(via Sole 24 ore)
Domanda: a che punto è la notte di questa crisi economica che sembra non finire mai? Se lo chiedevano - ieri sera, nel salottino tivù di Ballarò - personaggi del calibro di Francesco Rutelli, Pierferdinando Casini, Roberto Castelli e addirittura Sandro Bondi. Un parterre des rois. All’appello mancavano soltanto Pinocchio, ilGatto&laVolpe e Gambadilegno che purtroppo erano impegnati su Disney channel. Ma si sa che non si può avere tutto. E il sempre sorridente Giovanni Floris, conduttore di Ballarò, si è arrangiato egregiamente con quel po’ po’ di materiale umano che c’era.
Risultato: una raffica di servizi (video) su malanni e malcostumi del Belpaese. E il consueto fiume di chiacchiere su quel che si poteva fare e non si è fatto; e su quel che si potrebbe ancora fare, ma tanto non si farà mai. Belle parole, insomma. Che, verso metà trasmissione, sono perfino incappate in un argomento serio: la concorrenza cinese. Argomento liquidato al volo con il classico botta e risposta tra destra e sinistra. Anzi, in questo caso, tra destra e centro. Il leghista Castelli ha finemente osservato che contro l’operaio cinese che si fa pagare un decimo e mangia riso e latte (o al limite solo riso), non c’è nulla da fare; bisogna rispolverare i dazi. Casini - stringendo come d’abitudine la bocca a cuore (o come dicono i maligni: a culo di gallina) - gli ha risposto secco che altro che dazi; qui, signori miei, ci vuole tanta ricerca e innovazione, perchè i cinesi esportano, ma solo pentole e paccottaglia.
Sursum corda. E giù applausi in studio.
Per carità: niente di più della solita fiera di slogan e luoghi comuni. Che però - forse - sarebbe davvero ora di aggiornare. Alla luce di alcuni fatti. E soprattutto di alcuni numeri.
Prendiamo il mantra dell’innovazione-panacea-di-tutti-i-mali, tanto caro a Casini e soprattutto a buona parte dei confindustriali, e in particolare all’ex presidente di Confindustria e attuale presidente Fiat, Luca Cordero di Montezemolo (aperta parentesi: per la cronaca e per chi non lo sapesse: Luca Cordero di Montezemolo - che ora con la sua fondazione Italia Futura pare studiare da politico - quando guidava i Bill Gates nostrani non terminava mai un convegno, senza una decina di accorati appelli a innovare laqualsiasi, tagli di capelli compresi; a lui quindi va l’indubbio merito di aver reso tanto pop questo mantra: chiusa parentesi).
Ecco, l’innovazione e la ricerca saranno sicuramente una delle chiavi di volta del futuro del Belpaese. Ma per il momento, la lingua (dei politici) potrebbe anche evitare di battere dove il dente duole. Per dire: il Corriere della Sera ha contato ben 26 gruppi industriali - tutti attivi nei settori dell’informatica, telecomunicazioni e farmaceutica; ovvero quelli dove sviluppo e ricerca sono il pane quotidiano - che hanno licenziato o sono in procinto di licenziare una fetta dei loro dipendenti italiani. Titolo dell’inchiesta (pubblicata oggi): “Ricercatori, nuovo esercito di disoccupati”. Ultimo caso in ordine di tempo: la casa farmaceutica GlaxoSmithKline, che vorrebbe chiudere il suo centro di ricerca di Verona (dove lavorano 550 scienziati, provenienti da 17 Paesi). Caso più eclatante: Nokia, che ha nel mirino 600 dipendenti che lavorano nei suoi centri di ricerca di Cinisello Balsamo e Cassina de’ Pecchi. Si dirà: beh, è la crisi. Sì, ma Nokia - crisi o non crisi - risparmierebbe un bel po’ di quattrini. Perchè ha intenzione di trasferire il lavoro dall’Italia in quel di Bangalore (India) e, appunto, in Cina.
Già, perchè avrà anche ragione l’ex ministro Castelli: in Cina, sarà pieno di operai che si accontentano di poco e niente. Ma è anche pieno di tecnici e scienziati. Che costano molto meno dei loro colleghi italiani. E che non sembrano essere affatto degli sprovveduti. Per lo meno a giudicare dai numeri messi in fila dalla Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (l’agenzia Onu che si occupa di brevetti; sigla: Ompi).
La Ompi, ogni, anno stila la classifica dei Paesi che hanno sfornato più brevetti. Ebbene. La cattiva notizia è che nel 2009 - causa pessima salute dell’economia - si sono registrati meno brevetti che nel 2008 (156mila contro 164mila; cosa che non era mai accaduta negli ultimi 30 anni). La buona notizia (ma non per noi italioti) è che un Paese è andato decisamente in controtendenza. Ossia: La Cina. Che - sempre nel 2009 e sempre rispetto al 2008 - ha messo a punto quasi il 30% di brevetti in più (per la precisione: il 29,7%). Cina che è diventato il Paese numero cinque al mondo per produzione di brevetti. Dietro a Stati Uniti (prima piazza) e Germania (numero tre). Ed altri due colossi dell’Estremo oriente: Giappone (secondo) e Corea del Sud (quarta). E ovviamente davanti all’Italia (undicesima piazza).
E allora? E allora diciamola tutta. E aggiorniamo gli slogan. Basta ripetere che “per battere la concorrenza cinese, ci vuole la ricerca”. E piuttosto chiediamoci: come facciamo, d’ora in poi, a sconfiggere la concorrenza cinese nella ricerca? Forse non riusciremo a trovare la risposta. Ma il fatto di porsi almeno la domanda sarebbe un buon punto di partenza. E comunque, da qualche parte bisognerà pur cominciare.
1 commento:
Vorrei lasciare un mio contributo a questo interessante post.
Comincio col dire che dopo oltre 30 anni di lavoro dipendente di cui gli ultimi 15 anni ad occuparmi di ricerca&sviluppo per una media azienda del nord-est ho deciso di lasciare il lavoro dipendente in quanto la ricerca non era ritenuta più interessante ( ... c'era ancora poco da inventare ed invece si poteva ottenere di più con il marketing ... ).
Ora io lavoro spesso con una azienda giapponese che ( per fortuna ) durante questa crisi ha aumentato gli investimenti in ricerca perchè ritiene che " ... questa crisi sarà una grossa opportunità se ci sapremo presentare subito dopo, con prodotti innovativi ".
Secondo me, quindi, innovazione e brevettazione sono un ottimo strumento per competere anche a livello globale ma non possiamo distruggere il 90% del nostro patrimonio industriale per colpa della concorrenza sleale dei paesi emergenti e quindi ben venga qualche forma di tutela del mercato ( dazio ) nei confronti di quei paesi che non tutelano l'ambiente ed i loro dipendenti.
E poi cerchiamo di essere più seri ed onesti ... non possiamo spacciare prodotti fatti in Cina per " Made in Italy " per poter così guadagnare il 1000%; io vedo che ad esempio in Giappone, che dovrebbe soffrire molto più di noi della concorrenza cinese, i prodotti "Made in Japan" sono sempre chiaramente distinti dai "made in China" e la scelta dei consumatori premia molto stesso i produttori seri locali.
Grazie per lo spazio concesso
Luigi
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