FONTE: GEORGEWASHINGTON2 (BLOG)
Ho scritto due saggi nel tentativo di confutare il "keynesianismo militare" - l'idea che le spese militari siano il miglior incentivo (per l'economia, NdT). Si veda qui qui e qui
In risposta, un lettore mi ha sfidato a dimostrare che chiunque appoggerebbe l'idea di investire soldi in spese militari o in una guerra come stimolo fiscale.
Di fatto, il concetto alla base del keynesianismo militare è talmente diffuso che ci sono circa mezzo milione di pagine web in cui si parla di questo argomento.
E molti economisti autorevoli e politici esperti ne tessono le lodi.
Ad esempio, Martin Feldstein - presidente del Council of Economic Advisers sotto il Presidente Regan, professore di economia ad Harvard e membro del collegio dei collaboratori di The Wall Street Journal - ha scritto un articolo (*) sul numero del Journal di Dicembre scorso intitolato "Le spese per la difesa sarebbero un grande stimolo".
E come fa notare il Cato Insitute:
Bill Kristol concorda. Considerando che l'imperativo era "spendere qualunque cifra di soldi subito", il signor Kristol ha espresso un dubbio, "se acquisti 2.000 Humvee (**) al mese, perché non comprarne 3.000? Se rimetti a nuovo due basi militari, perché non farlo per cinque?"
***
Non è la prima volta che le spese per la difesa vengono approvate con l'intento di far ripartire l'economia. Circa cinque decadi fa, un consigliere economico del Presidente Kennedy raccomandò proprio di aumentare le spese militari come sprone per l'economia...
Oggi si ascoltano discorsi simili. I membri della delegazione congressuale del Connecticut sono stati particolarmente espliciti nel loro supporto ai sottomarini di classe Virginia, e non hanno mostrato dubbi nell'indicare le opportunità di lavoro che il programma offre nel loro stato. Il programma Falco Pescatore del corpo dei Marines V-22 è stato approvato su basi simili. Nonostante serie preoccupazioni riguardanti la sicurezza e il comfort del gruppo di lavoro, il programma V-22 coinvolge collaboratori in Pennsylvania, New Jersey, Delaware e Texas, e un certo numero di altri stati.
I professori di economia politica Jonathan Nitzan e Shimshon Bichler scrivono :
Le teorie del keynesianismo militare e del complesso dell'industria militare diventarono popolari dopo la seconda guerra mondiale, e probabilmente per una buona ragione. La prospettiva di una smobilitazione militare sembrò allarmante, in modo particolare negli Stati Uniti. L'élite statunitense ricordava bene come l'aumento delle spese militari avesse fatto uscire il mondo dalla grande depressione, e si preoccupavano del fatto che un crollo degli stanziamenti militari avrebbe ribaltato questo processo. Se questo fosse successo, la prospettiva era che gli affari sarebbero precipitati, la disoccupazione sarebbe cresciuta rapidamente, e la legittimità del libero mercato sarebbe stata nuovamente messa in discussione.
Nel tentativo di allontanare questa eventualità, nel 1950 il consiglio di sicurezza nazionale statunitense stese un documento top secret, l'NSC-68. Tale documento, che fu desegretato solo nel 1977, faceva esplicitamente appello al governo affinché aumentasse le spese militari in modo da prevenire una conseguenza come questa.
Hanno ragione riguardo all'NSC-68?
Robert Higgs, dottorato in economia, conferma l'importanza dell'NSC-68:
I funzionari dell'amministrazione precedente hanno incontrato un'ostinata resistenza da parte del congresso riguardo alla loro richiesta di un aumento sostanziale, simile a quanto spiegato nell'NSC-68, un documento fondamentale dell'Aprile 1950. Gli autori di questa relazione del governo nazionale proponevano una visione manichea della rivalità tra l'America e l'Unione Sovietica, sposavano la causa di un ruolo permanente per gli Stati Uniti come poliziotto mondiale, e prevedevano una spesa di circa il 20 percento del PIL. Ma l'approvazione del congresso per i provvedimenti indicati sembrò molto improbabile in assenza di crisi. Nel 1950 "la paura che l'invasione [della Corea del Nord] fosse solo il primo passo di una più ampia offensiva sovietica risultò molto utile quando venne usata per persuadere il congresso ad aumentare il budget per la difesa". Come disse in seguito il segretario di stato Dean Acheson: "la Corea ci ha salvati". L'aumento delle spese militari raggiunse il suo picco nel 1953, quando i belligeranti, trovandosi in una condizione di stallo, concordarono un armistizio.
Chalmers Johnson - Professore emerito dell'Università della California, a San Diego, in passato consulente della CIA - scrive :
Questo è il keynesianismo militare - la determinazione a mantenere un'economia di guerra permanente e a trattare il rendimento militare come un qualunque prodotto economico, sebbene non contribuisca né alla produzione né al consumo.
Questa ideologia risale ai primi anni della guerra fredda. Durante la fine degli anni '40 gli Stati Uniti erano tormentati da ansie di tipo economico. La grande depressione degli anni '30 era stata superata solo grazie al boom di produzione dato dalla seconda guerra mondiale. Con la pace e la smobilitazione ci fu una paura diffusa che la depressione mondiale potesse tornare. Durante il 1949, allarmati dalla detonazione di una bomba atomica in Unione Sovietica, l'imcombente vittoria comunista nella guerra civile cinese, la recessione nazionale, e l'abbassarsi della cortina di ferro attorno all'URRS da parte degli stati satelliti in Europa, gli Stati Uniti cercarono di abbozzare la strategia di base per la guerra fredda che stava per cominciare. Il risultato fu il verbale militaristico del consiglio di sicurezza nazionale NSC-68, steso sotto la supervisione di Paul Nitze, all'epoca capo dello staff della pianificazione diplomatica nel dipartimento di stato. Datato 14 Aprile 1959 e firmato dal Presidente Harry S. Truman il 30 Settembre 1950, tracciò le basi delle politiche di economia pubblica che gli Stati Uniti perseguono tutt'oggi.
Nelle sue conclusioni, l'NSC-68 afferma: "una delle lezioni più significative ottenute dalla nostra esperienza della seconda guerra mondiale è stata che l'economia americana, quando funziona a livelli prossimi alla massima efficienza, può fornire enormi risorse con scopi differenti dal consumo civile, provvedendo allo stesso tempo a mantenere alti standard di vita".
Con questa convinzione gli strateghi statunitensi iniziarono a costruire un'imponente industria di munizioni, sia per contrastare la forza militare dell'Unione Sovietca (che ingigantivano in modo consistente) che per mantenere la piena occupazione, e anche per evitare un possibile ritorno della depressione. Il risultato fu che, sotto la guida del Pentagono, vennero create nuove industrie per fabbricare grandi aerei, sottomarini alimentati ad energia nucleare, testate nucleari, missili balistici intercontinentali, e satelliti per la sorveglianza e le comunicazioni. Questo condusse a ciò che aveva prefigurato il Presidente Eisenhower durante il suo discorso di commiato del 6 Febbraio 1961: "la coesione tra un'immensa impresa militare e una grande industria delle armi è una novità per gli americani" - ovvero il complesso militare-industriale.
Dal 1990 il valore delle armi, degli equipaggiamenti e delle fabbriche impegnate per il dipartimento della difesa erano l'83% del valore di tutti gli stabilimenti ed equipaggiamenti dei prodotti industriali statunitensi. Dal 1947 al 1990, il budget consolidato per le spese militari statunitensi ammontava a 8.7 trilioni di dollari. Nonostante l'Unione Sovietica non esista più, la fiducia degli Stati Uniti nei confronti del keynesianismo militare è, semmai, aumentata, grazie ai massicci interessi acquisiti che si sono fortificati attorno all'establishment militare.
Potete leggere l'NSC-69 qui .
L'autorevole giornalista politico John T. Flynn scrisse nel 1994:
Il militarismo è l'affascinante progetto di lavori pubblici grazie al quale molte parti della comunità possono raggiungere un accordo.
Ma Flynn aveva messo in guardia:
Inevitabilmente, avendo ceduto al militarismo come stratagemma economico, faremo quello che hanno fatto altri paesi: manterremo viva la paura del nostro popolo verso le ambizioni aggressive di altri paesi ed intraprenderemo noi stessi imprese di tipo imperialistico.
Infatti, lo stesso ideatore della teoria del keynesianismo militare aveva avvertito del fatto che chi avesse seguito questo pensiero sarebbe diventato un fabbricante di paure, avrebbe dovuto fare appello al patriottismo e ci avrebbe portato in guerra in modo da promuovere questo "stimolo" all'economia. Come ha scritto The Independent nel 2004:
La crescita alimentata militarmente, o keynesianismo militare come viene chiamato nei circoli accademici, fu prima teorizzato dall'economista polacco Michal Kalecki nel 1943. Kalecki sosteneva che i capitalisti e i loro difensori politici tendevano ad ostacolare il keynesianismo classico; ottenere la piena occupazione attraverso la spesa pubblica li rendeva nervosi, poiché rischiava di dare troppo potere alla classe lavoratrice e ai sindacati.
La spesa militare era senza dubbio un investimento più allettante dal loro punto di vista, sebbene giustificare una tale distrazione di fondi pubblici richiedeva un certo grado di repressione politica, che si poteva meglio ottenere attraverso appelli al patriottismo e suscitando la paura di una minaccia nemica - e, inesorabilmente, di una vera e propria guerra.
All'epoca, il migliore esempio di keynesianismo militare secondo Kalecki era la Germania nazista. Ma il concetto non funziona solamente sotto la dittatura fascista. Anzi, è stato valutato con grande entusiasmo dai conservatori neo-liberali negli Stati Uniti.
Non sono d'accordo con l'idea che si tratti di una questione partigiana. L'articolo riportato da The Independent ritrae i "conservatori neo-liberali" come guerrafondai; non credo ci sia molta differenza con la "sinistra neo-liberale" o la "destra neo-conservativa", o qualunque altra cosa. Di fatto, le definizioni politiche hanno ben poco significato. Ciò che importa risiede nelle azioni che qualcuno compie, non nella retorica attorno alle sue azioni.
Fonte: http://georgewashington2.blogspot.com
Link: http://georgewashington2.blogspot.com/2009/11/would-government-really-start-war-to.html
14.11.2009
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ELISA NICHELLI
NdT
(*) op-ed, nel testo originale, sta per "opposite the editorial page", un articolo di giornale che viene così chiamato poiché stampato nella pagina opposta rispetto all'editoriale.
(**) sta per High Mobility Multipurpose Wheeled Vehicle, il veicolo militare da ricognizione dell'esercito americano.
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1 commento:
son stanco di leggere ideologismi e stupidismi...la crisi(come quando gioca la nazionale) ha messo in mostra milioni di allenatori economisti ognuno da una sua interpretazione un asua formazione...monetaristi von misesasiani cigaghiani keynesiani marxiani...
il pensiero e la sensibiltà la dirittura morale di studiosi seri viene stuprata con teorie assurde e banalità..
una di queste mi tocca leggerla qui
allego un bel commento su keynes di risposta."E’ un Keynes insolito quello che l’Adelphi rivela pubblicando il discorso “Possibilità economiche per i nostri nipoti” con un commento di Guido Rossi. Non stupisce solo per l’attualità dei giudizi formulati ottant’anni fa. Siamo ormai costretti a rivisitare la Grande Depressione degli anni Trenta per capire il nostro presente, e il grande economista britannico ne rimane l’analista-terapeuta più autorevole.
Sembrano scritti oggi quei passaggi datati 1928-1930: “Ci troviamo a soffrire di una forma virulenta di pessimismo economico. E’ opinione comune che il progresso economico sia finito per sempre; che il miglioramento del tenore di vita abbia imboccato una parabola discendente; che per il prossimo decennio ci si debba aspettare un declino della prosperità”.
E’ singolare la preveggenza con cui mette a fuoco la disoccupazione tecnologica (“il lettore ne sentirà molto parlare negli anni a venire…”). Sorprendente, e poco nota, è la sua dimestichezza con Freud e la psicanalisi, i cui strumenti interpretativi applica con disinvoltura all’economia: Guido Rossi ricorda le affermazioni dell’economista sulla pulsione “sadico-anale” insita nella bramosìa capitalistica di profitto. La dimensione più inedita in assoluto è quella del Keynes visionario, sognatore, idealista, che qui viene alla luce.
Staccandosi per un attimo dalle preoccupazioni del presente, il grande intellettuale élitario del circolo Bloomsbury e l’ispiratore del New Deal disegna un futuro in cui “l’amore per il denaro sarà, agli occhi di tutti, un’attitudine morbosa e repellente”. Immagina una società fondata su valori più solidi, dove cammineremo spediti sui sentieri della virtù e della saggezza.
“Dobbiamo tornare a porre i fini avanti ai mezzi, ad anteporre il buono all’utile. Dobbiamo onorare chi può insegnarci a cogliere meglio l’ora e il giorno, quelle deliziose persone capaci di apprezzare le cose fino in fondo”. Per arrivare a quello stadio Keynes pone la barra molto in alto, tra le condizioni dell’avvento di una società ideale elenca la pace universale e un perfetto controllo della crescita demografica.
Non si fa illusioni sul breve termine ma spiega che sognare è un obbligo, perché “l’utopia appare oggi l’unica possibilità economica che i nostri nipoti possano, essendone capaci, sfruttare”. Più dei singoli dettagli, allora, conta il nocciolo duro di questo pensiero che viene catturato e attualizzato da Rossi: ciò che nascerà dalle ceneri della grande crisi del XXI secolo, “dovrà essere molto diverso dal capitalismo come lo abbiamo fin qui conosciuto”.
Sta proprio qui l’interesse di questo Keynes riesumato dall’oblìo. Di lui ricordavamo soprattutto il tecnico pragmatico, capace di rovesciare tutta l’ortodossìa economica pur di trovare ricette efficaci per rimettere in moto la macchina paralizzata dello sviluppo. Fu senza dubbio colui che teorizzando il ruolo benefico della spesa pubblica salvò il capitalismo da se stesso, nonché dalla sfida di movimenti rivoluzionari e modelli alternativi: il comunismo sovietico; i capitalismi autoritari e illiberali nel Giappone militarista, nella Germania nazista, nell’Italia fascista.
Dietro la prodigiosa fecondità intellettuale di Keynes c’era la capacità di guardare ben oltre la semplice crescita materiale. Le grandi crisi servono a rimettersi in discussione, costringono a osare là dove il pensiero non si era mai avventurato: quella del XXI secolo è ancora in attesa del suo Keynes."
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