giovedì 4 marzo 2010
Quando manca la chiarezza, manca tutto. Soprattutto quando si parla di economia. Cerchiamo, quindi, di farne un pochino in questi giorni di enorme incertezza. Primo, la Gran Bretagna non è la Grecia, anche se il dato del deficit su Pil al 12% è peggiore dei già sgangherati conti di Atene. In Gran Bretagna, infatti, i problemi sono diversi: c’è la resistenza dell’inflazione a cui è molto sensibile il mercato dei bond inglesi, c’è l’impatto di quei 200 miliardi di sterline pompati dalla Bank of England nel sistema ancora tutto da valutare, c’è il rischio di una svalutazione globale della sterlina che preoccupa soprattutto per via dell’esposizione del settore bancario e dei privati.
Ma non c’è, a differenza di Atene, un reale rischio sulla ristrutturazione del debito, ovvero la trappola su cui si scommette con i cds. Il perché è semplice: grazie a Dio gli inglesi non hanno l’euro e hanno ancora autonomia valutaria. Secondo punto, la speculazione che ha colpito negli ultimi giorni la sterlina - con scommesse aumentate del 10% in una settimana al Chicago Merchantile Exchange - è strutturale alla crisi politica interna: il rischio di una non maggioranza o, peggio, di un altro governo Brown tra settanta giorni quando si voterà, ha creato le condizioni affinché gli investitori si siano posti short sul pound.
Essendo però la Gran Bretagna un paese in cui la parola bene comune ha ancora un senso, da due giorni i LibDem, ovvero il terzo partito destinato a un ruolo fondamentale in caso di impasse alle urne, stanno rassicurando la City dicendo che non porranno in essere ricatti politici ma che collaboreranno con chiunque vincerà «in nome dell’interesse nazionale». Difficile immaginare Di Pietro o la Lega porsi in questa condizione di responsabilità.
Chi ha shortato il pound lo ha fatto sul breve, arraffa e scappa: la crisi dell’eurozona è altra cosa. E il perché è presto detto. Il mercato dei bond governativi, nei fatti, è il prossimo ciclone subprime: ci sono già tutti i presupposti affinché la bolla esploda, con grande gioia di chi giustamente scommette sulle incapacità - e non le disgrazie - altrui. Il punto fondamentale è infatti questo: per salvare Atene, ovvero per salvare gli interessi franco-tedeschi, l’Ue sta esponendo l’euro a un rischio speculativo potenzialmente devastante. Vediamo come. L’altro giorno il commissario per il Mercato interno dell’Unione, Michael Bernier, ha così tuonato contro gli hedge funds e le loro scommesse sui cds legati al debito greco: «Io voglio sapere chi ha fatto cosa… Io voglio capire». Confortante il fatto che, a oggi, un uomo in quella posizione non abbia ancora capito cosa stia succedendo. Proviamo a spiegarglielo noi, utilizzando le parole dei portavoce di due fondi, Brevan Howard e Moore Capital: «Oggi come oggi per noi è piu’ sicuro scommettere contro l’intera area euro, contro la valuta comune, che contro un singolo Stato poiché i rischi regolatori nelle scommesse su posizioni di rischio individuale sono troppo grandi, anche alla luce della nuova regolamentazione che l’Ue intende mettere in campo». Capito, quei geni di Bruxelles per tutelare la Grecia, o chi per essa in futuro, mettono l’euro nel mirino. E anche la favola dello speculatore cattivo deve finire: Brevan Howard, che conta un portafoglio di assets da 27 miliardi di dollari, ha solo posizioni contro l’euro, non contro la Grecia. Lo stesso vale per Moore Capital e per Paulson&Co, che infatti ha già smobilitato tutte le posizioni rispetto al debito di Atene. Chi sono, quindi, questi falchi che vogliono la distruzione della Grecia? Chi scommette short si lancia sull’euro, sicuro che se anche andrà in porto il piano da 25 miliardi di euro, la crisi sociale che rischia di divampare per le misure draconiane di riduzione del debito farà partire un effetto domino sui Pigs, con la Spagna pronta a finire nel mirino per un breve periodo. Caro Bernier, non è difficile capire cosa stia succedendo, come vede. Nessuno di noi, per quanto possa voler bene al suo vicino di casa, rischierebbe il pignoramento dell’appartamento per salvare quello di un conoscente: bene, la Grecia paghi il prezzo dei suoi errori e tragga una lezione salutare, così come ha fatto l’Irlanda e l’Italia si faccia sentire in sede Ue al fianco di Londra (in fondo le due Borse sono fuse, perché non dovremmo ritenerci partner privilegiati?), poiché tedeschi e francesi puntano a privatizzare la crisi greca divenendo prestatori di prima istanza e, di fatto, controllori dell’Ue. Anche perché la tensione nell’Ue rischia di salire e molto questo weekend, giorni in cui i cittadini islandesi saranno chiamati a pronunciarsi attraverso un referendum sull’opportunità per ognuno di loro di dover pagare 14mila euro di denaro pubblico, ovvero l’ammontare dei rimborsi chiesti dai governi britannico e olandese per il fallimento Icesave, scatola cinese di banking online che ha lasciato sul lastrico migliaia di correntisti, questi sì, ben poco avveduti. Se Reykjavik dirà no la reazione di Londra, già innervosita dagli atteggiamenti franco-tedeschi nella gestione della crisi greca e dall’attacco alla sua valuta, sarà di quelle pesanti: ovvero a colpi di veti e minacce, nemmeno troppo velate. Una crisi interna tra i grandi player europei farebbe la gioia degli hedge funds, che vedrebbero le loro scommesse contro l’eurozona tramutarsi in una miniera d’oro basata sull’instabilità: e Londra, in nome della già citata autonomia valutaria, potrà godersi lo spettacolo dell’euro maltrattato dai fondi di mezzo mondo, certamente più “sicuri” nell’attaccare un’Unione che conta al suo interno Pigs e Club Med che un paese dall’alto debito ma senza problemi reali di ristrutturazione dello stesso. E, pronto in ultima istanza, a un opt out verso l’Efta. Il buon Bernier, burocrate di prima nomina, questo non lo capisce, povera creatura. Se la Gran Bretagna ha un problema, questo non è rappresentato né dalla sterlina né dai cds ma dalla bomba Prudential, ovvero il colosso assicurativo che ha lanciato un’Opa da 35 miliardi di dollari sul ramo asiatico del big decaduto americano Aig: da due giorni il titolo Prud crolla miseramente in Borsa sui timori, di fondi e anche azionisti, che l’azzardo di non aver fissato in anticipo il numero di azioni da emettere nella rights issue di finanziamento - operazione che vede un’emissione extra di azioni destinata solo a chi ne è già detentore e a un prezzo scontato su quello del mark-to-market - porti a un deprezzamento eccessivo del titolo e renda la stessa Prudential a sua volta vittima di un takeover, cosa non improbabile. Insomma, un passo molto più lungo della gamba, un’operazione finanziaria eccessivamente diluitiva a livello azionario che potrebbe creare un tonfo al titolo e un danno enorme all’azienda: se questo accadrà la bolla assicurativa che come un fantasma vaga per mesi in Europa, sarà pronta a esplodere. Già ieri in Borsa i dati poco confortanti sull’occupazione Usa hanno stranamente fatto crollare i titoli bancari europei, pensate cosa potrebbe accadere se Prudential vedesse il suo titolo a picco - lo short da parte dei fondi è già partito - e la sua stessa stabilità messa a rischio: il peggio, ancora una volta, sembra davanti a noi. Chiudere gli occhi, come fa il buon Bernier, non è ottimismo gramsciano ma irresponsabilità. Crassa.
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