Credit crunch, in Francia le imprese lanceranno una loro banca

19 gennaio 2010
Credit crunch, in Francia le imprese lanceranno una loro banca Le banche non concedono prestiti? Varrà dire che ne creeremo una nostra...

Le banche non concedono prestiti? Varrà dire che ne creeremo una nostra. In difficoltà a causa della crisi finanziaria globale e del conseguente razionamento del credito, sedici imprese piccole, medie e grandi, di diverse nazionalità (francesi, inglesi, irlandesi, svizzere e americane) hanno lanciato la proposta di mettere in piedi un proprio istituto di credito.

Il progetto, che dovrebbe portare alla nascita di una “cooperativa a statuto bancario”, costituisce - riferisce Le Monde - un vero e proprio inedito. E, sebbene non possa prendere vita entro pochi giorni, è già entrato in una fase di “studio formale”. Un comitato strategico si riunirà infatti il prossimo 27 gennaio, secondo quanto riportato nei giorni scorsi da La Tribune, e l’obiettivo - qualora arrivino i fretta i via libera delle autorità di controllo - è di aprire l’istituto entro la fine del 2010.

La nuova banca, probabilmente, avrà la propria sede legale in Francia, ma sarà di proprietà di una holding irlandese, per ragioni commerciali. «La crisi finanziaria impone ormai un ripensamento del modello di finanziamento del sistema - ha spiegato a Le Monde Sylvain de Forges, consigliere speciale del progetto -. Le banche sono concentrate nello sforzo per aumentare i propri capitali, e per questo le loro capacità di concedere credito diminuiscono».

L’idea di creare una banca francese gestita dalle imprese è nata tre anni fa da tre ex banchieri di Natixis e dell’istituto tedesco Dresdner Kleinwort. All’epoca, tuttavia, il credit crunch non mordeva il freno della crescita in tutto il mondo, per cui si è deciso di aspettare. Oggi le condizioni sono invece favorevoli: potrebbe essere un primo importante passo per un nuovo modo di pensare la finanza, al servizio dell’economia reale.

http://www.valori.it/italian/finanza-globale.php?idnews=1946

L’ORACOLO HA PARLATO

Chi mi conosce sa che la mia simpatia personale nei confronti di Tommaso Padoa Schioppa (d’ora in poi TPS), già da tempi nei quali era a guida del comitato monetario del FMI, è sempre stata eguale a quella ora provata nei confronti di Goldman Sachs. Ieri, con un editoriale sul Corriere Della Sera, il nostro TPS è riuscito a raggiungere l’apice della sua intelligenza economica. Tra roboanti perle di saggezza e brillanti osservazioni chiare come la nebbia in una notte senza luna (talvolta ho dovuto rileggere più volte i concetti...ma sicuramente è colpa mia che, già di mio non particolarmente sveglio, in aggiunta sono a letto con la febbre), l’oracolo per antonomasia ci ha comunicato: ”..per il contribuente che lo paga, il salvataggio è per lo più un buon affare, non una perdita”..citando l’utile della FED da 52 Miliardi di Dollari per le operazioni condotte sul mercato. Cerchiamo di capire l’alta matematica che sta dietro alle dichiarazioni da Nobel Lectures. Consideriamo la distribuzione degli utili della la banca centrale americana. Dei 52 Miliardi di Dollari, soltanto 5,5 miliardi di dollari sono giunti dagli investimenti in societa' in difficolta' per la crisi. Ben 46,1 miliardi di dollari dalle operazioni condotte sul mercato, innanzitutto US Treasury bonds e cartolarizzazioni di mutui e titoli di debito governativi. Ancora più terra terra. La FED ha pagato 100 per avere qualcosa che valeva 20 nel migliore dei casi; talvolta ha comprato porcherie che non avevano prezzo e non solo perché il contesto era da crollo totale. Poi, in virtù del drogaggio operato sui mercati finanziari (con rischio nullo perché effettuato con soldi dei contribuenti), il 20 è salito a 30 (dando 0.1 come dividendo alla FED) e dunque, secondo l’oracolo, è stato un buon affare. Il nostro moderno Lapalisse dimentica però una banale osservazione: qualora la FED decidesse di liquidare sul mercato i rifiuti tossici in suo possesso, quanto riuscirebbe a riprendere? Dal 2007 il Reserve Bank Credit della FED è aumentato esponenzialmente. Dal valore di 848 Miliardi di Dollari alla data del 27 Giugno 2007, si è raggiunto, in virtù dell’acquisto di asset più o meno tossici (per le voci più tossiche si guardi nel bilancio della FED i seguenti dati: Net portfolio holdings of Maiden Lane,Term auction credit,Credit extended to American International Group, senza trascurare Mortgage-backed securities ), il valore di 2225 Miliardi di Dollari alla data del 13 Gennaio 2010. In altre parole la liquidità dei titoli tossici è una liquidità drogata dalla FED; il mercato è fittizio, falso come una banconota da 75 Euro con stampata sopra la simpatica faccia di TPS. E’ ormai noto che la mia opinione è che la FED, dopo un intervento iniziale di stabilizzazione, avrebbe dovuto imporre un processo di riorganizzazione fallimentare del sistema finanziario. Non dico (sarà il sommo tribunale della Storia a giudicare) che allo stato attuale altre opinioni non possono essere accettate, ma il troppo è troppo. Con la socializzazione dei debiti i contribuenti devono portarsi un pesante fardello che rischia di ucciderli; affermare con solennità, come fa il buon TPS, che bisogna rallegrarsi per il peso, danzare di gioia e cantare inni di lode a Bernanke che ci sta facendo guadagnare soldi, supera qualsiasi soglia di sopportabilità anche per chi, di animo mite, è abituato a tollerare le più immense baggianate.
6 commenti http://economiaincrisi.blogspot.com/2010/01/loracolo-ha-parlato.html

Gheto capio di Eugenio Benetazzo

http://www.affaritaliani.it/static/upl/eug/eugeniobenetazzo.jpg
Nel dialetto veneto, soprattutto nell'hinterland vicentino, vi è una locuzione verbale molto diffusa, "gheto capio" che significa "hai capito ?" utilizzata spesso anche come modo per intercalare durante una conversazione con uno o più interlocutori. Scrivo questo redazionale per rispondere alle accuse di leghismo e razzismo che mi sono state rivolte in occasione della pubblicazione di un altro articolo di inchiesta, al cui interno analizzavo la società americana sulla base della sua attuale situazione macroeconomica come conseguenza della sua stessa struttura sociale. Premetto che i complimenti ed apprezzamenti migliori li ho ricevuti proprio da persone che vivono e lavorano negli States da anni, i quali hanno confermato pienamente l'outlook di analisi che ho dipinto per l'America dei 50 Stati. Le accuse più infamanti invece sono arrivate da lettori italiani (molti dei quali non hanno mai visitato il paese in questione) che hanno recepito il mio redazionale come una manifestazione di appoggio politico a questa o quella forza politica. La caratteristica principale della popolazione italiana è rappresentata dal classismo sociale: questo significa che qualsiasi titpo di affermazione, proposta, contestazione o critica deve essere sempre riconducibile a qualche movimento politico. Della serie, se Benetazzo dice che l'America è fallita a causa della sua composizione etnica allora significa che è leghista o estremista di destra e pertanto questo determina l'ammirazione di quella parte politica o il disprezzo della parte avversaria. Mi rammarico per questo e temo che difficilmente il futuro del nostro paese possa essere roseo visto che non potrà mai vincere il buonsenso, ma solo un determinato colore politico. Quanto ho precedentemente scritto, come tutte le altre mie opere intellettuali, sono frrutto di un analisi economica e non di una appartenenza politica. Vi è di più: il periodo di studio all'interno degli States ha voluto essere di natura prettamente inquisitoria nei confronti della società e dell'apparato economico, e non volto a visitare la Statua della Libertà a NY, Ocean Drive a Miami, il Museo della Coca Cola ad Atlanta, Rodeo Drive a Los Angeles, la Strip a Las Vegas e così via. Nel mio caso questo tipo di attrazioni sono state ignorate (tranne in parte per Las Vegas), in quanto ho voluto conoscere e studiare l'America e gli Americani per come producono, per come consumano e lavorano, come si indebitano e cosi via. La mia permanenza pertanto non è stata caratterizzata dallo svago e dal divertimento, quanto piuttosto dall'analisi, sintesi e riflessione su quanto raccolto. Ho avuto modo di visitare numerose banche e grandi corporation, intervistare brokers ed executive, incontrare giornalisti e reporter indipendenti: il quadro che ne è uscito (che vi piaccia oppure no) contempla quanto scritto in precedenza. Ad esempio a Miami non mi sono sollazzato in spiaggia sotto il sole o sbronzato di tequila nei locali latinoamericani durante le notti brave, quanto piuttosto ho incontrato numerosi realtor, building developer e mortgage brokers, oltre che visitare i famosi appartamenti in svendita con il 60 % di sconto. Ad Atlanta invece (correndo non pochi rischi) ho visitato il quartiere dei neri a Downtown intervistando numerose persone che avevano appena perduto il posto di lavoro e vivevano con il sussidio federale. Quello che ne è uscito è un quadro con una logica di esame ben comprensiva se vista nel suo insieme. Il primo paese al mondo che ha delocalizzato (prima in Messico, poi in Cina, dopo in India ed ora in Vietnam) sono stati proprio gli Stati Uniti, ed ora stanno pagando il conto di quella scellerata strategia di svendere le loro produzioni all'Oriente e contestualmente anche i posti di lavoro. In parallelo a questo si è verificato uno spropositato overbulding (eccesso di costruzione) grazie al mutuo facile a soggetti underscoring (low and bad credit, solitamente persone di etnia nera, ispanica od orientale). La Fed ha poi aiutato a far peggiorare il tutto con grande incoscienza attravreso una politica monetaria suicida. L'accusa più ridicola mi è stata mossa da italiani (che non sono mai stati negli USA) i quali contestano i dati da me forniti circa la composizione demografica dell'America sostenendo che secondo l'ultimo censimento la popolazione statunitense è costituita dal 60% di bianchi caucasici, il 15% da afroamericani, il 15 % ispanici, il 5% da orientali ed il restante da una molteplicità di etnie. Presa in senso generalizzato questa è la statistica media della popolazione americana. Tuttavia i 2/3 degli americani vive in aree metropolitane od urbane con più di 100.000 abitanti: l'intera economia statunitense è radicate e sviluppata nelle grandi aree metropolitane. Ma nelle aree metropolitane non abbiamo questa ripartizione: suvvia, non crediate ciecamente a me, ma almeno ai rapporti demografici che descrivono le aree in questione. Solo nelle prime dieci aree metropolitane (ce ne sono 52 in USA) vivono almeno più di 100 milioni di persone.
Metro Area Popolazione Caucasici Neri Ispanici Asiatici
New York 19.000.000 35 25 20 10
Los Angeles 12.800.000 20 10 40 10
Chicago 9.500.000 30 30 25 10
Miami 5.400.000 15 25 45 10
Dallas 6.300.000 30 35 20 10
Seattle 3.350.000 50 20 15 10
Phoenix 4.200.000 50 10 25 5
Houston 5.700.000 28 25 35 5
Detroit 4.400.000 12 81 5 5
Atlanta 5.300.000 38 55 3 5

La tabella di sintesi conferma pienamente quanto avevo precedentemente espresso. Se invece andate a visitare i paesini rurali in cui vive il restante 1/3 degli americani scoprirete con grande sorpresa che la popolazione è costituita al 98% da bianchi caucasici (ad esempio Springfiled in Nebrasca rappresenta una insignificante nucleo cittadino con appena 1500 abitanti, il 99% dei quali sono bianchi caucasici). Sono i nuclei di insediamento nelle aree rurali che alzano abbondantemente la percentuale dei bianchi per tutta la popolazione, tuttavia queste piccolissime comunità vivono di una economia stanziale caratterizzata da relazioni commerciali quasi rarefatte: difficilmente vi troverete la sede di una grande corporation o il jet market di una famosa catena alimentare. Inoltre anche i dati in percentuale che io stesso ho preso come riferimento (sull'ultimo censimento datato dieci anni or sono) sono discutibili. Ma in peggio. Infatti non contemplano i flussi di immigrati clandestini che entrano in America soprattutto dal Messico, una stima piuttosto ottimistica parla infatti di almeno 15 milioni di clandestini. Solo nella città di Houston si stimano 500.000 presenze. Sono proprio le grandi città metropolitane infatti che diventano le porte di ingresso preferite per l'immigrazione clandestina e per le migrazioni dei nuclei familiari. Ma il dato più significativo che conferma il profondo cambiamento del tessuto sociale statunitense è riferito ai diversi trand di crescita di ogni etnia, con in testa al momento la popolazione ispanica, la quale rappresenterà il 40 % della popolazione statunitense entro il 2030. Chi ancora non fosse convinto di questo quadro spero si convinga almeno della voce autorevole di Market Watch, la prestigiosa testata giornalistica online statunitense, la quale ancora nel 2007 in un passato redazionale analizzava i rischi per l'economia americana legati al credito facile a fasce sociali dal basso rating creditizio. Voglio terminare infine con una considerazione rivolta proprio a tutti coloro i quali in questa ultima settimana non hanno fatto altro che etichettarmi come razzista o leghista: fate attenzione invece, cari lettori, a non essere proprio voi i razzisti. Chi non lo avesse ancora compreso i cosidetti processi di integrazione tanto propagandati in passato come fenomenali processi di crescita culturali per tutti i paesi che li vogliano abbracciare, conditi da buonismo ed accoglienza sfacciata, altro non hanno fatto se non istituzionalizzare lo schiavismo moderno asservito al capitale e sfruttare senza limiti tutte quelle popolazioni che avrebbero dovuto essere oggetto di integrazione, spingendo proprio queste persone ad accettare lavori pericolosi, insalubri o fisicamente usuranti per una paga notevolmente inferiore a quella che sarebbe invece spettata ad un lavoratore autoctono. E questa strada è stata perpetrata ai danni di altri lavoratori (italiani, tedeschi, francesi, inglesi, americani e cosi via) che hanno visto in pochissimi anni modificarsi verso il basso i loro livelli minimi salariali. L'unico beneficio che ha portato la menzogna dell'integrazione razziale è stato il vile aumento dei profitti delle grandi corporations che hanno beneficiato cosi di manodopera a costo inferiore senza tante seccature sindacali o rispetto per la dignità umana altrui. Chi invece si scalda tanto per consentire ed osannare le fenomali opportunità dell'integrazione, perchè così pensa di poter aiutare queste popolazioni dai mezzi limitati, non fa altro che condannarle ad una nuova era di schiavismo moderno, andando nel contempo a compromettere il tenore reddituale dei lavoratori autoctoni. Fate quindi attenzione, ed iniziate a considerare le opportune conseguenze (i famigerati side effects) di queste politiche di integrazione infelice, in quanto il modello americano è stato esportato in tutto il mondo, Europa compresa. Gheto capio. Copyright @ 2010 - Tutti i diritti riservati Riproduzione concessa con citazione della fonte EugenioBenetazzo.com

PREOCCUPAZIONI USA: PRIMA LA GERMANIA E ADESSO IL GIAPPONE?

di Immanuel Wallerstein La strategia geopolitica degli Stati Uniti dopo il 1945 si fondava su quello che sembravano pilastri solidi: controllare i suoi due nemici sconfitti durante la Seconda Guerra Mondiale, la Germania ed il Giappone. Per molto tempo, ogni paese è stato governato da un solo partito conservatore- l' Unione Democratica Cristiana (CDU) in Germania, ed il Partito Liberale Democratico (LPD) nel Giappone. Tutte e due i partiti hanno dato un impulso ad una politica di stretta alleanza con gli Stati Uniti, e di sostegno fedele alle loro posizioni geopolitiche. Questo sostegno incondizionato cominciò a rompersi prima in Germania. La CDU iniziò ad alternare il potere con il Partito Socialdemocratico nel 1969, ed il suo cancelliere, Willy Brandt, lanciò un’Ostpolitik, cercando qualche tipo di tregua con l’Unione Sovietica. L’indebolimento dei vincoli tedeschi con gli Stati Uniti progredì lentamente fino alla rottura significativa nel 2003 quando la Germania si alleò alla Francia e la Russia per sconfiggere la risoluzione sostenuta dagli USA nel Consiglio della Sicurezza delle Nazioni Unite e che avrebbe costituito una legittimazione all’invasione statunitense in Iraq. Niente di simile è successo per molto tempo in Giappone, fino ad agosto 2009, quando il Partito Democratico Giapponese (DPJ), con il suo leader Yukio Hatoyama, spazzò l’LPD dalla carica con una risoluzione che includeva un ripensamento della relazione “subordinata” del Giappone agli Stati Uniti. Nel 1996, Hatoyama, pubblicò un articolo dove si descriveva il Trattato di Sicurezza Giappone-Stati Uniti come “reliquia della Guerra Fredda” e chiamava il Giappone a “svezzarsi” della sua “eccessiva dipendenza” dagli Stati Uniti. Da molto tempo c’era un problema di contenzioso nelle relazioni tra gli USA ed il Giappone: l’esistenza di basi militari statunitensi a Okinawa e le sue condizioni di governabilità. Per minimizzare il dissenso, gli USA stavano trattando un nuovo accordo con il governo precedente (dell’LPD) che potesse trasferire parte dell’esercito (non tutto) dall’isola di Okinawa a Guam, e risistemare la base militare esistente in un’aerea più lontana da Okinawa. Hatoyama, però, sembrava volere che l’esercito statunitense abbandonasse completamente l’isola. Questo era il punto di vista di uno dei soci della coalizione dell’DPJ, il Partito Socialdemocratico, espresso ad alta voce. Ci fu un ulteriore complicazione. Proprio in quel momento, è venuto alla luce un accordo segreto tra l'America e il Giappone. Okinawa fu occupata dagli Stati Uniti dal 1945, sotto il loro totale controllo. Gli Stati Uniti accettarono allora di “ridare” l’isola al Giappone nel 1972, ma mantenendo le loro basi. Ma c’era un problema. Gli Stati Uniti avevano armi nucleari a Okinawa. Il Giappone manteneva la politica ufficiale dei “tre principi del no al nucleare” (non possedere, non costruire e non permettere l’entrata di armamenti nucleari al Giappone). Teoricamente, questi principi governerebbero adesso la base statunitense. Ma, sembra che il presidente Nixon ed il primo ministro giapponese Eisaku Sato firmarono un accordo nel 1969 che permetteva agli USA di reintrodurre i loro armamenti nucleari a Okinawa in caso di “emergenza”. Dato che questa era una violazione diretta della politica ufficiale giapponese, è stata mantenuta segreta e lo sapevano solo poche persone in Giappone. Inoltre, dopo aver assunto l’incarico, Hatoyama aggiunse legna al fuoco facendo un appello pubblico per la creazione della Comunità dell’Asia Orientale, abbracciando la Cina, Corea del Sud e lo stesso Giappone, ma senza includere gli USA. La reazione iniziale degli Stati Uniti, di fronte a tutti questi eventi, fu quella di considerare la posizione di Hatoyama come la retorica di un governo “populista e senza esperienza”, e che non doveva essere preso sul serio. Ma Hatoyama, ha continuato esitante il nuovo accordo proposto a Okinawa, il governo degli Stati Uniti sempre più sospettoso nei suoi confronti ha cominciato a preoccuparsi per le implicazioni a lungo termine di quella che sembrava una nuova svolta sulla strategia geopolitica giapponese. Alla fine di dicembre, la segretaria di Stato statunitense, Hillary Clinton, ha convocato l’ambasciatore giapponese per dire chiaro e tondo che gli Stati Uniti non avrebbero cambiato idea sui termini del nuovo accordo sulle basi militari. Il Washington Post informa che adesso gli USA sono “sconvolti” con Hatoyama, e considerano la posizione giapponese più “problematica” di quanto avessero pensato in precedenza. E’ vero che i due giornali principali del Giappone, l’Asahi Shimbun e lo Yomiuri Shimbun, hanno scritto editoriali e articoli d’opinione durante quest’ultimo mese con cautela su questa rottura con gli USA. Ma lo hanno fatto anche i giornali conservatori della Germania quando si allontanò dall’allineamento totale dagli USA. Tuttavia, Hatoyama è sotto pressione politica per diminuire la distanza dagli USA, e quindi esita. Ma esitare non è la stessa cosa che restaurare stretti legami con qualsiasi alleato che precedentemente non aveva bisogno di preoccuparsi della fedeltà dei suoi “solidi pilastri”. Attualmente si pensa che il governo conservatore della Corea del Sud condivida il punto di vista statunitense verso il Giappone. Ma, lo stesso allontanamento della Corea del Sud rispetto agli USA cominciò tempo fa, ed inizialmente sotto lo stesso partito conservatore che adesso è al potere. Nel 2003, il governo sudcoreano ammisse che stava arricchendo uranio e plutonio, in segreto, da 20 anni. Il processo è stato ben al di là di tutto ciò che l'Iran è stato accusato di fare, creare armi nucleari, in violazione dell'Accordo di Salvaguardie. Questo non è mai stato trasmesso al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, International Atomic Energy Agency, ma rivela il grado di autonomia del governo della Corea del Sud per quanto riguarda la dipendenza degli Stati Uniti. Se si unisce ciò che sta accadendo in Giappone e Corea del Sud con la crescente riaffermazione geopolitica della Cina, sembra abbastanza probabile che nel prossimo decennio assisteremo ad un movimento importante per creare la Comunità dell’Asia Orientale proposta da Hatoyama. E mentre la Germania e la Francia si avvicinano alla Russia, ed il Giappone e la Corea del Sud si avvicinano alla Cina, gli Stati Uniti non possono più contare, in nessun modo, con i due solidi pilastri sui quali costruì la sua strategia come potenza (un tempo) egemonica del sistema–mondo. Fonte: http://www.jornada.unam.mx/2010/01/10/index.php?section=opinion&article=018a1mun Tradotto per Voci Dalla Strada da VANESA

GEAB 41 - Decennio 2010-2020: verso una vittoria per KO dell'oro sul dollaro

E' disponibile il GEAB n. 41, parte gratuita. Traduzione ruvida da google più tocco caprino. Ecco qui, e a breve il resto. GEAB 41 - Decennio 2010-2020: verso una vittoria per KO dell'oro sul dollaro La Federal Reserve non è più in grado di continuare la sua multidecennale lotta contro i barbari al fine di garantire la supremazia della valuta statunitense nel sistema monetario internazionale. Come LEAP/E2020 analizza in questo GEAB41, il decennio che comincia sarà segnato dal KO completo del Dollaro (ed il ribasso della maggior parte delle grandi divise internazionali) contro l’oro. Abbiamo spesso sottolineato in diversi numeri del GEAB: l'oro è sia un investimento a medio / lungo termine destinato a garantire il capitale contro i rischi di perdita di valore della carta-moneta e attività finanziarie, ed un possibile mezzo di pagamento in caso di molto grave crisi monetaria. In entrambi i casi, la scelta di mettere l’oro da una da........... http://informazionescorretta.blogspot.com/2010/01/e-disponibile-il-geab-n.html

Agli americani adesso piace piccolo

Economiadi Pietro Salvato
pubblicato il 19 gennaio 2010 alle 11:00 dallo stesso autore - torna alla home

Forse negli Usa siamo alba di una vera e propria rivoluzione culturale. Basta col gigantismo. Non solo le macchine piccole ed ecologiche tanto care a Barack Obama. Sul web è nato “Move your money”: via i soldi dalle major bank a favore di depositi solo presso piccole banche locali “alternative”. Piacerà pure in Italia?

arianna huffington Agli americani adesso piace piccoloIn principio fu la bolla. Quella stessa crisi finanziaria che ha portato al fallimento di Lehman Brothers, al salvataggio di Aig e delle agenzie di mutui Fannie Mae e Freddie Mac a carico del Tesoro americano e, quindi, del contribuente americano. Una crisi che secondo il premio Nobel per l’economia, Joseph Stiglitz costerà qualcosa come 1.500 miliardi di dollari nel solo triennio 2007-2010.

IT’S THE END… AS WE KNOW IT – Tutto cominciò con la bolla immobiliare a cavallo della prima metà degli anni ‘90. I tassi erano favorevoli e molto bassi. Proprio in quegli anni, poi, venivano alla luce quegli strumenti finanziari come i derivati, gli hedge fund ed altri prodotti analoghi che promettevano guadagni straordinari. I mutui venivano offerti a tutti, anzi venivano offerti, in particolare, proprio a quelli che potevano avere, con più facilità, difficoltà a pagare. Ma le banche non si sono curate di tutto questo. Allora, i soldi si facevano a palate. Il valore delle case cresceva a dismisura, secondo la formula: “chi compera oggi, guadagnerà domani“. Anche questo, del resto, fu parte integrante di quel nuovo “american dream” nato con Ronald Reagan e poi pasciuto con Bill Clinton. Le major bank incassavano sui mutui commissioni altissime. Erano le stesse banche che tagliavano, spezzettavano ed impacchettavano i propri prodotti finanziari e li rivendono in mezzo mondo. Tutto filò come l’olio per almeno un decennio, fino al 2007 per la precisione. Proprio nell’estate di tre anni fa,ormai, improvvisamente, i prezzi delle case incominciarono a scendere, e lo fecero in modo brusco e repentino. In molti si ritrovarono col mutuo che valeva più della casa. Immediatamente o quasi, incominciarono le insolvenze. Molte famiglie non avevano i soldi per pagare, si erano indebitate fino al collo e le carte di credito, una vera pacchia oltreoceano, generavano a loro volta altri debiti ancora. Il castello di carte finanziarie cominciava a ripiegare su se stesso. Il collasso era vicino. Mancavano i soldi per pagare regolarmente le cedole dei titoli immobiliari di cui banche e società finanziarie di tutto il mondo si erano riempite. Arrivarono così ingenti perdite. La borsa cominciò una vertiginosa picchiata, i titoli crollavano e diventavano spazzatura. La crisi del mattone era cominciata.super barack obama Agli americani adesso piace piccolo

SMALL IS BETTER – Sul banco degli imputati, quindi, ci sono finite le major bank americane, le quali non solo hanno riempito il mercato dei loro prodotti “tossici”, ma poi sono state salvate, garantite e messe in sicurezza dall’intervento diretto del governo di Barack Obama. Contro questi giganti, spesso tanto arroganti quanto dai piedi di argilla, si è diretta, in questi mesi, la rabbia di tanti cittadini americani. E’ su questa nuova ondata d’indignazione popolare che è sorta, a cominciare proprio dal web, la campagna Move your money“ ovvero “muovi i tuoi soldi”, che in poche settimane, grazie in particolare ai social network come Facebook e Twitter, sta convincendo migliaia di risparmiatori americani a chiudere il proprio conto corrente presso le major bank e ad aprirne uno nuovo presso i piccoli istituti di credito, quelli più legati agli interessi delle piccole comunità. Paladina del movimento è diventata Arianna Huffington, la giornalista-blogger, d’orientamento liberal, del noto ed informatissimo blog, Huffington Post. [ ] Sul sito MYM si legge: “le banche locali generalmente evitano gli investimenti irresponsabili e le manovre finanziarie che hanno portato alla crisi“. La rete adesso sta facendo il resto. Il movimento si sta sviluppando e sta, allo stesso tempo, crescendo il numero degli americani che vogliono “spostare il sistema finanziario da Wall Street a Main Street“. “Una campagna che sta avendo risonanza per una ragione” sostiene il portale finanziario di Wall Street, American Banker, che pur considerando, ancora, marginale l’iniziativa “il settore della società a cui si rivolge l’Huffington Post è limitato“, si mostra, allo stesso tempo, preoccupato per come “la rabbia ed il sospetto che si sono costruiti contro le banche, potrà creare dei danni“. La potente lobby cristiana americana, invece, sembra molta attenta al fenomeno. Sul quotidiano Christian Science Monitor si legge che sul sito di Move your money “è disponibile un motore di ricerca. Basta introdurre la città, il zip code (l’equivalente del nostro C.a.p.) per ottenere una lista delle banche “alternative” più vicine da contattare. Da quando il sito è stato creato, dicono i gestori, il motore di ricerca viene consultato almeno 50mila volte al giorno“. Il boom si è registrato soprattutto dopo che Arianna Huffington è stata ospite alla Cnn per promuovere la sua campagna. Nel giro di 48ore, 80mila persone hanno usato il motore per trovare la banca locale più vicina. A Wall Street, più di un operatore, comincia ad ammettere che la campagna può “instillare nei consumatori, soprattutto quelli che vivono nelle aree rurali, lontani dalle grandi città a guardarsi intorno con più attenzione quando si compiono operazioni bancarie“, ovviamente a discapito delle filiali delle grandi banche nordamericane. L’iniziativa, è facile immaginare, potrebbe prendere piede anche nel nostro paese. In Italia, come tristemente sappiamo, i grandi istituti di credito prestano col contagocce il denaro ai risparmiatori più deboli e, spesso, pongono vere e proprie condizioni capestro sui servizi offerti. Inoltre, in Italia, è già presente un sistema di piccole banche (al contrario della situazione americana), di casse di risparmio e di credito cooperativo molto capillare e spesso efficiente. Staremo a vedere.

http://www.giornalettismo.com/archives/47924/%ef%bb%bfagli-americani-adesso-piace/

L’era del petrolio a basso prezzo è finita. Ed è una buona notizia

top-secret

Nei prossimi due anni vi ritroverete probabilmente a pagare prezzi alla pompa di benzina molto più alti di quelli cui siete abituati (fortunatamente il mio UFO si alimenta alternativamente). Grandi cambiamenti stanno arrivando nel comparto dell’industria petrolifera, soggetta ad un continuo aumento di domanda e di decrescita di scorte l’industria petrolifera deve abbandonare le strategie figlie dell’era del petrolio facile.

Purtroppo quasi ogni genere di bene contemporaneo è prodotto e/o trasportato con il petrolio. Le implicazioni sono dunque preoccupanti: aumenti generalizzati nel prezzo dei beni e dunque inflazione. Dove sta la buona notizia? Secondo il Guardian, che cita una ricerca dell’università svedese di Uppsala, l’attuale capacità di produzione giornaliera di 85 milioni di barili diventerà nel 2030 pari a 75 milioni di barili. Ovvero stiamo vivendo il “peak oil”, il picco della capacità estrattiva. Ma, accidenti, dove sta la buona notizia?

Sarebbe banale dire che la buona notizia è la possibilità di sfruttare il rialzo del prezzo del petrolio, in realtà quello che ritengo la buona notizia è questo: L’elevato prezzo del petrolio aiuterà molto i bilanci dei Paesi occidentali. E vi spiego perché. Da quest’anno inizierà tra i Paesi Sviluppati una fase di concorrenza nelle emissioni obbligazionarie, e alcuni dei Paesi detentori di liquidità (nonché storici massicci acquirenti di bond), ad esempio Cina ed India, stanno iniziando a dirottare i loro interessi verso l’oro, altri –il Giappone- hanno annunciato di aver interrotto gli acquisti di debito estero. Occorrono dunque nuovi acquirenti, non ci sarebbe disastro maggiore dell’insolvenza di Stato. Quale, dunque, acquirente migliore dei danarosi paesi OPEC? I prezzi alti del petrolio permetteranno elevati flussi di denaro per quei Paesi, e consentiranno loro di sottoscrivere la carta che verrà messa sul mercato. Inoltre un prezzo del petrolio elevato, con l’inflazione che ne segue, aiuta ad erodere i debiti pubblici. Eccovi servita una delle facce della exit-strategy…

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Due visioni del mercato

Il precedente post di Giannino apre una serie di questioni fondamentali su cui probabilmente tornerò una volta letto Ahdieh: per il momento mi limiterò a riflettere sul rapporto tra la visione walrasiana dei mercati e quella austriaca. Il legame, tenue, è che entrambe le visioni sono totalmente individualistiche, anche se con profonde differenze, e le differenze interessanti sul piano della visione walrasiana vs visione mengeriana del mercato sono molto importanti.

Solita premessa: l’idealtipo neoclassico non esiste, esiste una retorica neoclassica e soprattutto un modo neoclassico di insegnare l’economia che fa perdere di vista alcuni temi fondamentali in nome di determinati errori teorici e metodologici. Il perfettismo traspare nelle interviste a Fama o nelle equazioni di Prescott, nei testi di Sargent o nei ragionamenti di Becker, però nessuno rispetta perfettamente la parte. L’idealtipo neoclassico, come tutti gli idealtipi, è una forzatura sociologica.

Nell’economia standard (equilibrio generale walrasiano) l’agente ha una razionalità illimitata e ha in mente una struttura completa (in genere descritta probabilisticamente) del mondo che lo circonda. La sua immagine dell’universo coincide con l’universo stesso, non c’è incertezza ma solo rischio, non c’è errore ma solo correzioni a posteriori dovute all’arrivo di nuova informazione, non c’è mancata coordinazione ma solo un aggiustamento ottimale a fenomeni che sono sempre e comunque reali. Ovviamente esistono modelli di fallimento di mercato, ma i modelli sopra descritti sono la base della visione del mondo dei “liberisti”. Ripeto: sarebbe una forzatura dire che questa è la Scuola di Chicago: gli scritti di Friedman o Phelps non mostrano nulla di questo perfettismo (al contrario, la tradizione più formalistica, per non dire manieristica, è più tipica di certi neokeynesiani). Però le equazioni formali dicono questo, e a questo punto tanto vale prenderle alla lettera e vedere l’effetto che fa.

Nell’economia austriaca ci sono agenti eterogenei con razionalità limitata, che si fanno un’idea del resto del mondo grazie al sistema dei prezzi, e cercano di coordinarsi attraverso di esso usando la propria informazione privata. Ogni novità genera un cambiamento, e lo sfruttamento delle opportunità di profitto e la rimozione delle perdite fa sì che gli imprenditori pian piano riescano a coordinarsi. Esistono gli errori, ovviamente, ed esiste anche almeno un meccanismo sistematico di creazione di errori, la manipolazione del tasso di interesse e del premio del rischio (moral hazard) che fa sì che gli imprenditori siano preda di esternalità sistematiche che portano a risultati imbarazzanti. Il mercato austriaco non è mai all’equilibrio finale, perché la coordinazione richiede tempo (richiede sia movimenti dei prezzi che movimenti delle risorse reali): esistono sempre opportunità di mutuo vantaggio dalla divisione del lavoro ed esistono problemi organizzativi (costi di transazione) che occorre minimizzare in modo da garantire che i vantaggi potenziali della divisione del lavoro siano realizzati al meglio.

Nel modello neoclassico tutto ciò manca. Una delle conseguenze è che non c’è alcun motivo a priori per credere che un politico ben intenzionato possa amministrare l’economia dall’alto. Se veramente ogni agente è massimizzante in quel modo, allora non esiste il problema del calcolo economico di cui parlavano Mises e Hayek. In un mondo dove l’equilibrio walrasiano non è una curiosità intellettuale ma una realtà, non c’è motivo di credere che la pianificazione centralizzata dell’economia sia impossibile. Esistono solo problemi di incentivi, ma i problemi di questo tipo si possono risolvere, magari disegnando qualche “meccanismo”.

In un modello del genere non c’è neanche bisogno della moneta e dei prezzi come strumento di coordinazione (la moneta è neutrale salvo trucchi modellistici ad hoc): l’economia monetaria walrasiana è superflua, perché ogni merce può essere unità di conto, e non c’è veramente bisogno di mezzi di scambio, e manipolare la moneta non ha alcun effetto. L’economia monetaria cerca di spiegare una cosa che per le sue stesse assunzioni è inutile attraverso ipotesi ad hoc riguardo le transazioni o l’utilità della moneta. Poi la Fed fa un disastro e nessuno sa perché: che sorpresa.

La visione dell’economia che viene fuori prendendo alla lettera i modelli walrasiani è poco adeguata a trattare fenomeni come la moneta o capire problemi come la pianificazione economica. Gli agenti dovrebbero essere onniscienti prima ancora di iniziare gli scambi, oppure il banditore walrasiano dovrebbe coordinare gli agenti prima che inizino gli scambi. Senza questo deus ex machina esistono solo scambi di non-equilibrio, e questi porteranno ad una dinamica diversa (come in “The complexity of exchange” di Axtell: wealth effects, path dependency…). Il sistema walrasiano è possibile solo se si conosce l’esito finale del mercato prima di iniziare ad operare sul mercato, errore su cui gli austriaci (si pensi a “Economics & Knowledge” di Hayek) hanno detto moltissime cose fondamentali.

La matematica è una tecnica di trasformazione di tautologie. L’economia walrasiana parte dalla tautologia che esseri onniscienti riusciranno a coordinarsi in maniera efficiente. L’economia keynesiana parte dalla tautologia che se i prezzi non si muovono allora dovranno muoversi le quantità reali (i neokeynesiani sono diventati sofisticati, abbastanza da chiamare i NAS, direbbe Frankie Hi-NRG, ma l’idea è rimasta fondamentalmente la stessa), a meno che un governo onnipotente, onnisciente, infinitamente buono e misericordioso (Nirvana fallacy, si direbbe) non governi la domanda aggregata.

L’economia walrasiana ha superato la sua utilità: esistono fenomeni che si possono comprendere assumendo che certi problemi non esistono, che la moneta è superflua e che gli agenti sanno tutto ciò che è rilevante, ma usare una teoria così limitata e specifica per capire ogni fenomeno economico non ha granché senso, a meno che non viviamo veramente in un mondo walrasiano, cosa del tutto assurda.

http://www.chicago-blog.it/2010/01/18/due-visioni-del-mercato/

SCENARIO/ Pelanda: così la Bce mette a rischio i nostri risparmi

martedì 19 gennaio 2010

Il nervosismo nelle stanze della Bce e delle istituzioni e governi europei in relazione alle sorti dell’euro, negli ultimi giorni, è stato molto maggiore di quanto riportato dai media. Vogliono nascondere un grosso problema, ma qui non glielo lasciamo fare.

Il problema nasce dal rischio di insolvenza del debito pubblico greco e dall’effetto contagio che questo può avere nelle percezioni del mercato sulla solidità di altri debiti nazionali, in particolare quelli di Portogallo, Spagna e Irlanda. E anche Italia. Il punto è: se una nazione che adotta l’euro non ripaga il debito, cosa succederà alla moneta unica?

I dubbi del mercato sulla Grecia sono stati un primo test. Il valore di cambio dell’euro è sceso pur in una tendenza di dollaro debole, segno di un rischio percepito che all’insolvenza dei debiti potrebbe corrispondere un rischio di dissoluzione dell’euro stesso. Ora tale rischio è in effetti un'esagerazione. Ma se si osservano le difficoltà prospettiche di molte euronazioni di tenere in equilibrio i bilanci pubblici, tra cui Francia e Germania, il rischio non può più essere escluso.

Ciò è un enorme problema perché, alla fine, si traduce in un costo maggiore sia per rifinanziare i debiti sia per pagarne gli interessi (che all’Italia costano già 5 punti di Pil all’anno, circa 75 miliardi). Tale insostenibilità potrebbe costringere le nazioni più inguaiate a uscire dall’euro, risolvendo il problema del debito con l’opzione catastrofica - ma pur sempre una soluzione - di svalutazione della moneta e insolvenza delle obbligazioni debitorie, eventualità che porterebbe alla dissoluzione della moneta unica e dell’Europa.

Ai primi segnali che tale pericolo non è più escludibile, la Bce ha risposto, in modo poco efficace, che è, invece, da escludere. I governi hanno fatto perfino di peggio. Prima hanno garantito che le euronazioni nei guai non verranno lasciate sole (Merkel), poi hanno sottolineato che ogni nazione dovrà mettersi in ordine da sola. Segno che non c’è un’idea chiara e comune su come difendere la stabilità dell’euro. Ma sarebbe possibile trovarla?

Certamente. Sui piani nazionali andrà posto un limite assoluto alla crescita dei debiti. La Germania ha posto in Costituzione (Carta fondamentale) nel giugno 2009 il divieto di fare deficit pubblici oltre lo 0,35 per cento dal 2016 in poi a livello di bilancio federale, dal 2020 a quello degli enti locali. Le altre nazioni dovrebbero fare lo stesso, l’Italia per prima.

Ma non è finita. Non ha senso avere una moneta comune europea e mantenere sovrani i debiti. Anche se i trattati lo escludono, bisognerà integrare i debiti nazionali in un unico pacchetto europeo o garantirli formando un “patrimonio europeo” (fondo di eurogaranzia). E, soprattutto, formare un eurogoverno integrato dell’economia.

Io, di fronte ai primi dubbi sulla tenuta dell’euro, avrei annunciato l’avvio, almeno, di una ricerca comune in questa direzione, dando al mercato il segnale che l’Europa capisce il problema e lo risolverà. Ma governi ed eurotecnocrati non lo hanno fatto, mettendo così a rischio i vostri risparmi e redditi futuri. E hanno agito così perché contano sul fatto che la gente, oltre a non interessarsi a questa materia, non la capisce e pertanto non farà pressioni verso la giusta direzione.

Brutta storia. Cerchiamo di darle un lieto fine chiarendo sui giornali che non è più rimandabile la piena integrazione politica europea per reggere la moneta unica.

www.carlopelanda.com

http://www.ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2010/1/19/SCENARIO-Pelanda-cosi-la-Bce-mette-a-rischio-i-nostri-risparmi/61985/

BERNASCONI

In Borsa é giunto il momento di essere prudenti ed un cambiamento di tendenza potrebbe essere vicino. Anche per noi é arrivato il momento per fare dei cambiamenti. Dal 1. febbraio parte un nuovo servizio per la clientela privata. A questo scopo apriremo un nuovo sito: www.bernasconiconsult.com Nella rubrica "Il punto dolente" ottenete maggiori chiarimenti.

Ieri in America era giorno di festa ed i mercati finanziari sono rimasti chiusi. Di conseguenza é successo poco e ci limitiamo ad un breve aggiornamento. Le borse europee hanno reagito al rialzo dopo che venerdì Wall Street aveva terminato la seduta lontano dai minimi della giornata. DAX (+0.72% a 5918 punti) e Eurostoxx50 (+0.60% a 2957 punti) hanno colmato parte delle perdite di venerdì senza però riuscire a rafforzarsi sostanzialmente dopo una buona apertura. Come scritto nel commento di ieri prevediamo nel corso della settimana un'attacco verso il basso. Stamattina i mercati asiatici sono in negativo e l'Europa dovrebbe riaprire le contrattazioni con lievi minusvalenze (ca. -0.2%). Dollaro e oro sono invariati. In un mercato ipercomperato e sopravvalutato i compratori sono stanchi ed appaiono venditori. I rischi verso il basso superano un'eventuale potenziale di rialzo. Solo i grafici americani sono ancora costruttivi ed il trend rialzista sussiste. Se la nostra analisi strutturale é corretta questa situazione dovrebbe cambiare - in peggio.

La festa di matrimonio é finita e gli sposi si stanno congedando. Non é un'addio ma il momento di lasciare gli ospiti da soli a divertirsi. La borse danno ormai chiari segnali di debolezza ed una ripresa del trend rialzista é momentaneamente fuori discussione. Con l'alternativa tra un ribasso ed un movimento laterale é meglio abbandonare per ora i mercati azionari ed assumere un'atteggiamento difensivo.

Venerdì le borse europee hanno subito pesanti perdite rompendo i primi significativi supporti. La performance settimanale ha così raggiunto circa un -2.5%. Meglio ha fatto l'America. L'S&P500 ha ripetuto la seduta di martedì scendendo fino ai 1131 punti per poi recuperare e chiudere a 1136 punti, in ribasso del -1.24%. Su base settimanale le perdite sono state del -0.78%. La tecnologia ha fatto peggio - il Nasdaq100 ha perso venerdì il -1.17% portando la perdita settimanale ad un -1.48%. Il calo dai massimi a 52 settimane raggiunto giovedì (!) é però contenuto - perché allora questo nostro improvviso pessimismo? Strutturalmente il mercato si sta indebolendo e sgretolando. Venerdì i nuovi minimi a 20 giorni sono saliti a 569 contro i 393 di martedì: improvvisamente appare pressione di vendita. Abbiamo settori che sembrano entrati in ribasso come i semiconduttori (venerdì -3.44% malgrado i buoni risultati di Intel). Anche finanziari, banche (BKX - 2.16%) e petroliferi (calo del prezzo del petrolio su base settimanale del -5.20%) hanno perso di smalto e sembrano preferire la strada verso il basso. Il quadro generale si degrada e tra rottura dei supporti in Europa e peggioramento tecnico in America vediamo abbastanza nuvole all'orizzonte per indurci alla prudenza. Se tutto va bene i mercati azionari si bloccano in un movimento laterale con l'S&P500 tra i 1150 ed i 1120 punti. Ma l'alternativa é un'accelerazione al ribasso. In fondo introduciamo solo una nota negativa nel nostro scenario di una settimana fà: "Pensiamo che il potenziale di rialzo sia limitato ed i massimi del 2010 difficilmente superabili (massimi marginali possibili). Il prossimo movimento significativo dovrebbe essere verso il basso ma é ancora troppo presto - i ribassisti devono aver pazienza ed attendere il loro turno. Il trend di base resta rialzista." Oggi é il Martin Luther King Day ed i mercati finanziari americani restano chiusi. Le borse europee recupereranno stamattina parte delle perdite di venerdì (+0.5% fino a +1%) e consigliamo di utilizzare questi livelli per ridurre posizioni azionarie. Sconsigliamo speculazioni al ribasso.

Venerdì il dollaro americano ha fatto un balzo verso l'alto. L'USD Index é salito a 77.32 punti tornando sopra il supporto a 77 punti. Il cambio EUR/USD stamattina é a 1.4385. Il rialzo del dollaro sembra riprendere e potrebbe sostenere un'eventuale ribasso delle borse. L'oro stamattina é a 1136 USD/l'oncia - pensavamo che il prezzo del metallo giallo dovesse scendere fino ai 1000 USD prima che il rialzo riprendesse ma forse ci siamo sbagliati. Precedentemente avevamo previsto che: "la correzione in atto ha il potenziale di far ridiscendere il valore del metallo giallo sotto i 1000 USD. Il trend a lungo termine é però rialzista ed i 1000 USD potrebbero costituire un'interessante livello d'acquisto."

Leggete il nostro avviso o visitate il nuovo sito !!!

Passiamo ora ad esaminare la situazione (charts a sei mesi) sui singoli mercati.

L'S&P500 (-1.08% a 1136 punti) non é riuscito a superare i 1150 punti toccati giovedì ed é stato respinto verso il basso. Notiamo un degrado strutturale e riteniamo che ora l'indice dovrebbe andare a testare il limite inferiore della banda d'oscillazione prevista: "L'S&P500 dovrebbe quindi bloccarsi in un movimento laterale tra i 1120 ed i 1150 punti." Oggi Wall Street é chiusa per ferie.

Il Nasdaq100 (-1.17% a 1864 punti) ha perso terreno malgrado i buoni risultati di Intel. Ora dovrebbe scendere a testare il supporto: "Supporto é a 1820 punti. Non abbiamo l'impressione che l'indice sia già pronto ad accelerare al ribasso e per i prossimi dieci giorni favoriamo un movimento laterale tra i 1820 ed i 1900 punti." La struttura tecnica sta peggiorando ed i rischi verso il basso aumentano.

L'Eurostoxx50 (-1.65% a 2940 punti) é caduto pesantemente rompendo il primo signficativo supporto a 2960 punti. Il supporto seguente a 2940 punti, costituito dal massimo di novembre, ha bloccato il ribasso. Stamattina l'indice dovrebbe risalire sui 2960 punti. A medio termine vediamo un degrado della situazione. È possibile che l'indice si blocchi ora in un movimento laterale tra i 2940 ed i 3044 punti ma un'accelrazione al ribasso in direzione 2800 punti diventa possibile.

Il DAX (-1.89% a 5876 punti) é caduto come l'Eurostoxx50. Lo scenario di lunedì scorso ha trovato una prima conferma: "Prossima forte resistenza é solo a 6150 punti, supporto é sui 5850 punti. Il trend é rialzista e per ora non esistono segnali per un cambiamento di tendenza. Noi però favoriamo a breve l'inizio di un periodo negativo ed attendiamo sviluppi in questo senso." Stamattina il DAX dovrebbe recuperare ed aprire sui 5900 punti. Durante la settimana ci aspettiamo però un ritorno della debolezza ed un'attacco in direzione 5850-5800 punti.

L'SMI (-0.78% a 6576 punti) si é indebolito come il resto dell'Europa. Vi ricordiamo la previsione di lunedì scorso: "Il trend é positivo e l'indice potrebbe salire verso la prossima resistenza a 6850-6890 punti. Come per gli altri indici e malgrado la mancanza di conferme tecniche, noi favoriamo però l'inizio di una fase negativa. Supporto é a 6500 punti." In teoria l'indice dovrebbe bloccarsi in un movimento laterale tra i 6500 ed i 6666 punti (massimo annuale). Vediamo però maggiori rischi verso il basso.

Scenario 2010 Per i prossimi mesi prevediamo una sostanziale correzione delle borse dopo il rally di marzo - dicembre 2009. Probabilmento l'S&P500 toccherà nel corso di quest'anno un minimo tra i 740 ed i 820 punti. La performance annuale dovrebbe essere negativa e l'S&P500 dovrebbe terminare il 2010 intorno ai 900 punti. Gli analisti fondamentali stanno continuamente rivedendo le stime degli utili delle società. Ad un certo momento erano scesi fin sotto i 30 USD. Ora che la recessione sembra alle nostre spalle, le stime ufficiali per il 2009 (al 3 novembre 2009) sono risalite a 56.22 USD. Quelle per il 2010 sono addirittura al'incredibile livello di 74.99 USD. Capitalizzando gli utili 2009 con un P/E normale di 15/16 si arriva ad un valore teorico dell'S&P500 di 900 punti. In questi dati é però scontato un recupero marcato dell'economia ed un forte aumento degli utili delle imprese. Ricordiamoci che gli utili operativi 2008 delle società dell'S&P500 sono stati di 15.09 USD. Debitiamo inoltre che i dati relativi al 2010 siano realistici. Di conseguenze stimare ora correttamente gli utili delle società e determinare un giusto rapporto P/E per capitalizzare questo valore é un'impresa ardua. Troppe sono le variabili e le incognite. Se gli utili risalissero solo a 50 USD e la ripresa fosse anemica (come ritiene una buona parte degli economisti), un P/E di 12 sarebbe più adeguato portando il valore teorico dell'S&P500 a 600 USD. Riassumendo, tecnicamente e fondamentalmente i 1115 punti di S&P500 raggiunti a fine 2009 corrispondono secondo noi ad una sopravalutazione del mercato. La prossima dovuta sostanziale correzione ci dirà a quale punto si trova la congiuntura mondiale.

Richiedete informazioni a analisi_tecnica@longshortinvest.com Non rispondiamo a mails anonime.

Bernasconi Consult, gestione patrimoniale e consulenza finanziaria Rütistrasse 13, CH-8702 Zollikon Tel. +41 43 499 63 84 EMail: bernasconi@longshortinvest.com http://www.longshortinvest.com/4603.html

IL NUOVO SOGNO AMERICANO: SOBRIETA' e RISPARMIO!

Sul Foglio del 18 dicembre, Felli Ernesto e Tria Giovanni, esplorano un inconsueto elogio, al "Paradosso della parsimonia", il risparmio in tempo di crisi, quella dinamica economicamente "negativa" in un momento nel quale l'economia avrebbe bisogno di consumi. Non tutti i mali vengono per nuocere, come la febbre nelle malattie, è necessaria per permettere all'organismo di riprendersi, il risparmio e la sobiretà, sono necessarie a questa società, per trovare una nuova e migliore dimensione di sostenibilità.
Non si può nascondere che il risparmio medio della famiglia italiana, il suo virtuosismo passato, tralasciando alcune tendenze odierne, ha evitato alla nostra nazione, una dinamica ben più terribile di questa crisi. Oggi altri sono i problemi, altri gli squilibri, altre le ombre che avvolgono questo paese, dove la Famiglia è lasciata a se stessa, in balia degli eventi, ma il discorso sarebbe ben più complesso e non è possibile affrontarlo in due righe. L'Italia è uno dei paesi al mondo dove per la famiglia il sostegno economico è sostanzialmente assente. Mi affascina e allo stesso tempo irrita, la continua ricerca delle cause sociali di questa crisi antropologica, in maniera particolare mi irritano le tavole rotonde e i forum, sul disagio giovanile, sulle dinamiche sociali, alla ricerca di una risposta che sta sempre e solo nella Famiglia, Famiglia che nel tempo si è contribuito a minare nelle sua fondamenta.
Benvenuta sobrietà, benvenuto risparmio dunque, anche se non naturale, anche se determinato da una necessità, dopo anni di eccessi, di demenziale consumo esponenziale.
" Non solo Draghi. Ecco gli insospettabifi economisti che elogiano il risparmio come motore della ricchezza nazionale Ci si può compiacere dell'evidenza empirica che scaturisce dall'ultima rilevazione di Bankitalia sulla ricchezza delle famiglie italiane (2008). E darne una lettura consolatoria, come fa ad esempio il Foglio di giovedì in uno dei commenti di pagina tre. Il succo di questo tipo di lettura è che il comportamento prudente delle famiglie italiane ha risparmiato al nostro paese gli effetti più perversi della crisi finanziaria, che invece si sono scaricati brutalmente sui meno previdenti risparmiatori degli altri paesi europei e dell'area anglosassone. Naturalmente, un'interpretazione rassicurante dei dati della rilevazione della Banca d'Italia non è un esercizio d'ingiustificato ottimismo patriottico, giacché gli elementi di solidità non sono un miraggio statistico."
" Forse il dato migliore nel confronto internazionale è rappresentato dall'ammontare di passività delle famiglie italiane il 74 per cento del reddito disponibile, il valore più basso tra i paesi considerati da Banlcitalia, contro il 100 per cento in Francia e Germania, il 130 negli Stati Uniti, il 140 in Canada e il 180 per cento nel Regno Unito. Tuttavia, nel 2008 la ricchezza netta complessiva delle famiglie italiane, ossia la somma di attività reali (abitazioni, terreni, ecc.), attività finanziarie (titoli, azioni, depositi, ecc.) e passività (mutui, prestiti personali, ecc.) è diminuita sia a prezzi correnti (-1,9 per cento), soprattutto a causa del calo della componente finanziaria (per effetto della forte diminuzione delle attività e di un aumento delle passività), sia a prezzi costanti (-5 per cento), Ora, tenendo presente che le variazioni della ricchezza in termini reali sono dovute a due componenti guadagni e perdite in conto capitale e risparmio c'è da dire che il comportamento virtuoso del risparmio è riuscito a compensare solo in parte le perdite in conto capitale (521 miliardi di euro), dovute principalmente alla riduzione dei corsi azionari. D'altra parte, nel periodo 1995-2008, è il risparmio che ha contribuito in modo pi consistente (per il 60 per cento) e stabile alla crescita della ricchezza. Ci detto, se guardiamo alla ricchezza netta per famiglia si notano due andamenti. Una riduzione della ricchezza reale tra il 2007 e il 2008, che l'ha ri portata sui livelli d'inizio decennio, e il perdurante elevato grado di concentrazione. Nel 2008 il 10 per cento pi ricco delle famiglie italiane deteneva il 44 per cento della ricchezza complessiva, mentre la metà pi povera si doveva accontentare del solo 10 per cento. Un altro elemento distintivo della situazione italiana, è costituito dalla preponderanza delle attività reali quasi il 70 per cento della ricchezza netta e delle abitazioni all'interno di dette attività (l'82 per cento). Alla fine del 2008 la ricchezza in abitazioni detenuta dagli italiani ammontava a circa 4700 miliardi (196 mila euro in media per famiglia). La propensione degli italiani all'investimento immobiliare è una faccenda di tradizioni, cultura e spiriti animali, dalla quale per non è estraneo un relativo ritardo del sistema finanziario , come scrivono i ricercatorì della Banca d'Italia. "
" Quale sia il valore del risparmio è notoriamente oggetto di controversia. Se John Maynard Keynes ne sottolineava gli aspetti paradossali, nella storia del pensiero e della morale non mancano sia coloro i quali ne hanno tessuto l'elogio incondizionato, sia coloro che ne hanno messo in risalto la sordidezza. E tuttavia, il saggio del risparmio resta un fattore fondamentale della crescita di lungo periodo, secondo la teoria economica di base, essendo alla base appunto dell'accumulazione di capitale."
" E' vero che di recente gli economisti sono stati distratti da altri fattori ma ce ne sono di quelli che continuano a battere sul ruolo fondamentale del risparmio. Uno di questi è Martin Feldstein, l'insigne economista conservatore di Harvard che fu consigliere di Reagan, il quale da sempre cerca di convincere individui e nazioni, a cominciare dal suo poco parsimonioso paese, a risparmiare di più . E a decantare le virtù del risparmio come mezzo per diventare ricchi grazie alla magia dell'interesse composto, che trasforma un maggiore risparmio precoce negli anni iniziali di lavoro in una sostanziosa ricchezza all'atto di andare in pensione. "
"Ma l'elogio del risparmio arriva anche da due insospettabili economisti liberal come il premio Nobel George Akerlof e il rivelatore della esuberanza irrazionale Robert Shiller. Nel loro recente libro (Animal Spirits, 2009), imprevedibilmente Akerlof e Shiller indicano, soprattutto agli americani, la Cina, il cui risparmio complessivo (personale, aziendale e statale) è circa la metà del pil, come modello da prendere ad esempio. Magari drappeggiando le strade con quegli enormi striscioni rossi di tradizione maoista su cui per ora campeggia la scritta: risparmiare è glorioso ."

Un interessante prospettiva ci viene offerta da questo articolo di Usnews diciassette motivi per riscontrare un cambiamento epocale nella mentalità del leggendario consumatore americano:

a) Meno credito più contanti! E' il deleveraging bellezza, aggiungo io, il deleveraging e nessuno può farci niente, nessuno!

b) Basta pagamenti mensili! Basta pagamenti con carte di credito o credito al consumo!

c) Grande Sospetto, mancanza di fiducia! La fiducia si sta estinguendo, nelle istituzioni, nelle banche, nelle grandi imprese e nel governo.

d) Maggiore intraprendenza! Se non è possibile contare su qualcun altro, allora è necessario incominciare a contare sempre più sulle proprie forze, assumendosi le proprie responsabilità.

e) Meno fedeltà alla stessa marca di prodotti! Nessun motivo di pagare di più alcuni prodotti solo in base al nome o alla moda, quando la qualità è in sostanza la stessa delle alternative.

f) Piccolo è grande! Molte cose sono sempre più piccole, come i bilanci delle famiglie e le ambizioni personali, le porzioni, come l'ambizione di una casa piccola, un'auto piccola, porzioni più piccole e la riscoperta delle comunità locali.

g) Il ritorno all'era della locazione! The "ownership society" is over. La società della proprietà è finita. Inutile ricordare come lo tsunami di pignoramenti ha spazzato via il sogno americano, sogno permesso anche a coloro che mai avrebbe potuto aspirare ad un simile sogno. Crollo dei valori immobiliari e conseguente crollo del costo degli affitti. Più pignoramenti, significa più affitti, ma minori prezzi significa nuovo sogno americano e minor costo degli affitti.

h ) Meno shopping, più risparmio! Con un piccolo accenno alle quattro dinamiche che potrebbero far deragliare il treno della ripresa: 1 ) Il proseguimento della depressione immobiliare. 2) Un crollo dei mercati azionari 3 ) un'esplosione del debito pubblico americano 4 ) il paradosso della parsimonia, ovvero il risparmio quando adesso servirebbe il consumo.

i) Reciclo e riutilizzo! Credo non vi sia nulla da aggiungere, una dinamica inevitabile, visto l'alto livello di disoccupazione.

l ) Frugalità alimentare! Meno pizze al ristorante, più pizze da portare a casa.

m) Più hobby e giardinaggio! n) Meno rifiuti, meno spreco! o) Meno assistenza sanitaria! Con l'esplosione della disoccupazione, milioni di anime hanno perso la copertura assicurativa sanitaria o l'hanno tagliata per risparmiare denaro.

p) Maggiori trattative! Meno imbarazzo a chiedere sconti e un'esplosione delle aste su eBay.

q ) Più volontariato! Più tempo libero da dedicare a chi ne ha bisogno, maggiori gratificazioni umane.

r) Redefinizione della parola successo! Secondo l'autore gli americani hanno usato il denaro e il possesso di beni materiali come parametro di successo. Con la situazione occupazionale odierna e la stretta monetaria, gli americani sono in cerca di un posto di lavoro soddisfacente e rinunciano ai beni materiali per poterlo fare.

Una carrellata in ordine sparso del nuovo e obbligato " American Dream ", qualcuno sussurra che mai e poi mai, il consumatore americano potrà intraprendere, la strada del risparmio, non è nella sua indole e nel suo dna. Ci sono dinamiche obbligate che non hanno nazione, non hanno popolo, che necessariamente non sono patrimonio di una o dell'altra cultura.

La Storia insegna che tutto è possibile e se Keynes diceva che ogni volta che risparmi 5 scellini togli a un uomo un giorno di lavoro, sarebbe interessante conoscere cosa pensasse di coloro che invece di risparmiare in maniera sostenibile, accumulano, accumulano, accumulano.....

Perchè.....di tutto conosciamo il prezzo, di niente spesso, il valore, Gibren ci ricorda che il valore di un uomo si misura dalle poche cose che crea, non dai molti beni che accumula.

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Postato da: icebergfinanza a gennaio 19, 2010 06:19 | link | commenti (8)

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