Il settore del credito sembra essere cambiato molto nell’ultimo anno, ma non ha finito di cambiare pelle. Anzi, ci vorrà ancora molto e, per alcuni, forse troppo
Dietro alle tensioni dentro Unicredit non c’è solo un attacco iconoclasta all’ex infallibile Alessandro Profumo, né può essere classificata come una delle solite manovre di palazzo. Il terreno sta crollando sotto i piedi di tutti i banchieri nazionali ed è normale che il primo a traballare sia proprio Profumo, l’uomo che ha sempre chiesto di essere giudicato sulla qualità delle sue scelte e dei suoi progetti, ma senza contrarre debiti, neppure di riconoscenza, con nessuno. Gli altri seguiranno, ma più furbi o meno presuntuosi, stanno già attrezzandosi per trovare padrini e alleanze.
SENZA NUMERI - Non suoni paradossale o presuntuoso: il destino delle banche italiane va chiarito ora, appena prima che la lunga sequela di consigli di amministrazione ci racconti quanto siano solide, quanto i programmi di rafforzamento patrimoniale funzionano e via dicendo. I numeri certe volte confondono e quasi sempre vengono manipolati, specie in un anno di transizione come il 2009. Diamo pure per scontato che sia tutto vero “nella sostanza”: le banche veramente hanno cambiato direttive e metodi di gestione. Le avventure immobiliari sono ormai frutto del passato, i valori gonfiati per il singolo sportello un errore riconosciuto, i crediti garantiti solo dal “nome giusto” (vedi casi Zaleski o Zunino) sono stati sostituiti da istruttorie rigorose. Il 2009 è stato l’anno del rafforzamento dei patrimoni e sono state rimpinguate le riserve per fronteggiare l’inevitabile svalutazione derivante dell’aumento dei crediti inesigibili.
SICCITÀ – Il problema è che non basta: per le banche italiane si prepara lunga traversata nel deserto, una stagnazione che durerà anni. Rispetto alle quotazioni di fine 2007, Unicredit, Intesa Sanpaolo, Ubi e Bpm valgono la metà, Monte dei Paschi addirittura un terzo. In questi giorni ci diranno che sono tornati gli utili e che gli italiani continuano a risparmiare e soprattutto a pagare care le operazioni bancarie. Anche di fronte a veri e propri capolavori gestionali gli utili 2009 caleranno del 45-50% (stima Abi) rispetto al 2008. Non una parentesi, ma probabilmente una soglia da cui parte una nuova era di vacche magre: le banche lavoreranno in un paese con un Pil in riduzione o stagnante e senza poter contare sui driver che hanno portato i benefici nel periodo 2000-2007: crescita degli incassi da commissioni, cavalcata dei valori immobiliari e soprattutto aggregazioni (significano riduzione del personale, aumento della produttività, ma anche aumento della capitalizzazione dei gruppi bancari stessi). C’è anche la crescita internazionale, ma vale praticamente solo per Unicredit.
TEMPORALI – Profumo ha rilanciato con il suo progetto di Banca Unica, vale a dire un’altra spremuta al limone del taglio dei costi e del personale, l’unica leva sotto il suo reale controllo. Il ciclo economico è quello che è, della ripresa del mattone non si hanno tracce e neanche sul fronte dei prodotti si può sperare più di tanto: carte prepagate, servizi di pagamento alternativi rosicchieranno il mercato dei conti correnti ancora a lungo dando ai consumatori servizi scarni e a basso costo. I critici hanno ragione nel dire che non è una ricetta tanto originale, ma nessuno in Europa sta dimostrando di averne (se non spingere molto sul trading finanziario per far margini a breve, una strada che non ha portato grandi risultati). I soci di tutti gli istituti di credito si sono fatti sentire, il sistema delle Fondazioni bancarie non può vivere senza un flusso costante di dividendi, ci sono almeno 20-25 province nel centronord che dipendono dai loro istituti ex bancari. Un vero e proprio “secondo pilastro” in aggiunta a quello pubblico che mantiene ospedali, enti culturali, fondazioni, persino enti pubblici o parapubblici. Nel 2007 su 8 miliardi di dividendi distribuiti dalle banche italiane poco meno della metà sono finiti “sul territorio” attraverso le fondazioni. Un fiume di denaro che si è estinto nel 2009 e che quest’anno sarà poco più di un rivolo. Le tensioni in Unicredit (Verona, Treviso, Reggio Emilia, Torino, Ferrara, Palermo le città più importanti direttamente interessate alla vicenda) sono un’importante monito: se riescono a commissariare Profumo per la lega dei campanili tutto sarà più facile. In Intesa Sanpaolo (Torino, Milano, Bologna, Venezia) e Mps (Siena, Firenze, Padova) soci e management sono praticamente la stessa cosa. Naturalmente assicurare la sopravvivenza di questo sistema potrà significare anche deprimere la redditività o anche la solidità del gruppo bancario in senso stretto, come dimostra la reazione negativa dell’Abi all’ennesima richiesta di Bankitalia di utilizzare anche gli utili 2009 per rafforzare le riserve. FUGA – Un investitore accorto si terrebbe lontano dal settore almeno per un altro anno per poi vedere che succede, anche se il rischio di fallimenti si può dire passato. Chi sarà costretto ad aumenti di capitale in questo 2010 lo dovrà comunque fare a quotazioni basse e quindi inondando di carta il mercato, motivo in più per i vecchi azionisti di vendere per non essere diluiti e tornare a tempo debito. Ma i danni più gravi saranno quelli a lungo termine: la pressione europea (sia sul fronte delle regole che su quello della concorrenza) ha provocato in dieci anni una profonda rivoluzione nel modo di fare banca in Italia. Si può sintetizzare così: meno politica e Stato (e quindi maggior efficienza e prudenza nel credito), ma più spregiudicatezza “mercatista” (speculazioni, bonus, massificazione della clientela). Il pendolo sta tornando indietro, non è una buona notizia.
http://www.giornalettismo.com/archives/55603/profumo-unicredit-quaresima-bancaria/
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