Conti in rosso ma non solo. La disastrata finanza pubblica greca si scopre anche poco trasparente, alla faccia delle regole condivise nell’Unione Europea. E’ la scoperta rivelata in questi giorni dal tedesco Der Spiegel, uno dei più autorevoli settimanali del Continente.
La storia risalirebbe a otto anni fa e le sue conseguenze potrebbero pesare insopportabilmente sul futuro assai poco roseo delle finanze locali. Secondo lo Spiegel, la banca d’affari statunitense Goldman Sachs avrebbe aiutato la Grecia a falsificare il proprio bilancio statale con un vero e proprio make-up del debito sovrano. A rendere possibile l’operazione sono stati, manco a dirlo, alcuni derivati complessi conosciuti come cross-currency swaps. Attraverso di essi, la Grecia sarebbe riuscita a convertire in euro le sue emissioni obbligazionarie in dollari e yen. Il cambio, effettuato nel 2002, è stato realizzato a tassi fittizi che hanno permesso alle casse greche di ottenere un credito maggiore rispetto a quello reale. Ma l’effetto dell’operazione, che ha già arricchito Goldman attraverso le commissioni imposte per l’occasione, è ovviamente temporaneo. A una data prestabilita, Atene dovrà riconvertire le obbligazioni nelle valute originarie. Solo a quel punto, la vera natura dei conti potrà emergere con chiarezza. L’Eurostat, infatti, non conteggia nei bilanci i titoli finanziari derivati il cui valore viene calcolato solo al momento della scadenza. Ed è a quel punto che il costo del surplus creditizio va a pesare sui conti.
Quello della Grecia non è comunque un caso isolato. Alcuni anni prima, ha ricordato il Financial Times, anche l’Italia aveva fatto ricorso alla creatività finanziaria dei prodotti strutturati. Nel 1997, la Penisola aveva emesso obbligazioni denominate in Yen per un controvalore di 1,6 miliardi di dollari. Per controbilanciare il successivo deprezzamento della valuta nipponica, l’Italia allora fece ricorso a un maxi swap in grado di riequilibrare il rapporto lira/Yen. Le casse statali ottennero un’iniziale plusvalenza creditizia. Ma anche una rilevante perdita nel lungo periodo.
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