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Scritto da Marcello Foa | |
giovedì 17 dicembre 2009 | |
In un Paese moderno, quando le cose vanno male, tutti dovrebbero dare prova di buon senso e aiutarsi reciprocamente, superando schemi e barriere ideologiche. Tremonti, ad esempio, proponendo una tassa sui petrolieri e la speculazione fa un discorso che non è certo di destra, l’altro giorno la Camera, come già scritto su questo blog, ha approvato all’unanimità la legge sul Made in Italy, eppure nella nostra società permangono resistenze anacronistiche, come quelle di un certo sindacato. Sul Giornale di ieri racconto la storia emblematica di un imprenditore di origine francese, Alain Houli, che vive e lavora da 30 anni in Italia, il quale sebbene abbia retto benissimo alla crisi senza mandare in cassa integrazione neanche un lavoratore, è ostacolato dalla Cgil che anzichè aiutarlo a risolvere i problemi con un manipolo di operai assenteisti cronici, li protegge, chiudendo gli occhi di fronte a minacce gravi in fabbrica. Anzi, fa di tutto per boicottare l’azienda e lo gratifica di un linguaggio da anni Settanta: lo accusa di “trattare gli operai come bestie”, i quali invece hanno stipendi superiori alla media e condizioni ineccepibili, di essere “un padrone che sfrutta i lavoratori” e via dicendo Sia chiaro: io credo che il sindacato abbia un’utilità sociale e che certe lotte in presenza di soprusi. Non lo demonizzo, ma ho l’impressione che le organizzazioni più estreme, come la Cgil, anziché proteggere i lavoratoi onesti e meritevoli, sovente tuteli soprattutto quelli disonesti, gli assenteisti i fubri che, nelle aziende private e in quelle pubbliche, abusano dei diritti e delle protezioni garantite dalla legge. Sarà forse per questo che sempre più persone decidono di non iscriversi al sindacato? Mi chiedo: quando avremo anche in Italia un sindacato moderno,capace di difendere i lavoratori senza danneggiare le aziende che danno ricchezza a questo Paese? PS Se conoscete o siete stati protagonisti di storie come quelle di Houli inviatemele sul blog o al mio indirizzo di email, le considererò volentieri… Da:http://blog.ilgiornale.it/foa
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Scritto da Marcello Foa | |
giovedì 17 dicembre 2009 | |
In un Paese moderno, quando le cose vanno male, tutti dovrebbero dare prova di buon senso e aiutarsi reciprocamente, superando schemi e barriere ideologiche. Tremonti, ad esempio, proponendo una tassa sui petrolieri e la speculazione fa un discorso che non è certo di destra, l’altro giorno la Camera, come già scritto su questo blog, ha approvato all’unanimità la legge sul Made in Italy, eppure nella nostra società permangono resistenze anacronistiche, come quelle di un certo sindacato. Sul Giornale di ieri racconto la storia emblematica di un imprenditore di origine francese, Alain Houli, che vive e lavora da 30 anni in Italia, il quale sebbene abbia retto benissimo alla crisi senza mandare in cassa integrazione neanche un lavoratore, è ostacolato dalla Cgil che anzichè aiutarlo a risolvere i problemi con un manipolo di operai assenteisti cronici, li protegge, chiudendo gli occhi di fronte a minacce gravi in fabbrica. Anzi, fa di tutto per boicottare l’azienda e lo gratifica di un linguaggio da anni Settanta: lo accusa di “trattare gli operai come bestie”, i quali invece hanno stipendi superiori alla media e condizioni ineccepibili, di essere “un padrone che sfrutta i lavoratori” e via dicendo Sia chiaro: io credo che il sindacato abbia un’utilità sociale e che certe lotte in presenza di soprusi. Non lo demonizzo, ma ho l’impressione che le organizzazioni più estreme, come la Cgil, anziché proteggere i lavoratoi onesti e meritevoli, sovente tuteli soprattutto quelli disonesti, gli assenteisti i fubri che, nelle aziende private e in quelle pubbliche, abusano dei diritti e delle protezioni garantite dalla legge. Sarà forse per questo che sempre più persone decidono di non iscriversi al sindacato? Mi chiedo: quando avremo anche in Italia un sindacato moderno,capace di difendere i lavoratori senza danneggiare le aziende che danno ricchezza a questo Paese? PS Se conoscete o siete stati protagonisti di storie come quelle di Houli inviatemele sul blog o al mio indirizzo di email, le considererò volentieri… Da:http://blog.ilgiornale.it/foa
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16 dicembre 2009 (MoviSol) - Il movimento di LaRouche ha dato voce agli oppositori della truffa del riscaldamento globale facendo circolare al vertice di Copenhagen un appello che attacca la politica economica genocida ivi discussa e chiede di sostituirla con il Piano LaRouche per un nuovo sistema creditizio internazionale che garantisca lo sviluppo economico reale in tutto il mondo.
Anche se ai giornalisti dell'EIR sono state negate le credenziali stampa col pretesto che non ci fosse spazio sufficiente all'interno, un gruppo di attivisti del movimento di LaRouche sul posto è intervenuto con forza distribuendo migliaia di volantini, discutendo coi delegati e concedendo interviste alle TV di tutto il mondo, nonché creando un apposito sito per l'occasione (www.copenhagenscandal.org), partecipando alla conferenza alternativa anti-riscaldamento globale ed informando il corpo diplomatico in Danimarca. Dissipando la folta nebbia di lavaggio del cervello anti-crescita che permea la conferenza, gli attivisti del movimento di LaRouche sono stati un fattore importante che si è inserito nella esistente polarizzazione al vertice, aumentando le probabilità che fallisca il tentativo di imporre un accordo vincolante suicida sulle emissioni di CO2.
Denunciando apertamente le vere intenzioni degli oligarchi che si celano dietro la frode del riscaldamento globale, il movimento di LaRouche ha creato il podio per altri che hanno messo in dubbio l'ordine del giorno della conferenza. Questo si nota nelle dichiarazioni dell'attuale capo del G77, il sudanese Lumumba Stanislaus Di-Aping, che ha denunciato "l'Impero" che cerca di "colonizzare l'atmosfera". I 10 miliardi di dollari ai paesi in via di sviluppo proposti nella bozza di accordo danese, ha detto "non saranno neanche sufficienti a comprare le bare" per questi paesi.
Gli attivisti del movimento di LaRouche hanno distribuito migliaia di copie di due volantini, "La frode del riscaldamento globale significa genocidio: adottare il piano LaRouche per lo sviluppo!" e "La frode del riscaldamento antropico: vuoi davvero una dittatura mondiale?". Dopo aver letto il volantino molti delegati di diversi paesi hanno invitato i rappresentanti di LaRouche a discutere con loro la questione dello sviluppo economico. Un delegato africano è tornato dopo aver letto il volantino per dire "sono affermazioni forti, ma probabilmente vere". Ha aggiunto che all'interno della conferenza tutti stavano parlando dell'intervento dello Schiller Institut.
Molte TV e media internazionali, tra cui la TV russa, un quotidiano cinese, ABC Radio dall'Australia, la TV del Kenya, un settimanale francese, diverse TV web, soprattutto dalla Gran Bretagna, hanno registrato brevi interviste coi rappresentanti di LaRouche.
In un servizio dal titolo "gli scettici sfidano il vertice sul riscaldamento globale di Copenhagen" Russia Today, un programma in lingua inglese della TV russa che in precedenza aveva intervisto anche Lyndon LaRouche, ha mandato in onda una breve intervista all'attivista larouchiano Sebastian Perimony (vedi www.movisol.org) che afferma: "Abbiamo discusso con molte persone qui. Sembra che facciano parte di una setta, che dice che il pianeta si disintegrerà se non facciamo qualcosa subito, subito, subito. E ritengo che sia solo propaganda".
Lo Schiller Institut ha avuto anche un forte impatto sui cosiddetti "clima-scettici", partecipando alla Contro-Conferenza sul Cambiamento Climatico dell'8-9 dicembre, organizzata da Climate-Sense (www.climate-sense.com), CFACT (Comitato per un Domani Costruttivo) e NIPCC (NGO sul cambiamento climatico). Gli interventi degli scienziati hanno documentato la frode della teoria del riscaldamento globale.
Il movimento di LaRouche in Danimarca ha in serbo altre iniziative per la seconda ed ultima settimana del vertice.
http://www.movisol.org/09news246.htm
16 dicembre 2009 (MoviSol) - Il movimento di LaRouche ha dato voce agli oppositori della truffa del riscaldamento globale facendo circolare al vertice di Copenhagen un appello che attacca la politica economica genocida ivi discussa e chiede di sostituirla con il Piano LaRouche per un nuovo sistema creditizio internazionale che garantisca lo sviluppo economico reale in tutto il mondo.
Anche se ai giornalisti dell'EIR sono state negate le credenziali stampa col pretesto che non ci fosse spazio sufficiente all'interno, un gruppo di attivisti del movimento di LaRouche sul posto è intervenuto con forza distribuendo migliaia di volantini, discutendo coi delegati e concedendo interviste alle TV di tutto il mondo, nonché creando un apposito sito per l'occasione (www.copenhagenscandal.org), partecipando alla conferenza alternativa anti-riscaldamento globale ed informando il corpo diplomatico in Danimarca. Dissipando la folta nebbia di lavaggio del cervello anti-crescita che permea la conferenza, gli attivisti del movimento di LaRouche sono stati un fattore importante che si è inserito nella esistente polarizzazione al vertice, aumentando le probabilità che fallisca il tentativo di imporre un accordo vincolante suicida sulle emissioni di CO2.
Denunciando apertamente le vere intenzioni degli oligarchi che si celano dietro la frode del riscaldamento globale, il movimento di LaRouche ha creato il podio per altri che hanno messo in dubbio l'ordine del giorno della conferenza. Questo si nota nelle dichiarazioni dell'attuale capo del G77, il sudanese Lumumba Stanislaus Di-Aping, che ha denunciato "l'Impero" che cerca di "colonizzare l'atmosfera". I 10 miliardi di dollari ai paesi in via di sviluppo proposti nella bozza di accordo danese, ha detto "non saranno neanche sufficienti a comprare le bare" per questi paesi.
Gli attivisti del movimento di LaRouche hanno distribuito migliaia di copie di due volantini, "La frode del riscaldamento globale significa genocidio: adottare il piano LaRouche per lo sviluppo!" e "La frode del riscaldamento antropico: vuoi davvero una dittatura mondiale?". Dopo aver letto il volantino molti delegati di diversi paesi hanno invitato i rappresentanti di LaRouche a discutere con loro la questione dello sviluppo economico. Un delegato africano è tornato dopo aver letto il volantino per dire "sono affermazioni forti, ma probabilmente vere". Ha aggiunto che all'interno della conferenza tutti stavano parlando dell'intervento dello Schiller Institut.
Molte TV e media internazionali, tra cui la TV russa, un quotidiano cinese, ABC Radio dall'Australia, la TV del Kenya, un settimanale francese, diverse TV web, soprattutto dalla Gran Bretagna, hanno registrato brevi interviste coi rappresentanti di LaRouche.
In un servizio dal titolo "gli scettici sfidano il vertice sul riscaldamento globale di Copenhagen" Russia Today, un programma in lingua inglese della TV russa che in precedenza aveva intervisto anche Lyndon LaRouche, ha mandato in onda una breve intervista all'attivista larouchiano Sebastian Perimony (vedi www.movisol.org) che afferma: "Abbiamo discusso con molte persone qui. Sembra che facciano parte di una setta, che dice che il pianeta si disintegrerà se non facciamo qualcosa subito, subito, subito. E ritengo che sia solo propaganda".
Lo Schiller Institut ha avuto anche un forte impatto sui cosiddetti "clima-scettici", partecipando alla Contro-Conferenza sul Cambiamento Climatico dell'8-9 dicembre, organizzata da Climate-Sense (www.climate-sense.com), CFACT (Comitato per un Domani Costruttivo) e NIPCC (NGO sul cambiamento climatico). Gli interventi degli scienziati hanno documentato la frode della teoria del riscaldamento globale.
Il movimento di LaRouche in Danimarca ha in serbo altre iniziative per la seconda ed ultima settimana del vertice.
http://www.movisol.org/09news246.htm
1.800mila miliardi di Euro, è il nuovo record toccato dal nostro debito pubblico. Questo mentre proprio in questi giorni la Grecia ha sfiorato il “default” del suo. Perché in pochi parlano di questo enorme fardello che grava su ognuno di noi e, soprattutto, peserà sulle future generazioni?
Ieri su Giornalettismo, sia Carlo Cipiciani nel suo editoriale, sia Luca Conforti nella sua inchiesta, si sono occupati del nostro Debito pubblico. L’editoriale di Cipiciani, in particolare, mi è parso più allarmato rispetto alla pur puntuale e precisa inchiesta di Conforti. Cipiciani, in sostanza auspica una decisa presa d’atto della gravità della situazione italiana. “E’ bene – scrive Cipiciani nel suo articolo – che il paese cominci a rendersene conto. E che qualcuno cominci a prendere dei provvedimenti, prima che sia davvero troppo tardi”. Io sono d’accordo con lui. Il debito pubblico italiano ha superato soglia 1.800mila miliardi di euro. Un cifra impressionante. L’Italia ha in valore assoluto – ossia non in relazione al Pil, su cui viene calcolato rispetto al parametro di Maastricht che, comunque, si avvia verso il picco del 120% – uno dei debiti più alti al mondo. La crescita del debito su base mensile è stata di ben 14,7 miliardi ed è imputabile, secondo il bollettino di Bankitalia, per la maggior parte alle spese delle amministrazioni pubbliche. Forse pochi lo sanno, ma se non avessimo questo macigno sulle spalle, frutto dei deficit accumulati ogni anno, lo Stato potrebbe indirizzare le sue risorse per ammodernare l’apparato pubblico, potenziare la rete delle sue infrastrutture, rendere efficienti i servizi sociali, promuovere programmi di sviluppo in settori strategici dell’economia come quello delle nuove tecnologie e della conoscenza, creando così nuova occupazione. Insomma, come ci insegnano al corso di economia, potrebbe praticare quel ruolo del buon padre di famiglia che, liberatosi dopo lunghi sacrifici di tutti i debiti contratti nel passato, comincia finalmente a guardare con ottimismo al futuro suo e della sua famiglia.
RERUM CONOSCERE CAUSAS – Il debito pubblico italiano è di gran lunga più consistente dell’insieme dei beni e dei servizi che il nostro paese è in grado di produrre in un anno (il cosiddetto Prodotto interno lordo, Pil). In particolare, alla fine di quest’anno si prevede che il rapporto tra debito pubblico e reddito nazionale (Pil) supererà quota 115%, per salire ancora l’anno prossimo addirittura al 120% (record negativo, peraltro, già raggiunto nel lontano 1995). Per cogliere l’esatta dimensione del problema basta ricordare che il “famoso” Trattato di Maastricht prevedeva che tale valore non dovesse eccedere il 60%. Quanto poi al disavanzo annuale, il limite è del 3% del Pil. Quest’anno l’Italia quasi lo raddoppierà superando largamente il 5%. Poco male si obietterà, del resto anche altri paesi europei (per non parlare degli stessi Usa) hanno visto crescere il loro debito e il loro deficit, dopo la congiuntura negativa legata alla crisi economica del 2009. Vero, sta di fatto però, che negli altri paesi si sono largamente praticate politiche di “deficit spending”, ovvero di spesa in deficit per tutelare il welfare dei cittadini e proteggere meglio i settori economici più esposti (quello finanziario e quello manifatturiero, in particolare). In Italia, viceversa, si è speso relativamente poco e soprattutto si è speso male. Nonostante ciò, il nostro debito pubblico è il più alto del continente. L’antico motto della London School of Economics, Rerum conoscere causas (prima occorre conoscere le cause dei problemi), per poi giudicarli e valutarli criticamente, oggi dovrebbe valere più che mai. Purtroppo, dubito che questa capacità d’analisi ed eventualmente di critica sia nelle “corde” di questo governo. Quando le entrate, che affluiscono sotto forma di tasse e contributi, non sono sufficienti a coprire sia le spese correnti che gli interessi sul debito accumulato in precedenza si crea, come detto, un disavanzo nei conti pubblici. Lo Stato, in pratica, è costretto a ricorrere ai prestiti dei risparmiatori e soprattutto agli investitori esteri, offrendo ai sottoscrittori dei suoi titoli un rendimento appetibile e, quindi, indebitandosi ulteriormente. Il debito pubblico, quindi, non è altro che l’insieme dei debiti contratti all’interno e all’estero dallo Stato, per finanziare i deficit annuali. In sostanza, è il totale del passivo accumulato nel corso del tempo, per far fronte al fabbisogno finanziario dello Stato.
UN CASO CONCRETO: LA GRECIA - Proprio in questi giorni la Grecia ha sfiorato il cosiddetto “default”, ovvero la “bancarotta” finanziaria del suo sistema economico. Oltre alla Grecia, altri paesi europei sono considerati a rischio insolvenza del debito da mercati e agenzie di rating. L’Italia, al di là dei giudizi spesso ballerini delle agenzie di rating, resta uno di questi. Ma quali sono differenze e analogie tra la nostra situazione e quella greca? In Grecia lo squilibrio è dato da un disavanzo primario molto elevato. Nel nostro Paese, invece, è la fortissima recessione seguita alla crisi a creare problemi. L’agenzia di rating Standard&Poors ha messo in “negative watch” il debito greco, attualmente classificato A-, preludendo a un probabile declassamento; il giorno dopo Moody’s lo ha declassato a BBB+, con un “outlook” negativo. Nel frattempo, sul mercato sono aumentati vertiginosamente gli spread sui Cds greci, ossia i premi pagati per assicurarsi contro l’insolvenza. Le ripercussioni, ovviamente, si sono riverberate su tutte le piazze economiche europee, ma il vero terremoto economico-finanziario, come è facile immaginare, ha interessato soprattutto Atene. Quasi certamente il premier greco, George Papandreou, in questi giorni, si starà pentendo di aver vinto le recenti elezioni politiche. Quello che ha trovato nel bilancio dello Stato è un buco gigantesco: un deficit per il 2009 del 13%, contro il dato del 5% che veniva diffuso dal vecchio governo, che aveva quindi taroccato i dati. La fuga dal debito pubblico greco, come detto avallata dalle varie agenzie di rating, però è ingiustificata e il governo greco non ha nessuna necessità di dichiarare bancarotta. Ma è anche vero che per più di trent’anni l’indisciplina fiscale è stata la regola dell’azione dei vari governi che si sono succeduti. La pressione dei mercati finanziari dovrebbe ora essere interpretata come il segnale di un ritorno alla serietà e al rigore. Per procedere a tagli immediati e radicali della spesa pubblica e a una riforma delle procedure di bilancio. Interventi politicamente dolorosi, ma inevitabili.
QUANTO SIAMO A RISCHIO? – Nel breve termine, diciamolo subito, come del resto sostiene Conforti nella sua inchiesta, è certamente vero l’Italia non corre il rischio di finire come la Grecia o peggio ancora come l’Argentina di qualche anno fa. Però elementi di preoccupazione nel medio, lungo termine ce ne sono, eccome. L’Italia è sicuramente un Paese con molti problemi, fra i quali il fardello pesantissimo di detenere il terzo debito pubblico al mondo. La conseguenza più dirompente è un’iniqua ed inefficiente redistribuzione della ricchezza, poiché abbiamo il fardello di dover devolvere una parte crescente del gettito fiscale (peraltro, quest’anno in calo per via della crisi e delle stesse politiche fiscali attuate dal governo) al pagamento degli interessi e, nel contempo, si distolgono risorse dagli investimenti produttivi sia pubblici che privati. E’ proprio di ieri la notizia che le disuguaglianze economiche nel nostro Paese stanno aumentando. I “pochi” ricchi, in sostanza, risultano sempre più ricchi e i “molti” poveri sempre più poveri. Il problema principale sarà soprattutto per le prossime generazioni – e non è cosa da poco – che dovranno fare i conti con il minore capitale produttivo ereditato dai loro padri e quindi con una quantità di risorse destinate agli investimenti notevolmente ridotta. Inutile dire che nel nostro Paese sarebbe necessario aprire, quanto prima, un serio dibattito su questo tema. Ma dato l’aria che tira, specie negli ultimi giorni, è facile immaginare che per molto tempo saremo inchiodati a parlare solo di opposti estremismi e mandati morali.
http://www.giornalettismo.com/archives/44655/1milione-e-800mila-miliardi-di-ragioni-per-essere-preoccupati/