“mai più il contribuente deve sentirsi ostaggio di banche troppo grandi per fallire” Con questo intendimento è nato il piano-Obama che sta monopolizzando le discussioni nelle ultime settimane. Altre riforme finanziarie sono state introdotte in passato: negli anni ’30 venne introdotta la “legge Q” che limitava per legge il tasso a cui le banche potevano remunerare la liquidità. L’obiettivo era non portare le banche a prendere eccessivi rischi dovendo riconoscere alti interessi alla clientela. Il risultato fu che i risparmiatori si dirottarono su altri strumenti per la gestione del loro cash. Anche le regole di Basilea, nate con lo scopo di rendere più robusti i bilanci delle banche, hanno generato conseguenze inattese: la scarsità di titoli AAA ha indotto il mercato a inventarsi i CDO (collateralized debt obligations) basati su mutui subprime, e che furono giudicati strumenti AAA. Sappiamo come è andata: regole fatte per rendere più solide le banche hanno creato nei bilanci delle banche europee, una esposizione diretta su mutui non pagati in posti come Minnesota o Florida. In generale il capitale, come l’acqua, tende a fluire intorno agli ostacoli. Dunque dobbiamo chiederci: quali saranno le conseguenze indesiderate del piano Obama? L’impatto principale ricadrà sul cosiddetto “proprietary trading” ovvero le operazioni che la banca fa non per conto del cliente ma con i soldi propri. Questo comporterà la chiusura di molti desk operativi. La chiusura dei desk renderà i mercati meno liquidi. Mercati meno liquidi porteranno spread più elevati e costi operativi maggiori per gli investitori. Tutto sommato questo potrebbe anche essere un prezzo adeguato da pagare per avere banche più sicure. Il denaro che oggi è destinato al proprietary trading virerà verosimilmente sugli hedge funds, dando loro un peso ancor maggiore sul mercato, così che la parte meno regolamentata del settore finanziario acquisirà forza grazie alle nuove regole. Qualcosa che alla prossima crisi, i regolatori potrebbero rimpiangere di aver fatto.
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