Scotland, banca nazionalizzata e quindi più esposta alla volatilità politica del momento: perdere il 4,3% quando si è tornati in profitto dopo aver toccato l’orlo del fallimento significa che le prospettive dei mercati, ora, sono focalizzate sul 10 di Downing Street più che sui bilanci e la solidità dei soggetti quotati.

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