Può l’annuncio della costruzione di 1600 nuovi alloggi a Gerusalemme Est, nel quartier ultra-ortodosso di Ramat Shlomo, mettere in pericolo la storica relazione tra Sati Uniti e Israele? Per Michael Oren, ambasciatore israeliano a Washington, non vi sono dubbi: Quella in corso è della peggiore crisi degli ultimi 35 anni. Per arrivare a un periodo altrettanto teso – sostiene il diplomatico - bisogna risalire al 1975, quando l’allora segretario di Stato Usa Henry Kissinger chiese al primo ministro israeliano Yitzhak Rabin un ritiro parziale delle proprie truppe dalla penisola del Sinai, occupata nel corso della guerra del 1967. Di certo, alla Casa Bianca non è piaciuta la tempistica dell’annuncio, fatto proprio mentre il vicepresidente Joe Biden era nella regione per far ripartire il processo di pace tra israeliani e palestinesi, fermo da oltre un anno. Secondo David Axelrod, uno dei più stretti collaboratori del presidente Barack Obama, si è trattato di un vero e proprio “insulto” nei confronti degli Stati Uniti. La gravità dell’episodio è dimostrata anche dal fatto che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu abbia sentito il bisogno di scusarsi pubblicamente, dicendosi “profondamente dispiaciuto” e tirando in ballo il “disguido diplomatico”. Tuttavia, e come ha scritto su Ha’aretz l’analista politico Akiva Eldar, le dichiarazioni ufficiali di Israele e quelle dell’amministrazione Obama possono essere lette anche diversamente. Affermare – come ha fatto Netanyahu – che si sarebbe dovuto evitare che i piani per le nuove case nel quartiere di Ramat Shlomo fossero approvati proprio durante la visita di Biden equivale a contestare le modalità dell’annuncio, ma non il suo contenuto, ossia l’edificazione di nuove colonie nei Territori palestinesi occupati. Stesso discorso vale per le dichiarazioni successive del vicepresidente Biden, che ha fatto sapere di avere apprezzato l’impegno di Netanyahu a garantire che incidenti del genere non si ripetano in futuro. Nella sostanza, quello che emerge dallo “scontro” diplomatico tra i due storici alleati è una nuova accettazione da parte americana della politica pro-colonie adottata dello Stato ebraico a Gerusalemme Est e in Cisgiordania. La sola cosa certa in tutta questa vicenda è l’annuncio israeliano – non ritrattato – della costruzione migliaia di nuovi alloggi a Gerusalemme Est, in quella che per i palestinesi dovrebbe diventare la capitale del loro futuro Stato. Un nuova iniziativa che allontana la creazione di quello Stato palestinese “funzionale, indipendente e non frammentato” auspicato – almeno a parole - da tutta la comunità internazionale.
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Usa-Israele: Crisi o farsa?
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