Stiglitz - Le scelte e i rischi nella riduzione del deficit
Un´ondata di austerità fiscale sta per abbattersi sull´Europa e sull´America. La voragine dei disavanzi di bilancio – parimenti all´ampiezza della recessione – ha colto molti di sorpresa. Malgrado le proteste da parte di coloro che fino a ieri sostenevano la deregulation e vorrebbero che il governo restasse passivamente a guardare, la maggior parte degli economisti crede che la spesa pubblica abbia fatto davvero la differenza, e abbia contribuito a scongiurare una seconda Grande Depressione.
La maggior parte degli economisti è altresì concorde nel ritenere che sia sbagliato guardare a un solo aspetto del bilancio (sia nel settore privato sia in quello pubblico). È infatti necessario non limitarsi esclusivamente a considerare di che cosa sia debitore un Paese o un´azienda, ma anche quali siano gli asset di cui dispone.
La spesa pubblica – specialmente con investimenti nell´istruzione, nelle tecnologie e nelle infrastrutture – di fatto può portare a diminuire il disavanzo sul lungo periodo. A scatenare la crisi è stata anche la miopia delle banche, la loro mancata lungimiranza. Ora non possiamo assolutamente permettere che la miopia del governo – pungolato dal settore finanziario – la prolunghi oltre.
Crescita e rendimenti più immediati per gli investimenti pubblici portano a più alti introiti fiscali, e un utile del 5-6 per cento sarebbe già più che sufficiente per controbilanciare i temporanei aumenti del debito pubblico nazionale.
Infine, altro punto su cui concordano gli economisti è che, se si eccettuano queste considerazioni, l´entità più appropriata per un disavanzo dipende in buona parte dallo stato generale dell´economia. Quanto più un´economia è debole tanto più avrà un disavanzo maggiore; l´entità più appropriata per un deficit a fronte di una recessione dipende da circostanze ben precise.
È a questo punto, però, che gli economisti iniziano a essere in disaccordo tra loro. Effettuare previsioni è sempre difficile, e a maggior ragione in tempi di crisi. Ciò che è accaduto (per fortuna) non accade tutti i giorni: sarebbe pertanto sconsiderato guardare al passato per ipotizzare come andrà a finire questa crisi.
In America, per esempio, la percentuale di indebitamento e di fallimenti è a livelli mai visti da almeno 75 anni. Il calo del credito nel 2009 è stato il più consistente dal 1942. Anche i raffronti con la Grande Depressione sono artificiosi, perché l´economia odierna è molto diversa da quella di allora per vari aspetti.
Nondimeno, anche con cospicui disavanzi, la crescita economica negli Stati Uniti e in Europa resta anemica. I rischi sono asimmetrici: se ci sarà una ripresa più robusta, allora naturalmente le spese potranno essere tagliate e/o le tasse aumentate. Ma se le previsioni sono esatte, invece, allora un´uscita prematura dal deficit spending rischia di spingere l´economia nuovamente in recessione.
Questi punti sono pertinenti in particolare alle economie più duramente colpite. Il Regno Unito, per esempio, ha vissuto un´esperienza più difficile rispetto ad altri Paesi per un´ovvia ragione: ha vissuto una bolla nel settore immobiliare e la finanza - che è l´epicentro stesso della crisi – ha rivestito un ruolo più importante nella sua economia di quanta ne abbia avuta in altri Paesi.
La performance più scadente del Regno Unito non è l´esito di politiche peggiori: anzi, rispetto agli Stati Uniti il suo piano di salvataggio in extremis delle banche e le sue politiche per il mercato del lavoro sono state di gran lunga migliori, per molti aspetti.
A mano a mano che l´economia globale ritorna alla crescita, i governi naturalmente dovrebbero tener pronti dei programmi finalizzati ad aumentare le imposte e tagliare le spese. Inevitabilmente, raddrizzare il bilancio sarà al centro di controversie. Principi quali «è meglio tassare le cose cattive che le buone» potrebbero consigliare di varare tasse nel settore ambientale.
Quanto al settore finanziario, ha imposto enormi esternalità sul resto della società. Il settore finanziario americano ha inquinato il mondo intero con i suoi mutui tossici e, in linea con il ben noto e valido principio del «chi inquina paga», le tasse dovrebbero pagarle gli Usa. Oltretutto, imposizioni fiscali ben congegnate nel settore finanziario potrebbero alleviare i problemi provocati da un eccessivo leverage e dalle banche «troppo grandi per fallire». Imporre un prelievo fiscale alle attività speculative potrebbe in definitiva incoraggiare le banche a prestare maggiore attenzione alle modalità con le quali espletano il loro ruolo sociale fondamentale di fornire credito.
Su un più lungo periodo, la maggior parte degli economisti è concorde nel ritenere che i governi dovrebbero preoccuparsi della sostenibilità delle loro politiche. Ma dobbiamo essere prudenti e cauti nei confronti di un atteggiamento feticista verso il disavanzo.
I deficit per finanziare le guerre o gli sprechi nel settore finanziario (come si sono registrati su scala gigantesca negli Stati Uniti) hanno condotto a passività senza asset corrispondenti, imponendo di fatto un gravoso fardello alle generazioni future. Invece, investimenti pubblici redditizi in grado di ripagarsi abbondantemente possono effettivamente migliorare il futuro delle prossime generazioni, e sarebbe quindi doppiamente sconsiderato rifilare loro i debiti nei quali si è incorsi per una spesa improduttiva, e poi tagliare gli investimenti produttivi.
Queste sono questioni che andranno affrontate soltanto in seguito – in molti Paesi le prospettive di una ripresa consistente sono, nel migliore dei casi, lontane ancora uno o due anni. Per adesso, l´economia non lascia adito a dubbi: non vale la pena correre il rischio di ridurre la spesa pubblica.
Joseph Stiglitz
Fonte: www.repubblica.it
7.03.2010
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